Settembre 2006 OSSERVATORIO SUGLI OPERATORI SOCIALI IN PROVINCIA DI TORINO

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1 Settembre 2006 OSSERVATORIO SUGLI OPERATORI SOCIALI IN PROVINCIA DI TORINO

2 La direzione scientifica del lavoro è stata realizzata da Adriana Luciano (Università di Torino). Il gruppo di lavoro operativo è stato composto da: Barbara Basacco (Laboratorio FRAME Corep), Elisa Casale (Laboratorio FRAME Corep), Monica Demartini (Laboratorio FRAME Corep), Roberto Di Monaco (S.R.F. - Società Ricerca e Formazione), Giorgio Gianre (Servizio Solidarietà Sociale Provincia di Torino) e Barbara Remondino (tirocinante e studentessa nella laurea specialistica in Servizio Sociale). Inoltre, è stato creato un gruppo di confronto a cui hanno partecipato referenti della Provincia di Torino, della Regione Piemonte e degli Enti gestori dei servizi sociali: Barbara Bisset (Ufficio Programmazione territoriale - Provincia di Torino), Enrico Chiarle (Servizio Solidarietà Sociale - Provincia di Torino), Antonella Gianesin (Assessorato alle Politiche Sociali - Regione Piemonte), Loredana Mantuano (Assessorato alle Politiche Sociali - Regione Piemonte), Cesare Bernardini (SFEP - Comune di Torino), Mara Begheldo (CISSA Moncalieri), Marisa Bugnone (CISSA Pianezza), Patrizia Geymonat (C.M. Val Pellice), Paola Molinatto (IN.RE.TE. Ivrea), Tiziana Susigan (CISA Rivoli), Teresa Tosatto (CSSAC Chieri), Livio Vigna (C.M. Val Chisone).

3 INDICE Introduzione Le competenze degli operatori sociali Evoluzione delle figure professionali dal punto di vista storico, normativo e formativo L'assistente sociale L educatore professionale L operatore socio sanitario L animatore professionale socio-educativo I profili professionali condivisi Assistente sociale Educatore professionale Operatore socio sanitario Animatore professionale socio- educativo Un sistema di analisi e previsione dei fabbisogni di operatori sociali Il campo di osservazione e le fonti utilizzate L assistente sociale L educatore professionale L operatore socio-sanitario L animatore professionale socio-educativo Le previsioni di spesa Come utilizzare gli strumenti a disposizione. Una proposta per la messa a regime del sistema di osservazione Nota metodologica Allegati Bibliografia

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5 Introduzione Il progetto Osservatorio sugli operatori sociali in Provincia di Torino è nato con l obiettivo di sostenere la programmazione rivolta al rafforzamento professionale del settore, attraverso un miglioramento quantitativo e qualitativo del set di informazioni a disposizione della programmazione provinciale, dei piani di zona e degli operatori del settore. La difficoltà principale nel soddisfare l esigenza di disporre di informazioni sulla qualità, oltre che sulla quantità degli operatori necessari per gestire con buoni risultati le politiche sociali sta nel fatto che ciò che si configura in un determinato momento e luogo come domanda di una particolare figura professionale è il risultato di una pluralità di elementi che si compongono in modi non facilmente descrivibili con indicatori sintetici e non facilmente governabili neppure da parte di chi esercita direttamente il controllo sulle prestazioni di lavoro. Questi vari aspetti, che identificano le professioni come relazioni sociali complesse, sono il risultato di numerosi altri elementi, quali: - la struttura organizzativa all interno della quale operano le persone, ovvero l organizzazione dei singoli posti di lavoro e le relative interazioni con altre posizioni, l articolazione dei processi in unità organizzative, la struttura gerarchica; - la classificazione contrattuale delle posizioni professionali che dà luogo a mansionari e livelli retributivi; - il rapporto contrattuale che lega domanda e offerta di lavoro, ovvero il fatto che particolari prestazioni vengano erogate all interno di rapporti di lavoro dipendente, a tempo determinato o indeterminato, a tempo parziale o a tempo pieno, oppure in forma di compravendita di servizi (consulenza, subfornitura, prestazione professionale, lavoro interinale); - le modalità istituzionalizzate di acquisizione delle conoscenze e delle abilità richieste nei vari contesti di lavoro. A seconda di come è organizzato (per livelli e aree di specializzazione) il sistema scolastico e quello della formazione professionale, si definiscono il tipo e il livello delle certificazioni scolastiche che vengono richieste per l accesso a determinate posizioni e la distinzione tra formazione scolastica e training on the job. Il potere di strutturazione dei lavori da parte del sistema formativo, massimo in presenza di albi professionali che sanciscono per legge il curriculum formativo richiesto per entrare nella professione, varia a seconda dei tipi di organizzazione, dei meccanismi di reclutamento e del grado di novità dei profili; - gli stereotipi culturali in base ai quali certi lavori sono considerati più adatti a donne o a uomini, a persone provenienti da particolari gruppi etnici o a particolari classi di età. Anche se esistono formali divieti a praticare discriminazioni in base a caratteri ascritti (il sesso, la provenienza etnica, l età), esistono convenzioni sociali profondamente radicate e riconosciute sia dai datori di lavoro che dagli aspiranti lavoratori che fanno sì che certe attività lavorative siano connotate non solo per le competenze e il livello di istruzione che richiedono, i luoghi in cui si svolgono, i regimi di orario e i rapporti gerarchici che comportano, ma anche per il fatto di essere maschili o femminili, per giovani o per adulti, per locali o per immigrati. I confini sono mobili, vengono continuamente negoziati e ridefiniti, ma costituiscono tuttavia barriere tra mercati e posizioni sociali, comportano modalità diverse di incontro tra domanda e offerta, strutturano aspettative sociali. 3

