Premessa. Principali elementi di interesse

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1 BIODIVERSITÀ Premessa Il termine biodiversità compare nella letteratura scientifica internazionale soltanto alla fine degli anni ottanta e la frequenza del suo utilizzo aumenta esponenzialmente nell arco dell ultimo decennio. La biodiversità, secondo la definizione data nel 1987 dall U.S. Office of Technological Assessment (OTA), può essere descritta e considerata a tre diversi livelli: diversità degli ecosistemi naturali, diversità genetica e diversità specifica. La diversità degli ecosistemi naturali si riferisce alla miriade di ambienti diversi in cui la vita è presente (foreste, barriere coralline, ambienti umidi, praterie, ambienti sotterranei, ecc.). Da questi ambienti le specie vengono fortemente influenzate così che, se un tipo di habitat si deteriora o scompare, un gran numero di specie rischia di conseguenza l estinzione. La diversità genetica rappresenta la variabilità dei geni all interno delle specie. La sopravvivenza di ogni specie dipende essenzialmente dalla varietà di popolazioni da cui essa è composta: le specie costituite da una sola popolazione contengono evidentemente una minore variabilità. La sopravvivenza di una specie dipende, quindi, dal mantenimento delle sue popolazioni; se queste si riducono di numero, diminuiscono anche le opportunità adattative della specie stessa. Infine, la diversità specifica è quella che più comunemente viene definita biodiversità e rappresenta il complesso di specie che abita una data regione. Tale diversità può essere intesa come ricchezza di specie cioè come numero complessivo di specie presenti in una regione; più preciso tuttavia è il termine diversità tassonomica che prende in considerazione anche le relazioni tra le diverse specie. Tutti i livelli della biodiversità sopra descritti sono necessari per la persistenza delle specie e delle comunità, e tutti sono estremamente importanti per l uomo. Tuttavia, l intervento umano, in particolare nell arco degli ultimi due secoli, ha profondamente cambiato la struttura fisica della superficie del nostro pianeta. Perseguendo modelli di sviluppo basati sul consumo delle risorse naturali e sullo sfruttamento del territorio, distruggendo gli habitat naturali, l uomo ha modificato drasticamente il paesaggio e causato l estinzione di un gran numero di specie vegetali e animali incapaci di vivere e riprodursi con successo in ambienti antropizzati. Gli scienziati sono convinti che il benessere della nostra specie e i progressi verso uno sviluppo sostenibile siano strettamente dipendenti dal miglioramento delle capacità di conservare e gestire gli ecosistemi del pianeta. Gli strumenti per la conservazione degli ecosistemi sono costituiti dalla creazione di aree protette, dalla loro efficiente gestione, dall attuazione di misure di tutela dei sistemi naturali al di fuori delle aree protette, dal ripristino delle comunità biologiche negli ambienti degradati e dall attivazione di politiche concrete di sviluppo sostenibile che vedono l approccio integrato di sistemi naturali, sociali ed economici. Oggi è quanto mai necessaria una nuova concezione di paesaggio: non più bacino di risorse da sfruttare, ma elemento fondamentale all interno del quale uomo e natura possono coesistere. Andranno così individuate nelle realtà locali le aree da tutelare e conservare all interno di reti ecologiche costituite da parchi, giardini, aree verdi connesse tramite corridoi ecologici. E dovranno essere valutati preventivamente gli impatti negativi provocati dalle infrastrutture (strade, autostrade, ferrovie, elettrodotti, edifici, vetrate, ecc.) sulla biodiversità con l obiettivo principale di mantenere la qualità complessiva del paesaggio. Principali elementi di interesse Le principali minacce alla biodiversità La perdita di biodiversità si ha quando una specie, o parte del suo patrimonio genetico, o un ambiente naturale scompaiono per sempre. Con sempre maggiore frequenza in tutto il mondo vengono riferiti casi di estinzioni di massa, con una velocità che supera di gran lunga la comparsa di nuove specie. La causa della scomparsa di biodiversità è rappresentata, direttamente o indirettamente, dalle attività umane. 322 Biodiversità!

2 I fattori che contribuiscono in maniera consistente alla perdita di specie e quindi di biodiversità comprendono: - la distruzione degli habitat; - la colonizzazione di nuovi habitat da parte di specie alloctone; - l innalzamento della temperatura del pianeta; - l esaurimento della fascia di ozono nell atmosfera con conseguente minaccia della vita umana, animale e vegetale sia sulla terra sia negli oceani, per opera dei raggi ultravioletti e del loro potere distruttivo. Tabella 155: Fattori condizionanti la biodiversità Fattori Incremento di urbanizzazione Eutrofizzazione, acidificazione, cambiamenti climatici Frammentazione dei biotopi Uniformità e staticità del paesaggio Specie esotiche Preservare la biodiversità Conseguenze sulla biodiversità - crescente isolamento di spazi vitali - disturbo determinato dalla costante presenza dell uomo e delle attività ad esso legate - eutrofizzazione - formazione di isole di calore - emissione di sostanze nocive - impoverimento nello spettro delle specie - mutamento a favore delle specie legate al caldo - variazioni nei cicli biologici (date di covata, fioritura ) - isolamento di popolazioni (ad es. di anfibi) a causa della rete viaria, superfici agricole, ecc. - riduzione dello scambio genetico tra le popolazioni - riduzione o scomparsa di specie legate a biotopi giovani o molto vecchi - carenze di nicchie ecologiche e di popolazioni tipiche - riduzione delle successioni ecologiche - competizione con specie autoctone - esclusione delle specie autoctone - influenza sugli ecosistemi Preservare la diversità biologica rappresenta il cardine della biologia della conservazione e ciò comporta innumerevoli implicazioni scientifiche, sociali, etiche ed economiche. La biodiversità viene infatti oggi considerata un valore, che tuttavia risulta minacciato dallo sviluppo tecnologico e produttivo. L interesse per la biodiversità e per la sua tutela è così aumentato nel tempo fino a diventare una delle tre emergenze, a livello globale, individuate dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull Ambiente e lo Sviluppo di Rio de Janeiro del 1992, e come tale, oggetto della Convenzione delle Nazioni Unite sulla Diversità Biologica, entrata in vigore il 29 dicembre 1993 e, da allora, ratificata da 183 nazioni. In Italia la Convenzione è stata recepita e resa esecutiva con la Legge n. 124 del 14/2/1994 che ribadisce la consapevolezza del valore intrinseco della diversità biologica e dei suoi componenti ecologici e l esigenza fondamentale della conservazione in situ degli ecosistemi e degli habitat naturali e del mantenimento e ricostruzione delle popolazioni e delle specie vitali nei loro ambienti naturali. Secondo l art. 7 della suddetta Convenzione, anche l Italia, come gli altri Paesi contraenti, deve identificare le componenti della biodiversità, importanti per la conservazione e l uso sostenibile delle risorse naturali, i processi e le categorie di attività che hanno o che possono probabilmente avere impatti negativi significativi sulla conservazione e l uso sostenibile della biodiversità. L impegno contenuto nella Convenzione sulla Diversità Biologica di Rio, è stato poi confermato a distanza di 10 anni, dal Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile che si è tenuto a Johannesburg, in Sud Africa (26 agosto 4 settembre 2002). Tra gli accordi raggiunti è stata ribadita la necessità di una riduzione significativa del ritmo di estinzione della varietà delle specie viventi entro il 2010 e la necessità di adottare un approccio sistemico per la protezione della biodiversità marina. 323 Biodiversità!

