FEDERAZIONE ITALIANA AZIENDE MUNICIPALIZZATE CENTRALI DEL LATTE ANNONARIE E FARMACEUTICHE (FIAMCLAF)

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1 FEDERAZIONE ITALIANA AZIENDE MUNICIPALIZZATE CENTRALI DEL LATTE ANNONARIE E FARMACEUTICHE (FIAMCLAF) UNIONE NAZIONALE ASSOCIAZIONI PRODUTTORI DI LATTE BOVINO (UNALAT) CONVEGNO SU 'Il ruolo del latte nell'alimentazione dell'uomo' Paestum (SA), ottobre 1991 II Sessione 'La produzione del latte finalizzata alla qualità' 24 ottobre 1991 Donato Matassino ( 1 ) 'Il miglioramento genetico nei bovini per la produzione di latti finalizzati all'uomo' SOMMARIO 1. Introduzione. 2. Problematica Politica 'agro-alimentareambientale' Cenni sulla variazione della struttura demografica umana 'Mete nutrizionali' Latte Proteine

2 Lipidi Ulteriori annotazioni Qualche considerazione sulla manipolazione genica. 3. Conclusioni. 4. Opere citate. ( 1 ) Cattedra di Zootecnica generale e miglioramento genetico - Dipartimento di Scienza della produzione animale - Università degli Studi di Napoli 'Federico II' Portici - Italia. 1. Introduzione Un cultore di genetica applicata non vive nel contingente, ma deve essere particolarmente attento ai fenomeni socio-economici e culturali in atto e alle loro tendenze. Ciò è fondamentale ai fini della programmazione di qualsiasi piano di miglioramento genetico, specialmente nel caso di specie animali, come i bovini, il cui tasso di riproducibilità è basso e occorrono almeno 2 anni mediamente prima che una femmina di un tipo genetico a prevalente attitudine alla produzione lattea inizi la sua attività produttiva. Pertanto, mi soffermerò prima su aspetti generali e poi specifici del miglioramento genetico per produrre latti a 'misura d'uomo' dal bovino. Il miglioramento genetico nei bovini (come negli altri mammiferi interessati allo stesso problema) per la produzione di latti finalizzati al consumo diretto da parte dell'uomo è un problema complesso ma risolvibile sul piano sia biologico che operativo. La complessità è insita nella multiforme esplicazione dei fenomeni biologici che condizionano le modalità di manifestazione di un' espressione fenotipica ('carattere'). Poiché la conoscenza di quest'ultima, nello specifico la produzione di latti diversificati, costituisce il problema principe, essendo gli altri un corollario, sorge la necessità di individuare un percorso che riesca a soddisfare l'esigenza di dare risposte concrete, costruttive e previsionali alla domanda tesa a disporre di strumenti capaci di indicare nella dimensione spazio-temporale livelli ottimali delle prestazioni degli animali in produzione zootecnica. Questa esigenza può essere soddisfatta, oggi come oggi, solo in termini di impostazione 'sistemica', il cui costrutto concettuale tende ad affrontare la soluzione dei problemi in termini di aspetti globali e, quindi, di coordinamento nel tutto di ogni singolo elemento (Matassino, 1984a). Questo convegno è un esempio mirabile di impostazione sistemica. La individuazione corretta dell'espressione fenotipica 'latte' investe aspetti dottrinali e operativi di notevole complessità. Lungi dal voler passare in rassegna, anche sommariamente, ognuno di questi aspetti, riteniamo opportuna qualche riflessione generale che possa contribuire di piú alla impostazione delle soluzioni portanti alla produzione di latti diversi, per soddisfare 2

3 le differenti esigenze in nutrienti dell'uomo considerato nella sua articolazione in categoria 'demografica', esprimibile in termini di età, di attività e di funzione fisiologica (gestanti, ad esempio). Pertanto, in un contesto socio-economico fortemente dinamico perché sempre piú legato a fenomeni planetari, a repentine variazioni 'epocali' e a continue acquisizioni sulla mirabile organizzazione biologica degli esseri viventi, una individuazione meno errata di una espressione fenotipica in relazione allo scopo da raggiungere è pregiudiziale per qualsiasi piano di miglioramento genetico. Questa individuazione permette di superare, sia a livello dottrinale che operativo, tutti quei vincoli dovuti al fatto che un 'carattere' è il risultato degli effetti, singoli e interativi, di un coacervo di fenomeni biologici, ognuno con una base genetica semplice o complessa e influenzabile diversamente dai fattori ambientali caratterizzanti un determinato microambiente, identificabile in ultima analisi con il singolo allevamento. Infatti, non a tutti i livelli di organizzazione (submolecolare, molecolare, ultrastrutturale, cellulare, tessutale, organistico, organismico, popolazionistico, biocenotico, ecosistemico) il carattere può essere considerato come un attributo individuale, perché non lo è sotto il profilo sia biologico che tecnologico, essendo il 'carattere' il risultato dell'effetto di numerose variabili. Ognuno di questi livelli è fornito di mezzi peculiari inerenti a: l'informazione, il controllo dell'informazione e la regolazione della risposta. Pertanto, ogni 'carattere' può originarsi da una base strutturale, identificabile con una molecola, si sviluppa a livello di ordine superiore via via piú complesso e termina con uno o piú risultati finali. Ciascuno di questi risultati è dovuto a un 'continuum' di processi di adeguamento del 'complesso genico integrato' di un organismo grazie a due aspetti dello stesso fenomeno genetico: l'adattamento alle condizioni del mezzo e i cambiamenti evolutivi. Pertanto, elevata è la 'flessibilità' del fenotipo a opera dei suoi potenti meccanismi omeostatici (Bettini, 1972; Matassino, 1978). Essendo, pertanto, impossibile una individuazione univoca del 'carattere', è piú che opportuno precisarlo esattamente nei suoi termini e nei suoi limiti ogni volta che bisogna predisporre un piano di miglioramento genetico. Ciò significa ricercare, di volta in volta, soluzioni individuali ma fortemente teleologiche. In questo contesto, l'imprenditore zootecnico svolge un ruolo insostituibile, specialmente per quanto concerne il suo rapporto con l'animale allevato. Infatti, il continuo progredire delle 'tecnologie della vita' inserisce l'animale in produzione zootecnica in un microambiente sempre piú 'culturale' e sempre meno 'naturale', essendo la componente antropica fortemente determinante dei diversi momenti dell'esistenza dell'animale. Tuttavia, la società animale 'tecnocratica', cosí com'è organizzata nelle grandi imprese zootecniche, non può costituire, normalmente, la condizione ottimale per uno sviluppo normale del singolo animale allevato. Allo scopo di evitare di essere il frutto della mera legge dell''attrazione della media', indubbiamente di livello culturale inferiore, è indispensabile che l'imprenditore zootecnico 3