6 È da questa complessità di fattori, che vanno a comporre le caratteristiche delle professioni e dei professionisti che andranno a svolgerle, che scaturiscono le principali difficoltà di descrivere e classificare domanda e offerta di lavoro. Anche la distinzione tra job e skill, che si usa per designare separatamente le caratteristiche dei posti di lavoro e delle persone che possono occuparli, appare critica se si pone mente al fatto che i posti, essendo il risultato di una lunga serie di interazioni tra fattori tecnologici, organizzativi, istituzionali e culturali, sono essi stessi fortemente impregnati delle caratteristiche dei lavoratori che nel tempo li hanno a loro volta costruiti. Le classificazioni che uffici di statistica, enti amministrativi, centri di ricerca utilizzano, e che, oltre ad essere difficili da confrontare tra di loro, appaiono sempre inadeguate (o superate, o troppo analitiche, o troppo generiche...) non sono altro che il risultato di rappresentazioni che di volta in volta - per ragioni istituzionali, teoriche, metodologiche - hanno isolato qualche aspetto della relazione sociale a cui si riferiscono. In assenza di un sistema informativo riconosciuto dai vari attori istituzionali come strumento di supporto alle politiche del lavoro e della formazione, e di una nomenclatura unificata delle qualifiche professionali rilasciate dal sistema della formazione professionale, queste classificazioni producono immagini diverse del mercato del lavoro. La più importante di queste classificazioni, e la più usata, è quella prodotta dall ISTAT che consente di descrivere dinamicamente domanda e offerta di lavoro secondo numerose dimensioni: attività economiche, dimensione delle imprese, localizzazione territoriale, professione, posizione nella professione, età e sesso, titolo di studio. Il fondamentale vantaggio che questa fonte offre è quello di produrre informazioni confrontabili nel tempo e nello spazio e organizzate in base a definizioni e parametri di misurazione autorevoli, in quanto istituzionalizzati. Per evidenti ragioni di costo delle rilevazioni 1, il livello di dettaglio analitico e della rappresentatività statistica, tuttavia, diminuisce via via che si riduce la scala territoriale dell analisi e si intensifica la frequenza delle rilevazioni. Le variazioni trimestrali e annuali delle dinamiche occupazionali misurate dalla Indagini trimestrali delle Forze di Lavoro, ad esempio, perdono di significatività a misura che si passa dal livello regionale a quello provinciale o comunale e offrono un livello di dettaglio ben più limitato di quello che si ottiene ogni dieci anni attraverso i Censimenti. I Centri per l Impiego, ovvero le strutture periferiche del Ministero del lavoro, avendo l obbligo di registrare sia gli avviamenti al lavoro, sia le iscrizioni al registro dei disoccupati, dispongono in tempo reale, su scala territoriale comunale e sub-comunale, e per l universo dei soggetti che si presentano sul mercato del lavoro, di informazioni che in teoria potrebbero offrire una rappresentazione più analitica del funzionamento del mercato del lavoro. Tuttavia, per ragioni connesse con la storia delle politiche del lavoro in Italia, e con le recenti difficoltà di far migrare i dati da un sistema all altro sono ancora poco utilizzabili. Dati gli obblighi di legge, comunque, sono l unica fonte che consente di ricostruire in tempo reale il numero di rapporti di lavoro dipendente che vengono attivati e disattivati in un determinato territorio, le modalità contrattuali, età e sesso di chi cerca e di chi trova lavoro, la durata dell iscrizione al Centro per l impiego, ecc. Se le registrazioni venissero fatte con più accuratezza, questa fonte consentirebbe anche di ricostruire secondo la classificazione Istat, al livello massimo di disaggregazione, attività economiche e dimensioni delle imprese che assumono o licenziano lavoratori, professioni e posizione nella professione degli assunti, titolo di studio di lavoratori e disoccupati. Se opportunamente integrate, queste fonti di informazione possono offrire una buona descrizione degli aspetti più istituzionalizzati del mercato del lavoro: posti di lavoro descritti in base alla nomenclatura corrente, alla posizione gerarchica, alle condizioni normative e di retribuzione delle relazioni di impiego; caratteristiche anagrafiche (sesso, età, livello di istruzione) delle persone che li occupano; caratteristiche di coloro che cercano lavoro, canali 1 Questa, ad esempio, è una delle ragioni più importanti per cui l Istat ha rinunciato al sovracampionamento che era stato realizzato in seguito all istituzione degli Osservatori sul mercato del lavoro (Di Pietro, 1994). 4

7 attraverso i quali si cerca e si trova lavoro. Un punto di partenza indispensabile per analisi più dettagliate e sofisticate della domanda e dell offerta di lavoro. Quanto alle indagini sui fabbisogni di lavoro e di formazione, in Italia sono stati fatti finora almeno due tentativi importanti di costruire un modello di previsione della domanda di lavoro e di formazione. Il primo, che nasce da una sperimentazione più che decennale 2, si basa sulla cosiddetta metodologia degli archetipi 3 che vengono costruiti attraverso un processo di negoziazione tra esperti dei vari settori, che ne definiscono il quadro di riferimento per poi sottoporlo a un campione di imprese allo scopo di elaborare previsioni di tipo qualitativo. Attraverso un questionario somministrato mediante interviste dirette, vengono raccolte informazioni e valutazioni circa la presenza in azienda di figure riferibili agli archetipi precedentemente individuati, la previsione di sviluppo, la reperibilità sul mercato del lavoro locale. Il secondo modello, denominato Excelsior 4, si è proposto l obiettivo più ambizioso di costruire un sistema informativo nazionale in grado di misurare la domanda effettiva e potenziale di professioni nei diversi bacini territoriali del lavoro (...) per favorire l incontro diretto e puntuale tra domanda e offerta di lavoro e di orientare le scelte dei decisori istituzionali in materia di politiche della formazione scolastica e professionale (Progetto Excelsior, Pag. 7). Per far questo il sistema informativo Excelsior si avvale di una ricostruzione aggiornata dell universo delle imprese, secondo variabili di stratificazione territoriale, dimensionale e di attività economica, allo scopo di estrarre campioni significativi e rappresentativi dei mercati locali. Si avvale inoltre di un dizionario delle voci professionali standard costruito a partire dalle classificazioni esistenti, che consente di associare ogni voce ai settori economici, ad aree funzionali di attività, ai livelli di inquadramento (secondo la classificazione INPS), ai livelli di istruzione richiesti. L indagine viene svolta tramite questionario che viene somministrato telefonicamente per le imprese al di sotto dei 50 addetti e mediante intervista diretta per quelle più grandi. Le domande rivolte alle imprese riguardano la composizione attuale dell occupazione e le previsioni quantitative e qualitative circa le assunzioni da realizzare nel successivo biennio. Risultato dell indagine, che viene ripetuta ad intervalli regolari di tempo, una serie di tavole che consentono (fino al livello provinciale) di misurare consistenza e caratteristiche delle assunzioni previste nel biennio successivo secondo le dimensioni suddette, per settori, dimensioni di imprese, area geografica. I due modelli intendono dare risposta a due tipi di problemi: arrivare a una classificazione unitaria e condivisa delle figure professionali che consenta di condurre analisi sul mercato del lavoro e esercizi di previsione a partire da una concettualizzazione comune; formulare previsioni sulla dinamica futura del mercato del lavoro per predisporre interventi nel sistema formativo che riducano le discrasie quantitative e qualitative. Sulla prima questione. La metodologia SPIN prende atto del fatto che i posti di lavoro così come sono strutturati all interno delle imprese, dipendono da svariati fattori organizzativi e sindacali, oltre che tecnologici, che non hanno direttamente a che fare con il tipo di competenze che il sistema formativo può contribuire a formare e con i requisiti che le aziende richiedono alle persone al momento del reclutamento. Dunque, non ha senso utilizzare classificazioni che tengano conto delle infinite denominazioni che sono state attribuite alle 2 Si tratta del metodo messo a punto dalla società SPIN, la cui filosofia è stata recepita da protocollo di intesa Confindustria-Sindacati del 20 gennaio 1993 e dal successivo accordo del 23 luglio. 3 si tratta di uno schema logico che si riferisce al ceppo di conoscenze tecnico-pratiche relative alla specificità funzionale e ai processi trasversali (pianificazione, esecuzione, controllo, intervento correttivo) ad essa correlabili.(...) Questo schema seleziona le informazioni troppo generiche (ad esempio, operaio, operaio qualificato, impiegato) che non individuano la specificità funzionale (... )così come scarta le indicazioni troppo specifiche (...) evita anche di confondere il problema della formazione delle risorse umane con quello del loro impiego (SPIN 1996, pag. 4) 4 Si tratta di un modello messo a punto da Unioncamere con il contributo di un comitato di docenti universitari e di alcune società di consulenza (Infocamere, Pitagora, Clas, Alesia). La prima applicazione del modello è stata realizzata nel

