DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO: MECCANISMI EZIOPATOGENETICI

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1 DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO: MECCANISMI EZIOPATOGENETICI Dott.ssa Donatella Arcangeli

2 AUTISMO: definizione DISTURBO NEUROCOGNITIVO DELLO SVILUPPO, CHE SI MANIFESTA ENTRO I TRE ANNI DALLA NASCITA, AD EZIOLOGIA MULTIFATTORIALE IN CUI MOLTEPLICI FATTORI DI NATURA GENETICA INTERAGISCONO TRA LORO E CON FATTORI AMBIENTALI

3 ASPETTI INTRODUTTIVI Le cause dell autismo sono a tutt oggi sconosciute. La natura del Disturbo, infatti, coinvolgendo i complessi rapporti mente-cervello, non rende possibile il riferimento al modello sequenziale etiopatogenetico, comunemente adottato nelle discipline mediche:

4 ASPETTI INTRODUTTIVI (2) Eziologia (studio delle cause) anatomia patologica (esame macroscopico degli organi e microscopico dei tessuti interessati dal processo patologico) patogenesi (studio dei modi e dei processi attraverso cui avvengono le alterazioni dello stato fisiologico che portano allo stabilirsi e allo svilupparsi di una malattia) sintomatologia (corredo di sensazioni per lo più anormali o non usuali che sono provocate da una malattia o da un trauma o da un qualsiasi evento patologico)

5 ASPETTI INTRODUTTIVI (3) Si deve inoltre considerare che i disturbi pervasivi di sviluppo, quale sindrome definita in termini esclusivamente comportamentali, si configurano come la via finale comune di situazioni patologiche di svariata natura e con diversa etiologia. Allo stato attuale dell arte, perció che ritiene i DSA, la etiologia, l anatomia patologica e la patogenesi, si pongono come tre aree di ricerca ancora distinte, in quanto i rapporti causali fra di esse restano ancora indefiniti.

6 ASPETTI INTRODUTTIVI (4) E 'utile quindi analizzare separatamente queste tre aree di ricerca secondo il seguente modello: 1. PATOGENESI Studio dei modelli interpretativi della clinica 2. ANATOMIA PATOLOGICA Studio delle basi Neurobiologiche 3. ETIOLOGIA Studio dei fattori causali

7 MODELLI INTERPRETATIVI CLINICI I modelli interpretativi della clinica cercano di spiegare le caratteristiche del FUNZIONAMENTO MENTALE dei soggetti con disturbo dello spettro autistico, funzionamento da cui discendono: - la compromissione della interazione sociale reciproca; - la compromissione qualitativa della comunicazione - le modalità di comportamento, interessi ed attività ristretti, ripetitivi e stereotipati.

8 MODELLI INTERPRETATIVI CLINICI Nel corso degli ultimi anni le ipotesi interpretative che sembrano riscuotere i maggiori consensi rientrano nei seguenti modelli: - TEORIA SOCIO-AFFETTIVA; - TEORIA DELLA MENTE - TEORIA DELLA COERENZA CENTRALE DEBOLE; - TEORIA DEL DEFICIT DELLE FUNZIONI ESECUTIVE

9 TEORIA SOCIO AFFETTIVA o TEORIA DEL DEFICIT PRIMARIO NELLA RELAZIONE INTERPERSONALE Un modello esplicativo che tenta di spiegare la triade di sintomi che caratterizzano il disturbo dello spettro autistico è quello proposto da Hobson secondo il quale l autismo è un disturbo dell intersoggetivitá. Hobson suppone che alla base di tale disturbo vi sia una mancanza di relazione affettiva con il mondo, in associazione non soltanto a carenze nella percezione sociale diretta ma anche a difficoltà di categorizzare e di rapporto con il mondo in relazione a sé.

10 TEORIA SOCIO AFFETTIVA o TEORIA DEL DEFICIT PRIMARIO NELLA RELAZIONE INTERPERSONALE La teoria socio-affettiva parte dal presupposto che l essere umano nasca con una predisposizione innata ad interagire con l altro. Si tratta di un bisogno primario non inferito dalle esperienze, ne condizionato o dettato da altri tipi di bisogni. É un qualcosa che appartiene al corredo genetico del bambino, come patrimonio della specie, e che viene definito con diversi termini quali empatia non interferenziale o intersoggettività primaria.

11 TEORIA SOCIO AFFETTIVA o TEORIA DEL DEFICIT PRIMARIO NELLA RELAZIONE INTERPERSONALE Peraltro il neonato, anche se molto attento a stimoli sensoriali differenti, sembra avere una predilezione per quelli di natura sociale. Secondo la teoria socio-affettiva i bambini sin dalla nascita sono implicati in scambi relazionali reciproci con altre persone e ciò sarebbe possibile grazie all innata capacità die bambini stessi di comprendere le espressioni delle emozioni di chi si prende cura di loro. Tale abilità di intuire le emozioni sarebbe alla base del fenomeno di riferimento sociale ossia l abilitá del bambino di servirsi delle espressioni facciali dell adulto per meglio comprendere e rendere più chiari situazioni ed avvenimenti nuovi.

12 TEORIA SOCIO AFFETTIVA o TEORIA DEL DEFICIT PRIMARIO NELLA RELAZIONE INTERPERSONALE In sostanza si ritiene che la relazione con gli altri permetta al bambino di imparare a distinguere ed ad esternare gli stati mentali ed emotivi osservando gli adulti, imitando modi di fare, pensieri e stati d animo ed imparando a condividere con gli stessi pensieri ed emozioni. Inoltre la produzione di richieste gestuali ed il riferimento sociale sono alla base dell abilitá del bambino di capire la realtà dall ottica degli altri e di realizzare giochi di finzione.