3 Misurare la biodiversità Il metodo più semplice per misurare la diversità presente in una comunità ecologica è quello di contare il numero di specie che ne fanno parte. Ovviamente tale approccio è molto riduttivo, tuttavia va notato che anche questo semplice conteggio, se riferito ad un ecosistema, implica comunque uno sforzo notevolissimo, ovvero la raccolta di un campione di organismi sufficientemente rappresentativo di tutte le specie presenti nella comunità e il riconoscimento delle specie a cui appartengono i diversi organismi. Il campione stesso, però, fornisce ulteriori informazioni e più precisamente consente una valutazione delle abbondanze relative delle diverse specie, cioè le percentuali con cui esse sono presenti nel campione e quindi, se il campione è statisticamente significativo, nella comunità. Lo studio della biodiversità richiede quindi l acquisizione di numerosi dati provenienti da campagne di monitoraggio e censimento, raccolti possibilmente con tecniche riconosciute e comparabili e supportati da carte tematiche (es. Uso del suolo, Vegetazione, ecc) che mettano in evidenza le tipologie di ambienti caratterizzanti l area in studio. La biodiversità urbana In passato la conservazione della natura era un concetto riservato a specie minacciate o alla protezione di aree a elevato valore naturalistico e solo recentemente è nato un nuovo interesse per l ecosistema urbano. La maggior parte della popolazione mondiale vive in città e metropoli, quindi lontano, nella vita di tutti i giorni da un ambiente realmente naturale. In Italia le aree urbane occupano il 10% del territorio e ospitano il 55% della popolazione nazionale. La conservazione della natura all interno di ambienti fortemente antropizzati, il recupero di suoni, odori e colori e de loro valore ricreativo e didattico si rivela quindi indispensabile per una migliore qualità della vita. La presenza di animali selvatici e piante spontanee, di spazi ricreativi e luoghi di incontro rappresentano un occasione educativa e istruttiva che procura benessere a ognuno di noi per il bisogno di contatto con la natura; inoltre le aree naturali urbane offrono spesso rifugio a piante e animali che faticano a trovare habitat adatti nelle aree agricole sottoposte a sempre più intensi cambiamenti da parte dell uomo. Le città contengono una sorprendente varietà di habitat e di specie animali e vegetali grazie ad un mosaico di aree verdi, spazi aperti ed edifici, ambienti sottoposti a continue espansioni, modificazioni, abbandoni che le rendono dinamiche e influenzano lo sviluppo di nuovi habitat. La conservazione della ricchezza della biodiversità passa anche attraverso la realizzazione di nuove opere e la modificazione della struttura dell ambiente urbano purchè venga effettuata una seria valutazione dei possibili impatti ambientali, verificando in fase progettuale che non si siano persi di vista i principi di sostenibilità. E opportuno monitorare l impatto di ogni intervento individuando uno o più gruppi di indicatori che consentano di misurarne il grado di attuazione e il successo nel raggiungimento degli obiettivi e verificare se l azione si stia realizzando secondo i tempi e le modalità stabilite. L ecosistema urbano Lo sviluppo delle città porta con sé la perdita massiccia di terreni occupati in precedenza da boschi, zone umide e coltivi, ma al tempo stesso alla città viene oramai riconosciuto lo status di ecosistema : l ecosistema urbano compreso entro i confini di una città. In ambito urbano dominato da edifici industriali e residenziali, da vie di collegamento, spazi aperti per il parcheggio e per il deposito dei rifiuti e spazi verdi, contrariamente a quello che ci si può aspettare, sono racchiusi vari tipi di habitat. In generale gli habitat urbani terrestri e acquatici comprendono ambienti seminaturali, inglobati dall espansione della città o artificiali, formatisi con lo sviluppo urbano, che possono mimare quelli naturali o essere a loro accidentalmente analoghi: i muri cittadini diventano pareti rocciose, i lampioni e i pali vengono utilizzati come posatoi, scantinati e anfratti nei tetti sono moderne grotte per i pipistrelli. Molte specie di piante e animali sono associate a precise tipologie di habitat: se ci si sposta dalla campagna verso la periferia di una città, fino al centro densamente abitato, piante autoctone e animali che necessitano di larghi spazi seminaturali lasciano il posto a specie in grado di sopravvivere in ambienti degradati e frammentati. In questo panorama influenzato dallo sviluppo industriale sono molte le specie di uccelli, mammiferi, invertebrati e piante che si trovano a loro agio. Quali sono i fattori caratteristici dell ambiente urbano che attraggono organismi animali e vegetali? Alcuni animali, anche in seguito al peggioramento della qualità della campagna, si sono stabiliti in città, affrontando i rischi ma anche godendo dei vantaggi che la vicinanza dell uomo fornisce. 324 Biodiversità!

