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1 QuSIM.02.3a bozza: :33 Pagina I Quaderni di Studi Indo-Mediterranei

2 QuSIM.02.3a bozza: :33 Pagina II Direttore responsabile: Carlo Saccone Comitato di redazione: Alessandro Grossato (vicedirettore), Daniela Boccassini (responsabile per il Nord America), Carlo Saccone Comitato dei consulenti scientifici: Johann Christoph Buergel (Uni-Berna, islamistica), Francesco Benozzo (Uni-Bologna, studi celtici), Carlo Donà (letterature comparate, Uni-Messina), Mario Mancini (Uni-Bologna, francesistica), Alessandro Grossato (Fac. Teologica del Triveneto, indologia), Carla Corradi Musi (Uni-Bologna, studi sciamanistici), Patrizia Caraffi (Uni-Bologna, iberistica), Ermanno Visintainer (filologia delle lingue turcomongole, ASTREA), Tito Saronne (Uni-Bologna, slavistica), Mauro Scorretti (Uni-Amsterdam, linguistica), Daniela Boccassini (Uni-Vancouver, filologia romanza), Vincenzo Lacerenza (Uni-Napoli, giudaistica), Giulio Soravia (Uni-Bologna, maleoindonesistica), Adone Brandalise (Uni-Padova, studi interculturali), Giangiacomo Pasqualotto (Uni-Padova, filosofie orientali), Alberto Ambrosio (Uni-Paris Sorbonne, mistica comparata), Patrick Franke (Uni-Heidelberg, arabistica), Kamran Talattof (Uni-Arizona, iranistica), Roberto Mulinacci (lusitanistica, Uni-Bologna). La rivista Quaderni di Studi Indo-Mediterranei ha sede presso il Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere dell Università di Bologna, Via Cartoleria 5, Bologna, ed è sostenuta da amici e studiosi riuniti in ASTREA (Associazione di Studi e Ricerche Euro-Asiatiche). La posta cartacea può essere inviata a Carlo Saccone, all indirizzo qui sopra indicato. Sito web ufficiale della rivista: Per contatti, informazioni e proposte di contributi e recensioni, si prega di utilizzare uno dei seguenti indirizzi: carlo.saccone@unibo.it alessandrogrossato@tin.it daniela.boccassini@ubc.ca Per l abbonamento alla rivista, si prega di contattare l Editore:

3 QuSIM.02.3a bozza: :33 Pagina III Quaderni di Studi Indo-Mediterranei II (2009) Sogni e visioni nel mondo indo-mediterraneo Dreams and Visions in the Indo-Mediterranean World a cura di Daniela Boccassini Edizioni dell Orso Alessandria

4 QuSIM.02.3a bozza: :33 Pagina IV Volume pubblicato con contributo d Ateneo, Università degli Studi di Bologna 2009 Copyright by Edizioni dell Orso S.r.l Alessandria, via Rattazzi 47 Tel Fax edizionidellorso@libero.it Realizzazione informatica a cura di Arun Maltese (bear.am@savonaonline.it) È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico. L illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell art. 171 della Legge n. 633 del ISBN

5 QuSIM.02.3a bozza: :33 Pagina V Indice INTRODUZIONE p. I Sogno e visione: mistero, mania, magia, realtà di Daniela Boccassini 1 DALLA PREISTORIA ALLA TARDA ANTICHITÀ 21 Sogni e onirismo nei dialetti d Europa: evidenza etnolinguistica di una continuità preistorica di Francesco Benozzo 23 Rock art, radiant visions and dreamscapes in Central Asia di Kenneth Lymer 41 Svapna: alcune considerazioni sull epistemologia del sogno di Gianni Pellegrini 71 Buddhist dreams, wet dreams and Herophilus of Alexandria di Giulio Agostini 91 Prolegomena to the Reconstruction of the Archetype of the Greek Somniale Danielis di Steven Oberhelman 107 Onirocritique et rationalité dans le monde grec antique : la méthode d Artémidore de Daldis di Jean-Marie Flamand 125 DAL MEDIOEVO ALL ETÀ MODERNA 149 Da Daniele al Sefer ha-razim: invocazioni angeliche e interpretazioni oniriche in alcuni testi ebraici di Giancarlo Lacerenza 151