13 TEORIA SOCIO AFFETTIVA o TEORIA DEL DEFICIT PRIMARIO NELLA RELAZIONE INTERPERSONALE Secondo la teoria socioaffettiva, quindi, esisterebbe nell autismo un innata incapacità, biologicamente determinata, di interagire emozionalmente con l altro e permetterebbe lo sviluppo di una reciprocità intersoggettiva con le altre persone, indispensabile per apprendere il sapere sugli altri e di intuirne gli stati mentali. Tale incapacità, secondo una reazione a cascata, porterebbe all incapacitá di imparare a riconoscere gli stati mentali altrui, alla compromissione dei processi di simbolizzazione, al deficit del linguaggio, al deficit della cognizione sociale

14 DEFICIT DELLA TEORIA DELLA MENTE La teoria della mente ad oggi fornisce una delle ipotesi eziologiche più convincenti dell autismo, puntando proprio sull analisi delle difficoltà relazionali del bambino. Possedere una teoria della mente significa possedere la capacità di riflettere sulle emozioni, sui desideri e sulle credenze proprie ed altrui e di comprendere il comportamento degli altri in rapporto NON SOLO a quello che ciascuno di noi sente, desidera o conosce, ma in rapporto a quello che ciascuno di noi PENSA CHE L ALTRO sente, desidera o conosce. A mezzo della «teoria della mente» è possibile attribuire stati mentali (desideri, emozioni, intenzioni, pensieri e credenze) a se stessi ed agli altri e prevedere quindi, il comportamento degli altri sulla base dei propri «stati interni».

15 DEFICIT DELLA TEORIA DELLA MENTE La teoria della mente si basa quindi sulla presenza di un abilitá cognitiva denominata LETTURA DELLA MENTE CAPACITÀ UMANA DI RIFLETTERE SUL PROPRIO ED ALTRUI STATO MENTALE E SULLE PROPRIE ED ALTRUI PERCEZIONI, CONSENTENDO DI FARE PREVISIONI SUL PROPRIO E SULL ALTRUI COMPORTAMENTO. E 'un modulo cognitivo che matura progressivamente nel tempo per realizzarsi attorno ai 4 anni.

16 DEFICIT DELLA TEORIA DELLA MENTE La capacità di attribuire all altro una conoscenza, una convinzione, un emozione, si sviluppa nel bambino intorno ai quattro anni di età; prima di tale età i bambini NON sono in grado di attribuire una FALSA CREDENZA ovvero di riconoscere la differenza tra lo stato effettivo delle cose e la rappresentazione mentale propria o altrui. Tale capacità di attribuire stati mentali diversi dalla realtà die fatti non si sviluppa nei bambini autistici. Baron-Cohen propose questa teoria sulla scorta dell incapacitá degli autistici di predire dove una bimba avrebbe cercato la sua biglia, che era stata spostata, in sua assenza, dal luogo dove leri la aveva messa; invece di rispondere sulla base di quello che la bambina pensava, il bambino autistico rispondeva in base allo stato reale delle cose ( TEST di SALLY ED ANNE o COMPITO DELLA FALSA CREDENZA )

17 DEFICIT DELLA TEORIA DELLA MENTE TEST DI SALLY ED ANNE ai bambini veniva presentata una scenetta con due personaggi: Sally ed Ann. La prima usciva a passeggio dopo aver lasciato la sua biglia nel proprio cestino, la seconda nascondeva la bambola di Sally nella sua scatola, spostandola dal luogo in cui Sally l aveva lasciata. A questo punto Sally tornava con l intenzione di giocare con la sua biglia. La domanda che veniva posta era la seguente: dove avrebbe creduto di trovarla? Mentre bambini normali di 4 anni o affetti da sindrome di Down erano in grado di spiegare che Sally era ignara delle azioni di Ann durante la sua assenza e che quindi avrebbe cercato la bambola nel posto in cui l aveva lasciata (riconoscimento della falsa credenza da parte del bambino), bambini affetti da autismo incorrevano in grosse difficoltà, affermando che Sally avrebbe cercato nel cestino di Ann, dimostrando così di non riuscire ad attribuire a Sally uno stato mentale diverso dalla realtà dei fatti.

18 DEFICT DELLA TEORIA DELLA MENTE E 'possibile individuare alcuni precursori evolutivi della cosiddetta lettura della mente, precursori che nei soggetti autistici risultano deficitari: 1. CAPACITÀ DI ESPRESSIONE MIMICA; 2. ATTENZIONE CONDIVISA; 3. CAPACITÀ DI IMITAZIONE; 4. GIOCO SIMBOLICO; 5. COMUNICAZIONE INTENZIONALE.

19 DEFICT DELLA TEORIA DELLA MENTE 1. CAPACITÀ DI ESPRESSIONE MIMICA: nei bambini con autismo mancherebbe la capacità di espressione mimica e corporea che traduce i diversi stati psicologici, per es. l espressione emozionale del viso all intonazione della voce.

20 DEFICT DELLA TEORIA DELLA MENTE 2. ATTENZIONE CONDIVISA gli autistici avrebbero un deficit di attenzione condivisa, cioè non sarebbero in grado di condividere un focus di attenzione con un altra persona. Un esempio di attenzione condivisa è il controllo dello sguardo: il bambino controlla lo sguardo dell adulto e se l adulto si gira da un altra parte il bambino segue il suo sguardo. Si tratta di un riflesso sociale che si instaura a nove mesi nei bambini di qualsiasi cultura; invece, sulla base di studi sistematici, sappiamo che soggetti autistici mostrano una ridotta, se non assente, capacità di controllare lo sguardo. I bambini autistici sembrano incapaci di condividere spontaneamente l attenzione visiva con un adulto, non guardano naturalmente o spontaneamente la dove gli altri guardano o indicano con il dito.

