Osservatorio sulla giurisprudenza civile al 15 settembre 2011 a cura di Ottavio Grasso
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1 Osservatorio sulla giurisprudenza civile al 15 settembre 2011 a cura di Ottavio Grasso 1. Corte di Cassazione, Sez. Un., n dell 11 luglio 2011: la Corte riconosce l overrulling. A distanza di circa un anno dalla sentenza che aveva destato non pochi problemi mutando indirizzo giurisprudenziale in merito al termine di costituzione in materia di opposizione a decreto ingiuntivo (cfr. sentenza 19246/2010 Osservatorio al ), le Sezioni Unite riconoscono rilevanza ai cambiamenti di orientamento improvvisi ed inaspettati. La Corte si occupava del termine a partire dal quale doveva computarsi il termine per proporre ricorso in Cassazione avverso le decisioni del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche. Per molto tempo, nell interpretazione degli artt. 183, 200, 201 e 202 del R.D. n del 1933 (T.U. sulle acque e impianti elettrici), la giurisprudenza si era consolidata nel senso che la notifica dell'avviso di trasmissione della sentenza del T.S.A.P. all'ufficio del registro (art. 183, comma 3) fosse inidonea a far decorrere il termine per la proposizione del ricorso per cassazione, che veniva, invece, computato dalla notifica eseguita a norma del successivo quarto comma. Con la pronunzia n. 7607/2010, depositata, precisa il Supremo Consesso, in data successiva alla proposizione del ricorso oggetto del suo esame, le stesse Sezioni Unite avevano ribaltato il pregresso indirizzo. Il caso si pone, dunque, come occasione nella quale affrontare il problema del mutamento di indirizzo giurisprudenziale mentre è già pendente il ricorso. Fatta una premessa sul tema dell interpretazione e sugli stessi caratteri della norma giuridica, la Suprema Corte introduce il tema del c.d. overrulling che ricorre quando un certo comportamento processuale, conforme all interpretazione consolidata, risulti irrituale e non più attuale per effetto di un mutamento di orientamento giurisprudenziale. Mutuando un parallelismo dottrinario, la Corte afferma che, se una legge retroattiva si pone in possibile contrasto con il principio di ragionevolezza, sarebbe illogico ritenere che ciò che non è consentito alla legge possa essere consentito alla giurisprudenza. Di conseguenza i mutamenti giurisprudenziali debbono rispettare il principio di ragionevolezza, non potendo frustrare l'affidamento ingenerato nel cittadino dal pregresso indirizzo ermeneutico, in assenza di indici di prevedibilità della correlativa modificazione. Pertanto, quando il revirèment è imprevedibile (in ragione del carattere consolidato nel tempo del precedente indirizzo) ed idoneo a creare un effetto preclusivo del diritto di azione o difesa della parte (ad esempio perché un azione o un impugnazione diviene inammissibile), la peculiare connotazione dell'overruling, cioè la sua eccezionalità, giustifica una scissione tra il fatto (il comportamento della parte risultante ex post non conforme alla corretta regola 1
2 del processo) e l'effetto, di preclusione, che dovrebbe derivarne. Da una parte, infatti, sarebbe irragionevole, alla luce del principio del giusto processo, la perdita del diritto di azione e di difesa (ed in particolare il diritto ad una decisione di merito sulla controversia); d altra parte ciò finirebbe per ledere l'affidamento del cittadino che, invece, deve essere garantito, quantomeno fino al momento di oggettiva conoscibilità (da verificarsi in concreto) dell'arresto nomofilattico di esegesi correttiva. La Corte precisa, infine, che il mezzo per tutelare la parte dipende dalla specifica norma controversa: ed infatti, questo può consistere o in una rimessione in termini oppure nell'esclusione dell'operatività della preclusione derivante dall'overruling nei confronti della parte che abbia confidato nella precedente interpretazione. 2. Corte di Cassazione, Sez. III, n del 24 maggio 2011: buca coperta dall acqua piovana costituisce caso fortuito? La sentenza registra l ennesimo intervento della Corte di Cassazione in tema di responsabilità della Pubblica Amministrazione per danni da insidia stradale. Si trattava del classico caso della buca stradale su cui inciampa il pedone e dal quale scaturiscono lesioni. La peculiarità del caso è rappresentata dal fatto che la buca fosse ricoperta di acqua piovana. Ferma l applicabilità, ormai pacifica dell art c.c. e, dunque, della presunzione di colpa da cose in custodia, la Corte risolve il problema di quale valore giuridico attribuire alla circostanza che la buca, fonte del danno, sia ricoperta di acqua. Vale a dire, se la non visibilità della buca sia idonea