Lingue, Culture e Comunicazione Interculturale

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1 Alma Mater Studiorum Università di Bologna DOTTORATO DI RICERCA IN Lingue, Culture e Comunicazione Interculturale Ciclo XXII Settore/i scientifico-disciplinare/i di afferenza: L-LIN/07 TITOLO TESI DONNE TRA NATURA E CULTURA: LA RIPRODUZIONE DEL RUOLO MATERNO NELLA PUBBLICITÀ. ANNUNCI ITALIANI E SPAGNOLI DI PRODOTTI PER L'INFANZIA Presentata da: CHIARA BUSINARO Coordinatore Dottorato MARCELLO SOFFRITTI Relatrici RAFFAELLA BACCOLINI PILAR CAPANAGA Correlatrice esterna GRAZIA MORRA Esame finale anno 2010

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3 A Franca, mia mamma

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5 Indice Introduzione Maternità che scoraggia maternità. Essere madri in Italia e in Spagna Premessa Tassi di fecondità: lo stato delle nascite nei due paesi Paura: il marchio della nostra epoca Paura e medicalizzazione della maternità: una relazione ambigua Medicalizzazione della maternità: sviluppo Maternità che scoraggia maternità Conciliazione lavoro-famiglia e padri assenti. Il tempo delle donne e il tempo degli uomini Pubblicità e genere Premessa Pubblicità e stereotipi di genere Pubblicità da un punto di vista di genere Sviluppo della critica femminista alla pubblicità Analisi della pubblicità, dentro e fuori l'ambito statunitense Maternità, ideologia e media Premessa Riflessioni e studi sulla maternità Negli Stati Uniti In Italia In Spagna Figure materne nella stampa e nella pubblicità della cultura occidentale. Una mamma, tante mamme... e sempre ancora la Mamma Madri e pancioni consumati: il modello della Yummy Mummy Una figura materna, tanti modelli Il ruolo ideologico della madre nella società del consumismo La paura come strategia di vendita rivolta alle mamme Metodologia di analisi Finalità della ricerca Il corpus e i suoi criteri di selezione Procedimento di trascrizione e di analisi Griglie di analisi Griglia annunci stampa Griglia annunci tv La pubblicità italiana e spagnola dei prodotti per l'infanzia: uno sguardo d'insieme Premessa Le liste concorrenza per un'analisi quantitativa Cos'è una lista concorrenza Analisi delle liste concorrenza: metodologia Risultati dell'analisi Le categorie dei prodotti pubblicizzati I prodotti pubblicizzati Le aziende (i marchi) I mezzi: televisione e riviste La rivista di puericultura: il mezzo privilegiato della pubblicità di prodotti infantili Origini, contenuti, camaleontismi e diffusione Chi le consulta? Come le donne usano le riviste... 89

6 6. Risultati della ricerca Premessa I prodotti I protagonisti e le azioni Tipologie e numero Presenze visibili o intuibili. I corpi dissezionati Modelli fisici, di classe, stilistici ed emozionali Pose e direzione dello sguardo Le azioni Montaggio, inquadrature e piani dei personaggi Le ambientazioni Il piano sonoro Il messaggio verbale Enunciatore ed enunciataria Ridondanze per una retorica paternalistica Asimmetrie grammaticali: l'assenza del femminile Analisi semantica La figura materna nelle pubblicità del latte artificiale. Riflessioni a partire da quattro case study Premessa Allattamento materno: i benefici di un ballo a due Il declino dell'al-latt-amento materno: un fenomeno socioculturale Case study: obiettivi, strumenti e metodologia Gli annunci italiani: Nidina 2 PE (Nestlé) e Mellin 2 (Mellin) Gli annunci spagnoli: Nidina Premium (Nestlé) e Blemil Plus Forte (Ordesa) Conclusioni Conclusioni Allegato 1. Biografia della campionatura attraverso le aziende Allegato 2. Modelli di lettera per le aziende Lettera per le aziende italiane Lettera per le aziende spagnole Allegato 3. Documenti interviste alle aziende Traccia questionario Intervista Beiersdorf Italia Intervista Rottapharm Italia Scambio di con Luz Jiménez (Responsabile Marketing Graco España) Scambio di con Mercé Vigó i Arnau (Group Product Manager Ordesa España). 161 Allegato 4. Tavole analitiche delle azioni Italia Azioni mamme Stampa Tv Azioni bambine e bebè femmine Stampa Tv Azioni papà Stampa Tv Azioni bambini e bebè maschi Stampa Tv

