Conservazione della biodiversità vegetale

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1 Conservazione della biodiversità vegetale La flora montana in Europa: minacce e strategie di conservazione Graziano Rossi (Università di Pavia), Maggio 2008 Qual è attualmente la ricchezza floristica nelle montagne dell Europa? Quali fattori di minaccia agiscono su di essa? Cosa è possibile fare per contrastare le minacce attuali e future previste? Tenteremo di rispondere a queste domande con l aiuto delle conoscenze messe a punto dalla Biologia della Conservazione e dell esperienza dei botanici che si occupano di flora di montagna. Diversi documenti evidenziano la ricchezza floristica delle montagne europee, che risulta molto elevata, sia in ambito globale che continentale. Si cita, in particolare, il libro edito dal WWF e dalla IUCN (The World Conservation Union, Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) del 1998: Centres of plant diversity che presenta nella mappa 2 del volume 1 i Centri di diversità e di endemismo delle piante in Europa : si evidenziano qui i territori delle montagne spagnole (Baetic Mountains, Massiccio di Gudar e Javalambre), i Pirenei, le Alpi, i massicci della Penisola Balcanica, i Rodopi, le montagne della Grecia centrale e meridionale, le montagne di Creta, le montagne Troodos a Cipro, infine le montagne della Crimea meridionale. Recentemente Thuiller et al. (2005) hanno riconfermato per l Europa che le montagne che circondano il bacino mediterraneo presentano la più elevata percentuale di ricchezza floristica - tra queste montagne aggiunge anche gli Appennini ed i Carpazi, le montagne della Corsica ed i Tatra. Quali sono le principali minacce? Le minacce che agiscono sulla flora di montagna sono quelle che fondamentalmente agiscono sull intera biodiversità ed anche sull uomo e la sua salute. Queste minacce sono state recentemente riportate sulla prestigiosa rivista Nature (Thuiller, 2007), mettendo in evidenza i legami specifici. Una classificazione gerarchica dei fattori di minaccia che incombono sulla biodiversità è stata invece messa a punto dalla IUCN ed è disponibile sul sito Internet: Le categorie di minaccia evidenziate sono 12. Una loro illustrazione verrà pubblicata nel 2008 sul Supplemento 1 dell Informatore Botanico Italiano dedicato alle Liste Rosse della flora italiana, a cura di Gentili R. (Milano). Le minacce che attualmente agiscono sulla flora di montagna in Europa sono per lo più di natura antropica, sia dirette (distruzione di habitat, infrastrutture turistiche e viarie) che indirette (cambiamento nell uso del suolo, come abbandono del pascolo o dell agricoltura tradizionale e conseguente eccessivo imboschimento, che produce eccessiva uniformità ambientale). A volte sono anche fattori interni che agiscono sulle piante, come l isolamento genetico, dovuto alla separazione geografica fra le diverse popolazioni frammentate. Recentemente fra le minacce i mass media hanno portato l attenzione sul Global Change: aumento delle temperature, diminuzione ed irregolarità delle precipitazioni (climate change), scioglimento dei ghiacciai e l effetto serra, ovvero il riscaldamento dell atmosfera terrestre a causa dell arricchimento dei gas atmosferici con anidride carbonica, la diminuzione dello strato di ozono, ecc. Cosa si sta facendo a livello di Unione Europea per conservare la biodiversità? La UE (e la CEE prima) ha varato numerosi programmi di difesa della biodiversità, vegetale, animale e di habitat. Si possono citare in particolare la Direttiva Uccelli 409/1979 CEE e la Direttiva Habitat 92/43 CEE; da quest ultima deriva in particolare la rete Natura 2000, un insieme di aree protette che si estende nei paese dell Unione, comprendente SIC (Siti di Importanza Comunitaria) e ZPS (Zone di Protezione Speciale). In Europa essi coprono circa il 15% della superficie (1.015,168 Kmq), il 20% in Italia ( Kmq) (cfr. Tra i documenti più importanti prodotti dalla Commissione Europea (l organo di governo dell Unione), va ricordata la recente Comunicazione dal titolo Fermare la perdita di biodiversità entro il 2010 e oltre (2006). Anche il Consiglio d Europa, attraverso Planta Europa ha promosso la redazione di una strategia europea per la conservazione delle piante (EPCS), che nella futura revisione, attualmente in fase finale, avrà durata