4 Il fenomeno dell inurbamento degli animali, più vistoso negli uccelli, è dovuto ad alcuni fattori: cibo abbondante reperibile più facilmente, siti idonei di riproduzione e dormitori, minore presenza di predatori e di pressione venatoria. Il rovescio della medaglia è la forte pressione antropica che provoca inquinamento, notevole instabilità con possibilità di profondi cambiamenti in tempi molto brevi, disturbo e frammentazione. Tutto ciò crea un ambiente di vita anomalo, caratterizzato da un suolo di scarsa qualità e da condizioni climatiche particolari che fanno sentire il loro effetto sugli organismi sia direttamente sia indirettamente attraverso l inquinamento atmosferico. In città piove di più rispetto alla campagna e il clima è meno ventoso, ma con venti più turbolenti a causa della presenza dei palazzi che incanalano le correnti d aria lungo le vie di comunicazione. Le temperature atmosferiche lungo il corso di un anno si mantengono generalmente al di sopra di quelle della campagna circostante, per valori che raggiungono anche i 5 C. Le caratteristiche intrinseche degli ambienti urbani, tra cui l estensione, selezionano le specie animali e vegetali in grado di adattarsi. La composizione delle comunità nelle varie tipologie di ambiente urbano è influenzata dalla storia: infatti in aree precedentemente naturali, inglobate dallo sviluppo urbano, le comunità animali e vegetali risultano essere simili a quelle originarie, mentre in un area nuova dipendono dalla capacità di colonizzazione diretta e indiretta delle specie e spesso le comunità che si instaurano all inizio sono più ricche di quelle successive. Senza dimenticare che di frequente l uomo gioca un ruolo importante con l introduzione di specie autoctone ma troppo spesso alloctone, la cui presenza può portare ad una drastica diminuzione di biodiversità. Così nelle città si può riconoscere un centro storico densamente edificato e con pochi spazi verdi, una fascia di più recente urbanizzazione con una presenza superiore di aree verdi e un ultima corona periferica in cui si compenetrano le caratteristiche urbane con quelle degli ambienti circostanti. Queste ultime sono le cosiddette zone di ecotono, veri e propri habitat in grado di mitigare gli effetti dell impatto antropico o al contrario di funzionare da barriera contro la dispersione. Una caratteristica tipica dell ambiente urbano è rappresentata dalle aree verdi isolate, i frammenti di ambienti urbani che si comportano come le isole di McArthur e Wilson (1967). Secondo la biogeografia insulare l estensione delle aree verdi non è necessariamente sinonimo di ricchezza e tante aree piccole possono rivelarsi più ricche in specie di una corrispondente area estesa. Da qui l estrema importanza di conoscere, proteggere e valorizzare l ecosistema urbano nel suo complesso. Le unità ecosistemiche urbane La pressione antropica sulle aree comprese nel perimetro di una città è notevole. Ciò nonostante, in ambiente urbano sono presenti aree con un certo valore naturalistico, la cui conservazione è di primaria importanza. Secondo una prima classificazione, gli habitat urbani di cui si riporta di seguito una descrizione possono essere sommariamente divisi in due categorie: terrestri e acquatici. Habitat terrestri Gli habitat terrestri possono essere classificati secondo cinque differenti tipologie: 1. aree edificate: il graduale invecchiamento delle strutture permette la formazione di crepe e l accumulo di materia organica necessaria per l insediamento di comunità di piante, la cui composizione varia a seconda delle condizioni chimiche e fisiche del substrato e della capacità di dispersione dei semi; l instaurarsi della comunità vegetale è preludio dell arrivo di quella animale. Gli edifici offrono, con le loro pareti, condizioni simili a quelle delle mura, ma il cemento armato non garantisce la stessa ricchezza di nicchie del mattone e della pietra; i palazzi sono ricchi tuttavia di siti di nidificazione e posatoi per gli uccelli, di habitat per i licheni. La permanenza di animali in aree edificate può essere incoraggiata dalle terrazze ricche di piante e dalle cassette nido per pipistrelli e uccelli. Non bisogna però dimenticare che edifici e altre strutture aeree possono rivelarsi al tempo stesso pericolosi per gli animali. Non sono infrequente, infatti, collisioni violente e spesso mortali di uccelli contro i vetri riflettenti l immagine del cielo. Lungo le strade lastricate è presente una ricca comunità vegetale adattatasi a vivere su aree pavimentate dove sopportano vari stress, tra cui: sale, inquinanti, temperature estreme, calpestio con conseguente danno meccanico e compattazione del suolo. In questo habitat le piante utilizzano il notevole accumulo di nutrienti e umidità che si deposita negli interstizi. E un ambiente notevolmente influenzato dalle deiezioni di animali (cani, gatti, piccioni, ecc). 2. vie di collegamento - strade, autostrade, ferrovia - e loro bordi: sono al tempo stesso dannose e utili per gli animali selvatici, in quanto barriere a volte invalicabili il cui sviluppo provoca perdita di habitat, cambi nella topografia, frammentazione e stress da inquinamento, alterazioni microclimatiche, inclusi i colpi di vento prodotti dal passaggio degli automezzi. Ai loro bordi è possibile trovare diversi habitat che svolgono la 325 Biodiversità!