7 4.2 Spagna Azioni mamme Stampa Tv Azioni bambine e bebè femmine Stampa Tv Azioni papà Stampa Tv Azioni bambini e bebè maschi Stampa Tv Allegato 5. Tavola analitica di nomi, aggettivi e verbi classificati per aree semantiche Allegato 6. Abbreviazioni Bbliografia Sitografia Filmografia Il CD in allegato contiene: il database delle liste concorrenza, le tabelle di trascrizione degli annunci e il database dei campioni analizzati 7

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9 Introduzione No hay transformación de las relaciones sociales sin un cambio del campo simbólico, y los progresos obtenidos en el ámbito de las costumbres, las leyes y las instituciones manifiestan su fragilidad cuando se observa una inmovilidad en el orden del sentido. Es hambre de pan y rosas. (Lozano 2002: 15) L'idea di approfondire il tema della maternità da un punto di vista di genere ha avuto origine da diversi fatti, personali e politici insieme. La percezione che il contesto storico e politico italiano in cui mi trovo a vivere gli anni adatti ad una gravidanza (desiderata), sia ad essa poco adeguato, impedisce una reale possibilità di scelta fra il mettere al mondo un figlio oppure no, in una situazione mondiale gravemente compromessa anche dal punto di vista ambientale. Come fare un figlio senza la garanzia di un lavoro? Ammesso che il lavoro ci sia, come anche solo illudersi di riuscire a conciliarlo serenamente con un ipotetico ruolo materno? A questo sentire, si aggiunge quello di una maternità difficile di per sé, piena di richieste avanzate alle madri e di nuove e solitarie responsabilità. Vuole il caso che in quel periodo stessi leggendo l'introduzione a Nato di donna di Adrienne Rich 1, aggiunta all'opera originale nel 1986: Alcune idee non sono veramente nuove, ma devono essere continuamente e compiutamente affermate, ancora e ancora. Una di queste, apparentemente semplice, è che la donna è di per sé umana tanto quanto il maschio, e che né le donne né gli uomini sono semplicemente lo sviluppo di una codificazione genetica, né biologicamente predeterminati. A formarci sono l'esperienza, il caso, le stelle e il tempo, i nostri compromessi e ribellioni, e soprattutto l'ordine sociale attorno a noi. Mentre scrivo questo, l'assalto al diritto della donna a un aborto sicuro e agevole è in forte crescendo. (Rich 2000: 17-18) Ne rimasi molto colpita, perché in quel momento (primi mesi del 2008) si stava discutendo in Italia della possibilità di una revisione della legge sulla maternità consapevole e la Chiesa cattolica, in occasione del Convegno per i vent'anni della Mulieris dignitatem, sosteneva: Di fronte a correnti culturali e politiche che cercano di eliminare, o almeno di offuscare e confondere, le differenze sessuali iscritte nella natura umana considerandole una costruzione sociale, è necessario richiamare il disegno di Dio che ha creato l'essere umano maschio e femmina. (L'Osservatore Romano 2008) Si presentava quindi una linea di continuità fra il pensiero preoccupato di Rich del 1986 e il rigetto, da parte della cultura dominante in Italia, sia della libertà di interrompere la gravidanza, sia dell'idea di una costruzione sociale del genere. È nata così questa ricerca, che sfiora l'immensa macchina simbolica del rapporto di dominio su cui è costruita la nostra società ed in cui uomini e donne si trovano (apparentemente uguali) nella posizione di vittime. L'ordine sociale si riproduce così facilmente da sembrare quasi impossibile arrestarne la duplicazione: la longevità di certi aspetti del patriarcato ne è esempio. La ricerca vuole focalizzarsi su alcuni aspetti del ruolo materno, visto attraverso l'osservatorio pubblicitario di annunci italiani e spagnoli rivolti alle madri (mai ai padri) per l'acquisto di prodotti per l'infanzia. Perché la pubblicità? Per ragioni analoghe a quelle per cui Ann Kaplan ha scelto il genere del melodramma come testo su cui studiare la rappresentazione della figura materna nel cinema: 1 Edizione italiana del 2000.