2 A livello operativo, sono stati varati programmi di ricerca (attualmente è attivo il VII Programma Quadro) ed interventi operativi in programmi quali i Life (strumento finanziario per l ambiente) e gli Interreg (programma di cooperazione territoriale finanziato dai fondi strutturali europei, ed in particolare dal FESR). Fra i progetti finanziati in questo ambito si citano: - il progetto GLORIA di monitoraggio dell effetto dei cambiamenti climatici sulla flora di alta montagna (V Programma Quadro); - ENSCONET, la rete europea di banche del germoplasma che si occupa della conservazione ex situ della flora spontanea europea (VI Programma Quadro); - GENMEDOC e recentemente SEMCLIMED, Interreg IIIB, Mediterraneo Occidentale, sulla salvaguardia della biodiversità floristica mediante conservazione ex situ dei semi; - LIFE, ad es. LIFE Natura realizzato in Sicilia "Conservazione in situ ed ex situ di Abies nebrodensis (Lojac.) Mattei": progetto LIFE Natura - LIFE2000NAT/IT/7228. Questi strumenti finanziari per la difesa della biodiversità a livello continentale, sono attivi dalla fine degli anni 90 e sono previsti fino al Ma cosa resta da fare per meglio conservare la flora spontanea e soprattutto quella di montagna? Tra i molti obiettivi che si possono citare, merita attenzione innanzitutto, la definizione di una lista di priorità di conservazione: la flora spontanea europea è valutabile in oltre entità e quindi non è attualmente possibile garantire la conservazione di tutte, anche perché molte sono comuni ed abbondanti. Come stabilire una priorità? A tal fine è sicuramente utile disporre di Liste Rosse, come proposto fin dagli anni 70 dalla IUCN, Unione Internazionale per la Conservazione della Natura. Nel 1976 fu pubblicata la prima Lista Rossa europea (Lucas e Singe, 1976) a cui però non è mai seguito un aggiornamento; questo è attualmente auspicato dalla nuova EPCS ( ). Al momento, su base biogeografica europea, è disponibile una valutazione del grado di minaccia per la flora a cura di Ensconet, realizzata nel Per la regione biogeografica alpina sono state valutate come minacciate circa 3000 entità, di cui 2200 nelle Alpi (Cfr. Rossi et al., 2008, Ensconews 3). Per questa valutazione Ensconet utilizza come priorità, oltre ai parametri IUCN, anche il livello di rarità fitogeografia (endemismo) ed il potenziale interesse economico, secondo una propria metodologia a punti ( Dopo avere definito una lista di priorità di conservazione (che per le montagne dell unione europea già esiste), sarebbe necessario per conservare la biodiversità vegetale agire in modo specifico, per ridurre l impatto dei singoli fattori di minaccia, a partire da quelli più attivi. Ma qual è il fattore principale di minaccia? Secondo Thuiller (2007), in una scala di intensità, attualmente il fattore principale di minaccia è il cambiamento nell uso del suolo; in futuro, stante l attuale livello di emissione di gas serra nell atmosfera, si prevede invece che fra i fattori di minaccia prevarrà su tutti, l effetto dei cambiamenti climatici, previsto come particolarmente attivo nel 2080/2100. Esaminiamo l effetto dei fattori di minaccia più importanti per la flora di montagna: cambiamento dell uso del suolo, turismo non sostenibile, cambiamenti climatici. Tra i cambiamenti nell uso del suolo in montagna si possono citare l abbandono delle pratiche agricole (prati da sfalcio, piccole colture in campi arabili) e la forte diminuzione delle pratiche silvo-pastorali (pascolo bovino, equino, ovo-caprino, taglio del bosco, contenimento degli arbusti, che creavano un ecomosaico utile per fauna e flora selvatica). Il pascolo è in genere in forte diminuzione o risulta concentrato in poche aree. L effetto che ne risulta