ARTICOLO: CRIMINOLOGIA & DEVIANZA SOCIALE
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1 ARTICOLO: CRIMINOLOGIA & DEVIANZA SOCIALE D.ssa Antonella Betti La Criminologia (dal latino crimen "accusa", e greco λογία, logia ) è lo studio scientifico della natura, portata, delle cause, e il controllo del comportamento criminale sia nel singolo che nella società. La Criminologia è la scienza che studia i reati, gli autori, le vittime, i tipi di condotta criminale (e la conseguente reazione sociale) e le forme possibili di controllo e prevenzione. È una disciplina sia teorica che empirica, sia descrittiva che esplicativa, sia normativa che fattuale. L'oggetto fondamentale di studio è il reato, la cui definizione è esclusivamente sociale. Sono stati fatti in passato tentativi di arrivare a definire dei crimini naturali, condivisi come tali da tutte le culture, ma essi hanno portato sostanzialmente ad un nulla di fatto; il reato non è un fatto biologico o assoluto, ma il frutto di una certa definizione sociale che varia in funzione del tempo (storia) e dello spazio (geografia), ossia varia da cultura a cultura. Crimine, diritto e cultura sono pertanto concetti profondamente interrelati tra loro. Un interessante campo di studio della criminologia, che ha a che fare proprio con la sua concezione relativistica, riguarda lo studio della percezione di gravità dei reati. Il codice penale colloca i reati in un ordine di gravità mediante differenze di intensità nella pena prevista. Tuttavia la percezione collettiva dei reati stessi, il modo cioè in cui l'opinione pubblica li valuta in un determinato momento storico, può essere notevolmente diversa. Sono stati proposti degli indici di gravità soggettiva dei reati in modo da classificare le condotte criminali non più in accordo con la gravità della pena prevista, ma secondo l'intensità dell'attribuzione di gravità da parte di un campione rappresentativo dell'opinione pubblica. Tuttavia, compito prioritario della criminologia, rispetto il diritto penale, è quello di ricordare ai giuristi che "il reo va sempre perseguito per quello che fa, non per quello che è". Dal punto di vista storico, i primi albori della criminologia si hanno con l'affermarsi della cultura illuminista nel XVIII secolo e in particolare con l'intellettuale giurista italiano Cesare Beccaria e il suo trattato Dei delitti e delle pene. Nasce in questo contesto la cosiddetta
2 scuola classica, imperniata sui concetti liberistici del diritto penale. Successivamente, nell'ottocento, con lo sviluppo delle scienze empiriche (psicologia, sociologia, antropologia), nasce la scuola positiva, che si articola in due direzioni: lo studio dell'uomo che delinque secondo l'approccio medico-biologico dell'antropologia criminale (Cesare Lombroso), e lo studio sociologico delle condizioni che favoriscono la commissione differenziale di reati in funzione del ceto sociale di appartenenza. In seguito, con il moltiplicarsi delle ricerche e delle conoscenze psicologiche, la scuola positiva assume un indirizzo psicopatologico e psichiatrico. La delusione conseguente alle eccessive aspettative che si erano formate in relazione alla possibilità di affrontare scientificamente i problemi della criminalità porterà all'emergere di approcci di criminologia critica (di impostazione marxista) e di anticriminologia da un lato, e dall'altro al riemergere della scuola classica nel filone oggi denominato neoclassico. Attualmente la criminologia si configura come una scienza multidisciplinare ed interdisciplinare che ricorre preferenzialmente ad un approccio multifattoriale. Non c'è infatti un'unica causa universale dell'agire criminoso, bensì una costellazione mutevole di possibili variabili causali. Queste andrebbero valutate caso per caso nello specifico contesto sociale sotto il profilo della criminogenesi e della criminodinamica. L'idea dominante è quella della Nuova Difesa Sociale: è giusto che la società si difenda dalle condotte criminali ma è imperativo il massimo rispetto dei principi dello stato di diritto, puntando al pieno reintegro nella società per chi ha commesso dei reati. Ciò è possibile attraverso opportuni trattamenti durante il periodo detentivo e soprattutto favorendo il ricorso a misure alternative alla detenzione (ad es. semilibertà, liberazione anticipata, detenzione domiciliare, affidamento in prova al servizio sociale) e programmi di recupero. Dal punto di vista descrittivo, la criminologia si occupa: sia della fenomenologia dei principali delitti, ossia il modo in cui essi si manifestano concretamente: omicidio, violenza sessuale, reati legati al
3 consumo di sostanze stupefacenti, crimini economici e dei colletti bianchi, delinquenza comune e organizzata, terrorismo, etc; sia delle possibili classificazioni dei reati, degli autori dei reati (tipologie di autori: imputabili e non imputabili, primari e recidivi, eccetera), dei moventi sottostanti ai reati medesimi (stati emotivi e passionali, moventi di lucro, moventi di vendetta, eccetera). L'analisi fenomenologica della criminalità ha evidenziato, ad esempio, che la tendenza all'agire criminale è molto più frequente (circa dieci volte di più) nei maschi che nelle femmine, e si concentra nelle fasce giovanili di età, dai 20 ai 35 anni soprattutto. Lo studio delle tossicodipendenze e quello delle malattie mentali, nei possibili risvolti criminologici, è di competenza di quel ramo della criminologia clinica che è formato dalla psichiatria e dalla psicopatologia forense. Fermo restante però, che "il crimine non è una