5 funzione di corridoi, anche se le specie animali che utilizzano i bordi per disperdersi rischiano la morte per investimenti e hanno una minore velocità di dispersione. Sono ambienti caratterizzati dalla presenza di alcuni inquinanti, tra cui:! piombo che si deposita come particole entro 50 m dalla strada, accumulandosi sulla vegetazione più alta;! ossidi di azoto (NO x ), che vengono assorbiti dalle piante, con effetti positivi per alcune specie; quando sono dannosi riducono la crescita delle radici e dei germogli e possono influenzare l assorbimento dei minerali, la respirazione e il tasso di fotosintesi;! anidride solforosa (SO 2 ) sempre dannosa;! sale, cloruro di sodio (NaCl) che modifica la struttura dei suoli argillosi compattandoli e rendendoli impermeabili e altera la composizione delle comunità vegetali favorendo la crescita delle alofile, spesso trasportate dagli automezzi. 3. Aree industriali dismesse: sono habitat di solito esteticamente sgradevoli e rari perché generalmente vengono riutilizzati o distrutti. Sono caratterizzati da scarsa qualità per carenza di sostanze nutritive, estremi di ph, mancanza di colonizzatori iniziali e presenza di materiali tossici che impediscono una rapida colonizzazione da parte delle piante. Ospitano popolazioni di invertebrati abbastanza particolari. 4. Discariche: la crescita urbana comporta uno smisurato aumento dei rifiuti da smaltire. La presenza di rifiuti organici nelle discariche provoca, attraverso processi di fermentazione, la produzione di calore e metano, il quale unito ad altri inquinanti crea condizioni tossiche che rendono difficile l insediamento dei colonizzatori. Sui cumuli di rifiuti, dai bordi instabili e soggetti a erosione, si formano talvolta stagni temporanei per accumulo di acqua piovana. E un habitat estremamente instabile che ospita comunità animali e vegetali temporanee. 5. Aree verdi - foresta urbana e aree boschive: la presenza di vegetazione ricopre un ruolo molto importante a livello urbano perché arricchisce esteticamente lo spazio e migliora la qualità della vita. Gli alberi, che in ambiente urbano affrontano difficili condizioni di crescita, modificano le condizioni climatiche locali attraverso la traspirazione e la creazione d ombra e costituiscono un efficace barriera contro il vento. Sono inoltre in grado di combattere l erosione, di ridurre l inquinamento acustico e di proteggere dagli estremi di temperatura; assorbono l acqua piovana e riducono l inquinamento atmosferico perché le particole che si fissano su foglie e corteccia vengono poi dilavate; rimuovono gli ossidi di azoto, l anidride solforosa, il monossido di carbonio, l ozono e gli alogeni, benché alcuni di questi composti danneggino le foglie. E importante distinguere tra la foresta urbana che comprende le zone di boscaglia e boscose secondarie che colonizzano aree precedentemente spoglie e gli alberi piantati nelle strade, nei parchi e nei giardini, e le aree boschive naturali, risultato di uno sviluppo urbano che ha inglobato residui boscosi. Le zone boscose in città sono spesso di dimensioni ridotte e la loro composizione in specie dipende dalla storia, dalla gestione e dal loro collocamento. A causa dell intervento antropico diretto e indiretto è ormai preponderante la presenza di specie esotiche che rischiano di diminuire la biodiversità ma al tempo stesso offrono rifugio e cibo a invertebrati, uccelli, di cui molte specie insettivore, e mammiferi, magari per tutto il corso dell anno. Nonostante l assenza quasi totale di piante autoctone, persino nei giardini è possibile trovare un interessante diversità nella struttura della vegetazione (cespugli, alberi, piante erbacee, erba), oltre che una ricca varietà di habitat (siepi, muri, stagni). Habitat acquatici Molti degli habitat acquatici presenti in città ricordano nell aspetto e nella struttura quelli naturali; in realtà in ambiente urbano l impatto antropico esercita sugli organismi una pressione che ha portato impoverimento e inquinamento. Si passa da ambienti nettamente artificiali (acque di scolo) ad ambienti più simili a quelli naturali (canali), ad ambienti naturali inglobati nell espansione delle città (fiumi, stagni, torrenti, laghi); quando non eccessivamente degradati gli habitat acquatici ospitano flora e fauna di notevole interesse. Riferimenti normativi La tutela della flora e della fauna è divenuta in questo secolo, per motivazioni scientifiche, etiche e morali, un obiettivo di prioritaria importanza ed è stata, soprattutto negli ultimi trent anni, oggetto di una sempre più attenta produzione normativa volta a regolamentare la materia e a rendere le politiche della conservazione maggiormente unitarie a livello globale. 326 Biodiversità!

6 Durante la Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo, tenutasi a Rio de Janeiro nel giugno 1992, i capi di Stato di 178 Paesi firmarono quattro documenti, tra cui la Convenzione sulla Biodiversità che è diventata legalmente vincolante il 20 dicembre 1993 e che sancisce l intrinseco valore della biodiversità e l enorme importanza sulla conservazione, riconoscendola sul nostro pianeta come un vero e proprio bene per l intera umanità. Tra gli obiettivi della Convenzione sono previste la cooperazione dei Paesi partecipanti per il conseguimento del comune scopo della conservazione della biodiversità e dell utilizzo sostenibile dei suoi componenti, oltre a una condivisione equa dei benefici derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche. Per raggiungere questi obiettivi la Convenzione richiama:! l importanza che le Nazioni partecipanti definiscano piani, strategie nazionali e programmi per la conservazione e l uso sostenibile delle proprie risorse biologiche;! la necessità di identificare e monitorare gli ecosistemi e gli habitat contenenti elevata biodiversità;! l importanza della conservazione in situ ed ex situ;! la responsabilità legale dei Governi per l impatto ambientale causato in altre Nazioni da attività, comprese quelle di società private, svolte entro la propria giurisdizione;! la necessità di finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo in cui si trova la maggior parte del patrimonio biologico del nostro pianeta;! l importanza della partecipazione alla ricerca biotecnologia e ai suoi benefici da parte delle Nazioni che forniscono risorse genetiche;! l impegno alla trasmissione nei Paesi in via di sviluppo delle conoscenze e delle capacità necessarie all attuazione della Convenzione, mediante adeguata istruzione e addestramento. Oltre alla Convenzione sulla Biodiversità tra le convenzioni internazionali sottoscritte anche dal nostro Paese si ricordano in Particolare:! la Convenzione di Ramsar (1971) per la tutela delle zone umide, recepita in Italia con DPR 12/3/1976 n. 448 e resa esecutiva con DPR 11/2/1987 n. 184;! la Convenzione di Bonn (1979) per la protezione della fauna migratoria, recepita in Italia con Legge n. 42 del 25/01/1983. Con la direttiva 79/409/CEE Uccelli e con la direttiva 92/43/CEE Habitat, l Unione Europea ha inoltre precisato e approfondito le norme delle convenzioni internazionali per i Paesi membri e si è dotata di procedure e strumenti per la loro realizzazione. In particolare la Direttiva Uccelli sancisce la conservazione di tutte le specie di uccelli selvatici europei, delle loro uova, dei nidi e degli habitat e prevede l istituzione delle Zone a Protezione Speciale (ZPS); la Direttiva Habitat comprende liste di Habitat e specie animali e vegetali la cui conservazione viene considerata prioritaria. La conservazione delle specie minacciate prevede l istituzione, da parte dell UE, delle Zone Speciali di Conservazione (ZSC), scelte tra i Siti di Importanza Comunitari (SIC) proposti dai singoli Paesi membri. Tra le principali norme italiane ricordiamo la Legge quadro sulle aree protette (n. 394 del 6/12/1991 modificata e aggiornata dalla L. n. 426 del 9/12/1998 e ancora dalla Legge n. 93 del 23/3/01) che prevede l istituzione di aree protette nazionali e regionali, sotto forma di parchi o riserve naturali. Situazione del territorio in esame Evoluzione storica del paesaggio trevigliese Nel corso dei secoli, le attività operate dall uomo sul territorio, soprattutto per mezzo dell agricoltura, hanno creato degli ambienti sempre più lontani da quelli originari, trasformando il paesaggio naturale nell attuale paesaggio agrario. In epoca pre-romana il territorio trevigliese, come l intera pianura padana era in gran parte occupato da fitte foreste di querce decidue (farnia, rovere) alle quali si sono associate in seguito tiglio e olmo formando così il querceto misto. In epoca romana le aree boscate subirono una notevole contrazione a seguito della messa a coltura di vaste zone della pianura attuata mediante un sistema di colonizzazione a maglie regolari rettangolari ( centuriazione ). La decadenza dell Impero romano e le prime invasioni barbariche determinarono il progressivo abbandono delle attività agricole, facilitando quindi una nuova espansione delle foreste. 327 Biodiversità!