6 QuSIM.02.3a bozza: :33 Pagina VI Indice Note sul sogno e la sua interpretazione nella letteratura classica persiana di Simone Zoppellaro 165 Visions of Heaven and Hell from Late Antiquity in the Near East di Ghazzal Dabiri 177 Mapping Medieval Visions di Matthew Horn 191 Libri dei sogni e geomanzia: la loro applicazione letteraria tra Islam, medioevo romanzo e Dante di Valerio Cappozzo 207 Del sogno iniziatico di Polifilo e di alcuni suoi paralleli orientali di Alessandro Grossato 227 Oneiromancy and Indeterminacy in the Renaissance: Rabelais s Interpretation of Dreams di François Rigolot 249 Giordano Bruno e le porte del Sonno: sogno ozioso, immaginazione, memoria di Nicola Cipani 267 Sleeping Mullas: Dreams and Charisma in Shiite Islam di Rainer Brunner 287 DAL MONDO MODERNO ALL ETÀ CONTEMPORANEA 305 Georg Christoph Lichtenberg Professor Philosophiae extraordinariae, le Mille e una notte e la veste della verità di Giulia Cantarutti 307 Guilt Trips on Royal Roads: Freud s Mediterranean Affinities di Martina Kolb 329 Sohrawardi, Abdelwahab Meddeb et l espace du rêve : quand rêver c est voyager vers l exil di Veronica Amadessi 347 VI

7 QuSIM.02.3a bozza: :33 Pagina VII Indice Una lettura tra Oriente e Occidente 355 Walther Rathenau, Scritti talmudici (a cura di Vally Valbonesi) 357 -Recensioni 367 -Biografie e abstracts 391 VII

8 QuSIM.02.3a bozza: :33 Pagina VIII

9 QuSIM.02.3a bozza: :33 Pagina IX INTRODUZIONE

10 QuSIM.02.3a bozza: :33 Pagina X

11 QuSIM.02.3a bozza: :33 Pagina 1 Sogno e visione: mistero, mania, magia, realtà di Daniela Boccassini 1. Nel 1944 Jung sogna di giungere, passeggiando per una valle soleggiata, nei pressi di una cappelletta dalla porta semiaperta. Decide di entrarvi, e osservando l interno si stupisce dell assenza di immagini sull altare non vi sono che fiori. Improvvisamente s accorge di non essere solo: vedevo sul pavimento, davanti all altare, ma rivolto verso di me, uno yogi seduto nella posizione del loto, assorto in profonda concentrazione. Quando lo guardavo più da vicino mi rendevo conto che aveva la mia stessa faccia, ed ero vinto dalla paura. Poi mi ero svegliato col pensiero: Ah, ah, allora è lui quello che mi sta meditando. Ha un sogno, e io sono quel sogno. Sapevo che quando egli si fosse svegliato, non sarei più esistito. (Jung 1992, 381) Avvicinando questo sogno a quello della lanterna magica, sognato quattordici anni più tardi, nel libro delle sue memorie Jung giunge alla conclusione che entrambi questi sogni puntano in direzione di «un capovolgimento della relazione tra la coscienza dell io e l inconscio» ipotesi che perfino lui, tra i più audaci psicanalisti, aveva lungamente esitato a prendere in considerazione. Erano state le singolari esperienze visionarie del 1944, prodottesi a seguito di un infarto miocardico, a imporgli l obbligo morale di riconsiderare gli assunti teorici suoi e della sua cultura. L inevitabile conclusione suona beffarda alle orecchie di chiunque ritenga necessario affidarsi alla scienza per esplorare i recessi della psiche: «secondo l opinione dell altra parte la nostra esistenza inconscia è quella reale e il nostro mondo cosciente una specie di illusione, o una realtà apparente costruita per uno scopo preciso, simile a un sogno (che sembra una realtà fino a che vi siamo dentro)». Avendo verbalizzato tale rovesciamento di prospettiva, Jung non aveva potuto esimersi dal notare che «questo stato di cose rassomiglia molto da vicino alla concezione indiana del Maja.» (382) Di tale rassomiglianza impostagli dai sogni Jung non era in realtà affatto entusiasta. A questo proposito, è anzi affascinante notare come il sogno dello yogi avesse indotto il sognatore Jung ad aprire suo malgrado la porta socchiusa «Quaderni di Studi Indo-Mediterranei», II (2009), pp