4 ricorra all'ausilio di nuove conoscenze proprie dell'etologia, della zoopsicologia e della zoosociologia. Conoscenze che permettono di individuare le norme che regolano la vita di relazione fra gli animali e fra questi e il microambiente in cui essi sono inseriti, includendo in quest'ultimo la vita di relazione che si concretizza attraverso le reti semiotiche biologiche e culturali, per cui si può ritenere che tutti i fenomeni biologici e culturali - 'stricto sensu' - sono aspetti del trattamento dell'informazione. L'allevatore deve considerare l'animale allevato non una mera macchina trasformatrice di energia (anche se per semplicità schematica viene principalmente considerato tale), ma una vera e propria macchina cibernetica biologica fortemente integrata, neghentropica, capace di scambiare energia con informazione e di percepire i messaggi che giungono dall'esterno, ed è dotato di sensibilità e di proprietà opzionali i cui livelli variano in relazione alla scala tassonomica di appartenenza. Pertanto, l'animale, considerato come un 'intero pluridimensionale', non può essere deprivato di un certo ambiente psichico e affettivo, essendo esso il vero protagonista ('soggetto') dell'attività produttiva. In questo contesto, molta enfasi va attribuita alla 'riscoperta' della nicchia ambientale o 'ecologica' costruita a misura dell'individuo (Matassino, 1984b). 2. Problematica Nell'impostare qualsiasi programma di miglioramento genetico per la produzione di latti finalizzati per il consumo diretto da parte dell'uomo non si può prescindere dalla conoscenza di una serie di variabili e dall'influenza che queste variabili possono esercitare ai fini decisionali da parte dell'allevatore. Tutto ciò indipendentemente da quelli che sono i problemi che il genetista zootecnico deve, eventualmente, risolvere sulla base della conoscenza delle modalità di espressione dei geni interessati e del significato fisiologico, adattativo e tecnico del prodotto di questi geni e delle interazioni fra di loro e fra questi e i fattori ambientali interni ed esterni all'animale in produzione zootecnica. Queste variabili del sistema produzione lattea possono essere semplificate, per ovvi motivi espositivi, come segue: (a) politica generale e specifica riguardante il comparto 'agro-alimentare-ambientale' su base nutrizionale a livello nazionale, ma inserito in un contesto di internazionalizzazione dell'economia di produzione e commercializzazione dei prodotti dell'agricoltura; (b) variazione temporale e spaziale della consistenza della popolazione umana e della sua struttura categoriale, almeno per ampie classi di età; (c) utilizzazione di latti diversificati nell'ambito di diete atte a soddisfare le differenti esigenze in nutrienti delle diverse categorie di consumatori in funzione delle 'mete nutrizionali' previste al fine di salvaguardare la salute del consumatore; 4

5 (d) quale corollario dei punti precedenti, precise richieste all'imprenditoria zootecnica dei tipi di latte da produrre, precisando le caratteristiche qualitative di ciascuno tipo e, possibilmente, la relativa quantità; variabile questa 'pregiudiziale' per poter affrontare (o modificare) con non molti rischi un'attività produttiva che richiede impegni finanziari notevoli e i cui primi interessi si riscuoteranno dopo alcuni anni, stante il basso tasso di riproducibilità della specie bovina; questa considerazione conserva una sua indiscussa validità anche alla luce dell'impiego di biotecniche innovative (ad esempio, trasferimento embrionale e clonazione dell'embrione). Esamineremo, ora, molto brevemente queste variabili, anche se ciascuna richiederebbe un'ampia trattazione per la sua influenza sul momento produttivistico Politica 'agro-alimentare-ambientale' Alla vigilia dell'aurora del 3. millennio, le sfide che vengono poste rendono non piú dilazionabile programmare, e attuare poi, una seria politica 'agro-alimentare-ambientale' su articolate basi nutrizionali. Non è piú concepibile produrre 'quantità' avulsa dalla qualità nutrizionale del prodotto. Sono piú che maturi i tempi per realizzare una profonda svolta nella impostazione di una politica di tutto il sistema produttivo agricolo e, segnatamente, di quello da latte per il consumo diretto. Latte che dovrà soddisfare esigenze diverse da quelle richieste per la sua utilizzazione casearia. Nel 1989, il latte bovino ha contribuito per il 25,5 per cento (circa milioni di tonnellate) alla disponibilità di proteine di origine animale sul pianeta terra; questo contributo è stato del 35,2 per cento (4.052 milioni di t) nell'europa occidentale; 28,8 (1.800 milioni di t) nei Paesi mediterranei; 16,8 per cento (92 milioni di t) nei Paesi mediterranei africani; 22,8 per cento (146 milioni di t) nei Paesi mediterranei asiatici; 30,8 per cento (1.562 milioni di t) nei Paesi mediterranei europei e 35,2 per cento (330 milioni di t) nell'italia. Le diversificate strategie attuanti piú linee politiche devono prevedere la identificazione di meccanismi atti a garantire il successo di una politica alimentare su base fortemente nutrizionale. Queste strategie dovranno prevedere almeno quanto esplicitato di seguito. 1. La revisione della politica dei prezzi dei prodotti agro-alimentari, in quanto è noto che il prezzo può orientare notevolmente la scelta del singolo consumatore, che spesso non è in grado di valutare un alimento per le sue caratteristiche nutrizionali; l'obiettivo potrebbe essere raggiunto con una strategia fiscale basata su incentivi o disincentivi differenziati per singolo prodotto. 2. Il rigoroso controllo della composizione in nutrienti di ciascun prodotto commerciato al fine di garantire il benessere del consumatore, quindi la salute pubblica, con grande beneficio finanziario per lo Stato. 5

6 3. L'attuazione di sistemi educativi per il consumatore medio che deve essere in grado di comprendere l'etichettatura nutrizionale riportata sul prodotto; compito da riservare ad appositi educatori sanitari che devono operare specialmente a livello scolastico. 4. La trasmissione di messaggi chiari e precisi all'allevatore, affinché questi, nella sua autonomia imprenditoriale, possa mettere in atto tutti quegli strumenti necessari per raggiungere gli obiettivi che gli sono richiesti dalla comunità consumatrice; in questa fase insostituibile è il ruolo di rilevamento di dati e di consulenza che deve svolgere la sua organizzazione, indentificabile nell' Associazione italiana allevatori (AIA). Infatti, solo grazie al controllo sistematico e interessante i vari tipi genetici allevati effettuato da un trentennio dall'aia, oggi è possibile disporre di elementi conoscitivi che costituiscono le fondamenta per costruire l'edificio del miglioramento genetico in funzione delle variegate richieste del consumatore; richieste che tendono a divenire sempre piú differenti in relazione alla diversità quanti-qualitativa di nutrienti richiesti in funzione del variabile 'status' metabolico dell'uomo. In questo contesto, il controllo della produzione del singolo soggetto allevato costituisce lo strumento principe per risolvere la problematica connessa a una corretta individuazione di una espressione fenotipica o 'carattere' in relazione allo scopo o agli scopi che si vuole o si vogliono conseguire; conoscere un 'carattere' deve significare avere nozione dell'origine della sua variabilità e della valutazione dell'effetto delle cause responsabili di tale diversità di manifestazione; da ciò scaturisce che il controllo funzionale, eseguito dall'aia, è e sarà uno strumento fondamentale per la conoscenza dell'individualità del soggetto allevato e della variabilità fenotipica e genetica di questa individualità (Matassino, 1984b). L'allevatore, mediante i controlli, è in grado di conoscere ogni suo animale allevato nelle sue singole espressioni fenotipiche e può usufruire di una vasta serie di servizi, quali - ad esempio - il controllo dell'impianto di mungitura, il controllo e la formulazione della dieta alimentare al minimo costo in relazione a ogni categoria allevata, la programmazione degli accoppiamenti, l'assistenza sanitaria, la consulenza ginecologica. Il complesso di questa consulenza e di questi servizi permette, da un lato, di ottenere un latte di qualità dalle ottimali caratteristiche igienico-sanitarie e, dall'altro, consente una razionale gestione dei fattori della produzione, quindi dei relativi costi. Inoltre, l'utilità di aderire ai predetti controlli è data anche dal fatto che le nuove frontiere della selezione diventeranno sempre piú ampie e piú meravigliose, ma anche sempre piú complesse, per cui solo con la consulenza della propria organizzazione sarà possibile raggiungere determinati avanzati traguardi produttivi. Non è superfluo, inoltre, ricordare che i diversi momenti caratterizzanti l'allevamento (riproduzione, alimentazione, produzione, sanità, flussi demografici, ecc.) devono essere considerati un insieme funzionalmente organico, cioè un vero e proprio sistema con tutte le implicazioni relative (Matassino, 1982). Questa impostazione sistemica permetterà di giungere alla conoscenza e alla caratterizzazione dell'individualità aziendale e del suo grado di efficienza. In questo contesto, 6