8 figure professionali dalle singole aziende, dai contratti di categoria, dai centri di formazione che rilasciano qualifiche professionali, dall Istat. Meglio definire per settore, processo produttivo, area funzionale, famiglie di figure professionali (gli archetipi), che circoscrivono tipi di competenze, percorsi di formazione e linee di sviluppo professionale comuni, a prescindere dai nomi che a quelle figure possono essere attribuiti. Meglio, inoltre, che questa operazione di definizione e classificazione non venga fatta in maniera asettica dal ricercatore ma venga negoziata tra chi, per il ruolo che svolge, ha potere nella strutturazione dei percorsi formativi, dei posti, delle gerarchie funzionali e retributive: imprenditori, sindacalisti, responsabili di istituzioni formative, specialisti del settore. Con questo modo di procedere i ricercatori prendono atto dell impossibilità di definire con precisione gli aspetti qualitativi della domanda e dell offerta di lavoro, ammettono l esistenza di un campo di variazione abbastanza ampio dei modi in cui determinate famiglie di competenze professionali si traducono in concreti posti di lavoro, si preoccupano di tracciare confini e di individuare prospettive di sviluppo, piuttosto che di quantificare fabbisogni in senso stretto. Al contrario, il metodo Excelsior si preoccupa di arricchire del maggior numero di dettagli possibile la descrizione delle professioni, introducendo nell analisi dimensioni organizzative (le aree funzionali), gerarchiche e retributive (i livelli di inquadramento), personali (età, titolo di studio e conoscenze specifiche delle persone chiamate a ricoprire le posizioni), e propone una classificazione comparabile con altre classificazioni (Istat e Inps). Obiettivo: accrescere il numero di variabili con cui si possono descrivere job e skill e produrre una classificazione ampia e flessibile, capace di integrare altre classificazioni. Sul versante della previsione, il metodo SPIN si pone l obiettivo di prefigurare scenari, sulla base di valutazioni qualitative formulate dagli imprenditori, mentre il metodo Excelsior si propone di effettuare stime quantitative verificabili ex-post a un livello di dettaglio che arriva fino al posto di lavoro. Due strategie opposte che si propongono, la prima, come strumento per rendere visibile e governabile il processo negoziale tra gli attori che hanno più potere di strutturazione del mercato del lavoro, la seconda, come classico strumento di supporto alle decisioni all interno di un processo di job search. Nessuna delle due è stata riconosciuta a livello nazionale dalle autorità di governo del mercato del lavoro. Produrre dati costa e ha conseguenze rilevanti sulla rappresentazione sociale dei fenomeni che attraverso di essi vengono descritti. Qualunque decisione di avviare nuove macchine di rilevazione o di progettare ricerche dovrebbe dunque scaturire da un attenta valutazione di costi e benefici. Ma l urgenza di disporre di informazioni aggiornate su mercati del lavoro locali, non sempre suggerisce la prudenza. Così molte risorse vanno disperse in una miriade di ricerche poco rispettose dei canoni statistici e metodologici, ingenue nell impostazione teorica, frettolose nell esecuzione. Quest ansia nel produrre dati e questa ignara imperizia nel disegnare e realizzare ricerche potrebbe essere contenuta se funzionasse un sistema informativo nazionale e se a questo, i diversi operatori potessero attingere con facilità per rispondere agli interrogativi che la pratica di politiche locali del lavoro e della formazione solleva. Ma bisogna intendersi su che cosa significhi costruirlo. Un conto infatti è seguire la strada di migliorare la qualità e l integrazione delle fonti ufficiali, un conto è ritenere che il sistema informativo debba avvalersi non soltanto di un architettura di integrazione delle fonti, ma di una nuova macchina di rilevazione. A giudicare dai lavori in corso in questa fase, non si ha l impressione che il nodo sia stato sciolto. Se da un lato ISTAT e INPS sono andate nel tempo migliorando la loro capacità di produrre dati attendibili e accessibili, dall altra, i Centri per l Impiego ancora sono in attesa di strumenti di rilevazione e di analisi consolidati. Intanto altre istituzioni e altri soggetti stanno sperimentando nuove macchine di rilevazione nell ipotesi che sia possibile arricchire l analisi del mercato del lavoro su due questioni cui le rilevazioni ufficiali non sono in gradi di dare risposte esaurienti: la qualità della domanda di lavoro e i relativi fabbisogni di formazione; le previsioni sulle dinamiche future. Sulla seconda questione, bisogna essere consapevoli che non esiste strumento per quanto raffinato di rilevazione che possa offrire delle dinamiche future del mercato del lavoro previsioni più affidabili di quelle che si possono estrapolare dalle dinamiche passate. Chiedere 6