21 DEFICT DELLA TEORIA DELLA MENTE 2. ATTENZIONE CONDIVISA gli autistici avrebbero un deficit di attenzione condivisa, cioè non sarebbero in grado di condividere un focus di attenzione con un altra persona. Un secondo esempio di attenzione condivisa è l indicare dichiarativo, cioè il bambino indica con l indice per attirare l attenzione dell adulto o per condividere un esperienza; mentre nei bambini normodotati questo atteggiamento appare tra i 9/14 mesi, nei soggetti autistici si è notata una riduzione se non un assenza totale dell indicare dichiarativo. I bambini autistici mostrano un deficit specifico nella produzione e comprensione dell indicare dichiarativo, mentre hanno meno difficoltà nell utilizzo dell indicare richiestivo, questo perché il gesto dell indicare con funzione imperativa richiede una semplice nozione di causalità fisica, mentre lo stesso gesto con funzione dichiarativa sottende l uso di una metarappresentazione, ed infatti è solo questo che presenta gravi deficit nell autismo.

22 DEFICT DELLA TEORIA DELLA MENTE 2. ATTENZIONE CONDIVISA I bambini autistici manifestano poche se non nulle strategie di condivisione dell attenzione con gli altri e sembra si servano dell altra persona come agente, qualcuno cioè che può agire sul mondo per conto loro, per raggiungere i loro scopi. Manca completamente la capacità di rendersi conto che l altra persona ha una prospettiva concettuale che può essere condivisa o indirizzata, ecco, perché, i bambini autistici sono capaci di prendere nota della prospettiva visiva dell altra persona, ma non di ciò che pensa o sente. La mancanza di attenzione condivisa non si riscontra in altri handicap mentali e sembrerebbe esclusiva dell autismo.

23 DEFICT DELLA TEORIA DELLA MENTE 3. CAPACITÀ di IMITAZIONE un terzo componente caratteristico indicativo dell assenza di una teoria della mente riguarda il deficit di imitazione. Il meccanismo principale che permette al bambino di fare la prima distinzione tra cose e persone è l imitazione precoce come risposta alle persone e non alle cose; l originaria capacità di imitare fa parte della dotazione innata del neonato normale. Nel corso dello sviluppo troviamo poi segnali di un imitazione proto-referenziale, l imitazione cioè viene usata per capire come funziona il mondo. Verso i nove mesi è possibile osservare l imitazione differita che mostra come questa capacità non sia fortemente vincolata allo stimolo, infatti, nello sviluppo normale la dipendenza dall iniziativa adulta è destinata a sparire

24 DEFICT DELLA TEORIA DELLA MENTE 3. CAPACITÀ di IMITAZIONE A differenza dei bambini normali che imitano in modo innato alcune espressioni semplici, la capacità imitativa, tutoriale nella comprensione sociale, non si riscontra nei bambini con sindrome autistica. Bisogna osservare, inoltre, che il tipo di imitazione che è tanto importante per lo sviluppo normale non è mai una copia esatta del comportamento adulto, ma è sempre di tipo attivo e creativo. Nell autismo c è una imitazione parassitaria, per cui gli aspetti percettivi vengono copiati esattamente

25 DEFICT DELLA TEORIA DELLA MENTE 4. GIOCO SIMBOLICO nei bambini normali abbiamo tre livelli di gioco: 1. sensomotorio, in cui il bambino esplora l oggetto per scoprirne le caratteristiche fisiche; 2. funzionale, in cui il bambino organizza il gioco, cioè usa l oggetto per lo scopo per cui è stato costruito; 3. di finzione, (18-24 mesi) in cui il bambino introduce qualcosa di fantasioso in quello che fa o negli oggetti, ad esempio, il bambino può utilizzare la penna come un missile e farlo volare nella stanza, ma in ogni momento è ben consapevole della differenza che esiste tra la vera identità della penna e la qualità di finzione

26 DEFICT DELLA TEORIA DELLA MENTE 4. GIOCO SIMBOLICO Far finta è la stringente manifestazione dell abilità di mentalizzare e dipende dalla capacità di distinguere tra uno stato reale e uno stato che si immagina o che si simula; la finzione è una manifestazione primitiva della teoria della mente. Nei bambini autistici, invece, si riscontra un assenza della capacità di fingere nel gioco, il loro gioco, infatti, è stereotipato e ripetitivo piuttosto che simbolico e immaginativo, tanto è vero che nei bambini con autismo certi giochi meccanici, anche molto abili, non sono compromessi non dipendendo da questà abilità di simbolizzazione.

27 DEFICT DELLA TEORIA DELLA MENTE 5. COMUNICAZIONE INTENZIONALE bisogna distinguere tra l attribuzione di agentività, cioè l idea che le persone sono possibili agenti di un azione e possono quindi essere utilizzate per raggiungere uno scopo, e l attribuzione di intenzione, cioè la rappresentazione dell altro come individuo che ha intenzioni e comprende quelle altrui. I bambini autistici sviluppano solo il primo dei due comportamenti, mentre il secondo non compare o si manifesta con una frequenza molto bassa.

28 DEFICIT DELLA TEORIA DELLA MENTE In sintesi, secondo la teoria della mente, nei primi anni di vita il bambino attraverso la capacità di espressione mimica, l attenzione condivisa, la capacità di imitazione, il gioco simbolico e la comunicazione intenzionale, si approprierebbe della capacità di leggere progressivamente le emozioni, i desideri e le credenze, di sistematizzarli in un sistema di conoscenze che gli permettano di giungere ad effettuare delle rappresentazioni delle rappresentazioni mentali degli altri (=METARAPPRESENTAZIONI).

29 DEFICIT DELLA TEORIA DELLA MENTE Secondo questo tipo di approccio l autismo sarebbe legato ad una INCAPACITA`DEL BAMBINO DI ACCEDERE AD UNA TEORIA DELLA MENTE, rimanendo in una situazione di CECITÀ MENTALE. Nei bambini autistici non si svilupperebbe in modo normale la capacità di concepire quello che gli altri conoscono, vogliono, sentono e credono: danno della facoltà metarappresentazionale Tale danno sarebbe alla base delle anomalie comunicative e di comportamento sociale, con conseguente compromissione dei processi di mentalizzazione da cui deriverebbe un pensiero concreto, basato solo su eventi della realtà direttamente osservabili. La teoria della mente ed il deficit della facoltà di metarappresentazione spiegherebbero anche le difficoltà dei soggetti autistici di comprendere lo humor, i doppi sensi, le metafore, l ironia ed il sarcasmo, gli scambi sociali, i miti, le leggende, le favole e qualunque cosa preveda di immedesimarsi nei personaggi.