12 QuSIM.02.3a bozza: :33 Pagina 2 Introduzione di un luogo sacro che egli si era subito stupito di non riconoscere come cristiano. Grazie a questo trucco, il sogno lo aveva poi obbligato a contemplare, come in uno specchio, un immagine di sé con cui il suo io cosciente non voleva identificarsi: nel riconoscersi assorto in una pratica meditativa orientale, Jung si era bruscamente risvegliato, «vinto dalla paura». Per valutare la misura della reazione censoria esercitata dalla coscienza, che innescando il meccanismo della paura interrompe il sogno, sono illuminanti i commenti di Jung al suo viaggio in India del Nonostante l interesse che fin dagli anni Venti molte delle tradizioni spirituali orientali avevano suscitato in lui, e quindi «profondamente convinto del valore della saggezza orientale», 1 (327) approdando in India Jung aveva evitato ogni contatto con i rappresentanti viventi di quella saggezza con cui si era familiarizzato sui libri, nel deliberato intento di proteggersi dagli influssi che costoro avrebbero potuto esercitare sulla sua psiche. Egli era infatti immerso nella cerca di un identità sua personale e del mondo cui apparteneva che gli pareva essenziale non contaminare con approcci altri da quelli occidentali: L India mi colpì come un sogno, poiché ero e rimasi alla ricerca di me stesso, e della mia verità personale. [ ] Mi sarebbe parso un furto se avessi appreso dai santoni la loro verità per farla mia. La loro saggezza appartiene a loro, e a me appartiene soltanto ciò che procede da me stesso. Come europeo non posso prendere nulla in prestito dall Oriente, ma devo plasmare la mia vita da me stesso, secondo quanto mi suggerisce il mio intimo o mi apporta la natura. 2 (327-28, mio il corsivo) In questa cerca esistenziale prima ancora che professionale, l alchimia si era presentata a Jung come la via da seguire per ritrovare il fondamento di quell identità perduta che l Occidente aveva cancellato dall orizzonte della propria coscienza, il ponte lanciato verso l ignoto dell inconscio dopo che gli gnostici e i neoplatonici ne avevano tentato una prima ricognizione. 3 Nello studio dei testi di quella tradizione esoterica Jung si era immerso prima di partire per l India; 1 Basti ricordare che Jung aveva collaborato con i maggiori specialisti del pensiero orientale di quegli anni: con Wilhelm all edizione del Mistero del fiore d oro, con Hauer allo studio dello yoga della kundalini, nonché con Zimmer, Evans-Wentz, Suzuki. 2 Già nel 1923 Jung aveva preso le distanze da un interpretazione della sua scuola di psicanalisi elaborata da Oskar Schmitz, che la vedeva vicina al metodo yoga di sviluppo della coscienza superiore. Non si trattava, secondo Jung, che di una analogia (v. la lettera indirizzata a Schmitz in data 23 maggio, cit. in Jung 2005, 19). A quell epoca e più in generale fra le due guerre Jung era peraltro impegnato, e non era il solo, sul fronte del culturalismo, la ricerca cioè delle caratteristiche inconsce proprie di ogni popolo. Se tale direzione delle indagini sarebbe stata abbandonata in favore della ben altrimenti universale teoria degli archetipi, ciò non toglie che la resistenza da parte di Jung a ogni forma di troppo facile orientalismo rimase immutata nel tempo. 3 «Tra il 1918 e il 1926 avevo studiato seriamente gli gnostici, perché anch essi si erano trovati a con- 2

13 QuSIM.02.3a bozza: :33 Pagina 3 Introduzione aveva continuato a studiarla mentre si trovava sul continente indiano; vi si era nuovamente «seppellito» (338) sulla via del ritorno in Europa. Tuttavia, anziché complementarsi l un l altro, il viaggio in India e lo studio dell alchimia si opponevano nella coscienza occidentale di Jung. Tanto che se l India lo aveva colpito «come un sogno», da quel sogno sognato nelle ore della veglia egli era stato ridestato mentre si trovava ancora sul suolo indiano da un altro sogno sognato nelle ore notturne, che lo incitava a compiere la cerca del Graal (336). 4 La conclusione cui Jung era giunto al risveglio (quanto meno secondo la versione dei fatti consegnata ai posteri) era che egli doveva quanto prima abbandonare la diversione indiana per tornare a dedicarsi alla cerca cui la vita lo aveva chiamato: Ero strappato al mondo dell India, e mi veniva rammentato che esso non rappresentava il mio compito, ma solo parte del cammino anche se una parte importante che mi avrebbe avvicinato alla meta. Era come se il sogno mi avesse posto la domanda: Che fai in India? Cerca piuttosto, per te e i tuoi simili, il vaso miracoloso, il salvator mundi, di cui avete urgente bisogno. State rovinando tutto ciò che secoli hanno costruito. (336-37) Che l isola del sogno, su cui era nascosto il Graal da recuperare a nuoto, potesse essere il continente indiano sul quale Jung si trovava non fu ipotesi interpretativa che egli prese mai in considerazione: né al momento del sogno, né all epoca della composizione delle sue memorie. E ciò, a dispetto del riconoscimento del fatto che il viaggio in India rappresentava una parte importante del cammino riconoscimento subito confutato dal perentorio intervento della coscienza: Che fai in India? Cerca piuttosto. Le memorie di Jung sono costellate di annotazioni che, nel riconoscere l importanza del versante orientale della sua cerca, sembrano minare dall interno il fronto con il mondo originario dell inconscio [ ]. Ma gli gnostici erano troppo lontani perché mi fosse possibile stabilire un qualsiasi legame con loro circa i miei problemi. Mi pareva che la tradizione che avrebbe potuto stabilire un rapporto tra la gnosi e il presente fosse stata spezzata, e per molto tempo non mi fu possibile trovare un ponte che unisse lo gnosticismo o il neoplatonismo al mondo contemporaneo. Ma quando cominciai a capire l alchimia mi resi conto che rappresentava il legame storico con lo gnosticismo, e che perciò c era continuità tra il passato e il presente. Fondata sulla filosofia naturale del medioevo, l alchimia costituiva il ponte verso il passato, con lo gnosticismo, e verso il futuro con la moderna psicologia dell inconscio.» (245-46) 4 Questo sogno è peraltro da avvicinare a quello del cavaliere, che preannunciava la rottura con Freud, cui Jung aggiunge le osservazioni seguenti: «Già nel sogno mi ero reso conto che il cavaliere apparteneva al secolo XII: quando cioè cominciava l alchimia e anche la ricerca del Santo Graal. Le storie del Graal erano state assai importanti per me [ ]. Perciò mi sembrò del tutto naturale che il sogno evocasse il mondo dei cavalieri del Graal e la loro ricerca, perché quello era, nel profondo, il mio mondo, che aveva ben poco in comune con quello di Freud.» (207-08; v. anche 261 per ulteriori riferimenti al Graal in relazione all alchimia) 3