9 ai datori di lavoro quanti e quali tipi di lavoratori intendono assumere nei prossimi mesi e anni è come chiedere loro di leggere nella sfera di cristallo. In mercati in espansione, quali sono stati quelli ormai mitici del fordismo, aveva senso per le grandi organizzazioni, e solo per le grandi organizzazioni, formulare previsioni. C è stata infatti una breve stagione della nostra storia passata in cui le organizzazioni elaboravano piani anche pluriennali di reclutamento e di sviluppo delle carriere e si preoccupavano di migliorare la loro capacità di attrazione dei segmenti più pregiati dell offerta di lavoro, perché erano in grado di programmare la propria crescita. La fase che stiamo attraversando ora, invece, è quella della turbolenza e della flessibilità. Le organizzazioni, comprese quelle pubbliche, ben lungi dal programmare la propria crescita, si preoccupano di poter variare i loro organici in funzione di dinamiche che non controllano. Sarebbe già molto poter disporre in tempo reale di informazioni su ciò che sta avvenendo sul mercato del lavoro. Ma allora: quale fonte migliore degli uffici amministrativi che registrano assunzioni e licenziamenti, o degli enti previdenziali che mese dopo mese ricevono i contributi pensionistici del lavoratori occupati? Perché non concentrare risorse umane, tecnologiche e monetarie nell utilizzare meglio queste fonti di informazioni, invece di disperdere energie per raccogliere informazioni inattendibili? Sulla prima questione, invece, il problema è più complicato. È indispensabile per un organizzazione che si ponga come obiettivo di migliorare la qualità delle proprie risorse umane, disporre di informazioni aggiornate e attendibili sulla qualità della domanda di qualificazione. Ma queste informazioni sono difficili non solo da rilevare, ma soprattutto da formalizzare in indicatori empirici. Qual è il tipo di informazioni utile per rendere i processi formativi congruenti con la domanda delle imprese? Non certo le classificazioni elaborate a scopi contrattuali, che più che descrivere qualità e livello delle competenze richieste ai lavoratori, registrano lo stato della negoziazione e della valutazione sociale di certe posizioni organizzative. E neppure la classificazione Istat delle professioni, allo stesso tempo troppo analitica e troppo generica. Servirebbe una classificazione utile a definire le competenze richieste a chi debba occupare posizioni lavorative e che identifichi filiere di formazione e livelli di specializzazione all interno di queste filiere. Una nomenclatura riconoscibile per le organizzazioni e per il mondo della formazione, sufficientemente ampia da circoscrivere famiglie di lavori e professioni, esercitabili in contesti organizzativi diversi, ma sufficientemente specifica da indicare percorsi di formazione. La metodologia degli archetipi che si fonda su un processo di negoziazione dei profili professionali da parte di imprenditori, responsabili della formazione, specialisti dei vari settori, ha fatto un primo passo in questa direzione ma ha incontrato il suo limite nell incapacità di confrontarsi con una classificazione generale e condivisa da tutti gli attori del sistema e nella pretesa di elaborare previsioni utili per orientare la programmazione formativa sulla base delle dichiarazioni di intervistati irresponsabili 5. La programmazione di interventi formativi, che pure va fatta, non può che avvalersi di dati storici e soprattutto di impegni presi da chi ha responsabilità sostanziali e formali nel governo delle organizzazioni. C è un ulteriore elemento da considerare nell analisi della domanda di qualificazione e di formazione. Se il livello delle competenze tecnico-professionali che si possono apprendere attraverso un percorso scolastico più o meno lungo, la frequenza a corsi di formazione professionale, un esperienza di lavoro, è relativamente facile da accertare, ciò che decide della buona qualità delle prestazioni non sono soltanto le competenze tecniche in senso stretto, ma un insieme di altre caratteristiche di tipo cognitivo, organizzativo, relazionale che costituiscono parte integrante e duratura della personalità degli individui, tanto da poterne predire i comportamenti. Qualcosa che non viene certificato da titoli di studio ma che può essere 5 L attribuzione di irresponsabilità ai destinatari di qualunque tipo di indagine non ha evidentemente connotazioni morali. Fa semplicemente riferimento al fatto che l intervistato non è chiamato, per definizione, a rendere conto a chicchessia delle dichiarazioni che fa. Non è dunque responsabile delle conseguenze sociali delle sue dichiarazioni. Di queste, semmai, è responsabile soltanto il ricercatore quando, nel renderle pubbliche e dotate di valore scientifico, costruisce un fatto sociale. 7