30 TEORIA DELLA COERENZA CENTRALE Il profilo cognitivo di un bambino autistico permette di rilevare una serie di elementi caratterizzanti rappresentati da: 1. Incapacità di cogliere lo stimolo nel suo complesso; 2. Un elaborazione segmentata dell esperienza; 3. Una difficoltà di accedere dal particolare al generale; 4. Una polarizzazione esasperata su frammenti di esperienza.

31 TEORIA DELLA COERENZA CENTRALE Tali elementi hanno indotto Uta Frith a formulare l ipotesi di una DEBOLEZZA DELLA COERENZA CENTRALE Capacità di sintetizzare in un tutto coerente, o meglio l abilitá di condensare e schematizzare in un tutto congruente le svariate esperienze che impegnano i sensi

32 TEORIA DELLA COERENZA CENTRALE Una debolezza in suddetta capacità porta il bambino autistico a rimanere ancorato a dati esperienziali frammentari, con incapacità di cogliere lo stimolo nel suo complesso. Kanner 1943: descrive i suoi pazienti autistici come incapaci di afferrare gli insiemi senza completa attenzione alle singole parti costituenti I soggetti DSA avrebbero quindi una predisposizione cognitiva a focalizzare l attenzione solo su dettagli piuttosto che su oggetti o figure nella loro interezza come se prestassero molta attenzione al significato delle singole parole ma non a quello della frase di cui fanno parte.

33 TEORIA DELLA COERENZA CENTRALE Il modello della debolezza della coerenza centrale é interessante perché spiega, oltre alla loro modalitá di elaborare l esperienza, anche alcune particolaritá dei soggetti autistici (soprattutto nei soggetti ad alto funzionamento) quali: - I furori per i minimi cambiamenti impercettibili da altri; - Gli ottimi risultati che i soggetti autistici ottengono nelle prove di MBT; - La straordinaria capacità di individuare particolari nascosti; - Orecchio musicale assoluto,

34 TEORIA DELLA COERENZA CENTRALE Il modello ha ricevuto una grande attenzione, recentemente, in relazione alle evidenze crescenti che alla base dell autismo più che specifiche lesioni vi sia un disfunzionamento nella coerenza di grandi circuiti neurologici. Diversi studi di neuroimaging funzionale, analizzando soggetti impegnati in compiti percettivi e cognitivosociali, hanno, infatti, cominciato a mostrare nell autismo un pattern di connettività cerebrale caratterizzato da: - alta connettività settoriale e locale, con iperattivazioni localizzate ATTENZIONE AI DETTAGLI - e viceversa bassa connettività integrativa estesa SCARSA CAPACITÀ DI ANALIZZARE L INSIEME

35 DEFICIT DELLE FUNZIONI ESECUTIVE Fra i tentativi di individuare il deficit primario dell autismo, un ruolo significativo spetta anche all interpretazione secondo la quale sarebbe un disturbo a livello delle funzioni esecutive ad essere alla base di molti sintomi dell autismo. Con il termine di FUNZIONI ESECUTIVE vengono indicate una serie di operazioni che risultano determinanti nell organizzazione e pianificazione dei comportamenti di risoluzione dei problemi.

36 LE FUNZIONI ESECUTIVE: Le funzioni esecutive sono rappresentate da: 1. Capacità di attivare e mantenere attiva a livello mentale un area di lavoro, una sorta di scrivania mentale sulla quale disporre tutti gli elementi pertinenti al compito in esame; 2. Capacità di formulare mentalmente un piano d azione; 3. Capacità di non rimanere rigidamente ancorati, nella formulazione della risposta, ai dati percettivi che vengono dal contesto;

37 LE FUNZIONI ESECUTIVE (2): 4. Capacitá di bloccare o inibire risposte impulsive; 5. Capacitá di essere attenti alle informazioni di ritorno, per correggere in base ad esse il piano inizialmente formulato; 6. Capacitá di spostare in modo flessibile l attenzione sui vari aspetti del contesto.

38 DEFICIT DELLE FUNZIONI ESECUTIVE Secondo la teoria del deficit delle funzioni esecutive molti comportamenti dei soggetti autistici sarebbero l espressione di una carenza di tali abilità. Per esempio: - IMPULSIVITÀ per incapacità di inibire le risposte inadeguate; - IPERSELETTIVITÀ per incapacità di cogliere il tutto senza rimanere ancorato al particolare; - PERSEVERAZIONE per incapacità di ridirezionare in modo flessibile l attenzione.

39 DEFICIT DELLE FUNZIONI ESECUTIVE I deficit delle funzioni di controllo si riscontrano in individui che hanno subito danni ai lobi frontali e costano in: - disintegrazione del comportamento organizzato con ripetizione afinalistica di movimenti e parole; - difficoltà ad inibire risposte note; - ripetizione inappropriata di precedenti pensieri o azioni; - ridotta capacità di pianificare azioni efficaci al raggiungimento di scopi personali.

40 FUNZIONI ESECUTIVE ED AUTISMO Come afferma la Ozonoff, alcuni aspetti dell'autismo ricordano i deficit della funzione esecutiva che seguono un danno frontale. Il comportamento delle persone autistiche, infatti, appare spesso rigido ed inflessibile: - molti bambini autistici sono angosciati ad ogni modificazione dell'ambiente e insistono a seguire la loro routine in maniera ossessiva; - tendono a concentrare l'attenzione su aspetti minimali e a dar vita a comportamenti stereotipati; - possono essere impulsivi e avere difficoltà a ritardare o inibire le risposte; - possono avere ampia memoria meccanica, ma non accennano ad utilizzare in maniera funzionale questa capacità.