14 QuSIM.02.3a bozza: :33 Pagina 4 Introduzione dichiarato intento di giungere alla verità per via unicamente occidentale. Ciò avviene quasi sempre per inciso, senza cioè che l intenzione del discorso sia messa in discussione da tali osservazioni parentetiche. Si direbbe che così nelle memorie come nella vita vissuta la personalità 2 di Jung finisca sempre per emergere come l ombra della personalità 1, anche se essa costituisce il fondamento a partire dal quale la personalità 1 può esprimersi. 5 Era stato proprio in India, alle stupa di Sanchi, che l emozione suscitata in lui dal comportamento di un gruppo di pellegrini giapponesi gli aveva rivelato la dimensione universale del Buddha come personificazione del Sé. Tale rivelazione era stata resa possibile dall identificazione emotiva con quei pellegrini che compivano «la doppia circumambulazione cantando un inno dinanzi a ogni statua del Buddha. Guardandoli, sentivo che il mio animo ed il mio spirito erano con loro, e qualcosa dentro di me tacitamente li ringraziava per essere così meravigliosamente venuti in aiuto dei miei sentimenti inespressi.» (332) È certo per ironia l ironia dell inconscio che si serve del sogno per dire ciò che altrimenti la coscienza non permetterebbe di esprimere se il sogno indiano razionalmente rifiutato in India si sarebbe fatto sognare ancora e ancora: non solo nel sogno dello yogi, ma anche al momento decisivo delle visioni seguite all infarto. Trovandosi sospeso tra la vita e la morte egli aveva contemplato la terra dall alto, riconoscendo al centro della sua prospettiva l India e Ceylon; solo in lontananza «potevo scorgere un lembo del Mediterraneo, oggetto particolare della mia attenzione» (344). Voltosi in direzione degli spazi cosmici, aveva notato che ad attenderlo sulla porta del tempio nel quale non gli sarebbe stato consentito di entrare sedeva «un indù nero, con indosso una veste bianca, nella posizione del loto, su uno sgabello di pietra in stato di completa distensione.» (345) Conteso dalla vita e dalla morte, egli aveva fatto esperienza del fluire doloroso e liberatorio insieme della coscienza individuale nel gran mar dell essere, e quando già pregustava il momento in cui, varcata la soglia del tempio, avrebbe infine trovato risposta ai suoi interrogativi esistenziali, «dalla direzione dell Europa» (347) l immagine di un messaggero era venuta a ingiungergli di non abbandonare la terra. 5 A proposito dell alchimia Jung dichiara: «Solo dopo aver letto Il fiore d oro quell esemplare di alchimia cinese che Richard Wilhelm mi mandò nel 1928 cominciai a intendere la natura dell alchimia» (249) nonché, di conseguenza, il senso di quei disegni che da anni produceva, ignorandone la natura intrinsecamente mandalica. Se questi ultimi (in versione occidentale, ma compresa per via orientale) gli apparvero come «la via al centro, alla individuazione» (241), «la totalità del Sé» (393), l alchimia (occidentale, ma compresa per via orientale) gli avrebbe rivelato come a tale centro si giunga mediante un processo di avvicinamento: «grazie alla comprensione del simbolismo alchimistico pervenni al concetto centrale della mia psicologia: il processo di individuazione.» (255) 4