malattia, altrimenti la malattia sarebbe un crimine e che la criminologia clinica non deve confondere la metafora con la realtà". (Saverio Fortunato, Nuovo manuale di metodologia peritale, Ursini, Catanzaro 2007). Il maggiore campo applicativo di queste discipline riguarda la questione dell'imputabilità, a sua volta collegata alla valutazione della capacità di intendere e di volere. Per la legge italiana, se manca pienamente la capacità di intendere e/o di volere, il reo non è imputabile e nei suoi confronti vengono prese delle misure di sicurezza a carattere anche terapeutico; se invece la capacità di intendere e/o di volere è grandemente scemata, il reo è imputabile ma la pena è diminuita (e possono essere prese delle misure di sicurezza). Sovrapponibile alla psichiatria forense (ma non sostitutiva) è la criminologia clinica, il DPR 27 luglio 1988, n 352 e il DM 5 dicembre 1997, sui compensi giudiziari ai periti e consulenti, affermano: Per la perizia o la consulenza tecnica in materia psichiatrica o criminologica clinica spetta un compenso di. Ciò, a riprova che le due specializzazioni cliniche sono sovrapponibili. Difatti, la psichiatria si pone il compito della diagnosi, mentre la criminologia clinica, più correttamente, quello della criminodiagnosi e della criminogenesi, in rapporto all'art. 40 del c.p. (nesso di causalità).
4 In Italia l'attività di criminologo non è regolamentata da alcuna legge ai fini dell'albo professionale (al pari di tante altre professioni, grafologi, urbanisti, gemmologi, ecc.). Tuttavia, è vietato fregiarsi del titolo di criminologo ai fini professionali, se non si consegue prima l'apposito titolo di studio avente valore legale. Il Regio Decreto 31 agosto 1933, n Testo unico delle leggi sull'istruzione superiore, è emblematico a riguardo, perché recita all'articolo 178: «La qualifica di specialista in qualsiasi ramo di esercizio professionale può essere assunta soltanto da coloro che abbiano conseguito il relativo diploma secondo quanto viene stabilito dagli statuti delle Università e degli Istituti superiori. Chi contravvenga alla disposizione, di cui al comma precedente, incorre nella esclusione dall'albo professionale nel quale è iscritto, senza pregiudizio delle altre pene previste per gli esercenti abusivi delle singole professioni. Le disposizioni del presente articolo non si applicano ai professori universitari di ruolo e ai liberi docenti delle materie o parti di materie che sono oggetto delle singole specialità». Dunque è un reato definirsi specialista in criminologia clinica o in criminologia se non si dispone di apposito titolo. Da ricordare che il conseguimento di un master non consente l'uso del titolo di criminologo o altro, giacché il master (com eanche un corso di perfezionamento ecc.) non è una specializzazione professionale. Il codice penale, all'art. 498 regolamenta l'usurpazione di titoli o di onori, recitando: "Chiunque abusivamente porta in pubblico la divisa o i segni distintivi di un ufficio o impiego pubblico, o di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, ovvero di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, ovvero indossa abusivamente in pubblico l'abito ecclesiastico, è punito con la multa da lire duecentomila a due milioni. Alla stessa pena soggiace chi si arroga dignità o gradi accademici, titoli, decorazioni o altre pubbliche insegne onorifiche, ovvero qualità inerenti ad alcuno degli uffici, impieghi o professioni, indicati nella disposizione precedente". L'attivazione di corsi fast-food e di seminari, persino online, che rilasciano attestati o titolo di "criminologo" sono ingannevoli e per maggiore serietà e correttezza si deve
5 consultare l'ufficio pubblico del MIUR a Roma. Il criminologo dovrebbe operare nei seguenti contesti professionali: all'interno delle carceri, come esperto facente parte dell'équipe di osservazione e trattamento; come esperto del Tribunale di Sorveglianza o del Tribunale dei Minori; come componente non togato del Tribunale di Sorveglianza; come perito nominato dal giudice o da una delle parti, nell'ambito di un procedimento penale in cui sia importante la valutazione dell'imputabilità. Esistono anche limitate possibilità di impiego come collaboratore delle forze dell'ordine (per esempio come esperto di criminal profiling) o come consulente aziendale in materia di sicurezza. La formazione del criminologo è distinta da chi criminologo non è. Quella del criminologo può essere impostata in quanto ricercatore scientifico o in quanto operatore professionale. Poi ci può essere una formazione criminologica di cui abbisognano altri operatori, non criminologi, che svolgono la loro attività nell'ambito d'altre materie interdisciplinari: diritto penale, medicina legale, psichiatria, psicologia, sociologia, statistica, ecc. Nell'attuale contesto storicoculturale, per i motivi predetti, il criminologo si trova in una posizione di gran confusione. Essere criminologi significa: 1. acquisire un'adeguata consapevolezza verso il proprio ruolo, sia in ambito dell'insegnamento, dello studio, delle pubblicazioni e della ricerca, sia in ambito operativo (nel tribunale, in carcere, nelle indagini difensive o dell'autorità giudiziaria, ecc.). 2. Acquisire gli strumenti scientifici e filosofici per comprendere a fondo le problematiche individuali, sociali, normative e politiche che stanno alla base del comportamento delinquenziale, dei processi di criminalizzazione primaria e secondaria, dell'esistenza e del funzionamento della legge penale e delle istituzioni penali (carcere).