è in generale, un ripresa spontanea della vegetazione, nell ambito delle normali dinamiche che si sviluppano in montagna: i pascoli si trasformano via via in cespuglietti e questi in bosco. Ciò può portare però ad alcuni problemi per la flora e per la fauna degli spazi aperti, non tipici di habitat fortemente strutturati, con una conseguente semplificazione della biodiversità. Il problema quindi si pone in termini conservazionistici: un fattore di minaccia, paradossalmente, può essere anche la normale evoluzione della vegetazione. Un tipico esempio è quello degli habitat semi-naturali, cioè prodotti dell azione secolare dell uomo, come i prati da sfalcio o i pascoli

3 montani ed alpini; a quest ultimo tipo appartengono i nardeti ricchi di specie, habitat prioritario dell UE (numero 6230), secondo la Direttiva 92/43. Questa problematica è stata affrontata recentemente nel Piano di gestione del SIC Val Viola Bormina-Ghiacciaio di Cima de Piazzi (IT ), in vicinanza di Bormio, in provincia di Sondrio (a cura dell Amministrazione Provinciale, con il supporto scientifico dell Università di Pavia, Dipartimento di Ecologia del Territorio, equipe del Prof. G. Rossi). Sulla base di appositi studi, si sono individuate le aree di nardeto (carta degli habitat al sito alla voce ricerche e attività, cartografia della vegetazione). Queste sono state valutate sulla base del carico di bestiame attuale e della vicinanza di altri habitat, come i rodoreti (arbusteti a rododendro) ed i boschi ad abete rosso e pino cembro. Apposite azioni del piano di gestione vanno a regolare le attività di monitoraggio della situazione e la definizione di eventuali interventi, come il decespugliamento. Ci si augura che i finanziamenti nell ambito del PSR della Regione Lombardia (Piano di sviluppo rurale), altro strumento di finanziamento dell UE, gestito a livello nazionale e soprattutto regionale, permetterà il coinvolgimento degli imprenditori agricoli, come gestori di queste importanti componenti ambientali di biodiversità. Un altro fattore di minaccia alla flora di montagna (ma anche di altri ambienti come le coste marine) è il calpestio ad opera dei turisti. Ciò comporta danni diretti ed indiretti, di tipo meccanico, come l abrasione e la distruzione delle parti vegetative delle piante, ma anche il danneggiamento degli apparati riproduttivi (es. scapi fiorali), con conseguente diminuzione della capacità riproduttiva. Le Alpi annualmente sono visitate da circa 120 milioni di turisti: ne deriva un forte impatto sulla biodiversità, soprattutto se questa presenza non è regolata da opportuni interventi a protezione della flora e della fauna. Molti studi scientifici hanno dimostrato in varie parti del mondo il danno provocato alle piante dal calpestio umano. Si ricorda, tra i tanti quello a cura di Maschinski et al. (1997), su di un astragalo (Leguminose), endemismo in una ristretta area degli USA. Effetti negativi sulla fitness di popolazioni marginali di piante alpine sono stati evidenziati anche per l Italia, nell Appennino tosco-emiliano (Rossi et al., 2006; Rossi et al., 2008). La differenza è evidenziata, da questo punto di vista, tra stand della stessa specie sottoposti e non sottoposti a calpestio. Maschinski et al. (1997) hanno anche dimostrato sperimentalmente l effetto positivo per la conservazione della specie di interventi in situ: la messa in opera di barriere protettive, per evitare l ingresso dei turisti nelle aree di crescita della pianta. Prima dell intervento i ricercatori statunitensi avevano calcolato la probabile estinzione della specie entro 100 anni, sulla base di modelli statistici applicati alla dinamica di popolazione (Population Viability). Dopo l intervento si è registrata una netta ripresa della pianta, con aumento degli individui, diminuzione della mortalità e aumento della vitalità; per la popolazione, a parte le fluttuazioni dovute all andamento dei fattori ambientali, si è poi previsto per il futuro, non più l estinzione, bensì una situazione di sostanziale stabilità. Interventi