15 QuSIM.02.3a bozza: :33 Pagina 5 Introduzione Aprire porte socchiuse e varcare era stata fin dall infanzia una delle dinamiche portanti dei sogni di Jung. 6 Egli era così arrivato a comprendere che «l ala sconosciuta della casa era una parte della mia personalità, un aspetto di me stesso; rappresentava qualcosa che mi apparteneva ma della quale allora non ero cosciente.» (247) Ciò per lui rappresentava la trasposizione onirica della sua missione terrena, cui egli faceva corrispondere un pressante imperativo etico: Chi non ritiene che la conoscenza debba convertirsi in obbligo morale, diviene preda del principio di potenza, e ciò produce effetti dannosi, rovinosi non solo per gli altri ma anche per lui stesso. Grande è la responsabilità umana verso le immagini dell inconscio. Sbagliare a capirle, o eludere la responsabilità morale, significa privare l esistenza della sua interezza, essere condannati a una vita penosamente frammentaria. (237) Si direbbe dunque che, malgrado il suo interesse per le tradizioni orientali, fino al 1944 Jung non avesse saputo aprire la porta di quella cappelletta campestre dietro la quale stava ad attenderlo l altro versante del suo io, quell inconscio che svolge «l attività decisiva» (262), ricongiungendosi al quale egli avrebbe raggiunto la verità riconciliata del suo Sé. 2. Come molti altri dei suoi sogni, anche questo dello yogi si presentò a Jung sognatore come un immagine-guida, 7 convito come egli era che nell esperienza onirica si celi e si riveli un frammento di quella verità universale cui a noi, in quanto umani, incombe di tentare di dar nome. 8 Confrontato all ossessività con 6 V. il sogno infantile della scoperta del fallo nella tomba sotterranea sita nel prato dietro la canonica (37); quello giovanile della casa di cui egli esplorava i diversi piani scendendo da quelli superiori ai molti, insospettati e sempre più antichi piani inferiori (200-03). Più avanti negli anni ci fu la scoperta onirica di un ala sconosciuta della casa, ospitante in un caso un antica biblioteca alchemica (247), nell altro il laboratorio dei pesci e la stanza di soggiorno degli spiriti (259). 7 Proprio la sua fiduciosa concezione del sogno come immagine-guida avrebbe portato Jung a sviluppare la teoria degli archetipi (Jung 1992, 203). Com è noto, uno dei principali motivi di conflitto tra Jung e Freud consistette nella diversa lettura che dell esperienza onirica essi davano. Contrariamente a quanto asserito da Freud, Jung sostenne sempre la trasparenza rivelatoria del sogno, cui risponde l incapacità dell io cosciente di intenderne il linguaggio: «I sogni non sono invenzioni intenzionali e volontarie, ma fenomeni naturali che sono proprio ciò che rappresentano. Essi non ingannano, non mentono, non falsificano, non nascondono nulla, ma enunciano ingenuamente ciò che essi sono e ciò che essi intendono. Sono irritanti e ci portano su strade sbagliate unicamente perché non li comprendiamo. Essi non ricorrono ad artifizi per celarci qualcosa, ma dicono ciò che forma il loro contenuto, nel modo per essi più chiaro possibile. Possiamo anche capire la ragione per cui sono così strani e difficili. L esperienza, infatti, ci mostra che si sforzano sempre di esprimere qualcosa che l io non sa e non capisce.» (480) 8 Jung fu sempre cosciente del carattere approssimativo ( metaforico e simbolico ) dei tentativi umani 5