10 accertato attraverso complessi processi di selezione, o garantito, per così dire, all interno di rapporti fiduciari. Il fatto che queste competenze siano difficili da definire, da formare e da rilevare, e che siano spesso specifiche a particolari contesti organizzativi e culturali, pone problemi analitici di difficile soluzione. Su questo punto la riflessione teorica e l esperienza di ricerca a livello internazione hanno fatto passi significativi e hanno prodotto risultati convincenti e condivisi. Un recente documento di lavoro della Commissione Europea (2005) dal titolo Towards A European Qualifications Framework For Lifelong Learning, è approdato, attraverso una comparazione tra Francia, Regno Unito, Germania e Stati Uniti a una definizione condivisa di competenza, che può essere posta alla base di uno schema europeo di reciproco riconoscimento di professioni e qualificazioni. La definizione si articola a tre livelli: - competenza cognitiva (knowledge), che implica l utilizzo di teorie e concetti, ma anche le conoscenze informali e tacite acquisiste attraverso l esperienza; - competenza funzionale (skill) che riguarda ciò che si deve saper fare quando le conoscenze (competenze cognitive) vengono calate in un contesto professionale dato; - competenza personale (competences) che riguarda il comportamento da adottare in un determinato contesto di lavoro. A questi se ne aggiunge un quarto che riguarda la dimensione etica, deontologica del lavoro. Si tratta di un modello relativamente semplice e sufficientemente solido da poter generare un linguaggio condiviso tra persone, imprese e operatori dei servizi per l impiego e della formazione, e da orientare i loro reciproci comportamenti (cercare e offrire lavoro; cercare e offrire formazione). In questa direzione si sta muovendo anche il Ministero del Lavoro italiano che, nel difficile tentativo di rendere finalmente operante la Borsa Nazionale del lavoro, sta promuovendo, attraverso l Agenzia Italia Lavoro, la costruzione di un sistema di descrizione delle professioni per competenze che ricalca lo schema europeo e che potrebbe in tempi non storici dotare gli operatori del mercato del lavoro di uno strumento affidabile di analisi della domanda e dell offerta di professioni e di competenze. Nel lavoro che segue abbiamo adottato le due metodologie che ci sembrano più vicine a rispondere a quei requisiti di affidabilità e di economicità che un sistema di osservazione della domanda e dell offerta di lavoro e di competenze dovrebbe avere: l elaborazione di fonti statistiche e amministrative e l adozione di un modello di analisi delle competenze testato a livello europeo e in grado, dunque, di consentire comparazioni con altre classificazioni e con altre rilevazioni. Il settore delle professioni sociali, infatti, non ha ancora ricevuto in Italia una codificazione condivisa. Dall emanazione della legge 382 avvenuta nel 2000 ancora siamo in attesa di una legge che definisca standard professionali e formativi delle figure professionali a cui è affidato il funzionamento delle politiche sociali. Il documento di discussione presentato in un autorevole conferenza promossa nel 2004 dall ANCI e dall UPI 6 ribadiva l urgenza di una regolazione nazionale delle professioni sociali mediante la definizione di una figura unica di educatore professionale per il comparto sanitario, sociale e penitenziario, di un profilo nazionale di educatore della prima infanzia, di animatore sociale, di tecnico dell inserimento lavorativo, di un curriculum di competenze ed esperienze per i ruoli dirigenti nei servizi e nella rete integrata, di un percorso formativo omogeneo per l assistente familiare e di criteri per la comparazione tra figure professionali regionali e altro ancora. Ma nulla è avvenuto se nell incontro del luglio scorso organizzato dall Isfol sul tema, il comunicato stampa ancora ripeteva: Appare indifferibile l'avvio di un processo di confronto finalizzato alla definizione delle professioni sociali di rilievo nazionale, che deve necessariamente coinvolgere in prima istanza i livelli di governo centrale e territoriale ed estendersi alle comunità professionali e alle parti sociali, sulla base dell'articolazione delle 6 Conferenza Nazionale Presente e futuro delle professioni sociali per il nuovo Welfare territoriale. Le proposte delle autonomie locali, Roma, 23 Febbraio

11 competenze tra Stato e regioni stabilite dalla riforma del Titolo V della Costituzione E più avanti: L'assenza di standard formativi definiti a livello nazionale e di sistemi interregionali di 'equivalenza' dei profili di uscita ha certamente favorito la diffusione di curricula formativi fortemente eterogenei, che si riverberano in profili e figure professionali variamente denominate con la conseguente dequalificazione del lavoro sociale e la difficoltà ad assicurare adeguati standard professionali di qualità nei servizi e interventi sociali territoriali. In questo vuoto normativo è particolarmente importante che le indagini locali, necessari strumenti della programmazione e della regolazione, si attengano a requisiti di massima comparabilità con altre indagini ed altre fonti e facciano il miglior uso possibile delle informazione disponibili. A questi criteri abbiamo cercato di attenerci nel nostro lavoro che ha concluso la fase di impostazione e di prima sperimentazione. Consegniamo ai responsabili delle Politiche Sociali della provincia di Torino con cui abbiamo condiviso questa prima fase di lavoro i risultati raggiunti nella speranza che la metodologia che abbiamo messo a punto con la collaborazione di un folto gruppo di operatori possa diventare un utile strumento di lavoro nella programmazione delle attività formative, nella gestione del personale e nella previsione dei fabbisogni di personale. 9

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13 1. Le competenze degli operatori sociali 1.1 Evoluzione delle figure professionali dal punto di vista storico, normativo e formativo Le figure professionali impegnate nel settore socio-assistenziale hanno conosciuto, negli ultimi anni, profonde trasformazioni per quanto concerne il loro riconoscimento giuridico e professionale, il percorso formativo da seguire per essere riconosciute tali e, non ultimo, l assetto gestionale dei servizi nei quali sono chiamate a spendere la loro professionalità 7. Prendere in esame tali figure professionali, oggi, significa dunque tenere in considerazione tutti questi elementi nelle loro interazioni ed influenze reciproche. Sotto il profilo normativo la prima Legge regionale 8 intervenuta a riordinare questo settore è la L. R. n. 20 del 1982 che ha individuato le Unità Socio Sanitarie Locali, in forma associata con i Comuni, come i soggetti investiti delle funzioni socio-assistenziali previsti dal Piano sociosanitario regionale con la possibilità, per i Comuni, di erogare in forma diretta alcune prestazioni e, in particolare, quelle rivolte ad adulti e anziani autosufficienti e riguardanti l assistenza economica, domiciliare e la gestione dei presidi socio-assistenziali a carattere residenziale. Alla fine degli anni Novanta, la configurazione dell assetto istituzionale caratterizzata dalla gestione in forma associata tramite la costituzione dei consorzi, può ritenersi consolidata. La L. R. n. 1 del , in attuazione della Legge di riforma Nazionale n. 328/ , conferma questa impostazione incentivando ulteriormente la gestione associata da parte dei Comuni e individuando nei Piani di zona lo strumento di integrazione della rete degli interventi e dei servizi sociali di cui fanno parte i fornitori di prestazioni del servizio pubblico, le IPAB, le organizzazioni afferenti al terzo settore ed i soggetti privati che svolgono attività di carattere sociale. È all interno di queste strutture che operano i professionisti delle politiche sociali: gli assistenti sociali, gli educatori professionali, gli operatori socio sanitari e gli animatori professionali socio-educativi L assistente sociale La storia degli assistenti sociali è strettamente legata alla storia e all evoluzione che il Servizio Sociale ha conosciuto nel nostro Paese. Secondo quanto emerso dalla V Conferenza Internazionale di Servizio Sociale, questa storia ha attraversato quattro fasi. La prima, che arriva fino alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale, si caratterizza per lo sviluppo di iniziative di carattere filantropico nelle fabbriche. Le persone incaricate di svolgervi compiti di assistenza sociale erano formate attraverso corsi accelerati a carattere informativo e venivano chiamate assistenti di fabbrica o assistenti sociali dei lavoratori, o ancora assistenti addette al servizio sociale delle organizzazioni operaie. Si tratta di una vicenda che risale alla fine del 1800 quando alcuni dirigenti d azienda cominciarono ad 7 Per la ricostruzione dell evoluzione dei profili professionali degli operatori sociali si veda Rei D., Maurizio R. (a cura di), Le professioni sociali, Edizioni Gruppo Abele, Torino, Per le indicazioni relative alla normativa della Regione Piemonte si è fatto riferimento al project work di Antonella Gianesin Studio e sperimentazione di strumenti omogenei per la rilevazione del personale operante nel sistema dei servizi sociali piemontesi, con particolare riferimento ai profili professionali del settore, realizzato in conclusione del Master Management della formazione professionale e delle politiche del lavoro realizzato dall Università degli Studi di Torino in collaborazione con il COREP. 9 Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento. 10 Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. 11