10 [...] first, I was interested in popular materials addressing a "mass" audience; dominant myths/fantasies/ideologies emerge most clearly in popular commercial texts addressing a huge audience, and melodrama is precisely the form which contains the ingredients for mass appeal. Second, melodrama in the modern period is the form that has always most explicity adressed a famale audince. (Kaplan 1992: ) Oppure di quelle di Danna Lynch quando, riprendendo un concetto già affermato da Kaplan (1990, 1992), scrive: Magazine advertising, as sites of material culture, serve as one type of barometer for the place of motherhood as an ideology in the wider social landscape. It is not the real-life behaviour of women as mothers that is revealed in these images, but the ideological construction of motherhood. (Lynch 2005: 34) La pubblicità appare quindi l'oggetto ideale per una ricerca come questa, in quanto al tempo stesso riflette e modella l'ideologia dominante. L'ambiente dello studio è quello di una maternità scoraggiata per via della paura, della solitudine e del doppio ruolo, anche all'interno di non-famiglie (madri senza partner). Le madri si trovano a gestire l'evento in una società culturalmente vicina al sistema patriarcale, ma da cui sono sparite le figure parentali che ne costituivano l'ossatura di aiuto e solidarietà femminile. Al loro posto si fanno strada e gli annunci ne forniranno testimonianza le figure degli esperti, in una maternità sempre più medicalizzata e vissuta come "malattia". È all'interno della relazione esperti-malattia-paura che il mercato sembra trovare una strategia funzionale ai propri interessi di profitto, collocando l'amore materno nel target dell'ampia gamma di prodotti per la puericultura. In questo ricatto si delinea un'identità femminile definita da altri, ancora una volta oggetto e molto poco soggetto, una donna che se non risponde al ruolo può sentirsi inadeguata e vivere come frustrante ogni possibile nuova idea di gravidanza. Data la vastità del campo in cui la ricerca si colloca, il metodo utilizzato per l'analisi si è avvalso di molteplici approcci teorici, che possiamo, in parte, situare nel filone dei Cultural Studies, affrontando, da un punto di vista di genere, sia la dimensione semiotica che quella sociologica, antropologica e linguistica. Trattandosi di pubblicità si è preso in considerazione anche l'aspetto economico. Ad un primo quadro generale, supportato da dati statistici sulla maternità in Italia ed in Spagna, segue una presentazione della letteratura esistente su genere e pubblicità. Ed è proprio nella pubblicità che si osservano con maggiore evidenza gli stereotipi di maschile e femminile, confermati nella loro solidità ed affidabilità, riprodotti come indiscutibili ed immutabili. Tra le tipizzazioni dei femminili si distingue la maternità, vista non solo come esperienza privata, determinata da eventi biologici ed ormonali, ma anche nella sua dimensione storica e culturale. Ecco allora che si svelano aspetti della maternità socialmente costruiti, nati da ideologie e frutto di interessi di potere o riflessi da specifiche contingenze politiche, socio-culturali ed economiche. Il concetto mi è sembrato importante per il suo aspetto contraddittorio, in quanto la maternità è sempre circondata da un'aura impenetrabile di naturalità e di sacralità. È in questa pancia-tempio, alienata dalla donna fattrice, che il patriarcato, come sistema di dominio, ha posto con maggior forza le proprie radici e fondamenta, impedendone la trasformazione. Eppure qualcosa si muove. Da una parte il patriarcato continua a riprodurre il proprio modello, dall'altra emergono