simili sono stati effettuati in Italia, come per esempio nel Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, a Monte Falco (Toscana), accompagnati anche da un attenta azione di informazione del pubblico. E importante però seguire l evoluzione delle popolazioni, perché non sempre è possibile ottenere l effetto positivo desiderato di mantenimento/incremento della specie minacciata da conservare. Per esempio, sempre per una specie di astragalo (Astragalus sirinicus), sul Monte Lesima in Lombardia, furono approntati recinti a protezione dei turisti (che frequentano questa vetta molto conosciuta localmente) e dal pascolo. Nel giro di pochi anni l astragalo sparì in quanto sopraffatto da altre specie, non più contenute da calpestio e pascolo: quindi quest ultimo indirettamente lo favoriva, in quanto non appetito dal bestiame perché spinoso (cfr. Pirola 1971; Pirola e Credano, 1986); tuttavia la specie si è fino ad ora salvata, in quanto cresce per lo più non nel prato, bensì sul ripido e roccioso versante sud-est della montagna, dove non subisce alcun disturbo antropico. Ancora in relazione agli interventi gestionali in situ, da mettere in atto per proteggere la flora e gli habitat di particolare interesse conservazionistico, si può citare la progettazione e/o la revisione ragionata della sentieristica nelle aree protette. Pröbstl (2003) evidenzia come per habitat, almeno potenzialmente vulnerabili, come quelli prioritari della Direttiva Habitat 92/43 CEE, sia necessario valutare attentamente la situazione nel piano di gestione, selezionando le misure da mettere in atto,

4 cercando di risolvere i conflitti, per incrementare il livello di accettazione del pubblico delle scelte da compiere. La conservazione degli habitat va però vista come obiettivo principale. Tra i casi esaminati (per i nardeti ricchi di specie) in Germania si conclude che la loro superficie non è utilizzabile per sentieri dedicati al turismo equestre. Questo infatti è un habitat con molte specie d interesse, in alcuni casi rare, come Arnica montana. In tali situazioni ci si deve aspettare una significativa diminuzione, in estensione, di questo habitat ed una interruzione della continuità ambientale. In considerazione di queste valutazioni un progetto di sviluppo sentieristico andrà attentamente valutato anche in relazione a possibili alternative ed attuato solo in presenza di prevalenti considerazioni economiche. Oltre ad escludere di preferenza, dallo sviluppo turistico e sentieristica, gli habitat prioritari, sembra tuttavia importante sottoporre ad attenta verifica la sentieristica nel suo complesso. Questo è il caso di uno studio recentemente prodotto per un SIC italiano in zona alpina (Ferrarini at al., 2008). E emerso che esiste un forte contrasto fra sentieristica attuale e presenza sia di siti di crescita di specie vegetali ritenute di prioritaria importanza, sia di siti di riproduzione ed alimentazione della fauna. Da questa analisi è scaturita la necessità di procedere alla riprogettazione della sentieristica, escludendo tutte quelle aree di primaria importanza per flora e fauna, tenendo comunque in considerazione le necessità logistiche e turistiche (evitando ad es. le zone troppo acclivi, >45, o poco interessanti dal punto di vista panoramico). Sono stati così proposti tre nuovi percorsi, la cui realizzazione pratica è attualmente al vaglio dell Ente gestore del SIC (Amministrazione Provinciale di Sondrio). Infine, sul tema della conservazione in situ, va evidenziato come di per sé l inclusione di popolazioni di piante fortemente minacciate entro aree protette, non sia spesso risolutivo per la loro salvaguardia. Serve comunque una stretta azione di monitoraggio e controllo a livello locale (dei siti di crescita e della popolazione stessa). Forse in tal senso, aree protette di tipo tematico, botanico nel caso specifico, di limitata estensione, potrebbero essere più efficaci. Probabilmente andranno in tal senso, le nuove aree protette in via di realizzazione in Europa, note come IPA (Important