14 interessarsi al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori. Nel 1920 viene fondato a Milano l Istituto Italiano di Assistenza Sociale e nell anno scolastico 1928/1929, viene istituita la prima scuola per assistenti sociali di fabbrica a carattere continuativo e con intenzioni formative presso la Scuola Femminile Fascista di Economia Domestica ed Assistenza Sociale di San Gregorio al Celio. Il 1928 è anche l anno della Prima Conferenza Internazionale di servizio sociale, a Parigi. In quella sede, e successivamente nella seconda conferenza di Francoforte sul Meno, si comincia a diffondere in Europa il corpo delle conoscenze e di pratiche del servizio sociale che si era sviluppato negli Stati Uniti. Nella seconda fase, che si estende dal secondo dopoguerra agli anni Settanta, comincia a farsi strada l idea che debbano essere messe in atto iniziative pubbliche volte a promuovere la rinascita morale e civile del Paese, del tutto dipendente fino a quel momento dagli aiuti americani per la ricostruzione. Le politiche e gli interventi assistenziali da realizzarsi diventano oggetto di discussione tra gruppi di diversa provenienza politica e religiosa e matura la consapevolezza che sia necessario formare un operatore nuovo capace di svolgere un ruolo non solo tecnico ma anche politico nell opera di risanamento del Paese. Sorgono così, in questo periodo, le Scuole di Servizio Sociale e si rafforza contemporaneamente il processo di penetrazione della cultura del servizio sociale elaborata negli Stati Uniti, che divengono meta, insieme ai Paesi di cultura anglosassone, di numerosi viaggi di specializzazione e borse di studio per assistenti sociali, docenti e direttori di scuola che intendono perfezionare la loro preparazione. La terza fase, che va dagli anni Settanta ai primi anni Ottanta è attraversata dal clima carico di entusiasmo e di speranze degli anni della contestazione e dalla successiva stagione dell istituzionalizzazione delle politiche sociali negli enti locali territoriali e nei servizi socio sanitari. La formazione degli assistenti sociali avviene, in questa fase, sia in scuole gestite da organizzazioni private, da enti locali o consorzi, sia in scuole già inserite in ambito universitario come le Scuole Dirette a Fini Speciali sorte alla fine degli anni Cinquanta. La quarta ed ultima fase si apre con la definitiva scelta dell università come luogo di formazione degli assistenti sociali. Con l emanazione nel 1987 del D.P.R n , infatti, si stabilisce che la formazione possa avvenire solo in ambito universitario attraverso le Scuole Dirette a Fini Speciali (SDFS) e sulla base di un curriculum didattico definito con decreto ministeriale. Successivamente, con la Riforma degli Ordinamenti Universitari viene istituita la classe di laurea in Scienze del Servizio Sociale e la classe di laurea specialistica in Programmazione e gestione delle Politiche e dei Servizi Sociali. Il processo di professionalizzazione arriva a compimento con il D.P.R. n. 328 del 2001, che istituisce le sezioni A e B dell albo professionale degli assistenti sociali: la prima, per coloro che sono in possesso della laurea specialistica e la seconda, per coloro che hanno conseguito la laurea di primo livello. In entrambi i casi l iscrizione è condizionata al superamento dell esame di stato. I diplomi conseguiti in base al precedente ordinamento, secondo quanto stabilito dalla L. n. 1 del , costituiscono titolo valido per l accesso ai corsi di laurea specialistica, ai master e ai corsi di formazione di base. Attualmente, quindi, per esercitare la professione, è richiesto alternativamente il possesso dei seguenti titoli: - diploma di scuola media superiore quinquennale e titolo rilasciato da Scuole Dirette a Fini Speciali; - diploma universitario triennale in servizio sociale (DUSS) e iscrizione all Albo professionale mediante esame di stato; - laurea in Scienze del servizio sociale e lauree specialistiche in Programmazione e Gestione delle politiche e dei servizi sociali ed iscrizione all Albo professionale mediante esame di stato (sezione A per i laureati magistrali; sezione B per i laureati triennali). 11 Valore abilitante del diploma di assistente sociale in attuazione dell art. 9 del Decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, N Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 novembre 2001, n. 402, recante disposizioni urgenti in materia di personale sanitario". 12

15 1.1.2 L educatore professionale L educatore professionale nasce come figura professionale non riconosciuta giuridicamente, ma ampiamente utilizzata in strutture residenziali (istituti, case di rieducazione, opere pie rivolte alla cura dei poveri e degli emarginati, pensionati giovanili) negli anni Cinquanta, ma è soltanto verso la fine degli anni Settanta, con l affermarsi di una politica sociale pubblica, che inizia a misurarsi con la realtà dei servizi e delle unità operative territoriali, degli uffici e degli assessorati ai servizi sociali. Nella nostra Regione, il profilo professionale e il relativo percorso di formazione vengono definiti sin dal A quell epoca si trattava di operatori e operatrici che, una volta acquisito il diploma triennale post-diploma rilasciato da scuole riconosciute dalla Regione, potevano operare sia nei servizi socio-assistenziali che in quelli sanitari. Le cose si complicano negli anni Novanta quando, a partire dall anno accademico 1992/1993 l Università degli Studi di Torino, attiva un corso di laurea in Scienze dell Educazione indirizzo educatore professionale extrascolastico presso la Facoltà di Scienze della Formazione, riconvertito nell anno accademico 2000/2001 in laurea di primo livello, senza che questo percorso formativo ottenga un formale riconoscimento dalla Regione. Successivamente, nel 1998, il Ministero della Sanità, con decreto n , istituisce la figura ed il relativo profilo professionale dell educatore professionale da inserire nei servizi sanitari, stabilendo che siano le Università ad occuparsi della sua formazione attraverso la facoltà di Medicina e Chirurgia in collegamento con le facoltà di Psicologia, Sociologia e Scienze dell Educazione. Di fronte al profilarsi di tre percorsi formativi diversi e al rischio di una netta separazione tra lavoro educativo in ambito socioassistenziale e in ambito sanitario, nel novembre del 2000, Regione ed Università stipulano un protocollo d intesa sulla base del quale si decide: - di istituire un unico canale di formazione per l educatore professionale e cioè il corso di laurea triennale interfacoltà tra Medicina, Scienze della Formazione e Psicologia (attivato a partire dall anno accademico 2002/2003); - di riservare alla Facoltà di Scienze della Formazione la formazione di un operatore destinato esclusivamente al comparto socio-assistenziale con denominazione di educatore socio culturale, attraverso un corso di laurea triennale; - di sospendere l attivazione dei corsi regionali di base per la formazione degli educatori professionali. Attualmente, quindi, per esercitare la professione di educatore, occorre possedere uno dei seguenti titoli: - diploma o attestato di qualifica di educatore professionale o di educatore specializzato o altro titolo equipollente conseguito in esito a corsi biennali o triennali post secondari, riconosciuti dalla Regione e sospesi nel 2002 o rilasciati dall università; - laurea in Scienze dell educazione, indirizzo educatore professionale extra scolastico, indirizzo e curriculum educatore professionale (in esaurimento); - laurea di Educatore Professionale conseguita ai sensi del D. M. 8 ottobre 1998, n Regolamento recante norme per l individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell educatore professionale, ai sensi dell art. 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n