6 3. Suggerire, in modo critico e propositivo, cambiamenti in senso democratico, umanitario e civile della legge penale e delle nostre istituzioni penali". La criminologia è oggi una disciplina piuttosto eclettica in termini metodologici. Essa si avvale infatti delle seguenti tecniche di indagine: Studio di casi clinici individuali. Ricerche mediante campioni (sondaggi campionari). Analisi di statistiche ufficiali collettive. Analisi di fonti informative e documentali. Ricerche sperimentali o quasi-sperimentali. Ricerche sociali e sul campo. Analisi di documenti storici. Sono anche possibili indagini settoriali e studi predittivi mediante particolari tecniche statistiche. In Italia le statistiche ufficiali della criminalità sono raccolte, elaborate e pubblicate dall'istat, l'istituto Nazionale di Statistica. Esse forniscono in particolare i tassi relativi ai vari reati. Il tasso di un reato è il numero di casi del reato in questione, registrato in un determinato anno, ogni centomila abitanti; per esempio un tasso di omicidio volontario dell'1,5 per centomila significa che in quell'anno, ogni cento mila abitanti, si è verificato in media un caso e mezzo di omicidio volontario. Un esempio interessante di impiego delle fonti informative e documentali consiste nel monitorare, per un dato periodo temporale, tutti i casi di un determinato reato riportati dalla stampa (ad esempio i casi di neonaticidio, infanticidio e figlicidio). Contando le notizie apparse sulla stampa si effettua una conta anche del relativo reato, che si può analizzare secondo le sue caratteristiche sociodemografiche di manifestazione (il luogo, i protagonisti, il contesto sociale, la dinamica dell'evento, e così via). Indagini campionarie a scopo criminologico sono svolte da vari istituti italiani, per esempio dal Censis e dalla Doxa. Esse consentono di studiare la percezione dell'opinione pubblica in materia di criminalità e di misurare quante persone sono state vittime di reati (in questo caso si tratta delle cosiddette indagini di
7 vittimizzazione). Il confronto fra i reati ufficialmente denunciati e quelli realmente commessi, quali risultano dagli studi di vittimizzazione, consente una sia pur sommaria valutazione del numero oscuro (i reati commessi ma non denunciati né rilevati ufficialmente e quindi sempre in numero maggiore rispetto ai reati ufficialmente "contabilizzati"). Il problema della valutazione del numero oscuro è una delle maggiori sfide metodologiche per la criminologia. Invece conseguentemente, per devianza si intende comunemente ogni atto o comportamento (anche solo verbale) di una persona o di un gruppo che viola le norme di una collettività e che di conseguenza va incontro a una qualche forma di sanzione. Per il sociologo francese Émile Durkheim "un atto è criminale perché urta la coscienza comune" e non viceversa. Tuttavia bisogna tener conto del fatto che le risposte della collettività a uno stesso atto variano nello spazio e nel tempo: per questo motivo si parla di relatività dell'atto deviante rispetto a: contesto storico/politico/sociale; ambito geografico; situazione. Un atto può quindi essere considerato deviante solo in riferimento al contesto socioculturale in cui ha luogo. Una definizione canonica vuole la devianza come comportamento che viola le aspettative istituzionalizzate di una data norma sociale. La norma sociale appare divisibile in due elementi costitutivi: l aspettativa istituzionalizzata (ideale modalità di risposta) e la sanzione (a seguito della violazione dell aspettativa). La devianza è un comportamento con alcune proprietà, che divide gli studiosi riguardo al peso teorico da assegnare loro. "La devianza è il non assoggettarsi al ruolo che il sistema di valori della "propria" società si aspetta", si riferisce prevalentemente alle aspettative