Plant Area), già in fase di realizzazione nel settore centro-orientale dell Unione (Cfr. Important Plants areas in central and eastern Europe, Plantlife, Planta Europa, e in fase di progettazione in Italia. L ultimo fattore di minaccia che viene qui considerato per la flora di montagna in Europa è il riscaldamento climatico. Le montagne, a pari delle zone artiche, sono aree fredde, dove flora e fauna sono da tempi lunghissimi adattate a vivere in queste condizioni estreme e quindi probabilmente incapaci di adattarsi a cambiamenti sostanziali, quanto a regime termico o grado di umidità/aridità attuale. Essere specializzati (es. specie chionofile, cioè essere adattate a crescere in siti dove permane per molto tempo la neve al suolo, fino a dieci mesi all anno o più) può comportare il pericolo di estinzione, in caso di modificazioni profonde delle condizioni di vita. Permarranno tali condizioni, soprattutto in montagne di quote basse, come ad es. le Prealpi lombarde o l Appennino settentrionale? Qui sono presenti attualmente piante e comunità vegetali chionofile, appartenenti alle c.d. vallette nivali (cfr. Tomaselli e Petraglia, 2007). Secondo Thuiller (2007) se il clima della terrà aumenterà nel prossimo secolo di 4 C, nelle zone di montagna le specie dovranno spostarsi in quota di ben 500 m. Le vallette nivali dell Appennino settentrionale sono attorno ai m e la vetta più alta è a quota 2165 m (Monte Cimone, nel modenese). Pertanto, se la previsione si avverasse, questa vegetazione è sicuramente destinata all estinzione locale! Ma si possono già attualmente, al di là dei modelli di previsione (cfr. anche Thuiller et al., 2005), riscontrare nelle alte montagne europee gli effetti del riscaldamento climatico? Diversi sono i lavori pubblicati in tal senso per le Alpi, in Svizzera, Francia e Italia (Parolo e Rossi 2008, Pauli et al., 2006, Walther et al e 2005, Pauli et al., 1999 e 2006). In tutti questi lavori è stata veramente verificata la risalita in quota di specie alpine e nivali, rispetto a studi precedenti ben circostanziati (rivisitazione dei medesimi siti e verifica delle liste di specie realizzate da botanici attivi in passato come J. Braun-Blanquet (CH) o A. Pirola (I). La risalita in quota è stata rispettivamente in media, di +4 m/decade in Austria (Pauli et al., 1999), +27 m/decade in Svizzera (Walter et al. 2005) e ben 34 m/decade in Italia, nella zona della Punta Marinelli, nel gruppo del

5 Bernina (Lombardia). Qui la zona era già libera dai ghiacciai a fine anni 50, quando fu pubblicata la flora dell area (Pirola, 1959), dove si parlava di isola glaciale. I cambiamenti, verificati dopo 50 anni, sono quasi esclusivamente dovuti al clima, visto anche il basso livello di antropizzazione. Parolo e Rossi (2008) hanno peraltro evidenziato due gruppi di specie, uno che è in grado di muoversi rapidamente (fast migrant) con una risalita calcolata sulla mediana, di 58.7 m/decade, ed un secondo a lenta risalita (slow migrant), con soli 13m/decade. Il primo riesce a risalire in maniera così efficace, grazie alla presenza di diaspore (semi, spore), molto leggere o dotate di appendici, che favoriscono comunque il trasporto da parte del vento, al contrario dell altro. Le specie con semi a lenta risalita saranno quelli più vocati all estinzione locale, o comunque sfavoriti rispetto alle altre piante che avranno maggiori possibilità di colonizzare in fretta le zone più a monte, idonee. Per tutti questi ci sono però due forti problemi: la quota della montagna, avendo queste piante ormai raggiunto la vetta, e la risalita di piante fortemente competitive, come il salice rosso e il farfaraccio. Quest ultima (Tussilago farfara), è risalita rispetto al 1959 di ben 405 m in quota. Ciò lascia intravedere un pericolo di estinzione e sostituzione, con conseguente banalizzazione della flora montana ed alpina europea nei prossimi decenni. Tale scenario veramente preoccupante (pensiamo ai tanti e noti endemismi alpici!), è stato già delineato a livello continentale da Thuiller et