16 1.1.3 L operatore socio sanitario Il profilo professionale dell operatore socio sanitario nasce con un DM del 2000 per riunificare in un unico profilo ADEST (Assistente Domiciliare e dei Servizi Tutelari) e OTA (Operatore Tecnico Addetto all Assistenza), due profili con competenze analoghe ma nati, il primo, in ambito assistenziale e il secondo in ambito sanitario. Ad essere introdotto per primo nella normativa regionale era stato il profilo professionale dell ADEST, definito dalla Regione sin dal 1984, per identificare una figura addetta ai servizi alla persona sia nei servizi residenziali che domiciliari, con competenze spendibili con differenti tipologie di utenti. Diversi interventi normativi (la L. R. n. 20 del 1982 e la Legge di Piano socio sanitario regionale) insieme al progressivo diffondersi di esperienze formative nel territorio piemontese, avevano contribuito al consolidarsi di questa figura che, nel tempo, aveva visto mutare il tipo di utenti a cui fornire il servizio e le funzioni da svolgere. Inserite a pieno titolo nell équipe degli operatori sociali, con compiti di prevenzione e di recupero di situazioni problematiche e complesse, nel 1995, con D. C. R. n , il profilo professionale e i requisiti formativi sono stati aggiornati, per riconoscere loro un ruolo centrale all interno dei servizi socio-assistenziali. In verità le esperienze di formazione di questi operatori risalgono a molti anni prima. Alla fine degli anni Settanta le Regioni, in attuazione del D.P.R. 616 del 1977 e della L. 833 del , avevano istituito corsi gestiti dagli Enti gestori delle funzioni socio-assistenziali al termine dei quali veniva rilasciato un attestato di qualifica professionale obbligatorio per lo svolgimento della professione. Arriva più tardi la figura dell OTA, istituita con D.P.R. n. 384 del , con il compito di svolgere nel settore sanitario - attività alberghiere, di pulizia e manutenzione di utensili, apparecchi, presidi e di collaborazione con il personale infermieristico per atti di cura semplice del malato. In questo modo, si sono venute a creare due figure professionali di base con compiti e funzioni molto simili, l ADEST destinato principalmente ai servizi socio-assistenziali e l OTA a quelli sanitari. Le competenze di questi due operatori trovano soltanto nel 2000 un unificazione nella figura dell OSS, per la formazione del quale la Regione, a partire dal 2002, attiva corsi di formazione e riqualificazione. Le linee di indirizzo per la formazione di base per il conseguimento della qualifica sono contenute nella D.G.R. 46/2002, mentre i moduli integrativi, sono stati regolamentati mediante la D.G.R. 26/2002 e sono indirizzati a: operatori già in possesso della qualifica ADEST, OTA, operatori che già lavorano privi di qualifica e ausiliari specializzati. Attualmente, quindi, per esercitare la professione, è richiesto alternativamente il possesso dei seguenti titoli: - attestato di qualifica di assistente domiciliare e dei servizi tutelari o altra qualifica equivalente, conseguito in esito a corsi specifici riconosciuti dalla Regione; - attestato di qualifica di operatore socio sanitario. 14 Istituzione del servizio sanitario nazionale. 15 Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall accordo del 6 aprile 1990 concernente il personale del comparto del Servizio sanitario nazionale, di cui all art. 6, D. P. R. 5 marzo 1986, n. 68 (2). 14