nuove esigenze, che nulla hanno a che fare con quel modello. Sono le donne colte, con un'occupazione extra domestica e con il desiderio di vivere una maternità attiva. Secondo la letteratura anglofona e nordeuropea, la pubblicità sembra invece continuare a fare riferimento ai vecchi stereotipi patriarcali, a proporre il modello ideologico dell'accudimento a tempo pieno del bambino, anche se ossessivo e diverso da quello del passato, quando mai la cura maniacale del nuovo nato era stata oggetto, quantitativamente e qualitativamente, di così elevate attenzioni. Attenzioni che guarda caso necessitano di un lungo elenco di prodotti di mercato e quindi di un buon portafoglio. In Italia e in Spagna vi sono scarse tracce di studi su "maternità e pubblicità", forse a contrassegno di un ritardo rispetto alla presa di coscienza del femminismo e all'emancipazione delle 10

11 donne. Per quanto riguarda la scelta dei due Paesi, legati da similitudini socio-culturali, quella dell'italia è venuta da sé, mentre l'aver studiato il caso spagnolo si deve principalmente alla conoscenza che ho di questo Paese e della sua lingua. L'obiettivo della presente ricerca è andato via via delineandosi attorno alle caratteristiche del modello materno proposte dalla pubblicità italiana e spagnola, prendendone in esame sia gli aspetti fisici, che sociali ed ideologici. Un modello che non si è limitato a registrare la figura materna ma si è esteso al contesto in cui la stessa è collocata ed alle figure parentali che la circondano (eventuali padri e naturalmente il/la bambino/a). La scelta di analizzare la maternità nella pubblicità di prodotti per bambini 0-3 anni deriva invece dal fatto che in questi annunci la madre non è utilizzata come simbolo o metafora di un prodotto qualsiasi, ma proprio nel suo ruolo, in quanto target e madre di bambini la cui felicità o il cui benessere costituiscono la promessa del messaggio. All'interno di questo corpus è stata dedicata un'attenzione particolare agli annunci che pubblicizzano il latte artificiale, prodotto che copre una consistente area di mercato. La questione dell'allattamento è stata analizzata in modo approfondito ed ha permesso una riflessione sulle contraddizioni della maternità tra natura e cultura, allargando lo sguardo anche agli aspetti antropologici. La critica di Elisabeth Badinter (2004) all'allattamento al seno, visto come uno dei modi per rimandare a casa le donne, necessita di essere approfondita in un contesto nel quale il ritorno all'allattamento naturale non può essere meramente considerato come una riproposizione dello stereotipo dell'istinto materno. Ridurre la questione in questi termini impedisce di dare adeguata importanza a ciò che è stato e continua ad essere un meccanismo biologico perfetto dell'organismo femminile. La ricerca si è posta infine un obiettivo di cambiamento: un contributo per le donne che vogliono vivere l'esperienza di madre fuori dal contesto consumistico, affinché riconducano la danza della maternità e sappiano essere soggetti attivi e consapevoli della loro riproduzione biologica e culturale. 11