al. (2005), che per le montagne che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, in senso lato, prevedono un estinzione entro il 2080 del 60 % delle specie attualmente presenti e la loro sostituzione per il 70%. Tra le montagne in questione troviamo per l Italia, l Appennino, le Alpi Marittime, le Orobie e le Alpi Giulie. Oltre queste risalite si possono già attualmente constatare danni da riscaldamento climatico a carico della flora alpina? Osservazioni in tal senso sono disponibili per Senecio incanus e Salix herbacea nei siti di crescita nord-appenninici (Monte Prado), dove le caldi estati del 2001 e 2003, hanno presentato alte temperature e basse precipitazioni: in concomitanza di questi fenomeni si è anche notato un calo nella fitness riproduttiva delle due specie, con diminuzione del numero di frutti per infruttescenza (S. herbacea) e di scapi fiorali (S. incanus), anche se non vi sono correlazioni evidenziabili sul piano statistico, per ora forse solo una coincidenza di fatti (Rossi et al., 2006; Rossi et al., 2008). Analoghe situazioni, ma con danni più evidenti, fino alla morte totale o parziale della pianta (Silene acaulis) si sono riscontrate nel 2007 per la Majella (Bruno Petriccione, in verbis). Inoltre non conosciamo ancora molto della capacità di risposta delle specie alpine a questo fenomeno ed è probabile, almeno in relazione alla diversità genetica delle endemiche strette, che non ci si possa spettare che la tolleranza genetica al riscaldamento sia sufficientemente ampia. Le piante alpine, che germinano peraltro normalmente dopo un periodo di dormienza invernale, quando la temperatura in primavera sale in un range di 0-10 C, ed in particolare quelle che necessitano di temperature di 10 C, difficilmente saranno ingannate dal presentarsi di temperature occasionali sopra lo zero e quindi non dovrebbero correre il pericolo di una inopportuna germinazione, nel caso poi si instaurassero per molto tempo temperature sotto lo zero. Chi invece germina dopo il verificarsi di temperature di 1 o pochi gradi centigradi, potrebbe essere ingannata da temperature invernali miti. Ciò da un lato potrebbe comportare la rottura della dormienza e dall altro, se tornano stabilmente basse temperature, rientrare in dormienza di nuovo, saltando così la germinazione nel successivo periodo estivo. Se il fenomeno avvenisse per anni successivi, potrebbe aversi la morte del seme, anche in considerazione della scarsa vitalità e durata dei semi di piante alpine o magari per effetto di patogeni. Di fronte a questi fenomeni di minaccia, almeno potenziale, per la ricca ed endemica flora montana ed alpina che cosa è possibile fare? In ambiente mediterraneo, incluse le zone montuose, non solo le coste, è già attivo uno specifico progetto di conservazione preventiva ex situ a livello sovranazionale: il progetto si chiama SEMCLIMED e vuole conservare le specie attraverso l archiviazione e il mantenimento in vita delle piante attraverso i semi, custoditi per tempi anche lunghissimi nelle c.d. banche del germoplasma. Altri progetti con lo stesso scopo sono in fase di attuazione parziale, o di progettazione, a cura di singole banche o reti di banche del germoplasma (semi, spore, pollini)

6 operanti a livello nazionale (RIBES in Italia, REDBAG in Spagna) o europeo (ENSCONET). Avere a disposizione una riserva viva di piante (mediante semi o spore disidratati e/o ibernati) può consentire un giorno di disporre di propaguli, per riportare in natura le piante, dall ex situ all in situ. La pratica delle reintroduzioni/rafforzamento (traslocazioni in generale), può essere un valido supporto alla conservazione delle specie; le piante potranno essere collocate ad esempio, in habitat e siti ancora idonei, in relazione ad esempio al riscaldamento climatico, a quote più alte, in esposizioni a nord, o in situazioni geomorfologiche particolari e favorevoli. Si veda in tal senso, sulle reintroduzioni, quanto messo a punto dalla Società Botanica Italiana (SBI, Gruppo di Conservazione) e quanto riportato