ad elidere la responsabilità. La Corte di Appello aveva concluso per la sussistenza del caso fortuito in grado di elidere il nesso di causalità tra la cosa e il danno e, di conseguenza, ad esonerare il custode della cosa nella specie l amministrazione comunale dalla responsabilità risarcitoria. La Suprema Corte è di diverso avviso, ritenendo, invece, la sussistenza della responsabilità da cose in custodia. Ciò in quanto, dice la Corte, non va confuso un evento, normale e largamente prevedibile, che ha contribuito a causare il danno (la buca ricoperta d acqua) con una causa di interruzione del nesso causale, quasi che si trattasse di evento esterno e non controllabile, di per sé solo sufficiente a provocare l evento. Il fatto che la buca del manto stradale sia ricoperta d acqua, non esclude, ma anzi aggrava la responsabilità della Pubblica Amministrazione. La Corte si spinge addirittura oltre, affermando che non sussiste alcun concorso di colpa del danneggiato per non aver visto tempestivamente la buca, dal momento che la pioggia, nascondendo l irregolarità del manto stradale, lo rende ancor più insidioso, con la conseguenza di escludere, o, quanto meno, limitare la configurabilità del concorso del fatto colposo del danneggiato. 2
3 3. Corte di Cassazione, Sez. III, n del 31 agosto 2011: danno morale come pregiudizio iure proprio sofferto dal prossimo congiunto. La Corte richiama la questione del danno parentale iure proprio. Una giovane donna era stata coinvolta in un incidente e, a causa delle lesioni subite, era stata costretta a sottoporsi ad un aborto terapeutico ed a perdere così il figlio nascituro. Davanti ai giudici di merito non era stato riconosciuto alcun risarcimento, però, per il danno morale patito per la mancata nascita del figlio, né in favore della donna, potenziale madre del nascituro, né in favore degli altri membri della famiglia (padre e fratelli). Si tratta, dunque, del caso dell astratta risarcibilità del danno per la mancata nascita del congiunto, pregiudizio che è stato già riconosciuto dalla giurisprudenza di merito. Va, a tal proposito, chiarito che non si tratta di un risarcimento, iure hereditatis, per il danno patito in capo al soggetto leso. Non essendo nemmeno venuto ad esistenza non può logicamente ritenersi sussistente un diritto al risarcimento del nascituro. Persiste, invece, un diritto al risarcimento del danno morale patito iure proprio ed in via diretta per la mancata nascita. La prematura morte del feto è, cioè, idonea a generare nei congiunti il c.d. pretium doloris. Ciò si lega a quanto affermato dalle note Sezioni Unite 26972/2008, le quali hanno ammesso la risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali patiti dai prossimi congiunti. La Corte, però, non entra nel merito della questione, limitandosi a rigettare per manifesta infondatezza il ricorso unicamente per difetto nella formulazione del motivo di ricorso, con ciò rinviando ad altro momento una sua pronuncia sul tema. 4. Corte di Cassazione, Sez. I, n del 15 settembre 2011: il tradimento come causa di autonomo diritto al risarcimento del danno. La Corte si occupa del rilevantissimo tema dell ammissibilità dell azione di risarcimento danni nei confronti dell ex coniuge, una volta concluso il giudizio sulla separazione ed in via autonoma da esso. Il caso all attenzione della Suprema Corte riguardava la proposizione dell azione risarcitoria esercitata da una donna tradita dal proprio marito, congiuntamente al quale, tuttavia, aveva già chiesto ed ottenuto l omologazione della separazione consensuale. La difesa del coniuge fedifrago contestava la proponibilità-ammissibilità di una simile domanda sul presupposto che la violazione dell obbligo di fedeltà coniugale potesse avere rilievo giuridico, solo ed esclusivamente ai fini della pronuncia della separazione con addebito, e che, comunque, la sussistenza di un accordo in ordine alla separazione personale rendesse infondata la successiva azione risarcitoria. Tali assunti, però, fatti propri dai giudici di merito, sono stati smentiti dal giudice nomofilattico che ha, invece, affermato il principio che nel caso di violazione degli obblighi matrimoniali il comportamento di un coniuge non soltanto può costituire causa di separazione o di divorzio, ma può anche, ove ne sussistano tutti i presupposti secondo le regole generali, integrare gli estremi di un illecito civile. 3