7 In età medioevale, con lo sviluppo delle istituzioni comunali, si ebbe una nuova inversione di tendenza. Infatti, per sopperire alla crescita demografica, si misero a coltura nuove terre, si ripresero i dissodamenti e i disboscamenti: iniziò così una nuova espansione delle colture agrarie, grazie anche all opera sistematica di bonifica condotta dai monaci benedettini e cistercensi. In territorio trevigliese, nel XIV sec., si cominciò la progettazione e lo scavo delle principali rogge che permetteranno una notevole intensificazione dell attività agricola. Già nel XVI sec. si tentò l inserimento dei bachi da seta e dei gelsi che grande diffusione ebbero nei secoli seguenti. Nel secolo XVII venne introdotta con scarso successo la coltivazione del riso, all inizio del XVII quella del mais, che modificò nettamente le abitudini alimentari della popolazione locale. L intenso sviluppo agricolo provocò il quasi totale sradicamento delle originarie foreste naturali e il regolamento della vegetazione naturale ad aree sempre più marginali. Infatti nella prima metà del XVIII sec. le aree boscate nel territorio di Treviglio erano relegate ad alcune zone di confine o a terreni di difficile coltivazione: lembo Nord-Ovest in prossimità di Castel Cerreto (ne sono probabile testimonianza alcuni vecchi esemplari di querce), zona compresa tra la roggia Vailata e la roggia Firone in prossimità della frazione Geromina. Lembi di bosco erano anche presenti nella zona del Roccolo lungo il confine con il comune di Cassano. Nello stesso periodo storico nella campagna, accanto alle specie arboree ed arbustive indigene tradizionali, si diffusero specie esotiche quali gelso, platano, robinia. Nel territorio trevigliese, ad esempio, si calcola che nel secolo scorso fossero presenti circa piante di gelso. Prese così forma il paesaggio agrario tipico della pianura padana nel quale i campi coltivati erano delimitati da siepi, filari, fasce boscate e boschetti, che insieme formavano un fitto reticolo di vegetazione arborea e arbustiva. Tale vegetazione assunse notevole valenza anche dal punto di vista economico, tanto da essere considerata dagli agricoltori non meno importante delle altre colture agrarie. Da esse infatti la popolazione rurale traeva legna da ardere e da opera, piccoli frutti, strame, materiale da lavoro, alimento per gli animali ecc. A partire dal secondo dopoguerra, lo sviluppo delle coltivazioni intensive e la specializzazione colturale hanno dato inizio ad una progressiva scomparsa della vegetazione sia di origine naturale, sia introdotta dagli uomini nel paesaggio agrario secondo schemi ben precisi. Per primi sono spariti gli ultimi lembi di boschi planiziali poi via via il sistema di siepi e filari campestri. Le siepi, infatti, venivano considerate un intralcio alla meccanizzazione agricola e una fonte di parassiti per le colture agrarie (malerbe, insetti nocivi, malattie, ecc.). Si è assistito così nel corso degli ultimi anni ad una progressiva semplificazione del paesaggio e ad un impoverimento della popolazione vegetale che ha trasformato il territorio agricolo di pianura in un'immensa distesa coltivata a cereali. Di pari passo a questa massiccia riduzione della biodiversità vegetale è proceduta la diminuzione delle specie animali. Il bosco planiziale era un ambiente ricco di fauna a causa del grande sviluppo di vegetazione e dell'abbondanza d'acqua. Specie tipiche tra i carnivori erano la volpe e la donnola, che essendo mammiferi molto adattabili sono comuni ancor adesso; tra i roditori si possono citare il ghiro e lo scoiattolo. Uccelli tipici del bosco erano il rigogolo, la capinera, l'usignolo e il merlo, che si è adattato facilmente agli ambienti antropizzati. Motivi simili a quelli che hanno portato allo sradicamento delle siepi, sono stati responsabili dell'interramento delle raccolte d'acqua nelle campagne. Dove ciò è avvenuto, si è arrivati all'estinzione di numerose popolazioni di anfibi che lì avevano l'unico rifugio possibile. Le raccolte d'acqua inoltre, pur se di esigue dimensioni, funzionavano da elemento attrattore per numerose specie di uccelli sedentari o di passo; la presenza di canneti anche di piccole dimensioni richiamava poi una avifauna caratteristica (canareccione, gallinella d'acqua, tarabusino, ecc.). La presenza in uno stesso territorio di varie tipologie ambientali favoriva l'insediamento di serpenti come il biacco o di roditori come le arvicole, specie abitatrici di ecotoni (habitat che comprendono le fasce di transizione tra ecosistemi diversi: fascia di confine tra bosco e prato, ecc.). Bisogna comunque ricordare che, se da una parte nell'evoluzione della fauna vertebrata vediamo scomparire o ridursi l'avifauna legata all'ambiente boschivo, dall'altra parte, con la creazione delle campagne coltivate, le specie più legate agli ambienti aperti hanno a disposizione un nuovo grande spazio da colonizzare. Tra queste specie val la pena ricordare le allodole. Inoltre l'accrescersi delle zone urbane ha reso disponibile una nuova e importante nicchia ecologica per numerose specie vertebrate. Merli, passere domestiche, ratti e topi sono diventati ospiti abituali delle città. Anche il rospo smeraldino sfrutta l'ambito antropizzato cacciando insetti sotto i lampioni nelle serate estive e la raganella può essere trovata nei parchi più grandi in periferia. 328 Biodiversità!