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13 1. Maternità che scoraggia maternità. Essere madri in Italia e in Spagna 1.0 Premessa Nei paesi occidentali stiamo assistendo ad un declino della famiglia così come l'abbiamo conosciuta fino ad ora, in particolare la famiglia che si realizza con la presenza dei figli, che oggi non sono più una sua caratteristica fondamentale. Tale cambiamento è conseguenza di una grande trasformazione culturale, iniziata nel mondo occidentale negli anni '70 (Alberdi Alonso 1999; Volpi 2007). Ne è segnale emblematico la progressiva riduzione del numero medio di figli delle donne occidentali, passato da 2,4 a 1,2 circa nel corso di pochi decenni per quanto riguarda le italiane e le spagnole. Perché si fanno meno figli? Le ragioni sono evidentemente numerose e complesse, non ultime quelle che riguardano il deterioramento dell'ecosistema, il cui approfondimento esula dagli obiettivi di questo lavoro. Ciò nondimeno ci preme mettere qui in evidenza soprattutto due aspetti: preoccupazione e paura, come pratica del dominio economico e sociale del mondo in cui viviamo, dalla cui fomentazione originano indirettamente altre conseguenze. Un secondo aspetto, per noi interessante da approfondire, è quello della mancata assunzione delle responsabilità di cura da parte dei padri, in un mondo che non necessita più funzionalmente di una divisione del lavoro basata su elementi di forza fisica. Curiosamente quest'ultimo aspetto non viene contemplato in un'opera secondo noi interessante per le tematiche che andremo a trattare: La fine della famiglia di Roberto Volpi (2007), da cui tra l'altro abbiamo tratto spunto per la prima parte del titolo di questo capitolo Tassi di fecondità: lo stato delle nascite nei due paesi Italia e Spagna registrano uno dei più bassi tassi di fecondità dell'europa occidentale 2, con un numero medio di figli per donna che si attesta intorno a 1,3. Anche se recentemente si è assistito ad una piccola inversione di tendenza 3, dovuta alla posticipazione della maternità e al contributo delle donne straniere, il dato non è sufficiente per garantire il rinnovo generazionale né per fermare il processo di invecchiamento delle due società 4. In particolare, l'istat stima che nel 2008 in Italia il numero medio di figli per donna si aggiri intorno a 1,41. A questo proposito, ricordiamo che nel 1995 il tasso di fecondità ha registrato un valore di 1,19: si tratta del minimo storico della fecondità italiana. L'età media al primo parto delle italiane è stimata intorno ai 31,5 anni, ossia 1,7 anni in più rispetto al 1995, quando le donne partorivano il primo figlio a 29,8 anni. L'innalzamento dell'età media della madre alla nascita del primo figlio ha portato ad una propensione al figlio unico. Secondo l'indagine Istat (2007a), questo significa che il calo della fecondità non può essere attribuito ad un rifiuto delle donne a diventare madri. Difatti, il numero atteso di figli 5 sarebbe superiore a 2,19, anche se poi, per diverse ragioni, non se ne fanno. Analizzando il tasso di fecondità per nazionalità, scopriamo che nel 2008 il tasso di fecondità per le donne italiane è presumibilmente di 1,33 figli, mentre quello delle donne straniere residenti in Italia sarebbe di 2,12 figli: il contributo delle straniere sulla fecondità complessiva per il solo 2008 sarebbe allora del 10%. Quest'ultimo risultato è comunque inferiore alla percentuale di nati da madre straniera sul complesso delle nascite, ossia circa il 15,3%. 1 «La maternità che scoraggia la maternità» è il titolo di uno dei paragrafi del capitolo IV «Una famiglia all'insegna della preoccupazione» del volume (Volpi 2007: 86). 2 Fonti: Istat e Eurostat (Statistical Office of the European Communities). 3 L'incremento della fecondità non riguarda in modo omogeneo tutte le regioni. In Italia, sono soprattutto le regioni settentrionali e centrali a registrare un aumento del numero medio di figli (Istat 2007b). Mentre in Spagna sono Madrid, la regione andalusa e la Catalogna (Ine 2008). 4 Fonti: Demo Istat e Ine (Instituto Nacional de Estadística). 5 Per "numero atteso" si intende il numero di figli avuti più quelli che si intendono avere in futuro.