7 una 'educazione permanente' dell'allevatore è l'unico strumento in grado di produrre una vera e propria 'professionalità dinamica' (Matassino, 1987). 'Educare' va inteso nell'accezione di stimolare l'attitudine e la sensibilità dell'individuo ad acquisire e a trasmettere elementi culturali i quali, a loro volta, determineranno correzioni di comportamento in senso 'lato' e saranno capaci di innescare processi diversificati in relazione a ogni determinata situazione storica e culturale e di inserire totalmente una persona all'interno delle varie istituzioni culturali, imprenditoriali e sociali con una funzione non di mera assuefazione e/o di subordine ma di protagonismo perfettamente integrato e in sintonia con le finalità del sistema in cui la persona è inserita. Solo un'educazione 'permanente' è in grado, specialmente oggi e ancora di piú domani, di permettere uno sviluppo integrale dinamico dell'imprenditore agricolo, nel senso che quest'ultimo può sviluppare continuamente la sua personalità lungo tutto l'arco della sua vita ed essere in perfetta sintonia con le trasformazioni culturali in senso 'lato' della società di appartenenza. Il raggiungimento di questo mirabile obiettivo è possibile se, ad esempio, l'organizzazione degli allevatori (AIA) continuerà a svolgere pienamente il suo ruolo istituzionale: integrazione delle produzioni animali nel sistema produttivo favorendo, con opportuni strumenti culturali e operativi, l'acquisizione da parte degli allevatori di tutte quelle conoscenze indispensabili, fortemente interdisciplinari, e in grado di facilitare l'inserimento di questa ammirevole attività produttiva nel complesso mondo imprenditoriale che è notevolmente caratterizzato da complicati rapporti e fenomeni sociali. Da quanto finora esplicitato, si desume che l'impatto delle possibili iniziative da intraprendere sull'economia di una nazione richiede un approfondito esame globale della problematica connessa alla politica alimentare su base nutrizionistica per poi giungere a una oculata programmazione. Probabilmente, non è da sottovalutare la possibilità di giungere alla istituzione di un apposito Consiglio nazionale per l'alimentazione in grado di definire dinamicamente una politica alimentare nazionale su base nutrizionistica le cui linee fondamentali dovrebbero dare indicazioni sulle modalità di adeguamento dei consumi alimentari alle esigenze nutrizionali, coinvolgendo tutti i settori interessati: da quello produttivo a quello sanitario a quello educativo a quello distributivo. Tale organismo non sarebbe nuovo, in quanto esso esiste già dal 1985 in Francia e opera sotto il patrocinio del Ministero dell'agricoltura Cenni sulla variazione della struttura demografica umana Lo sviluppo demografico e i movimenti migratori, per le implicazioni connesse, costituiscono i due pilastri fondamentali sui quali erigere tutto l'edificio progettuale del futuro. Il rapido superamento di tutta una serie di vincoli e il bisogno del singolo di comunicare con gli altri, qualunque sia la diversità culturale, comporteranno un notevole cambiamento negli stili di 7

8 vita. Questi profondi cambiamenti, indipendentemente dall'area interessata, si ripercuoteranno sulle politiche generali e specifiche dei vari paesi e sulle interrelazioni fra i paesi. La politica del sistema 'agro-alimentare-ambientale' sarà notevolmente condizionata dallo sviluppo demografico e dalla forte variabilità di questo sviluppo fra le aree, con particolare riguardo alla piramide dell'età della popolazione. La tabella I e i grafici I VIII riportano la variazione nella consistenza della popolazione umana nella sua totalità e distintamente per sesso e per alcune categorie dal 1970 al 2050 sul pianeta terra e per alcune aree geografiche [Europa occidentale, Paesi mediterranei (tutti, africani, asiatici ed europei) e Italia]. Secondo le proiezioni riportate nella tabella I e nei grafici I VIII, considerando un tasso demografico 'medio' di incremento, la popolazione umana dovrebbe raggiungere: (a) sul pianeta terra: 6,251 miliardi nell'anno 2000, 7,191 nel 2010, 8,851 nel 2030 e 9,684 nel 2050; (b) nei Paesi dell'europa occidentale: 363, 364, 355 e 341 milioni rispettivamente negli anni 2000, 2010, 2030 e 2050; (c) nei Paesi mediterranei: 448, 498, 574 e 609 milioni rispettivamente negli anni 2000, 2010, 2030 e 2050; (d) nei Paesi mediterranei africani: 148, 176, 223 e 232 milioni rispettivamente negli anni 2000, 2010, 2030 e 2050; (e) nei Paesi mediterranei asiatici: 94, 111, 140 e 154 milioni rispettivamente negli anni 2000, 2010, 2030 e 2050; (f) nei Paesi mediterranei europei: 207, 210, 211 e 207 milioni rispettivamente negli anni 2000, 2010, 2030 e 2050; (g) in Italia: 59, 57, 55 e 49 milioni rispettivamente negli anni 2000, 2010, 2030 e Variazione per classe di età. L'aspetto piú interessante è il cambiamento numerico e percentuale previsto nella composizione della popolazione per classi di età (tabella I). A livello del pianeta terra, si sottolineano due forti tendenze: una diminuzione progressiva dell'incidenza percentuale della classe 'nascita - 14 anni' (dal 31,3% nel 2000 al 28,5 nel 2010 al 22,6 nel 2030 all'11,3 nel 2050) e un'incremento di quella '> 60 anni' (dal 9,8% nel 2000 al 10,6 nel 2010 al 15,8 nel 2030 al 26,5 nel 2050); numericamente, quest'ultima classe di età risulta pari a 1,398 miliardi nel 2030 e a ben 2,562 miliardi nel Nell'ambito delle sei aree geografiche considerate si ha un andamento non diverso da quello generale, però a livello dei Paesi mediterranei africani e asiatici si ha un progressivo e forte incremento nell'incidenza percentuale della classe di età '25 59 anni'; incidenza che tende a raddoppiare nel giro di anni, specialmente nell'ambito del Mediterraneo africano. Per quanto concerne l'italia, le proiezioni indicano che l'incidenza percentuale della classe di età '> 60 anni' passa dal 19,3 del 1990 al 22,0 nel 2000 al 24,6 nel 2010 al 30,9 nel 2030 al 36,7 nel 2050, i cui valori assoluti 8