16 QuSIM.02.3a bozza: :33 Pagina 6 Introduzione cui Freud pretendeva di innalzare la propria teoria della sessualità a «baluardo» e «dogma» «contro la nera marea di fango dell occultismo» (191), Jung aveva compreso che un interpretazione delle attività dell inconscio in termini biologici non gli era consona: «tutto il mio essere cercava qualche cosa ancora ignota che potesse dare un significato alla banalità della vita.» 9 (207-08) E difatti egli nutrì sempre la certezza che questo qualcosa in perenne divenire di cui egli era in cerca, e cui avrebbe dato il nome di processo di individuazione si annunciava all io, epifanicamente, in uno o più sogni. Di conseguenza, la disponibilità a una lettura in chiave archetipica delle manifestazioni oniriche dell inconscio si dimostrava essenziale per permettere all io di procedere verso la scoperta del Sé, superando così le limitazioni di un miope egocentrismo. Ma varcare nella direzione di un universalismo di questo tipo non era gesto che Jung e con lui il mondo occidentale potesse compiere con spontanea leggerezza. Occorsero le tragedie e le devastazioni interiori (nonché storiche) della prima metà del Novecento, in cui l Occidente ebbe a seppellire l assunto della propria superiorità, perché tale apertura all inconscio e al patrimonio archetipico e mitico dell umanità tutta divenisse possibile, quasi una rinascita dopo una catastrofe nucleare. Ciò che vi è di inaudito per la cultura occidentale in questo sogno sognato da Jung nel 1944, allorché l Europa sprofondava nello sfacelo dell autodistruzione, è il fatto che nel sogno Jung non solo vede i suoi due io il sognante e il sognato, il conscio e l inconscio in presenza l uno dell altro; ma, riflettendo sulle indicazioni fornite dal sogno, giunge a comprendere e ad accettare, contro ogni logica razionale, come i rapporti di forza tra tali due versanti dell essere vadano rovesciati. Opponendosi a ogni evidenza empirica scientificamente dimostrabile, Jung accetta di farsi dire da questo sogno che la sua esistenza terrena svanirà come neve al sole nel momento in cui il suo alter ego emergerà dal sogno-meditazione nel quale è assorto. La vita è dunque solo un sogno? E se è così, da quale mente è sognato? Questo sogno chiarisce come tale affermazione vada intesa e, anche in questo caso, lo fa andando contro ogni credo scientifico, anche freudiano. Se la vita è sogno ci dice il sogno dello yogi tale sogno non è da intendersi come confusa proiezione degli stimoli biologici dell io sognante, inquantoché tale sogno è sognato da un io che in realtà non sogna affatto, bensì me- di circoscrivere con la parola tutto ciò che va al di là della psiche umana (1992, 411), ma sapeva che proprio questo tentativo era il compito che il destino gli aveva affidato (420). 9 V. supra n. 4 per la cit. del passo immediatamente precedente questa frase. Non è un caso se Freud perse la sua autorità agli occhi di Jung nel momento in cui si rifiutò di procedere nella ricerca del significato di un suo sogno al fine di non mettere a repentaglio la propria autorità (200). 6

17 QuSIM.02.3a bozza: :33 Pagina 7 Introduzione dita. Le visioni dello yogi Jung (che, si ricordi, meditando sogna, cioè dà vita al suo alter ego vivente) non sono cioè vaneggiamenti prodotti da una mente che dorme, e sogna, prigioniera degli impulsi del corpo, bensì il risultato del raccoglimento estatico di una mente più che mai desta, libera dalla morsa dei sensi. La vita è sogno, ma sogno che si proietta sul velo di Mâyâ: se alle menti chiuse in se stesse e nel proprio autoreferenziale egocentrismo (dei sensi e della ragione) non è dato di vedere su tale velo che un confuso movimento d ombre, alle menti che sanno di avere «un legame con l infinito» (383) è dato invece di contemplare i riflessi disegnati sul velo dall accecante luce che sta al di là del velo medesimo. 10 Risvegliatosi (nel doppio senso del termine) dal sogno, Jung esplicita verbalmente come sia la consapevolezza dell esistenza di questa luce a permettere di comprendere i veri rapporti che intercorrono tra i due versanti dell essere di cui è intessuta l esistenza. In questa raggiunta consapevolezza le due vie, orientale e occidentale, al processo di individuazione non si contrappongono più, bensì si giustappongono in un dialogo-rispecchiamento che rende più profonda la comprensione dell universalismo di quel processo trasmutativo cui Jung diede il nome di processo di individuazione: La totalità inconscia pertanto mi sembra il vero spiritus rector di tutti i fatti biologici e psichici. Essa aspira a una realizzazione totale, cioè, nel caso dell uomo, a una totale presa di coscienza. La presa di coscienza è cultura nel senso più ampio della parola, e la coscienza di sé è perciò l essenza e il nocciolo di questo processo. L orientale attribuisce al Sé un indubitabile significato, e secondo l antica concezione cristiana la conoscenza di sé è la via che porta alla cognitio Dei. (382) Accettando il mistero della compresenza nell io del conscio e dell inconscio Jung arrivava a confrontarsi con l enigma della complexio oppositorum, nocciolo della riflessione esistenziale di ogni tempo e cultura. Se percepiti dalla prospettiva della coscienza razionale, gli opposti di cui è costellata l esistenza confliggono, per cui la soluzione è una metamorfosi dell uno nell altro, o l annullamento dell uno a discapito dell altro. Ma se osservati dalla prospettiva dell inconscio, gli opposti in realtà coincidono, ed ecco che allora la visione dei loro rapporti muta completamente. 11 Jung fu ripetutamente indotto ad ammette- 10 È quindi oltremodo significativo che il sogno dello yogi e il commento ad esso introducano ad alcune fra le considerazioni esistenziali più esplicite di Jung (che cito in extenso più sotto, sez. 3). Per una lettura islamica e immaginale del velo di Mâyâ v. Ibn Arabî 1975, «One can only conclude that the unconscious tends to regard spirit and matter not merely as equivalent but as actually identical, and this in flagrant contrast to the intellectual one-sidedness of consciousness, which would sometimes like to spiritualize matter and at other times to materialize spirit.» (Jung 1969, 313) 7