8 Fino ad ora sono state ricordate solo modificazioni del popolamento faunistico dovute a cambiamenti ambientali, ma non si deve dimenticare che per varie motivazioni (di natura estetica, di natura economica, involontariamente) sono state introdotte numerose specie non appartenenti alla fauna autoctona della pianura: coniglio e fagiano sono i due esempi più eclatanti. Da ultimo non si deve scordare il ruolo giocato dalla caccia non regolamentata o non sufficientemente controllata, nell'estinzione locale di alcune specie di vertebrati. Per esempio si può citare la scomparsa della lepre comune (Lepus europaeus) o della testuggine palustre (Emys orbicularis) in numerose località della pianura (Antignati et al, La Natura fuori porta, 1995). La vegetazione Con il termine vegetazione si indicano le modalità con cui le specie, che nel loro insieme compongono la flora, si dispongono a costituire la copertura vegetale di un dato territorio o ambiente. Tale copertura sarà costituita da formazioni (bosco, prateria, ecc) caratterizzate da una struttura e da una fisionomia simile. Vegetazione naturale potenziale Nel territorio trevigliese, fortemente modificato dagli insediamenti umani e dall attività agricola, le aree con vegetazione naturale occupano modestissime estensioni, localizzate per lo più in prossimità dei corsi d acqua, delle risorgive e delle rare discontinuità geomorfologiche. Tali rari frammenti, data la loro esigua estensione ed il frequente inquinamento con essenze esotiche, risultano generalmente poco significativi per trarre indicazioni circa la composizione della vegetazione naturale della pianura trevigliese. Informazioni in tal senso sono comunque ricavabili dallo studio della vegetazione naturale potenziale, ossia di quella copertura vegetale che si troverebbe in una determinata area se non vi fosse l azione dell uomo a modificare l ambiente. Lo studio della vegetazione potenziale consente in pratica di prevedere l aspetto finale strutturale e floristico di un area destinata a verde naturale spontaneo e può aiutare nella scelta delle essenze vegetali più adatte ad un particolare sito (essenze autoctone). Secondo la classificazione fitoclimatica di Pavari la nostra zona appartiene, considerata la relativa mitezza dei minimi termici, alla sottozona calda del Castanetum. A questa classificazione fa riscontro una vegetazione inquadrabile nell orizzonte delle latifoglie eliofile con formazioni a prevalenza di querce mesofile. Tale formazione corrisponde a quello che nella Carta della vegetazione forestale potenziale d Italia (Tomaselli, 1970) è definito climax del frassino (Fraxinus excelsior), del carpino (Carpinus betulus) e della farnia (Quercus robur). Nel determinare il popolamento vegetale associato alla quercia farnia, grande importanza assume il fattore acqua in termini di distanza dalle aste fluviali, di superficialità della falda e di capacità drenante del suolo. A scala locale, infatti, la diversa disponibilità d acqua negli strati di suolo interessati dagli apparati radicali gioca un ruolo importante nella definizione della vegetazione potenziale dell area. La foresta planiziale di latifoglie mesofite che ricopriva il territorio di Treviglio assumeva pertanto forme diverse a seconda del grado di affrancamento dall acqua. I terrazzamenti situati tra il fondovalle dell Adda e il Livello Fondamentale della Pianura (LFP), ribassati rispetto a quest ultimo di circa 5-15 metri, sono caratterizzati da una scarsa profondità della falda che, nella porzione più meridionale del territorio ed in corrispondenza dei mesi estivi, si trova addirittura in posizione sub-superficiale. Tali zone erano un tempo certamente caratterizzate da un alternarsi di aree acquitrinose ed aree meglio drenate ma pur sempre umide. Ai margini delle paludi permanenti, su aree con falda affiorante dominava l ontano nero (Alnus glutinosa), la specie arborea padana più tollerante della sommersione prolungata delle radici. Ad esso si univano altre essenze quali il salice bianco (Salix alba), il pioppo nero (Populus nigra), il pioppo bianco (Populus alba). Questo tipo di bosco sfumava in formazioni miste di quercia farnia e olmo campestre (Ulmus minor) che possono essere considerate una variante umida della foresta planiziale di latifoglie mesofite (quercoolmeti). Tale formazione era arricchita, nella componente arborea arbustiva, dalla presenza di frassino, pallon di neve, sambuco nero, sanguinello, e da rampicanti quali l edera. Le aree lontane dal fiume Adda, sul Livello Fondamentale della Pianura (LFP), ubicate a monte della fascia delle risorgive, non soggette a fenomeni di esondazione, erano coperte dal querco-carpineto: il bosco climax dell intera valle padana, caratteristico dei suoli più fertili ed evoluti. Lo strato arboreo era 329 Biodiversità!

9 caratterizzato dalla presenze oltre che di farnia, olmo e frassino, del carpino bianco, dell acero campestre e probabilmente del tiglio. Nello strato arbustivo, era rinvenibile il sanguinello, il nocciolo, il biancospino, il ligustro, la frangola. Sempre presenti le specie lianose, tra cui l edera, la clematide e il caprifoglio. In aree caratterizzate da una maggiore aridità estiva, dovuta a fattori morfologici (la scarpata o costa ) o a fattori podologici (suoli ciottolosi), è probabile fossero presenti formazioni boscate nelle quali alla farnia si sostituiva in parte la rovere (Quercus petraea) accompagnata da ornello e bagolaro. Vegetazione reale La campagna dell intera pianura trevigliese è caratterizzata da formazioni vegetali che si possono ricondurre alle seguenti categorie: i campi coltivati, i prati permanenti, le siepi campestri e le fasce boscate. Le siepi campestri e le fasce boscate costituiscono l elemento forestale più significativo del territorio. Esse sono distribuite lungo le strade campestri, i campi coltivati, le rogge e le scarpate a formare un reticolo forestale a diversa densità. Si tratta di strutture boscate lineari caratterizzate dalla presenza di più piani (o strati) di vegetazione. Lo strato alto è composto dalle chiome degli alberi, il piano intermedio dagli arbusti e il piano più basso dalle erbe. Lo strato arboreo generalmente monospecifico è costituito da poche file parallele di piante governate soprattutto a ceppaia, alla quale si associano arbusti e più raramente esemplari ad alto fusto o a capitozza. Figura 298: Esempio di transetto di zona ripariale Fonte: Ingegnoli e Giglio, Ecologia del paesaggio Queste strutture vegetazionali sono state in maggioranza piantate dall uomo nel corso del tempo allo scopo di delimitare i campi e produrre legna, in parte derivano da formazioni spontanee su terreni abbandonati e/o marginali (lungo le rogge, le recinzioni, la ferrovia, ecc) oppure residuano da processi di deforestazione di antichi boschi, come nel caso della banda boscata situata a cavallo del tratto settentrionale della Roggia Vignola. Nel 1995 (Antignati et al., La natura fuori porta) lo sviluppo lineare complessivo di siepi e bande boscate era pari a circa 123 km. Questo dato già allora appariva il risultato di aree a densità diverse, ovvero di aree caratterizzate o meno da elementi fisiografici non modificabili quali rogge o da aree caratterizzate da intensa attività agricola: a zone come quella compresa tra la linea ferroviaria MI-VE e la strada provinciale per Vidalengo, con densità inferiori a 20 m/ha, si contrapponevano zone in prossimità di Castel Cerreto e Geromina caratterizzate da una concentrazione di siepi e bande boscate decisamente superiore (circa 80 m/ha). Lo stesso calcolo, effettuato utilizzando le informazioni ricavate dalla banca dati regionale DUSAF (2007) e da aerofotogrammetria (2004) fornisce un dato pari a 32,5 m/ha, valore inferiore a quello del Biodiversità!