41 BASI NEUROBIOLOGICHE: area della ricerca volta ad individuare eventuali stutture anatomiche e/o circuti disfunzionali coinvolti nella genesi del quadro clinicocomportamentale. L autismo é un disturbo dello sviluppo BIOLOGICAMENTE determinato che si traduce in un funzionamento mentale atipico che accompagna il soggetto per tutto il suo ciclo vitale [SINPIA 2005]. Gli indicatori epidemiologici indicativi della presenza di significativi fattori eziologici di tipo neurobiologico sono: 1. Associazione con RM (in circa il 70% dei casi); 2. Associazione con epilessia (25-30% dei casi); 3. Aumentata prevalenza nei maschi (3,5-4:1) 4. Prevalenza simile in paesi con condizioni socioeconomiche diverse.

42 Come sono state investigate le basi neurobiologiche dell autismo? 1. Dati anatomici: valutazione della circonferenza cranica 2. Studio microscopico del cervello (neuropatologia) 3. Tecniche di brain imaging non invasive (TAC e RMN) 4. Tecniche di neuroimaging funzionale (RM funzionale, PET, SPECT) 5. Elettroencefalografia (EEG)

43 DATI ANATOMICI Uno dei più consistenti dati anatomici nello studio dell autismo riguarda l AUMENTO DELLA CIRCONFERENZA CRANICA già descritto da Kanner nel Il volume cerebrale è approssimativamente normale alla nascita, ma poi aumenta nell etá prescolare così che a 3-4 anni di età la media del volume cerebrale nei bambini con autismo è maggiore del 10% rispetto ai controlli sani. Le evidenze ad età piú avanzate sono limitate, ma sembra che l aumento del volume cerebrale permanga seppur a minor livello. I dati ad oggi disponibili suggeriscono che l aumento cerebrale coinvolga sia la sostanza bianca che la sostanza grigia. Resta ancora incerto se questo dato rifletta un eccesso di neuroni o un ridotto pruning sinaptico (processo in cui vengono eliminate dal cervello le connessioni meno importanti o poco utilizzate)

44 NEUROPATOLOGIA: studio marco e microscopico cerebrale post-mortem Bauman e Kemper (2005): Amigdala, Ippocampo e cellule del Purkinje Gli autori, analizzando post-mortem cervelli di soggetti autistici hanno individuato due aree nel sistema limbico che sono sottosviluppate: - l'amigdala: implicata nel presiedere i comportamenti aggressivi ed emotivi - l' Ippocampo: responsabile dell apprendimento e della memoria. Gli autori descrivono inoltre una diminuzione delle cellule di Purkinje a livello cerebellare: tali cellule sarebbero elementi critici per l integrazione delle informazioni. Una riduzione in numero di queste cellule si tradurrebbe nella incapacità del cervelletto di ricevere informazioni sul mondo esterno, di computarne il significato e di preparare altre aree cerebrali a rispondere ad esse in modo appropriato

45 NEUROPATOLOGIA: studio marco e microscopico cerebrale post-mortem Casanova (2007): le minicolonne della corteccia cerebrale: Le minicolonne sono le unità di base dell'organizzazione delle cellule cerebrali e delle loro connessioni, e permettono il normale funzionamento del cervello. Qualsiasi modifica nelle dimensioni, nella forma o nella posizione delle minicolonne ha quindi un effetto sulle capacità elaborative del cervello. Durante la storia evolutiva dell uomo, l aumento dell'area corticale totale ha fatto sì che il cervello ne potesse ospitare un numero sempre maggiore, permettendo lo sviluppo delle capacità intellettive. Per lo studio, i ricercatori hanno analizzato i cervelli di nove pazienti autistici e di altri nove di controllo, misurando cinque parametri importanti delle minicolonne. Manuel F. Casanova, ha potuto così stabilire che le minicolonne dei pazienti autistici sono molto più piccole, anche se più numerose. L'osservazione è quindi in accordo con una teoria secondo cui gli individui autistici soffrono di uno stato perenne di sovraeccitazione, a cui cercano di porre rimedio ricorrendo a comportamenti di compensazione.

46 NEUROPATOLOGIA: studio marco e microscopico cerebrale post-mortem MA NUMEROSI LIMITI METODOLOGICI DEGLI STUDI: 1. Limitato numero di soggetti analizzati: assenza di validitá scientifica 2. Uso di tecniche di quantificazioni differenti nei differenti studi: impossibilitá di comparare i risultati 3. Alta percentuale di soggetti autistici con associata disabilitá cognitiva (70%) o epilessia (40%): le alterazioni descritte sono patognomoniche del DSA o sono il risultato delle condizioni in comorbiditá?

47 TECNICHE DI BRAIN IMAGING : TAC e RMN: utilizzo di tecniche NON invasive atte allo studio in vivo della morfologia cerebrale Studi con tecniche di imaging non invasivo dimostrano anomalie morfometrice (aumento o riduzione di dimensioni) in diverse regioni cerebrali quali: - Cervelletto: - Lobo frontale (->teoria delle f esecutive!) - Sistema limbico: con particolare riferimento all amigdala ed all ippocampo.

48 ZONE CEREBRALI IMPLICATE IN: FRONTALE: Rappresentazione dei piani di azione; pianificazione ed esecuzione motoria AMIGDALA: Riconoscimento del contenuto affettivo degli stimoli; interazione sociale; percezione dei movimenti del corpo; associazioni cross-modali; memoria a lungo termine; orientamento agli stimoli sociali; percezione della direzione dello sguardo IPPOCAMPO: Apprendimento e memoria CERVELLETTO: Il cervelletto contrae rapporti stretti con molte zone cerebrali, in particolare la cortex prefrontale, aree associative temporo-parietali e limbiche per cui ha un ruolo primario nella modulazione dei processi cognitivi, affettivi e comportamentali

49 NEUROIMAGING FUNZIONALE: utilizzo di tecnologie di neuroimmagine in grado di misurare il metabolismo cerebrale, al fine di analizzare e studiare la relazione tra l attività di determinate aree cerebrali e specifiche funzioni cerebrali. Studi di neuroimaging funzionale effettuatati durante lo svolgimento di compiti linguistici o di problem solving sociale evidenziano: - Alterazioni della rete amigdala-solco temporale superiore: Tali alterazioni sottendono probabilmente alle carenze relazionali delle persone con DSA. Infatti, quando i soggetti con DSA sono convolti nel mentalizzare ovvero nel comprendere cosa pensano gli altri, vengono attivate le regioni frontotemporali ma non l amigdala, struttura che invece viene attivata nelle persone normotipiche allorché impegnate nello stesso compito.