9 risultano rispettivamente 11, 13, 14, 17 e 18 milioni; le stesse proiezioni relative ai paesi dell'europa occidentale sono: 19,8, 21,1, 23,6, 30,7 e 43,7, rispettivamente. Questi valori sono passibili di aumento se si considera che una incisiva politica nutrizionale può contribuire molto ad aumentare l'età media dell'uomo su tutto il pianeta terra. Indubbiamente, queste variazioni della struttura demografica per età influenzeranno notevolmente la futura politica 'agro-alimentare-ambientale' su base nutrizionale, con particolare riguardo ai prodotti di origine animale, compreso il latte utilizzato per il consumo diretto. Particolare attenzione meriterà sempre di piú la categoria degli ultrasessantenni 'Mete nutrizionali' Nell'ambito di una politica nutrizionale per 'mete', il latte, nella sua possibile diversificazione produttiva, può contribuire notevolmente alla soluzione dei non semplici problemi connessi a una razionale alimentazione. Infatti, una politica nutrizionale non può che prevedere il raggiungimento di traguardi sempre piú avanzati in termini di dieta. La gradualità trova una prima motivazione nella multiculturalità della società umana e una seconda nella necessità di risolvere i problemi connessi alle inevitabili modificazioni da apportare al sistema produttivo agro-alimentare alla luce dei riflessi che tali cambiamenti avranno sugli attuali assetti sociali e organizzativi del mondo produttivo interessato. Per ragioni di tempo mi limiterò a evidenziare qualche aspetto delle interconnessioni tra nutrizione e salute nell'ottica di futuri possibili impieghi di latti diversificati. Una 'meta nutrizionale' che rivestirà sempre piú importanza sarà quella interessante la dietetica dell'uomo di età superiore ai 60 anni, in quanto - come evidenziato nel capitolo precedente - vi sarà un forte incremento numerico e percentuale di questa classe di età. E' noto che l'invecchiamento, anche fisiologico, determina profonde modificazioni delle funzioni organiche, variabili temporalmente e quantitativamente in relazione a fattori di natura genetica e ambientale; pertanto, una migliore conoscenza della gerospettroclinia e delle relazioni fra questa e latti bovini diversificati potrà contribuire notevolmente al prolungamento temporale del livello ottimale dell'oscillazione delle funzioni bioperiodiche nella loro attività fisica e tonica. Normalmente, con l'avanzare dell'età insorgono patologie complesse, sovente asintomatiche, correlate a errori dietetici, spesso dipendenti da una eccessiva standardizzazione dell'alimentazione. Pertanto, in geriatria è necessario personalizzare la dieta, specialmente considerando che la funzionalità dell'apparato digerente e di tutti gli organi 'bersaglio' condiziona la omeostasi metabolica del singolo in funzione dell'apporto in nutrienti. Errori dietetici accelerano la senescenza e causano l'insorgenza di malattie 'età-dipendenti' (ad esempio: diabete mellito senile, osteoporosi, osteopatie, neoplasie, ecc.). 9

10 La presenza di proteine di origine animale nella dieta dell'anziano viene ritenuta ormai indispensabile in relazione alla possibilità di favorire un rallentamento del fenomeno della senescenza e di rendere reversibili danni metabolici anche in condizioni di bassa funzionalità. Infatti, l'elevato valore biologico di queste proteine favorisce la riattivazione delle funzioni vitali, tra cui quelle del sistema nervoso centrale; sistema che, operando la sintesi di neurotrasmettitori e di neuromodulatori, modula - fra l'altro - la sensazione di fame e di sazietà e controlla l'omeostasi psico-neuroendocrino-immuno-metabolica che è responsabile del benessere psico-fisico dell'individuo (Matassino et al., 1991). McCarron (1983) riferisce che il calcio ha una funzione particolarmente importante nel rallentare lo sviluppo dell' ipertensione. Si ritiene che notevoli apporti di calcio nella dieta quotidiana siano necessari per limitare le perdite di massa ossea, sia in soggetti normali che in quelli affetti da osteoporosi (Nordin et al., 1979). Un aspetto da sottolineare è che tale massa ossea tende progressivamente a ridursi a partire dai 30 anni di età. E' noto che tale perdita è particolarmente accentuata nelle donne dopo la menopausa. Una piú elevata massa ossea durante l'infanzia e l'età giovanile ritarderebbe notevolmente l'eventuale raggiungimento del livello critico con l'avanzare dell'età. Pertanto, forte è il ruolo che esplica il contenuto in calcio della dieta nel favorire o meno questa perdita di massa ossea. Indubbiamente altri fattori, fra cui quelli ormonali, sono da considerare nel processo di riduzione della massa ossea. Parfitt (1983) ritiene che, nonostante l'importanza attribuita al calcio, la correlazione fra consumo di calcio e massa ossea corticale è piuttosto debole. Tuttavia, numerose ricerche hanno ampiamente evidenziato che un apporto basso di calcio è fortemente predisponente all'osteoporosi e ciò è particolarmente accentuato nelle popolazioni con alta incidenza di deficienza lattasica, quindi con bassi consumi di latte. Un basso apporto di calcio con la dieta può indurre un iperparatiroidismo secondario che accelera il processo di perdita di osso corticale (Parfitt et al., 1982). Osservazioni su soggetti alimentati con dieta a base di latte e di vegetali hanno messo in luce un forte rallentamento nella perdita di calcio; ciò viene attribuito all'elevato apporto di calcio con il latte, alla minore presenza di aminoacidi solforati per assenza di carne nella dieta e al notevole effetto tampone esercitato dalla cospicua presenza di fibra nella dieta. Numerose patologie da 'civiltà', che si evidenziano specialmente con l'avanzare dell'età dell'uomo, possono essere prevenute e/o ridotte nella loro incidenza con una dieta ove vi sia presenza di determinati latti che in tempi brevi potranno essere prodotti direttamente dagli animali. Dall'insieme delle precedenti considerazioni scaturisce che 'mete nutrizionali', individuate sulla base dei consumi medi nazionali, sono da scartare per i forti rischi che possono provocare nella programmazione di politica alimentare. Pertanto, una seria e concreta politica di individuazione di 'mete nutrizionali' deve tenere conto almeno: 10