14 Insomma, tra il citato 1995 e il 2008, le donne italiane hanno contribuito per il 64% al dato sulla fecondità, mentre il restante 36% va attribuito alle straniere (Apcom 2009). Per quanto riguarda la Spagna, secondo i dati provvisori del Instituto Nacional de Estadística (Ine 2009), nel 2008 il tasso di fecondità è stato pari a 1,46, raggiungendo il suo valore più alto dal 1990 quando ne ha registrato uno di 1,36. L'età media delle donne spagnole al primo parto nel è stata di 29,4 anni: si tratta di un dato destinato a salire se consideriamo che, a partire dal 1979, ha sempre registrato un costante aumento. Infine, nel 2008 le nascite da donne straniere hanno costituito il 20,7% del totale ( nascite), con un aumento del 15% rispetto all'anno precedente. Perché le donne italiane e spagnole rinunciano alla maternità o si limitano ad avere un solo figlio? A che cosa si devono i bassi tassi di fecondità che abbiamo appena osservato? Quali elementi scoraggiano la maternità? 1.2 Paura: il marchio della nostra epoca La paura, le preoccupazioni sembrano essere le cifre del nostro tempo. I sentimenti di rischio e di insicurezza che causano le paure si ripercuotono in modo particolare sulle famiglie e sulla decisione materna di fare figli. La scelta di mettere al mondo un figlio può rappresentare un vero salto nel vuoto in ambienti socio-culturali, politici ed economici, come quello italiano e spagnolo, non adatti a supportare le necessità delle donne di oggi, sempre più occupate professionalmente 7 o desiderose di esserlo 8. Ci riferiamo, ad esempio, alla mancanza di misure politiche utili alla conciliazione delle diverse esigenze di vita femminili 9, alla scarsità di servizi pubblici socio-educativi, alla difficoltà di ottenere tempi di lavoro flessibili (attraverso il part-time o il tempo determinato) 10. Di fatto, la presenza dei figli, soprattutto quando sono più di uno, comporta una riduzione significativa dell'occupazione femminile. Diventare quindi madri nell'epoca delle paure, fondate e/o fomentate, e in un contesto che considera la maternità una questione prevalentemente privata può apparire ardua impresa, altamente rischiosa, e frenare le nascite o addirittura portare alla "pazzia" 11, come suggerisce Judith Warner (2006), nella sua opera Perfect Madness. Motherhood in the Age of Anxiety. L'autrice descrive le ansie e i comportamenti controllanti e perfezionistici delle madri di oggi, condizionati dalle forze sociali ed economiche che le spingono ad assumersi un carico di responsabilità disumana: 6 Per il 2008 non sono disponibili dati spagnoli sull'età media delle donne al parto. 7 La percentuale di donne occupate è comunque inferiore a quella degli uomini: ad esempio, nel 2005 risultano occupate il 45,3% delle italiane contro il 69,7% degli uomini (Istat 2007b). In Spagna, nello stesso anno, erano occupate il 40% delle donne contro il 60% degli uomini (Ine 2007). 8 A questo proposito, ricordiamo che le donne oggi sono sempre più istruite. In Italia, le donne tra i 25 e i 44 anni con un titolo superiore sono relativamente più numerose degli uomini; in particolare, tra gli anni scolastici 1970/71 e 2005/06 il tasso femminile di conseguimento del diploma è più che triplicato. Anche le laureate sono più numerose dei laureati: oltre il 28,1% delle 25enni raggiunge la laurea contro il 19% dei ragazzi (Istat 2007b). Per quanto riguarda la Spagna, le ragazze abbandonano gli studi in misura minore rispetto ai ragazzi: nel 2005 il 54,2% delle donne aveva un titolo universitario (Ine 2007). Sia l'italia che la Spagna (questa in misura maggiore di quella) sono però agli ultimi posti della graduatoria europea sulla percentuale di donne tra i 25 e i 34 anni con almeno un titolo di studio di scuola secondaria superiore. 9 In Italia il congedo per maternità vieta alle donne in gestazione di lavorare durante i due mesi precedenti il parto e i tre mesi successivi, mentre in Spagna il permesso di maternità obbligatorio è di 16 settimane. Ad aprile 2009, la Commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere del Parlamento europeo ha avvertito della necessita di prolungare il congedo di maternità e per questo ha proposto di fissarlo in 20 settimane per tutti i paesi dell'unione (in cui varia da 14 a 28 settimane), con almeno sei settimane retribuite al 100% e successivamente all' 85% come minimo. Il testo prevede, inoltre, due settimane minime di permesso obbligatorio di paternità (El País 2009). A parte il fatto che il Parlamento europeo sembra non aver accolto favorevolmente l'introduzione dell'obbligo di congedo per il padre, ci chiediamo quando la proposta di legge verrà approvata dai singoli Stati. 10 Da questo punto di vista, sia italiane che spagnole sono al di sotto della media UE. 11 Forse è anche alla luce di quanto detto che dovremmo leggere il dato secondo cui su circa un milione di donne che partoriscono in Italia ogni anno, 200 mila soffrono di depressione nell'ultimo periodo di gravidanza o nella fase post partum e sono affette da psicosi puerperale (Redattore Sociale 2007). 14