50 NEUROIMAGING FUNZIONALE: utilizzo di tecnologie di neuroimmagine in grado di misurare il metabolismo cerebrale, al fine di analizzare e studiare la relazione tra l attività di determinate aree cerebrali e specifiche funzioni cerebrali. In particolare si ritiene che l amigdala abbia un ruolo centrale nel raccogliere le informazioni sensoriali provenienti da altre aree cerebrali (solco temporale superiore e giro fusiforme) e conferisca valore emozionale e motivazionale agli stimoli. Il solco temporale superiore riveste invece un ruolo importante nella percezione sociale, tanto da essere definito come il «processore delle informazioni sociali concernenti lo scambio sociale.»

51 NEUROIMAGING FUNZIONALE: utilizzo di tecnologie di neuroimmagine in grado di misurare il metabolismo cerebrale, al fine di analizzare e studiare la relazione tra l attività di determinate aree cerebrali e specifiche funzioni cerebrali. - Disfunzioni delle connessioni tra amigdala e giro fusiforme. Il giro fusiforme sembrerebbe essere l area cerebrale deputata al riconoscimento delle espressioni facciali tanto che viene definita Area Fusiforme delle Facce (FFA). Tale disfunzione sembrerebbe quindi spiegare le difficoltà che le persone autistiche hanno nel decifrare la mimica facciale.

52 NEUROIMAGING FUNZIONALE: utilizzo di tecnologie di neuroimmagine in grado di misurare il metabolismo cerebrale, al fine di analizzare e studiare la relazione tra l attività di determinate aree cerebrali e specifiche funzioni cerebrali. - Bassa connessione tra aree cerebrali distanti ed un iperconnessione all interno di aree limitate Tale alterazione sembrerebbe spiegare la difficoltá delle persone autistiche di cogliere lo stimolo nel suo complesso; di accedere dal particolare al generale. Motiverebbe anche la caratteristica elaborazione segmentaria dell esperienza e l eccessiva polarizzazione ai dettagli caratteristiche dei soggetti con DAS. Fornirebbe quindi il substrato biologico per la teoria della coerenza centrale. Inoltre, la iperconnessione tra aree cerebrali circoscritte, che le rende autonome, difficili da controllare, sembrerebbe fornire una spiegazione alle modalità ripetitive, stereotipate che rappresentano il terzo gruppo die sintomi nei DSA.

53 NEUROIMAGING FUNZIONALE: utilizzo di tecnologie di neuroimmagine in grado di misurare il metabolismo cerebrale, al fine di analizzare e studiare la relazione tra l attività di determinate aree cerebrali e specifiche funzioni cerebrali. - Atipie funzionali a carico della regione ventromediale della corteccia prefrontale La regione vetromediale della corteccia prefrontale è ritenuta implicata nella motivazione, nella pianificazione e nei processi emozionali. Tale regione è ampiamente connessa alle strutture limbiche come l amigdala e l ippocampo e quindi appare particolarmente rilevante nella funzione sociale, essendo coinvolta nei processi di empatia, di discriminazione delle espressioni emozionali e nel riconoscimento dei pensieri altrui. Tale struttura, nei soggetti con autismo, risulta ipoattivata durante i compiti di riconoscimento dell ironia, di attribuzione degli stati mentali e nel processamento di espressioni facciali emozionali.

54 ELETTROENCEFALOGRAFIA (EEG): registrazione dell attivitá elettrica cerebrale La registrazione dell attivitá elettrica cerebrale risulta alterata nel 20-70% dei soggetti affetti da DSA. Il tracciato EEG risulta più alterato nel sonno che nella veglia e maggiori alterazioni si individuano quando si esegue una registrazione prolungata (EEG delle 24 ore). L elettroencefalografia ha consentito di porre la base della teoria della simulazione mentale teoria volta a spiegare il come l essere umano è in grado di comprendere cosa pensano gli altri, attraverso la scoperta dei Neuroni specchio.

55 NEURONI SPECCHIO I neuroni specchio, scoperti da Rizzolati e collaboratori nei primi anni 90 nei primati, sono una particolare classe di neuroni che si attivano elettricamente sia quando una scimmia fa una determinata azione (per es: afferrare un oggetto con una mano), sia quando vede un altra scimmia compiere la medesima azione. Un'azione fatta da un altro primate fa "risuonare" -nell'interno della scimmia che osserva -i neuroni che si attiverebbero se ella stessa facesse quell'azione. Queste osservazioni implicavano che quei neuroni, o meglio le reti di cui fanno parte, non solo inviano comandi motori, ma consentono alle scimmie di determinare le intenzioni di altri primati simulandone mentalmente le azioni. Le tecniche di imaging cerebrale hanno dimostrato in seguito che i neuroni specchio esistono anche in alcune regione della corteccia umana

56 NEURONI SPECCHIO Nelle scimmie, il ruolo di questi neuroni potrebbe essere limitato alla previsione di semplici azioni dirette a uno scopo, ma negli esseri umani sembrerebbe essere alla base di funzioni più complesse quali: - CAPACITA IMITATIVE; - INTERSOGGETTIVITA ; - COMPRENSIONE DELLE AZIONI E DELLE INTENZIONI ALTRUI; - RICONOSCIMENTO DELLE EMOZIONI ED EMPATIA TUTTE FUNZIONI TIPICAMENTE ALTERATE NEI SOGGETTI AFFETTI DA DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO.