11 (a) della variabilità nei comportamenti alimentari, correlata, spesso, alla multiculturalità delle comunità umane; (b) della diversità in esigenze di nutrienti in funzione dell'età, dell'attività svolta, dello stato fisiologico (gestante, allattamento, ecc.); (c) del grado di vulnerabilità di determinati gruppi di individui indentificabili con quelli a elevato rischio; (d) della possibilità di conciliare una strategia di popolazione con quella dei gruppi ad alto rischio, in quanto si ritiene che ambedue le comunità debbano beneficiare di tutti quei suggerimenti atti a modificare il comportamento alimentare per trarre il massimo beneficio possibile in termini di salute. Infine, qualsiasi strategia nutrizionale deve conciliarsi con la realtà produttiva 'agroalimentare' in atto, affinché non si abbiano forti e improvvisi effetti negativi sul reddito degli imprenditori interessati. Ciò è particolarmente importante per l'imprenditoria zootecnica del bovino da latte, perché le possibili modifiche richiedono forti investimenti e tempi relativamente lunghi dipendenti dal basso tasso di riproducibilità di questa specie, nonostante - come già accennato- l'impiego sempre piú intenso di biotecniche innovative Latte E' noto che il latte è un prodotto animale fornito dai mammiferi, la cui composizione centesimale media può essere sintetizzata come nella tabella II. La composizione centesimale media del latte bovino è riportata nella tabella III. Il modello "contenuto proteico 'in toto' del latte" bovino è rappresentabile come nella tabella IV. Il quadro I riporta alcuni fattori influenzanti la composizione chimica del latte. La tabella V riporta il valore medio e il livello di variabilità, distintamente per tipo genetico, del contenuto percentuale in grasso e in proteine del latte delle bovine sottoposte al controllo funzionale da parte dell'aia. I valori riportati sono molto eloquenti: (a) la percentuale di grasso varia da un valore medio inferiore di 3,46 (Bianca padana) a uno superiore di 5,08 (Jersey); per la Frisona italiana si ha un valore medio pari a 3,49 e una deviazione standard di 0,38 e ciò sta a significare che delle lattazioni controllate: (i) i 2/3 variano da 3,11% a 3,87% e (ii) il 95% fra 2,73% e 4,25%; questa variabilità, come quella degli altri tipi genetici, non è priva di significato operativo al fine di produrre un latte per essere consumato da determinate categorie di persone; infatti, con opportuni programmi di selezione è possibile produrre un latte a basso contenuto di grasso, il cui valore biologico è da considerare senz'altro superiore a quello di pari valore ma ottenuto mediante manipolazione; inoltre, sempre ai fini di produrre latti 'a misura d'uomo', sarebbe utile, anzi non rinviabile, la determinazione individuale dei vari acidi grassi del latte allo scopo di poter disporre in tempi 11

12 brevi di informazioni indispensabili per la stima della ereditabilità dei diversi componenti il grasso del latte; conseguentemente, conoscendo il valore di questo indicatore di variabilità genetica, sarà possibile redigere opportuni programmi di miglioramento genetico aventi lo scopo di moltiplicare soggetti atti a produrre un latte dalle caratteristiche desiderate; (b) la percentuale di proteine 'in toto' varia da un valore medio minimo pari a 3,07 [Frisona italiana, non considerando la Burlina (3,02) per il modesto numero di osservazioni] a uno massimo di 3,85 (Jersey), cui segue la Podolica (3,59) e la Piemontese (3,43); complessivamente la variabilità della percentuale di proteine è inferiore a quella della percentuale di grasso; tuttavia, la variabilità esistente può essere opportunamente utilizzata a scopi selettivi per incrementare o diminuire questo componente del latte. Inoltre, sarebbe particolarmente interessante se in un prossimo futuro fosse determinato il contenuto dei soli protidi e non dell'azoto totale, in quanto - com'è noto - per effetto di fattori ambientali (specialmente di natura alimentare) il contenuto proteico attualmente determinato è superiore a quello reale (la differenza può essere anche superiore al 10 per cento). Cosí, ad esempio, secondo Donkin et al. (1989), la somministrazione degli aminoacidi lisina e metionina in forma protetta comporta un aumento della percentuale di proteine (3,25 contro 3,15) e, in particolare, un incremento del contenuto in α- e β-caseine e un decremento di quello in k-caseine. Un ulteriore progresso cognitivo sarebbe dato dalla conoscenza della composizione aminoacidica di latti individuali e del valore di ereditabilità di questa composizione. Opportuni confronti fra il modello proteico 'in toto' del latte umano e quello bovino potrebbero suggerire elementi semantici per un miglioramento genetico del bovino da latte fortemente teleologico per l'uso di questo latte nell'alimentazione umana. Questo confronto va esteso anche al modello amminoacidico, specialmente se si considera la possibilità di produrre un latte con un maggiore valore biologico. Non va dimenticato che il latte bovino offre utilizzazioni proteiche di grande significato nutrizionale specialmente nel processo di invecchiamento per il particolare contenuto in amminoacidi essenziali che svolgono un ruolo insostituibile per il funzionamento di vari organi e apparati (sistema nervoso, fegato, trofismo cellulare, sintesi ormonali, turnover proteico, ecc.). In base alle considerazioni fatte in precedenza, la domanda a cui rispondere può essere formulata brevemente come segue: è possibile indurre le bovine a produrre latti diversificati per soddisfare in modo razionale le esigenze futuri in nutrienti dell'uomo? La risposta, sotto l'aspetto biotecnico, è positiva, specialmente se si farà ricorso a biotecniche innovative. Pertanto, si può ritenere che una produzione di latti diversificati sia in grado di ridurre notevolmente la conflittualità delle 'controversie nutrizionali'. Nel programmare una futura politica di maggiore valorizzazione del latte molta enfasi va data alla proposta di raggiungere le 'mete nutrizionali' programmate. Infatti, si va sempre piú verso l'uso di alimenti salutistici: ad esempio, per l'anziano bisognerà disporre di un prodotto povero di colesterolo e di determinati acidi grassi saturi, ricco di calcio, di fibra e di proteine; 12

13 nella prima infanzia, sarebbe inopportuno l'impiego di latte a bassissimo contenuto in grasso, poiché con l'allattamento al seno il bambino ingerisce un latte con 3,4% di lipidi; ciò sta a significare che la dieta di svezzamento dal seno materno deve prevedere l'uso di un latte che abbia un contenuto in lipidi praticamente identico; in piú, è stato anche rilevato che l'uso prematuro di un latte con un basso contenuto in lipidi provoca un consumo eccessivo di sodio attribuito alla maggiore ingestione di latte da parte del bambino per soddisfare le sue esigenze energetiche. A livello nazionale, nel 1990 la quantità di latte bovino destinato al consumo diretto si aggirerebbe intorno ai 37 milioni di q (Assolatte, 1991) di cui: circa 23 milioni (62 per cento) di latte 'crudo e pastorizzato' e 14 milioni (38 per cento) di latte 'a lunga conservazione'; il consumo annuo medio per residente risulta pari a: 64, 40 e 24 kg, rispettivamente. Prima di riferire sulle possibilità di manipolazione genetica, è opportuno soffermarsi brevemente su alcuni aspetti importanti ai fini del raggiungimento del nostro obiettivo Proteine Le proteine del latte svolgono un ruolo nutrizionale fondamentale nel mammifero, in senso sia generale che come fonte di peptidi svolgenti fondamentali funzioni biotiche. Sul contenuto proteico 'in toto' del latte individuale ci siamo soffermati, anche se brevemente, in precedenza. Le differenze individuali per la percentuale di proteine 'in toto' di natura genetica, quindi trasmissibili dai genitori ai figli, sono dell'ordine dello 0,24 0,70 per cento (tabella VI). Ciò sta a significare che con un opportuno programma di selezione orientata noi possiamo aumentare o diminuire questa percentuale. Un aspetto interessante da considerare in questo contesto è la composizione del latte colostrale bovino (tabella VII). I valori rilevati rivestono un grande significato fisiologico, biologico ed euristico. La notevole diversità rispetto al latte secreto dopo il 4-5/d dal parto pone problemi altamente suggestivi, di natura sia scientifica sia tecnico-applicativa, sulla genesi di questa variabilità comportamentale della mammifera in produzione. Una considerazione semplice: la vacca produce, in determinate condizioni fisiologiche, un latte piú ricco di proteine 'in toto' di quello normale; pertanto, deve essere possibile individuare quei meccanismi, genetici prima e ambientali intrinseci poi, responsabili di questa diversità. La scoperta di questi meccanismi sarebbe foriera di utilizzazione del latte con notevoli rendimenti sia per il consumo diretto che per quello destinato alla trasformazione casearia o al frazionamento in ingredienti funzionali per alimenti ricostituiti. Da un punto di vista nutrizionale, il contenuto totale in proteine ha scarso significato, mentre fortemente semantica è la conoscenza della funzione biochimica e del ruolo fisiologico che esplica una determinata proteina o meglio un suo 'morfo'. Per un approfondimento sulla 13