10 Figura 299: Bande boscate lungo la roggia Vailata Abbondanza specie floristiche nel Comune di Treviglio Il Gruppo Flora Alpina Bergamasca ha promosso un progetto di cartografia floristica della Provincia di Bergamo che è stato utilizzato anche nell ambito degli studi per la costituzione di una Rete Ecologica Provinciale. In conformità al Progetto di Cartografia Floristica Centroeuropea il territorio provinciale è stato suddiviso in aree base contrassegnate da quattro cifre ed estese 11,5 km in latitudine e 13,6 km in longitudine. Ogni area base è a sua volta suddivisa in quattro quadranti ampi circa 5,5 per 6,5 km. I risultati hanno evidenziato che il minor numero di specie di piante superiori (felci, gimnosperme, angiosperme) si registrano in pianura dove i valori sono generalmente compresi tra 500 e 700 entità per unità del reticolo, il numero di specie aumento lungo l asta dell Adda, dell Oglio e del Serio a dimostrazione dell importante ruolo di serbatoi di naturalità e di corridoi ecologici che i corsi d acqua costituiscono. La mappa sottostante riporta i risultati relativi al Comune di Treviglio. All interno dei confini Comunali si nota una notevole differenza di abbondanza di specie tra la parte Est (500) e la parte Ovest (620), dove è presente una maggiore naturalità. Il valore massimo riscontrato a Treviglio è circa la metà rispetto ai valori registrati nella fascia prealpina ( ), ma è solo leggermente inferiore rispetto ai valori dei Comuni costituenti il PLIS della Geradadda, posti molto più vicini al fiume Adda (686). Il valore medio di specie floristiche della provincia di Bergamo è circa Biodiversità!

11 Figura 300: Abbondanza specie floristiche Di seguito si descrivono brevemente le specie vegetali presenti nel territorio in esame (Antignati et al. 1995, La natura fuori porta) suddividendole in Arboree e Arbustive. Per entrambe le classi vengono considerate le specie autoctone e esotiche. 1. Specie arboree esotiche Tra le piante a portamento arboreo sono diffuse prevalentemente specie esotiche introdotte dall uomo quali robinia e platano. La robinia, originaria del Nord America, è stata introdotta in Italia nel XVII secolo. Nel territorio trevigliese è diffusa sia in strutture vegetali di formazione antropica sia in strutture di formazione spontanea, nelle quali si sviluppa con estrema rapidità a scapito delle specie autoctone. Il platano si trova soprattutto nelle siepi governate a ceduo per la produzione di legna da ardere; in alcuni casi (per esempio nell area intorno a Castel Cerreto) le ceppaie di platano raggiungono dimensioni ragguardevoli. Non trascurabile appare anche la diffusione dell alianto e del gelso da carta, entrambi naturalizzatisi, che si possono ritrovare, come infestanti, in ambienti ruderali. Il gelso, fino a non molti anni fa assai diffuso per l allevamento del baco da seta, è quasi scomparso. Specie esotiche quali l acero saccarino, l acero negundo, la quercia rossa, si trovano soprattutto lungo le strade di accesso alle cascine, dove vengono utilizzate per scopi ornamentali. 332 Biodiversità!

12 Figura 301: Robinia pseudoacacia e Quercus rubra Tabella 156: Specie arboree esotiche rilevate in territorio trevigliese Nome volgare Nome scientifico Famiglia Acero negundo Acer negundo Aceraceae Acero saccarino Acer saccharinum Aceraceae Ailanto Ailanthus altissima Simaroubaceae Albero di Giuda Cercis siliquastrum Leguminosae Catalpa Catalpa bignoides Bignoniaceae Ginkgo biloba Ginkgo biloba Ginkgoaceae Ippocastano Aesculus hippocastanus Hippocastanaceae Noce nero Junglans nigra Junglandaceae Platano Platanus hybrida Platanaceae Quercia rossa Quercus rubra Fagaceae Robinia Robinia pseudoacacia Leguminose Salice piangente Salix babylonica Salicaceae Spino di Giuda Gleditsia triacanthos Leguminosae Fonte: Antignati et al., La natura fuori porta, Specie arboree autoctone Assai meno diffuse risultano invece le piante arboree autoctone. La farnia, specie tipica delle foreste planiziali della Pianura Padana, è presente in un numero limitato di esemplari, spesso isolati, di cui alcuni di notevole pregio storico e paesaggistico-ambientale. L olmo, insieme all acero campestre, è invece abbastanza frequente sia in forma arborea che arbustiva. Anche l ontano nero ed il salice bianco sono relativamente diffusi soprattutto lungo gli argini dei corsi d acqua dove svolgono egregiamente funzione di consolidamento delle ripe. Figura 302: Olmo campestre (Ulmus minor) e ontano nero (Alnus glutinosa) Il pioppo nero, specie tipica delle pianure alluvionali, sta divenendo rara a causa della frequente ibridazione con pioppi neri americani. Alcuni esemplari di grandi dimensioni sono facilmente individuabili nella fascia boscata che si sviluppa lungo la roggia Vailata. Il noce comune, albero da frutto di antichissima coltivazione, è ancora abbastanza diffuso in prossimità delle cascine in filari o esemplari isolati. 333 Biodiversità!