57 FATTORI CAUSALI: area della ricerca che cerca di individuare i possibili fattori in grado di avviare la sequenza etiopatogenetica da cui in ultimo deriva il quadro comportamentale di tipo autistico

58 FATTORI CAUSALI: FALSI MITI Negli ultimi decenni si sono susseguite numerose ipotesi volte a spiegare l origine, la causa del disturbo dello spettro autistico, ipotesi che, nonostante si scontrino con i dati provenienti dalle evidenze scientifiche, vengono spesso appassionatamente promosse dai loro autori. Anedottiche sono le seguenti: - Interpretazione psicoanalitica dell autismo: teoria che individua nella disfunzione dell attaccamento precoce madre-bambino la genesi del disturbo autistico. Tale teoria vede in Bettelheim il maggior sostenitore. Egli, convinto che l autismo fosse causato da madri frigorifero, ricusó le conclusioni di kanner che suggerivano un ruolo die fattori biologici nella sua genesi. Secondo Bettelheim i sintomi dell autismo erano da cosniderarsi reazioni difensive nei confronti di madri fredde e distanti. Tali madri senza amore, erano talvolta considerate portatrici di Impulsi assassini verso i loro bambini. Per esempio, secondo Bettelheim, l ossessione di certe bambine autistiche per le condizioni metereologiche ( wheather in inglese) poteva essere spiegata suddividendo la parola nelle sue componenti: we/eat/her ( noi la mangiamo ) espressione che avrebbe indicato che la bambina era convinta che la madre (o altre figure di riferimento) avrebbero voluto divorarla. Sulla base di questa concezione l Autore sosteneva una politica di Parentectomia.

59 FATTORI CAUSALI: FALSI MITI - Infezione da Candida: La candida Albicans é un fungo simile al lievito, naturalmente presente nell uomo, che contribuisce all uccisione di batteri nocivi. La candidosi é un infezione causata dalla crescita eccessiva della candida nell organismo. Negli anni 80 cominciarono a diffondersi racconti anedottici che ipotizzavano lo sviluppo di sintomi autistici in bambini in seguito ad infezioni da candida. I fautori di questa teoria si appellavano a studi sull animale nei quali si dimostrava che la candida producesse tossine in grado di alterare il sistema immunitario, favorendo l insorgenza di danni cerebrali. Inoltre i sostenitori di tale teoria ipotizzavano che il trattamento delle infezioni da candida era in grado di migliorare il funzionamento nei bambini con autismo in una percentuale dal 5-10%. Si noti peró come: a. l evidenza del ruolo dell infezione da candida nella genesi dell autismo fosse supportata solo da resoconti di casi clinici non controllati; b. il riscontro del miglioramento funzionale si basava per lo piú su racconti dei genitori anziché su dati ricavati con strumenti di valutazione standardizzati; c. i casi descritti dagli autori che sostengono tale teoria NON analizzano l effetto dell interferenza di una serie di variabili, quali il cambiamento/miglioramento dei sintomi dovuto alla maturazione nel corso del tempo.

60 FATTORI CAUSALI: FALSI MITI - Vaccinazione trivalente (MPR: morbillo, parotite, rosolia): recentemente il vaccino trivalente é stato oggetto presso il pubblico di preoccupazioni relative al suo ruolo nell aumentare l incidenza dell autismo. I sostenitori del legame fra vaccino MMR e autismo ne proclamano l evidenza basandosi sul drammatico aumento di casi di autismo negli ultimi due decenni, in apparente concomitanza con la diffusione dell uso del vaccino MMR a partire dal Il sospetto, è nato in seguito a uno studio del gastroenterologo britannico, Andrew Wakefield il quale in un articolo pubblicato su Lancet nel 1998, teorizza un possibile legame tra la vaccinazione MPR e lo sviluppo di una forma di autismo accompagnato da sintomi a carico dell apparato GE simili al colon irritabile. Il lavoro di Wakefield partiva dallo studio di 12 bambini, di cui 9 con autismo conclamato, che accusavano disturbi GI e dalla dimostrazione (poi rivelatasi errata) che nel loro intestino era presente il virus del morbillo.

61 FATTORI CAUSALI: FALSI MITI Recentemente Brian Deer, a seguito di una accurata analisi della ricerca del dottor Wakefield, ha trovato e pubblicato le prove del falso operato del medico. Tra questi: - In alcuni bambini i sintomi dell autismo erano comparsi PRIMA della somministrazione del vaccino; - Nello studio del dr Wakefield non erano stati usati casocontrollo: non esisteva nessun confronto tra biopsie intestinali di bambini con e senza autismo, ne tra bambini vaccinati e non; - Il laboratorio delle analisi del dottor Wakefield fu chiuso poco dopo la pubblicazione die suoi risultati, essendo risultato inadatto e non adeguatamente controllato.

62 A seguito di questi dati, numerosi studi condotti in USA, Germania, Finlandia, Danimarca e Gran Bretagna vennero iniziati per controllare la effettiva sicurezza del vaccino MPR. Dai risultati di questi studi emerge che l evidenza scientifica non dimostra alcuna relazione causale tra vaccino MPR e disturbi autistici. Per saperne di più circa l assenza di correlazione tra DSA e vaccini.

63 FATTORI CAUSALI: GENI ED EREDITARIETÀ L autismo é uno dei disturbi psichiatrici nei quali la componente genetica ha la massima importanza. Molte indagini familiari confermano un ruolo importante svolto dall ereditarietá nel determinismo del DSA: 1. Studi su gemelli omozigoti indicano una concordanza compresa tra il 60% ed il 92% (a seconda che si tratti di autismo o dl piú vasto spettro autistico); concordanza che scende tra lo 0 ed il 10% per i gemelli eterozigoti. La mancanza di un 100% di concordanza tra gemelli Oz suggerisce che il DAS si sviluppi probabilmente come risultante della combinazione di fattori genetici e di fattori ambientali;

64 FATTORI CAUSALI: GENI ED EREDITARIETÀ 2. Fratelli di soggetti con autismo hanno il 2-5% circa di probabilitá di presentare il disturbo, ovvero un rischio 50 volte piú alto della popolazione generale; in altre parole i genitori di un bambino autistico hanno un rischio di avere un altro bambino autistico (ricorrenza) che risulta da 50 a 100 volte maggiore r i s p e t t o a l rischio per la popolazione generale. Tale percentuale di ricorrenza é maggiore per le forme definite autismo essenziale e cioé senza note dismorfiche.