14 caratterizzazione molecolare e su alcuni aspetti comportamentali delle proteine del latte, specialmente ai fini della trasformazione casearia, si rinvia altrove (Matassino, 1986; Buttazzoni e Aleandri, 1990; Mariani e Pecorari, 1991). Le proteine del latte si raggruppano, ad oggi, in 7 sistemi genetici (tabella IV) e ognuno è polimorfo (da 3 a 8 alleli per 'locus'); ogni 'morfo' è un marcatore genetico, cui corrisponde un allelo. L'importanza del numero di sistemi genetici sta nel fatto che un individuo può avere da un minimo di 7 varianti genetiche (se è omozigote rispetto a tutte) a un massimo di 14 (se è eterozigote rispetto a tutte), mentre un latte di una popolazione bovina teoricamente potrebbe contenere tutte le suddette varianti genetiche. Nella tabella VIII è riportato il numero di alleli individuati, entro ciascuno sistema genetico, distintamente per tipo genetico. La diversità fra i tipi genetici per quanto concerne la differente frequenza delle stesse varianti genetiche e la presenza o l'assenza di una o piú varianti genetiche dello stesso sistema (tabella IX) si prestano a diverse interpretazioni che si possono concretizzare in termini di capacità di adattamento (variazione clinale, differenziazione evolutiva, ecc.). I geni responsabili della sintesi delle lattoproteine sono localizzati sugli autosomi e quelli relativi alle caseine sono strettamente associati sullo stesso cromosoma. Infatti, Ferretti et al. (1990), trattando DNA di linfociti con vari enzimi di restrizione a taglio infrequente ('rare cutters'), hanno ottenuto una mappa fisica dei geni delle caseine bovine, che risultano associati. Nella mappa, i geni sono presenti nel seguente ordine: k-, α s2 -, β-, α s1 -; il gene della k-caseina è lievemente distanziato dagli altri 3 che appaiono piú raggruppati. Tale risultato è in accordo con la recente localizzazione di tutti i geni sul cromosoma 6 (Smith e Cantor, 1987) e indica che la regione della caseina ha un'ampiezza massima di 300 kb. I loci α s2 -, β-, α s1 -, com'è noto, costituiscono una famiglia associata evoluzionisticamente, come evidenziato per loci diversi da altri Autori (tabella X). In un piano di utilizzazione dei diversi genotipi per produrre latti differenziati somma importanza hanno le relazioni intercorrenti fra i sistemi genetici o meglio fra un dato genotipo di un sistema e quello di un altro sistema; ad esempio, è stato evidenziato che: (a) il genotipo k-cn BB, rispetto a genotipo k-cn AA, fornisce un latte con una maggiore percentuale di proteine, con una piú elevata stabilità al trattamento termico e con una migliore attitudine alla caseificazione; (b) il latte prodotto dal genotipo β-lg BB, rispetto a quello del genotipo β-lg AA, presenta una maggiore quantità di caseina e una piú elevata percentuale di grasso. La variante B dei due sistemi genetici k-cn e β-lg rappresenta un classico esempio di allelo a effetto maggiore. In piú, esiste un effetto diretto del genotipo BB delle k-cn e delle β-lg 'aggiuntivo' e 'indipendente' dagli effetti che questo stesso genotipo induce sulle percentuali di 14

15 proteine e di grasso del latte. Infatti, le β-lg risultano correlate positivamente (P<0,001) con la percentuale di grasso e le k-cn con la percentuale di proteine. Per quanto concerne le sieroproteine, alcune prime osservazioni su latti individuali evidenziano una differenza di comportamento al trattamento termico e, in particolare, la risposta al predetto trattamento sembra variare in funzione del gruppo di progenie. La α-la riveste un grande interesse per il fatto che costituisce il fattore di regolazione di un sistema enzimatico originale: lattosio-sintetasi. Tale complesso enzimatico è costituito da due parti: la proteina A, che è l'enzima che trasferisce il galattosio sulla glucosamina, e la proteina B, ovvero la α-la, che si lega alla A per semplice adsorbimento ed esercita il ruolo di modificatore di specificità; le due proteine legate trasferiscono il galattosio assicurando la sintesi del lattosio. Considerando la funzione della α-la quale costituente della lattosio-sintetasi, è stata evidenziata una correlazione tra la sua presenza e il contenuto in lattosio del latte, per cui alla sua mancanza nel latte dovrebbe corrispondere quella del lattosio. In effetti, il latte di alcuni animali contiene scarse quantità di lattosio (mammiferi marini), ma, fino a oggi, è stata segnalata la sua assenza in una sola specie: il leone di mare della California. Sulla base delle attuali conoscenze, si ritiene 'ottimale' un latte che abbia una caratterizzazione proteica come quella riportata nel quadro II. Una maggiore collaborazione fra il nutrizionista umano e lo zootecnico sarebbe fortemente da auspicare allo scopo di finalizzare in modo corretto la selezione zootecnica per la produzione di latti diversificati e finalizzati alla dietetica umana. A questo proposito va ricordato che recentemente l'aia ha disposto, con un proprio laboratorio, un nuovo servizio agli allevatori: tipizzazione genetica degli animali controllati per la produzione lattea per quanto concerne il polimorfismo proteico. Indubbiamente, trattasi di una iniziativa di grande portata operativa, in quanto ogni allevatore, ora, è in grado di conoscere il genotipo di ciascun sistema genetico deputato alla sintesi di una determinata proteina del latte a livello di singolo soggetto. Grazie a queste informazioni, l'allevatore potrà programmare gli accoppiamenti delle sue bovine in modo da produrre soggetti che forniscono un latte dalle caratteristiche proteiche desiderate. Oltre a questo servizio, l'aia ne ha predisposto da qualche anno un altro basato sull'analisi del DNA genomico di singoli individui con l'impiego della tecnica dell'impronta genetica [polimorfismo della lunghezza dei frammenti di restrizione ('Restriction Fragment Length Polymorphism', RFLP)] allo scopo di individuare con certezza il genotipo relativo al sistema genetico della K-Cn sin dalla nascita. Questa tecnica, quindi, permette di individuare il genotipo di un 'locus' anche quando i relativi alleli non si esprimono o durante l'intera vita (la produzione lattea e relative proteine nel caso del maschio mammifero) o solo in determinate condizioni fisiologiche (nella femmina mammifera soltanto durante il periodo di lattazione) Lipidi 15