17 1.1.4 L animatore professionale socio-educativo L animatore professionale socio-educativo è riconosciuto dalla L. R. n. 1 del 2004 come una delle professioni sociali, anche se sulla sua identità continua ad aleggiare uno stato di incertezza e confusione. A creare questa situazione hanno concorso la connotazione politica delle attività di animazione tipiche degli anni Sessanta e Settanta, il mancato interesse delle istituzioni ad una definizione professionale e lo scarso dialogo tra scuole diverse di animazione. In Italia, l animazione nasce verso la fine degli anni Sessanta dalle esperienze di teatro sociale, di pedagogia attiva, di musica e teatro popolare, realizzate da educatori, teatranti, intellettuali, operatori sociali e volontari in sintonia con i valori e le speranze dei movimenti di contestazione che in quegli anni andavano sperimentando pratiche antiautoritarie di democrazia partecipativa. Si fondevano in quelle esperienze echi di tradizioni filosofiche orientali, di correnti artistiche libertarie, di istanze femministe di rivalutazione della corporeità, e altro ancora. A metà degli anni Settanta, soprattutto in Italia Settentrionale, l animazione è diventata una pratica diffusa nella scuola dell obbligo, e si presenta come un metodo di fare scuola centrato sulla libertà del bambino e sui suoi bisogni di espressione. L animatore, da intrattenitore giocoliere diventa formatore e consulente degli insegnanti, acquisendo responsabilità sempre maggiori nei processi di socializzazione e di formazione della personalità. Con la fine degli anni Settanta, l animazione, arrivata al suo punto massimo di diffusione nelle scuole, si sposta verso il territorio, gli interventi nel sociale, le organizzazioni pubbliche di servizi che esprimono una richiesta crescente di animazione senza riuscire a tutelare i professionisti sotto il profilo del riconoscimento giuridico e a valorizzarli per le loro competenze specifiche. La crisi di legittimità che investe gli operatori del settore chiamati a dare ragione dei fondamenti teorici del loro agire e a dimostrare l efficacia dei loro metodi spinge alcuni gruppi verso nuovi tentativi di elaborazione metodologica maggiormente sostenuti da intenti psicopedagogici e socioassistenziali. A questo periodo risale anche il tentativo, effettuato a livello nazionale, di definire i profili professionali e i requisiti di formazione degli animatori. Nel quadro di uno studio promosso dal Ministero dell Interno 16, viene dedicata un apposita riflessione sull animatore del tempo libero e sull animatore socio culturale. Gli orientamenti emersi dal lavoro portano ad una distinzione meno netta tra servizi preventivi, curativi e riabilitativi e tra educatori animatori impegnati con persone normali o a rischio, handicappate o disadattate. I comparti di servizi e interventi nei quali si ritiene che questi operatori possono operare sono quelli socio educativi (prevalentemente a carattere residenziale e semiresidenziale per utenti con bisogni di carattere educativo assistenziale, di apprendimento e reinserimento sociale) e socio culturali (potenzialmente rivolti a tutta la popolazione e orientati a identificare e a rispondere a nuovi bisogni). Si registrano in questi anni due movimenti di segno opposto. Da un lato si assiste a un ridimensionamento consistente dell animazione, dall altro si consolidano alcune esperienze di ricerca e di azione nell ambito delle politiche giovanili degli enti locali, e le prime esperienze di formazione degli animatori all interno di un più ampio dibattito sul futuro di questi operatori e sui differenti orientamenti culturali della professione. Quattro sono i filoni principali: 1. l animazione teatrale ed espressiva focalizza l attenzione sulla ricerca creativa e la liberazione della fantasia attraverso la festa ed il gioco, negli ambiti della scuola e del quartiere; 2. l animazione socio culturale nasce dall evoluzione dell animazione teatrale e fa capo alle esperienze di educazione degli adulti, da un lato, e al modello francese dell animazione socio culturale, dall altro. Le sue azioni si collocano come interventi nel territorio con 16 Nel 1983 il Ministero dell Interno istituisce una Commissione Nazionale di studio per la definizione dei profili professionali e dei requisiti di formazione degli operatori sociali. 15

18 l obiettivo di far crescere le capacità dei gruppi di partecipare e gestire la realtà sociale e politica di appartenenza, in stretto contatto con il settore del volontariato; 3. l animazione del tempo libero deriva dall animazione robinsoniana ed interviene in maniera prioritaria sul tempo libero infantile attraverso attività ludiche nei centri ricreativi, campi gioco, ludoteche, ospedali, incontri sportivi. Il compito dell animatore è quello di organizzare e promuovere attività motorie e creative secondo il modello proposto dalla pedagogia attiva; 4. l animazione socio educativa interpreta l animazione come un modello educativo fondato su una teoria educativa, un metodo validato e una strumentazione particolare. Queste caratteristiche costituiscono la garanzia della sua efficacia sia in contesti scolatici che extra scolastici. In assenza di una normativa di settore esplicita i titoli preferenziali richiesti per esercitare la professione, sono: - attestato di qualifica di animatore professionale rilasciato in esito ai corsi post secondari di durata triennale, attivati dal canale della formazione professionale regionale e sospesi nel 2002; - laurea in Scienze dell educazione, curriculum animatore professionale socio-educativo o lauree con contenuti formativi analoghi. 16

19 1.2 I profili professionali condivisi Riportiamo qui di seguito le schede relative ai profili professionali oggetto del nostro studio, elaborati con il contributo del gruppo di lavoro secondo il modello europeo KSC Assistente sociale DENOMINAZIONE ALTRE DENOMINAZIONI SETTORE DESCRIZIONE BREVE DESCRIZIONE PREREQUISITI Assistente sociale Socio-assistenziale Finalità: L attività dell assistente sociale consiste principalmente: nell intervento sociale per la prevenzione, il sostegno e il recupero di persone, famiglie, gruppi e comunità in situazioni di bisogno e di disagio; nel coordinamento e direzione di interventi specifici nel campo delle politiche e dei servizi sociali; nell informazione e comunicazione nei servizi sociali e sui diritti degli utenti. Riferimenti giuridici: La professione dell assistente sociale è disciplinata dalla Legge 23 marzo 1993 n. 84, Ordinamento della professione di assistente sociale e istituzione dell albo professionale e dalla Legge regionale 1/2004, Norme per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento che individua l assistente sociale come una delle figure professionali dei servizi sociali. Contesti lavorativi possibili: L attività dell assistente sociale può essere svolta in strutture pubbliche e private (Asl, Enti Locali, servizi alla persona, terzo settore) e nei centri riabilitativi dove si richiedono le sue competenze professionali, in regime di dipendenza o liberoprofessionista. La figura è prevista in tutte le normative generali e di settore (handicap, tossicodipendenze, salute mentale, consultori, misure alternative alle pene detentive, extracomunitari). Può quindi operare in servizi e strutture di tutela socio-sanitaria dei minori, di consulenza alle scuole, di assistenza ospedaliera e di tutela della salute mentale, di assistenza a disabili ed anziani, di tutela della maternità e paternità (consultori), di cura e riabilitazione per tossicodipendenti e alcolisti, malati di AIDS, ecc. Prima della riforma universitaria (D.M. 3/11/1999 n. 509, Regolamento recante norme concernenti l autonomia didattica degli atenei ) per diventare assistente sociale occorreva un diploma di scuola media superiore quinquennale e un titolo rilasciato da Scuole Dirette a Fini Speciali (SDFS) o un diploma universitario in servizio sociale di 3 anni (DUSS) e iscrizione all albo professionale mediante Esame di Stato. Con la riforma universitaria è stata prevista la classe di laurea in Scienze del Servizio Sociale e la classe delle lauree specialistiche in Programmazione e Gestione delle Politiche e dei Servizi Sociali. Al termine del percorso formativo condizione necessaria per 17 Per maggiori dettagli vedi nota metodologica. 17

20 l esercizio della professione è il superamento dell esame di stato e l iscrizione obbligatoria all albo professionale. L albo è suddiviso in due categorie: A, per chi è in possesso della laurea specialistica e B, per chi è in possesso della laurea triennale. 18

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