65 FATTORI CAUSALI: GENI ED EREDITARIETÀ 3. Parenti di primo grado di soggetti autistici presentano con maggiore frequenza rispetto alla popolazione generale la presenza del cosiddetto "fenotipo esteso", ovvero aspetti patologici "sotto soglia": ad esempio, i fratelli e i genitori dei bambini con autismo hanno un rischio più alto del normale di avere: - ritardi o anomalie nello sviluppo della comunicazione verbale; - Difficoltá nella relazione e nella reciprocità sociale: soprattutto sotto forma di fobia sociale o alessitimia ossia l incapacitá di riconoscere, esprimere e verbalizzare le emozioni; - Deficit nell'attenzione visiva e le funzioni esecutive

66 FATTORI CAUSALI: GENI ED EREDITARIETÀ 4. Alcune condizioni ereditate geneticamente, come la sindrome dell X fragile, la sclerosi tuberosa, la neurofibromatosi, la ipomelanosi di Ito, il gigantismo cerebrale, si presentano in comorbiditá con l autismo. In particolare: - dal 3 al 25% di pz con Sindrome dell X fragile presenta anche autismo e la sindrome dell X fragile é stata trovata in sporadici casi nelle persone autistiche, prevalentemente negli individui di sesso maschile; - Tra il 17 ed il 60 % di individui con sclerosi tuberosa presenta in comorbiditá un DSA. Al contrario, gli individui con autismo presentano, in una percentuale variabile tra lo 0,4 ed il 3%, anche sclerosi tuberosa. Tale tasso aumenta sino all 8-14% se è presente anche epilessia.

67 FATTORI CAUSALI: GENI ED EREDITARIETÀ 5. La presenza, nell autismo, di un rapporto 3-4:1 tra maschi e femmine suggerisce che le donne affette potrebbero richiedere, per sviluppare il disturbo, un più alto carico genetico rispetto ai maschi. 6. Un etá paterna avanzata si associa ad un maggior rischio di insorgenza di DSA nella prole. In particolare il rischio di autismo aumenta di tre volte rispetto alla popolazione normale se il padre ha più di 40 anni -> Ipotesi: all avanzare dell etá paterna aumenta il numero di mutazioni de novo trasmesse alla prole.

68 FATTORI CAUSALI: GENI ED EREDITARIETÀ Gli studi di ricorrenza familiare e quelli sui gemelli sono stati fondamentali per dimostrare la forte influenza di fattori ereditari nell autismo, tuttavia ne hanno anche indicato la complessità genetica. I pattern di ereditarietà infatti non sono compatibili con i modelli monogenici mendeliani, ma suggeriscono il probabile coinvolgimento di molteplici geni di suscettibilità (ereditarietà poligenica o oligogenica). Secondo questo modello di ereditarietà complessa, varianti funzionali nei geni di suscettibilità hanno verosimilmente un effetto debole o moderato: ciascun locus, da solo, contribuisce ad aumentare il rischio di sviluppare la malattia, ma non è in grado di determinare il completo fenotipo clinico. Inoltre diversi set di geni potrebbero essere coinvolti in diversi individui (eterogeneità genetica). Probabilmente i geni responsabili, agirebbero in maniera concertata con una combinazione di fattori epigenetici e ambientali diversi. Quali siano gli specifici geni che contribuiscono alla patogenesi dell autismo, rimane fino ad oggi sconosciuto. Solamente in una minoranza di casi (meno del 10%) L autismo è associato a patologie causate da un singolo gene, tra cui la sindrome dell X fragile e la sclerosi tuberosa (TSC).

69 FATTORI CAUSALI: GENI ED EREDITARIETÀ Quindi NON ESISTE IL GENE DELL AUTSIMO, MA ESISTE PIUTTOSTO UNA SERIE DI ALLELI CHE CONTRIBUISCONO A CONFERIRE VULNERABILITÀ VERSO LA COMPARSA DEL DISTURBO.

70 FATTORI AMBIENTALI L autismo è un disturbo genetico multifattoriale, cioè non riconducibile a mutazioni di un singolo gene, ma dovuto all azione di varianti in più geni e all interazione e con l ambiente. Il ruolo dell ambiente deve essere considerato sotto due differenti punti di vista: 1. Sia come fattore in grado di incidere «direttamente» sul genotipo, condizionando il complesso meccanismo di interazione genica; 1. Sia «indirettamente» slatentizzando un assetto neurobiologico geneticamente inadeguato all elaborazione e alla metabolizzazione degli stimoli normalmente afferenti al sistema

71 FATTORI AMBIENTALI Qualsiasi condizione che interferisca con lo sviluppo del sistema nervoso centrale può avere teoricamente effetti a lungo termine sulle funzioni sensoriali, linguistiche, sociali e mentali di un bambino, si da potersi considerare come FATTORE DI RISCHIO per lo sviluppo di un DSA. In particolare, allo stato attuale dell arte, le possibili noxae patogene verosimilmente implicate nello sviluppo di un DSA sono: 1. Infezioni in gravidanza: rosolia materna (Chess,1971); 2. Assunzione delle seguenti sostanze durante la gestazione: - Etanolo (Nanson, 1992); - Talidomide (Stromland et al., 1994); - Acido valproico (Moore et al., 2000); - Misoprostolo (Bandium et al., 2003). 3. Prematurità e danni perinatali.

72 TAKE HOME MESSAGES L autismo è un disturbo dello sviluppo psicologico con base biologica Provoca emozioni, ma non è causato da emozioni Rende difficili le relazioni, ma non è causato dalle relazioni

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