18 QuSIM.02.3a bozza: :33 Pagina 8 Introduzione re, forse suo malgrado, che l unica prospettiva da cui guardare alla vita per intenderla non è quella della coscienza razionale e individuale, bensì quella, universale, che si annida nei recessi dell inconscio per potersi da lì espandere. 3. Rifiutando di sottomettersi alla concezione freudiana di un interpretazione medico-biologica dei sogni, Jung aveva riaperto la porta della coscienza occidentale a una tradizione plurisecolare e interculturale secondo la quale per intendere la vita si rende necessario guardarla a partire dal fondamento ignoto che la sostiene («la nera marea di fango dell occultismo» tanto temuta da Freud). Tale visione della vita è di natura etica, si compie cioè nell azione: La domanda decisiva per l uomo è questa: è egli rivolto all infinito oppure no? Questo è il problema essenziale della sua vita. [ ] Quanto più un uomo corre dietro a falsi beni, e quanto meno è sensibile a ciò che è l essenziale, tanto meno soddisfacente è la sua vita: si sentirà limitato, perché limitati sono i suoi scopi, e il risultato sarà l invidia e la gelosia. Se riusciamo a capire e a sentire che già in questa vita abbiamo un legame con l infinito, i nostri desideri e i nostri atteggiamenti mutano. 12 (382-83) È, questo, l atteggiamento gnostico-ermetico che da sempre concepisce il sogno e la visione come vie di ascesi/ritorno, come tracce luminose leggibili sul velo arcano, come strumenti di quella dolorosa azione-trasmutazione (il viaggio iniziatico) il cui scopo è il raggiungimento della sapienza o dell illuminazione, di un livello di coscienza cioè che si apra a toccare i confini dell universale, anziché rinchiudersi nell ossessione del singolare. Tale varcare oltre l io per giungere al Sé comporta l apertura a una dimensione poco o nulla frequentata nell Occidente moderno: la dimensione immaginale, che è quella terza componente trasformativa (o, per Jung, quarta componente integrativa) la cui reintegrazione liberatrice, quando ha luogo, incrina le assisi della concezione aristotelico-cartesiana del sapere (Jung 1992, 306; Ibn Arabî 1975, 59-67; Barry 2004, 227; Corbin 1986; Pereira 2001, 90-91). Commentando il sogno relativo alla cerca del Graal, Jung si era dimostrato consapevole dell urgenza, per la cultura occidentale, del ritorno alla cerca di un approccio altro da quello scientifico alla comprensione della realtà. Aldilà del suo essere uno studioso proiettato nel divenire della disciplina accademica da lui stesso fondata, Jung sapeva che l oggetto/soggetto della sua cerca si cela nei 12 Queste considerazioni esistenziali seguono immediatamente, nell autobiografia di Jung, il sogno dello yogi e il commento ad esso. 8