dalla letteratura (Rossi e Bonomi, 2007; Rinaldi e Rossi, 2005). BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO FERRARINI A., ROSSI G., PAROLO G., FERLONI M., 2008 Planning low-impact tourist paths through the optimisation of biological and logistic criteria. Biological Conservation, accepted LUCAS G., SYNGE H., 1976 List of rare, threatened and endemic plants for the countries of Europe. Morges. MASCHINSKI J., FRYE R. & RUTMAN S., Demography and Population Viability of an Endangered Plant Species before and after Protection from Trampling. In: Conservation Biology 11, 4: PAROLO G. & ROSSI G., Upward migration of vascular plants following a climate warming trend in the Alps. Basic and Applied Ecology 9: PAULI H., GOTTFRIED M., & GRABHERR G., Vascular plant distribution patterns at the lawtemperature limits of plant life - the alpine-nival ecotone of Mount Schrankogel (Tyrol, Austria). Phytocoenologia, 29: PAULI H., GOTTFRIED M., REITER K., KLETTNER C. & GRABHERR G., Signals of range expansions and contractions of vascular plants in the high Alps: observations ( ) at the GLORIA master site Schrankogel, Tyrol, Austria. In: Global Change Biology 12:1-10. PIROLA A., Stazione di Astragalus sirinicus del Monte Lesima. In: F. Pedrotti Censimento dei biotopi di interesse vegetazionale meritevoli di conservazione in Italia. Soc. Bot. Ital., Camerino. PIROLA A. & CREDARO V., Cambiamenti vegetazionali nella stazione di Astragalus sirinicus Ten. del Monte Lesima (Appennino settentrionale). Atti Ist. Bot. Lab. Crittog. Univ. Pavia serie 7, (5), PIROLA A., Flora e vegetazione periglaciale sul versante meridionale del Bernina. Flora et vegetatio italica, 1:115. PRÖBSTL U., NATURA The influence of the European directives on the development of nature-based sport and outdoor recreation in mountain areas. In: J.Nat. Conserv. 11: RINALDI G. & ROSSI G. (EDS.), Orti botanici, reintroduzione e conservazione della flora spontanea in Lombardia. Quaderni della Biodiversità 2. Scuola Regionale di ingegneria naturalistica, Centro regionale per la flora autoctona. Regione Lombardia, Parco del Monte Barro. ROSSI G., GENTILI R., ABELI T., GARGANO D., FOGGI F., RAIMONDO F.M., BLASI C., Flora da conservare. Iniziative per l implementazione in Italia delle categorie e dei criteri IUCN (2001) per la redazione di nuove Liste Rosse. Inform. Bot. Ital. 40 (Supplemento 1). ROSSI G., PAROLO G., ULIAN T., Human trampling as threat factor for the conservation of peripheral plant populations. Plant Biosystems 142: (accepted 27 February 2008). ROSSI G., PAROLO G., FERRARINI A., FOLATTI M., LENNA P., RAMPA A., Le strategie gestionali della vegetazione nel piano di gestione pilota del SIC IT Val Viola Bormina Ghiacciaio di Cima dei Piazzi (Sondrio, regione biogeografica alpina). Atti del 43 Congresso Società Italiana di Scienza della Vegetazione, Ancona, giugno, p ROSSI G., BONOMI C., A review of plant reintroduction practice. Proceedings of 5th European conference on the conservation of wild plants in Europe: Working together for plants, September 5-9, 2007, Cluj-Napoca, Romania. ROSSI G., PAROLO G., ZONTA L.A. CRAWFORD J.A., LEONARDI A., 2006 Salix herbacea L. fragmented small population in the N-Apennines (Italy): response to human trampling disturbance. Biodiversity and Conservation 15: THUILLER W., Climate change and the ecologist. In: Nature 448: Nature Publishing Group. THUILLER W., LAVOREL S., ARAUJO M.B., SYKES M. T. & PRENTICE I.C., Climate change threats to plant diversity in Europe. In: PNAS 102, 23: The National Academy of the USA. TOMASELLI M. & PETRAGLIA A., 2007.Phytosociological study of the snowbed vegetation in the Northern Apennines (Northern Italy). In: Phytoecoenologia 37 (1), WALTHER G.R., BEIßNER S. & BURGA C.A., Trends in upward shift of alpine plants. In: Journal of Vegetation Science, 16: WALTHER G.R., BURGA C.A. & EDWARDS P.J., Fingerprints of climate change adapted behaviour and shifting species ranges. New York: Kluver, Plenum.

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