16 Questo componente ha un significato dietetico nel consumo del latte da parte di tutte quelle categorie che hanno problemi connessi al metabolismo lipidico. Sono in atto numerose ricerche, e alcuni risultati sono stati utilizzati per brevettare i relativi processi industriali, per ridurre il tasso di colesterolo presente nel latte intero (circa 14 mg/100 g di latte). Probabilmente è stata data troppa enfasi a questo problema e a quello del contenuto in acidi grassi saturi, almeno per quanto concerne l'utilizzazione diretta del latte bovino: ingerendo mezzo litro di latte intero si introducono solamente 70 mg di colesterolo e circa g di grassi saturi. Quest'ultimi, poi, non hanno tutti lo stesso significato metabolico. Sulla base di quanto evidenziato in precedenza, riportato nella tabella V, è possibile selezionare per una diminuzione del contenuto percentuale di grasso nel latte tenendo conto che la sua l'ereditabilità è piuttosto elevata (0,30 0,80) (tabella VI). Questo però comporta un effetto negativo sulla percentuale di protidi essendo queste due caratteristiche correlate positivamente (tabella XI). Tuttavia, diversi autori hanno dimostrato che è tecnicamente possibile, attraverso la selezione, aumentare il contenuto percentuale delle proteine nel latte, contenendo al tempo stesso il tenore percentuale in grasso, oppure incrementando, nell'intera lattazione, la produzione totale di proteine o di sostanza secca. Indubbiamente, produrre latte con una minore percentuale di grasso significa abbassare il costo di produzione del kg di latte: considerando una produzione individuale di 60 q in un anno con un contenuto percentuale di grasso di 3,5, occorrono, al netto dei fabbisogni di mantenimento, circa UFL; riducendo la percentuale di grasso intorno a 2, si avrebbe un minor costo per la produzione del kg di latte variante dalle 40 alle 70 Lit. In un domani prossimo ridurre la percentuale di grasso potrà significare anche diminuire in parte tutti quei problemi connessi al soddisfacimento del fabbisogno energetico delle bovine ad alta produzione. In merito, Swanson (1989) prevede che all'inizio del 2000 vi saranno molte aziende con una produzione media di 160 quintali di latte/vacca e soggetti con una produzione individuale di oltre 300 quintali per lattazione. Pertanto, notevole attenzione dovrà essere rivolta alla formulazione di razioni in grado di coprire le esigenze energetiche di queste lattifere, dal momento che, com'è noto, la carenza energetica esercita un effetto negativo sulla funzione riproduttiva attraverso l'inibizione dell'attività ipotalamica e di quella ovarica. Tenendo conto degli attuali orientamenti e della politica della CEE, l'associazione nazionale degli allevatori del bovino Frisone italiano ha definito un'indice latte qualità (ILQ) individuale alla cui determinazione partecipano: la quantità di latte prodotto, il grasso e le proteine nel rapporto -0,4: 0,1: 1. Sulla base di questa scelta, in un programma di selezione orientata, il miglioramento genetico atteso dell'attuale popolazione frisona alla fine di un decennio sarà: +711 kg per il latte, +33 kg per il grasso, +37 kg per le proteine, +0,11 per la percentuale di grasso e +0,23 per la percentuale di proteine. 16

17 Ulteriori annotazioni Numerosi studi sono in corso per modificare la composizione del latte bovino, tra i quali si ricordano: (a) modificazione della sequenza primaria degli amminoacidi delle caseine al fine di ottenere proteine meglio rispondenti ai diversi impieghi alimentari o industriali a cui sono destinate: l'inserimento di geni esogeni può condurre, infatti, alla costituzione di linee genetiche ognuna in grado di produrre un latte bovino con determinate caratteristiche: (i) uno piú simile a quello umano; (ii) uno piú povero in lattosio o totalmente privo; (iii) uno piú ricco in proteine 'in toto' o solo in alcune; (iv) uno piú povero in lipidi; (v) uno o piú latti dalle combinazioni di due o piú caratteristiche biochimiche sopra considerate; (b) arricchimento del latte con proteine fisiologicamente attive o con proteine terapeutiche, quali: (i) lattoferrina, avente azione batteriostatica e antiossidante, (ii) β-caseomorfina, esapeptide della caseina che esercita un'azione regolatrice sulla secrezione di insulina e sul sistema che determina l'appetito; (iii) immunoglobuline, indispensabili per la difesa contro germi e agenti patogeni; (iv) α-lattoalbumine, in quanto ricche in triptofano, richiesto nell'alimentazione pediatrica; (v) peptidi serici, ecc.; (c) modificazione dei geni che specificano per l'α s 1 -cn e per la k-cn, in modo da ottenere latte in cui queste due proteine presentino la stessa sequenza aminoacidica di quelle analoghe di origine bufalina e poter produrre, per esempio, mozzarella di bufala con latte bovino; (d) modifica contemporanea di piú geni, che porterebbe alla combinazione di varianti caseiniche ottimale per la trasformazione casearia di un latte; sarebbe possibile, pertanto, giungere alla standardizzazione delle caratteristiche organolettiche dei derivati del latte e all'ottenimento di varianti caseiniche con nuove proprietà funzionali (riduzione del tempo di maturazione della cagliata, ecc.); (e) produzione di colture batteriche capaci, per esempio, di inibire l'attività dei clostridi responsabili della comparsa del gonfiore tardivo durante la maturazione del formaggio o di accelerare la maturazione stessa, in quanto in grado di sintetizzare proteasi proprie. Ancora, potrebbero essere ottenuti soggetti transgenici che, avendo insieme con i geni che codificano per una proteina del latte un nuovo gene per la sintesi di una proteina importante dal punto di vista biologico, potrebbero essere in grado di sintetizzare quest'ultima nel latte. Ad esempio, Armstrong (1988) riferisce sull'ottenimento di pecore transgeniche, portatrici di un 17

18 gene 'ibrido', nel senso che alla regolare sequenza della β-lg è unita quella che codifica la sintesi del fattore antiemofilico umano (fattore IX). La produzione di latte bovino con caratteristiche biochimiche piú simili a quelle umane contribuirebbe a risolvere i numerosi problemi connessi alla possibilità di disporre di un alimento insostituibile per l'uomo nel periodo piú critico della sua vita che è quello infantile. Infatti, fra alcuni effetti negativi attribuiti al latte si ricorda l'allergia alle proteine del latte vaccino. Argomento che è stato ed è oggetto di numerose ricerche, grazie specialmente al notevole progresso dell'immunologia e della gastroenterologia. Oggi è ormai ampiamente accettato che le proteine del latte bovino possono indurre, attraverso un meccanismo immunologico, manifestazioni patologiche localizzabili a livello intestinale, delle vie respiratorie e della cute. La β- -lattoglobulina sembra essere la maggiore responsabile di questa patologia, pur essendo facilmente inattivata da una prolungata ebollizione. Questa allergia può manifestarsi a tutte le età, ma interessa piú frequentemente l'età infantile; circa 1 bambino su 100 presenta disturbi da allergia alle proteine del latte bovino. Numerosi sono i fattori predisponenti (immunitarietà strutturale e funzionale della mucosa intestinale, infezioni enteriche, ecc.); tuttavia, si ritiene che la sempre piú precoce introduzione di latte bovino nella dieta del lattante, con conseguente notevole riduzione dell'allattamento al seno, sia un fattore molto favorevole all'insorgere di questa allergia. Logicamente, la terapia consiste sostanzialmente nell'eliminazione del latte bovino e dei suoi derivati. Un altro esempio riguarda la riduzione o la quasi assenza di lattosio che permetterà di disporre di un latte altamente digeribile da quel per cento della popolazione mondiale che con l'età perde la funzionalità della lattasi (o β-galattosidasi) o da quelle popolazioni e da quegli individui che sono incapaci di produrre questo enzima in quantità sufficiente a soddisfare le ordinarie esigenze. Rispetto a questo problema dietetico, numerosi studi hanno messo in evidenza grandi differenze fra le popolazioni umane in relazione alla loro distribuzione geografica e alla loro tradizione dietetica, con particolare riguardo all'uso o meno di latte nell'alimentazione ordinaria Qualche considerazione sulla manipolazione genica Modificando i geni che organizzano un sistema biologico, un domani prossimo il biotecnologo molecolare può pensare a questo come a una serie di parti meccaniche ben definite, che possono essere smontate, manipolate e ricomposte sulla base delle indicazioni fornite dalla meccanica molecolare per ottenere nuovi sistemi biologici utili alla soluzione dei tanti problemi che affliggono la società umana. Probabilmente, questa tecnica non potrà risolvere un grande problema: la descrizione del funzionamento globale di un organismo complesso, come - ad esempio - un mammifero. Il 18