4 La Corte, richiamando il proprio precedente (Cass. n. 9801/2005), premette che, superata la fase nella quale agli obblighi matrimoniali veniva attribuito valore esclusivamente morale e sociale, ad essi è stata definitivamente riconosciuta natura giuridica (cfr. artt. 143, 160 c.c.). Viene poi ribadito che lo statuto della famiglia non è un sistema chiuso. La violazione dei doveri coniugali, cioè, non trova la sanzione unicamente nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, dando luogo alle conseguenze del libro I del codice civile (sospensione del diritto all'assistenza morale e materiale, separazione, divorzio, addebito, assegni, ecc.), ma, proprio in virtù del loro carattere giuridico, può integrare gli estremi dell illecito civile. Se, infatti, la separazione ed il divorzio servono a porre rimedio a situazioni di impossibilità di prosecuzione della convivenza o di definitiva dissoluzione del vincolo, e gli assegni hanno funzione assistenziale e non risarcitoria, residua la possibilità della tutela generale delle situazioni giuridiche di vantaggio nascenti dal matrimonio, dal momento che, nell ambito della famiglia, i diritti inviolabili della persona rimangono tali, cosicché la loro lesione può costituire fatto generatore di responsabilità aquiliana. Va però, precisato, aggiunge la Suprema Corte, che la mera violazione dei doveri coniugali non può, di per sé ed automaticamente, far nascere l obbligo risarcitorio, dovendo, ricorrere i presupposti fissati negli artt e 2059 c.c., come interpretati a seguito delle note Sezioni Unite del In altri termini, il tradimento costituisce, di per sé, condotta trasgressiva dei doveri coniugali e, in particolare, dell obbligo di fedeltà, ma non comporterà automaticamente la sussistenza di un danno (non patrimoniale): esso sorgerà solo se saranno integrati tutti gli elementi costitutivi della responsabilità aquiliana e la produzione dell evento lesivo comporti non una mera sofferenza, ma la lesione di un interesse giuridico costituzionalmente protetto, come, ad esempio, la salute o la dignità della persona. In tale contesto la Cassazione afferma, inoltre, la piena autonomia tra il giudizio di separazione (consensuale, giudiziale, con e senza addebito) e quello risarcitorio. I giudici di merito avevano dichiarato l inammissibilità di un autonoma azione di danno, affermando che tale giudizio fosse precluso laddove i coniugi fossero addivenuti a separazione consensuale: la rinuncia alla pronuncia di addebito da parte del coniuge interessato doveva interpretarsi come implicita volontà di abbandonare l'accertamento delle cause della crisi matrimoniale. Ciò in quanto queste ultime sarebbero accertabili solo nel giudizio di separazione con specifica domanda di addebito. I giudici di Piazza Cavour smentiscono radicalmente questo legame. Per un verso, infatti, tale conclusione deriva da una lettura incompleta della giurisprudenza di legittimità (Sezioni Unite n /2001) secondo cui la dichiarazione di addebito della separazione può essere richiesta e adottata solo nell'ambito del giudizio di separazione, dovendosi escludere l'esperibilità di domande di addebito fuori da tale giudizio. Tale pronunciamento, nel rispetto di quanto statuito dall art c.c., mira unicamente ad attribuire espressamente al giudice della separazione la cognizione sulla domanda volta all accertamento dell addebito. Ma, se in quel giudizio non si ha interesse alla pronuncia di addebito, ciò non preclude la proposizione del giudizio risarcitorio per i medesimi fatti. 4
5 Per altro verso, non è rinvenibile una norma di diritto positivo, né sono ravvisabili ragioni di ordine sistematico che rendano la pronuncia sull'addebito pregiudiziale rispetto alla domanda di risarcimento. Se una la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, per quanto detto prima, può integrare gli estremi di un illecito civile, la relativa azione deve ritenersi del tutto autonoma rispetto alla domanda di separazione e di addebito ed è esperibile a prescindere da dette domande, ben potendo la medesima "causa petendi", vale a dire la violazione dei suddetti obblighi, dare luogo a una pluralità di azioni autonome contrassegnate ciascuna da un diverso "petitum". Il giudicato relativo al giudizio di separazione si formerà coprendo il dedotto e il deducibile unicamente in relazione al "petitum" azionato e non sussiste pertanto alcuna preclusione all'esperimento dell'azione di risarcimento. Tra l altro, aggiunge la Corte, ciò è confermato, da un lato, dal diverso atteggiarsi della violazione dell obbligo di fedeltà nell uno e nell altro giudizio e, dall altro, dalla considerazione che sarebbe del tutto al di fuori della logica del sistema subordinare alla dichiarazione di addebito il risarcimento del danno per violazione di obblighi nascenti dal matrimonio ove tale violazione costituisca reato e abbia dato luogo a condanna penale. 5
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