13 Figura 303: Noce comune (Junglans regia) Tabella 157: Specie arboree autoctone rilevate in territorio trevigliese Nome volgare Nome scientifico Famiglia Acero campestre Acer campestre Aceraceae Acero di monte Acer pseudoplatanus Aceraceae Acero riccio Acer platanoides Aceraceae Bagolaro Celtis australis Ulmaceae Betulla bianca Betulla pendula Betulaceae Carpino bianco Carpinus betulus Corylaceae Carpino nero Ostrya carpinifolia Corylaceae Castagno Castanea sativa Fagaceae Ciliegio selvatico Prunus avium Rosaceae Faggio Fagus sylvatica Fagaceae Farnia Quercus robur Fagaceae Fico Ficus carica Moraceae Frassino maggiore Fraxinus excelsior Oleaceae Gelso Morus alba Moraceae Melo selvatico Malus sylvestris Rosaceae Noce comune Junglans regia Junglandaceae Olmo campestre Ulmus campestris Ulmaceae Ontano nero Alnus glutinosa Betulaceae Orniello Fraxinus ornus Oleaceae Pioppo gatterino Populus canescens Salicaceae Pioppo nero Populus nigra Salicaceae Salice bianco Salix alba Salicaceae Sorbo degli uccellatori Sorbus aucuparia Rosaceae Susino Prunus domestica Rosaceae Fonte: Antignati et al., La natura fuori porta, Specie arbustive autoctone Tra le piante a portamento arbustivo predominano in modo assoluto specie autoctone. Sono frequentissimi, se non addirittura banali, sambuco, sanguinello e rovo, quest ultimo soprattutto nelle zone degradate. Figura 304: Sambuco (Sambucus nigra) e sanguinello (Corpus sanguinea) 334 Biodiversità!

14 Prugnolo, biancospino, berretta da prete e ligustro, unitamente ad olmo ed acero campestre in forma arbustiva, sono specie abbastanza frequenti in tutto il territorio: formano spesso fitti cespuglietti al limite tra le formazioni boschive e i campi coltivati. Figura 305: Berretta da prete (Euonymus europaeus) e Ligustro (Ligustrum vulgare) Nelle strutture vegetali a maggior complessità (tra cui la roggia Vignola, Vailata e il boschetto in prossimità di Cascina Zanola), si rinvengono specie a diffusione più limitata: dove buona è la disponibilità di acqua troviamo il nocciolo, il pallon di neve e la frangola; sui dirupi sassosi della costa il pungitopo, lo spincervino e, più raramente, il Viburno lantana. Figura 306: Spincervino (Rhamnus catharticus) e pungitopo (Cuscus aculeatus) Tabella 158: Specie arbustive autoctone rilevate in territorio trevigliese Nome volgare Nome scientifico Famiglia Berretta da prete Euonymus europaeus Celastraceae Biancospino Crataegus monogyna Rosaceae Cornetta dondolina Coronilla emerus Leguminosae Frangola Frangola alnus Rhamnaceae Lantana Viburnum lantana Caprifoliaceae Ligustro Ligustrum vulgare Oleaceae Nocciolo Corylus avellana Corylaceae Pado Prunus padus Rosaceae Pallon di neve Viburnum opulus Caprifoliaceae Prugnolo Prunus spinosa Rosaceae Pungitopo Cuscus aculeatus Liliaceae Rosa canica Rosa canica Rosaceae Rovo Rubus spp. Rosaceae Salice di ripa Salix eleagnos Salicaceae Salicone Salix caprea Salicaceae Sambuco Sambucus nigra Caprifoliaceae Sanguinello Corpus sanguinea Cornaceae Spincervino Rhamnus catharticus Rhamnaceae Fonte: Antignati et al., La natura fuori porta, Biodiversità!

15 4. Specie arbustive esotiche In corrispondenza dei roccoli la vegetazione assume caratteristiche particolari. Infatti accanto alle specie tradizionali, spesso governate ad altofusto (robinia, olmo, ecc.), compaiono con maggiore frequenza specie produttrici di bacche e alcune specie ornamentali esotiche (ad es. il clerodendro) piantate allo scopo di creare un luogo di richiamo per l avifauna. Tabella 159: Specie arbustive esotiche rilevate in territorio trevigliese Nome volgare Nome scientifico Famiglia Clerodendro Clerodendron serotinum Verbenaceae Gelso da carta Broussonetia papyrifera Moraceae Indaco bastardo Amorpha fruticosa Leguminose Lauroceraso Prunus laurocerasus Rosaceae Fonte: Antignati et al., La natura fuori porta, Specie erbacee Tra le formazioni vegetali erbacee presenti nel territorio trevigliese grande importanza assume la vegetazione dei prati permanenti. Si tratta di prati stabili polititi che sono falciati regolarmente per la produzione di foraggio da destinare all alimentazione animale. I prati permanenti presentano una composizione floristica varia: alle specie principali, di buona qualità foraggiera, quali l erba mazzolina (Dactulis glomerata), la festuca (Festuca pratensis), il loietto perenne (Lolium perenne), il trifoglio pratense (Trifolium pratense) e le specie del genere Poa, Agrostis, si associano specie meno appetite dal bestiame o addirittura infestanti, quali il tarassaco (Taraxacum officinale), i ranuncoli (Ranunculus spp.) i romici (Rumex spp.). I seminativi Il Piano Agricolo Provinciale 2007/2009 colloca il Comune di Treviglio nell Unità agrario-forestale della Bassa Pianura Centrale. I vari terreni coltivati sono prevalentemente a coltura cerealicola e con specie foraggere. Le coltivazioni più diffuse sono il mais da granella, il mais ceroso e i cereali a paglia. Il Piano di Sviluppo Rurale della Regione Lombardia classifica Treviglio come area rurale ad agricoltura intensiva specializzata. Il piano indica come essenziale il procedere verso un migliore livello di sostenibilità dei processi produttivi riducendo il carico di azoto nelle acque e il rispetto della direttiva nitrati oltre che interventi indirizzati ad un riposizionamento dell agricoltura intensiva finalizzato a innovare processi e prodotti. Fondamentale per l agricoltura trevigliese è il sistema di rogge. Sul territorio sono ancora presenti numerosi cascinali tipici dell architettura rurale padana, di cui alcuni hanno un valore storico di rilevante significabilità, come il nucleo delle Cascine Pezzoli. Figura 307: Campi coltivati nel territorio Trevigliese 336 Biodiversità!

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