19 limite biologico di questa tecnica, al fine di spiegare quanto ora ipotizzato risiederebbe nel fatto che ogni gene non si è evoluto in isolamento, ma insieme ad altri geni con i quali ha interagito nel corso di un lungo periodo evolutivo. Conseguenze dirette della evoluzione concertata dei geni sono le loro interazioni che, realizzandosi a vari livelli, fanno sorgere tutta una serie di problemi legati principalmente: (a) al significato della funzione dei siti (promotori, operatori, terminatori, attenuatori, ecc.); (b) alla capacità di trasposizione; (c) alla comprensione del controllo dell'espressione del gene e alla identificazione dei geni con effetti maggiori; (d) alla specificità tessutale o meno della sintesi proteica, nel senso che (i) molte proteine vengono prodotte in tutti i tessuti e sono necessarie per le funzioni di 'mantenimento', (ii) altre vengono prodotte solo in alcuni tessuti e/o in un determinato stadio dello sviluppo (ad esempio, le proteine del latte vengono prodotte solamente nella ghiandola mammaria e nello 'status' fisiologico di gravidanza e/o di lattazione, poiché i relativi geni codificanti sono espressi nella ghiandola mammaria e non in tutti gli altri tessuti); (e) alla necessaria presenza di appropriate sequenze di regolazione di un gene per l'espressione del transgenico; sequenza che può essere associata alla regione proteinacodificante di un altro gene, per cui è possibile ottenere la sintesi di una proteina in un organo diverso da quello specifico; l'accrescimento nel topo e nel suino sono stati modificati mediante il trasferimento di un costrutto genico in cui le sequenze strutturali dell'ormone della crescita erano legate alle sequenze regolatrici di un gene (metallotionina) che è particolarmente attivo nel fegato e che non è sensibile al meccanismo di regolazione ('feedback') che normalmente governa l'espressione del gene dell'ormone della crescita, determinandosi cosí un aumento del tasso di questo ormone]; (f) alla dinamica adattativa e interattiva dei geni di un individuo dalla quale dipende il livello dell'effetto di un cambiamento di una sequenza strutturale sull'attività di un altro gene; (g) alla possibilità di superare totalmente o parzialmente la limitazione di cui al punto precedente, manipolando geni 'piú flessibili' i cui prodotti proteici regolano una serie di eventi (ad esempio, quelli interessanti gli ormoni proteici) e/o che permettono di ridurre e/o di eliminare i sistemi di 'feedback' con l'uso di nuove e peculiari sequenze regolative; (h) al comportamento della 'famiglia genica', caratterizzata da un elevato grado di affinità biochimica fra i suoi componenti; famiglie che quasi certamente si sono evolute in parallelo entro e fra le specie secondo un processo di 'conversione genica democratica'; questa 'conversione' intrafamiliare può essere considerata uno degli strumenti che la natura utilizza per rendere possibile la coevoluzione; inoltre, queste famiglie geniche possono svolgere una vera e propria funzione di 'rete di mutazione; 'rete' che consente la propagazione di mutazioni 'favorevoli' fra i 19

20 vari membri della famiglia; tutti questi meccanismi rappresentano un esempio brillante di quel processo biologico definito 'opportunismo evolutivo' o 'capacità di adattamento'. In conclusione, la tecnica transgenica, anche se agli inizi, sta fornendo indicazioni di notevole importanza e le prime risultanze incoraggiano la ricerca e la sperimentazione verso traguardi che sono possibili anche se, ovviamente, non sono da ritenere raggiungibili in un breve lasso di tempo. Si dovrà procedere alla selezione per uno o piú caratteri su alcune linee genetiche diverse e alla combinazione di queste linee per ottenere un tangibile incremento di efficienza nell'ambito del sistema produttivo in cui l'operatore agisce. Si comprende che ciò costituisce una operazione che non può essere realizzata dal singolo allevatore, ma deve rientrare in un piano ben preciso e gestito da una organizzazione moderna e con notevole capacità decisionale tempestiva. Tenendo conto della realtà strutturistica delle nostre aziende, utile potrà risultare la costituzione di consorzi fra imprese zootecniche con compiti produttivi diversificati. 3. Conclusioni Il miglioramento genetico per la produzione di latti diversificati nel bovino non presenta difficoltà dell'ordine tecnico. Considerando la variabilità esistente nella popolazione di bovini da latte presenti in Italia per quanto concerne le diverse caratteristiche in nutrienti del latte, un programma di miglioramento per raggiungere determinati obiettivi è realizzabile purché si attui una forte integrazione fra il consumatore, il nutrizionista umano, l'imprenditore zootecnico e il genetista del settore. All'allevatore è necessario chiedere cosa deve produrre sia in termini qualitativi che quantitivi. La conoscenza della funzione e degli effetti biochimici e fisiologici delle proteine del latte sul metabolismo dell'uomo è la condizione principe per evitare errori dietetici. Le diverse proteine vengono prodotte perché vi sono determinati geni che lo permettono. Queste varianti genetiche sono oggi determinate nell'ambito dei controlli funzionali eseguiti dall'associazione italiana allevatori su oltre un milione di vacche allevate. Pertanto, in base alle richieste dei nutrizionisti umani è possibile selezionare vacche che producono un latte con ben definite caratteristiche. Caratteristiche che possono soddisfare le varie esigenze dell'uomo in relazione al suo 'status' fisiologico (neonato, adolescente, adulto, anziano, donna gravida, ecc.). Ad esempio, è possile selezionare vacche che producono un latte a basso contenuto in grasso, anziché ricorrere a manipolazioni per ottenere un latte a basso titolo di grasso (latti scremati). Il latte naturale, rispetto a un latte manipolato, conserva tutto il suo contenuto in probiotici, sostanze (molte ancora sconosciute) fondamentali per la vita. Uno slogan dice 'La vita si conserva con la vita'. Selezionando opportunamente, si produce latte a costi piú bassi, con possibili benefici per l'allevatore e per il consumatore. Infatti, passando da un latte con il 3,5 per cento di grasso a uno con il 2 per cento, è possibile ridurre il costo di Lit per kg prodotto. Il problema del soddisfacimento delle esigenze energetiche diverrà sempre piú 20

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