19 QuSIM.02.3a bozza: :33 Pagina 9 Introduzione re cessi del passato, occidentale e universale, dell umanità. Sull approccio scien tifico pesa infatti, secondo Jung, la stessa mortale maledizione che devastava, all epoca del Graal, le terre del re pescatore: «Cerca [ ] il vaso miracoloso, il salvator mundi, di cui avete urgente bisogno. State rovinando tutto ciò che secoli hanno costruito.» (336-37) Di questa consapevolezza dobbiamo essere grati a Jung, e a tutti coloro che insieme a lui operarono, nel corso del secolo da poco conclusosi, per ricondurre la coscienza occidentale malata di scientismo alle sorgenti cui abbeverarsi per tornare a vivere: penso in particolare al gruppo di studiosi riuniti intorno al progetto Eranos, le cui ricerche nei più diversi campi del sapere e del vedere, anche onirico, hanno dato frutti ben oltre i luoghi e i tempi di quegli incontri. Grazie a quei primi maestri e ai loro discepoli esiste oggi in Occidente una tradizione di studi che permette il ritorno a quella dimensione mitica e visionaria, le cui forme la mente razionale esperisce come oniriche. È grazie a questa tradizione che possiamo guardare al patrimonio testuale e letterario del passato indo-mediterraneo sul sogno e la visione riconoscendo in esso qualcosa che non risulta comprensibile se ad osservare è soltanto l occhio della ragione calcolatrice. È in questo spirito che il secondo numero dei Quaderni di Studi Indo-mediterranei è stato composto: senza rinunciare al rigore dell indagine scientifica, della raccolta dei dati, ma con l intento di vedere e comprendere oltre ciò che quei dati mostrano. Non offrirò nelle pagine che seguono una presentazione commentata dei contributi raccolti in questo volume. Il lettore potrà farsi un idea del contenuto di ciascuno leggendone il riassunto. La loro organizzazione segue un principio di semplice cronologia dai tempi più remoti al passato più recente senza distinguere invece tra diversi ambiti del mondo indomediterraneo, proprio per permettere il dialogo tra diverse tradizioni in ognuno dei momenti storici considerati. Vorrei concludere invece evocando l opera di alcuni fra i maggiori poeti e mistici medievali che sul potere rivelatore così del sogno come della visione incentrarono in sintonia con un sentire antichissimo, divenutoci largamente estraneo l integralità (e l integrità) così della loro opera come della loro esistenza terrena. Indirettamente certo, tali testi dialogano con il pensiero di Jung, e non per caso: la loro opera costituisce infatti un altro anello di congiunzione con quella concezione gnostico-neoplatonica cui Jung avrebbe voluto poter attingere. Il loro obiettivo è infatti il ritrovamento di quel Graal interiore, alla cerca del quale Jung sentiva di essere l ultimo cavaliere preposto, nel crepuscolo del ventesimo secolo. 9

20 QuSIM.02.3a bozza: :33 Pagina 10 Introduzione 4. Esiste, nella mente umana, un primordiale potere di inventare narrazioni, la cui dinamica evade o trascende oniricamente i confini della logica aristotelico-cartesiana. La psicanalisi, lo studio delle mitologie e delle religioni comparate si sono poste all ascolto di voci e linguaggi che il razionalismo accademico vorrebbe esiliare, ma i cui mormorii non possono essere ignorati, perché ne andrebbe della nostra stessa salute (Jung 1970). Coloro che nel corso dei secoli sempre compresero l urgenza di tale ascolto eterodosso furono i mistici e i poeti di tutte le culture indo-mediterranee tanto che le loro visioni/narrazioni sono oggi quanto ci resta per rivisitare la dimensione onirica del passato e indagarne il significato, o la ricerca del medesimo da parte di quegli stessi autori (Pinkola Estes 1993, 465 n.1). Insita nel visionarismo del passato è una componente etica che Jung condivise, ma che l anamnesi accademica tende a lasciare in ombra, così da poter evadere la questione del senso. Dove porta, infatti, la strada dei sogni e delle visioni quando li si consideri come messaggi da decifrare, come enigmatiche ingiunzioni all agire? Che cosa accade quando la ragione viene sottomessa a una logica altra da quella che essa si propone di dettare all io, al Sé, al mondo? Farîd ad-dîn Attâr (m ), impernia il suo Mantiq at-tayr (Verbo degli uccelli) sul potere di spingere all azione proprio del sogno, della visione e della parola poetica. Si tratta di un azione dirompente, che porta l io, contro la sua volontà, a vedere e a desiderare quell altro da sé che la ragione, le convenienze sociali, la tradizione culturale gli ingiungerebbero di segregare nel disprezzo dell infamia. A paradigma di tale azione-conversione (che gli uccelli del racconto dovranno far propria nel corso del loro viaggio iniziatico) la loro guida, l Upupa, narra la storia dello shaykh San ân. Giunto al culmine dell età e della sapienza religiosa, il santo maestro sogna un sogno quantomai improbabile: si vide trasportato dalla ka ba sino in Grecia e lì prese ad adorare gli idoli. Al risveglio quell illuminato cominciò a lamentarsi: Ahimé, in questo istante Giuseppe è precipitato nel pozzo! [ ] volle poi parlare ai suoi discepoli, e così disse: Devo agire, mi recherò in Grecia per sciogliere l enigma di questo sogno. ( Attâr 1999, 109; mio corsivo) Pervenuto a destinazione con i suoi discepoli, allo shaykh è casualmente dato di vedere, affacciata a un balcone, «una cristiana dal volto pervaso di spiritualità, partecipe delle cento conoscenze della via, bellezza dei cieli, splendore tra le costellazioni, sole senza tramonto.» (110) Non appena costei solleva il velo dei suoi neri capelli, ecco che lo shaykh si ritrova innamorato, inchiodato sotto il balcone della sua visione, dove rimane per un mese nell attesa che l a- 10

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