8 connesse ad un orientamento normativo (positivismo). Il fulcro della definizione fa perciò riferimento alle aspettative e non, direttamente, alla norma. Il legame tra norme ed aspettative è di tipo sociologico, mediato dall incidenza di diversi fattori di vario ordine. Dalla conoscenza e condivisione della norma derivano le concrete aspettative di comportamento. Secondo Talcott Parsons, le norme discendono da valori sociali che sono interiorizzati attraverso la socializzazione: un processo di "addestramento alla società" che inizia da bambino col rapporto madre (alter) e figlio (ego). La genesi del comportamento deviante è perciò individuale. Le norme contribuiscono a formare un nucleo centrale di valori che saranno comuni alla totalità dei socializzandi (personalità di base + interpretazione delle situazioni). Si parte dunque dall assunto che esiste un consenso riguardo alla legittimità di un dato comportamento. Per i positivisti, la devianza è spiegabile in base alle motivazioni che spingono a deviare, ma bisogna ammettere che non ogni deviante, con la sua motivazione, viene a costituire un deviante ufficiale; non può essere conosciuto il reale numero delle persone che deviano; perdono importanza le statistiche ufficiali. Per alcuni, questa prima proprietà sarebbe da non considerare poiché indica la devianza come qualcosa di pre-esistente all intervento del controllo sociale. È poco convincente la pretesa di sapere che un dato elemento, sia esso la motivazione o il controllo, è in grado di spiegare esaustivamente il fenomeno. Il deviante è tale poiché come tale è individuato da un gruppo, sicché è un concetto relativo (teoria del labeling o dell'etichettamento). Questa proprietà sottolinea l incidenza del gruppo come quadro di riferimento entro cui si definiscono i comportamenti. V'è una scissione tra l'individuo e la deviazione, atto che è imputato all'indivuo dagli altri. Tutti gli orientamenti accordano un rilevante peso teorico ad essa. Per i positivisti, la proprietà definisce i termini di un relativismo culturale (i gruppi non riescono a fondere le loro prospettive culturali). Per i teorici del labeling, la proprietà costituisce
9 il perno della loro impostazione che diventa una celebrazione romantica della diversità; ciò che propongono è una cultura della tolleranza (caleidoscopica segmentazione culturale). Per Becker la devianza non è una qualità dell'atto commesso dal soggetto, ma piuttosto la conseguenza dell'applicazione, da parte degli altri, di regole e sanzioni al trasgressore. Sono perciò fondamentali la reazione degli altri ad un determinato comportamento e la successiva trasformazione dell'identità sociale del soggetto. I radicals si differenziano dai teorici dell'etichettamento poiché sostengono che l etichetta è conseguenza di una norma; queste sono il prodotto di una società fondata sul possesso. Per l individuazione interviene un elemento situazionale. Anche all interno dello stesso gruppo, lo stesso comportamento può essere interpretato in maniera diversa, secondo la situazione. Ogni società prevede dei momenti istituzionalizzati di destrutturazione della dimensione situazionale (eclissi dei criteri normativi). Questi hanno funzione di valvola di sfogo. Per quanto riguarda la dimensione situazionale nella sfera pubblico-privata, si parla della norma di evasione: una norma che gode di consenso da parte del gruppo e che una volta violata in privato non porta sanzioni ma è tollerata (a patto che sia mantenuta nascosta) (Raymond Williams). Diversi tipi di devianza sembrano correlati a determinati ruoli sociali (neomarxismo). Difficilmente può essere individuato un gruppo completamente esente dal produrre devianza (dissoluzione della concezione analitica della devianza). Per i radicals, in una società fondata sulla proprietà (e sulle ineguali possibilità di accedervi) la devianza di tutti i suoi membri diventa sistematica per ricorrenza, soggetti e natura del reato, il quale è sicuramente appropriativo. Può assumere intensità e direzioni diverse. Il comportamento si può allontanare dalla norma in due direzioni: quella approvata e quella non disapprovata. Modello di Van Vechten, Gordon Allport e ripreso da Wilkins:
10 1. I comportamenti relativi ad una norma hanno distribuzione normale. Le altre risposte sono tanto meno numerose quanto più aumenta il grado della loro intensità deviante. 2. Esiste un limite di tolleranza in ragione del quale non tutti quelli che deviano sono poi ritenuti devianti. 3. I comportamenti al di fuori dei limiti della tolleranza sono considerati più o meno devianti, sia chi è nella direzione approvata che nella direzione disapprovata. Esistono norme prescrittive, che vietano o consentono senza precisare contorni e confini e che non ammettono tolleranza; in caso di violazione non ha senso parlare di direzione approvata e soprattutto l intensità di devianza è massima.
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