15 Perfect Madness is a book about life in crazy times. It's about how middle class families and mothers in particular - are struggling to find their way through all the pressure and strain and stress and worry they must contend with, day in and day out. It's about what happens to women (and men) when they feel unsupported, about how they flounder and flail and go a little bit nuts when they try to take on a level of responsibility for their families that no person should or could ever be expected to shoulder alone. It's about the way that mothers' (and fathers') behaviour has been perverted by social and economic forces that they feel they cannot control. (Warner 2006: 7) Se le cose stanno così, non c'è dunque di che stupirsi se le donne fanno meno figli. Secondo uno studio condotto in Italia da Tanturri (2006a), le donne esprimerebbero un senso di paura per la maternità, proprio per l'esperienza in sè. Le preoccupazioni andrebbero da quelle di non riuscire a dare al figlio ciò di cui ha bisogno a quelle legate alla gravidanza e al parto. In definitiva, emergerebbe un senso di inadeguatezza a svolgere il ruolo di madri, ossia queste donne, a cui è stato sempre imposto ideologicamente l'istinto materno, si sentono sempre meno preparate a diventare madri Paura e medicalizzazione della maternità: una relazione ambigua Secondo Volpi (2007), la medicalizzazione della maternità è uno dei principali motivi per cui oggi le donne la pensano come un'esperienza complicata e, di conseguenza, fanno meno figli. Prima di approfondire la tesi di Volpi, vogliamo però aprire una breve parentesi per spiegare cos'è e come si è sviluppate la medicalizzazione della maternità Medicalizzazione della maternità: sviluppo La medicalizzazione della maternità è un processo attraverso il quale la gravidanza, il parto, la cura dell'infanzia, da sempre trasmessi da madre in figlia e/o divulgati dalle levatrici, diventano ambiti di competenza medica, naturalmente maschile. Simbolo di tale avvenimento è l'ospedalizzazione del parto 12. Roberto Volpi definisce la medicalizzazione della maternità come: il potere, il vero e proprio dominio, esercitato dalla medicina sull'intero tragitto che porta dal concepimento al parto, e che del resto prosegue ben dopo che il figlio è venuto al mondo, anche se con una più moderata intensità. (Volpi 2007: 87-88) Il processo di medicalizzazione della maternità inizia in Europa e negli Stati Uniti nel XVII secolo, favorito dalla caccia alle streghe che vede levatrici e guaritrici come vittime preferenziali, accusate di superstizione ma soprattutto di essere sporche, ignoranti, assolutamente inferiori alla classe medica maschile. Allo stesso tempo, i cambiamenti socio-economici e culturali determinati dalla rivoluzione industriale l'aumento del benessere economico, la diminuzione e la semplificazione delle famiglie, con il conseguente allontanamento delle figure femminili famigliari di aiuto alla cura contribuiscono a rendere le donne dipendenti dagli esperti per la gestione della gravidanza e per le cure infantili (Ehrenreich e English 1977 e 1978; Rich 2000). Ma è con la diffusione del pensiero positivista, durante la seconda metà dell'800, che la medicalizzazione della maternità riceve un forte impulso. Dell'influenza del positivismo sulla concezione della maternità in Italia, Marina d'amelia scrive: Eppure il positivismo, con l'affermazione del primato della maternità nella vita biologica e psichica della donna, [...] con la sua insistenza sulla centralità del lavoro di cura che diventa di esclusiva pertinenza della madre, con l'utilizzazione dell'assenza di sentimento materno come spia delle numerose patologie cui possono soggiacere le donne [...] non influenzò solo le concezioni dei giuristi in merito alla responsabilità e 12 L'ospedalizzazione del parto ha portato negli anni ad una diminuzione apprezzabile della mortalità di puerpere e neonati, ma ha significato e significa per le donne vivere l'esperienza del parto in maniera alienata. È importante, inoltre, ricordare che tra il XVII e il XIX secolo moltissime donne sono morte negli ospedali per aver contratto la febbre puerperale (Rich 2000: ). Per un approfondimento su questo tema, cfr. Rich 2000 e Sbisà

16 affidabilità della donna [...]. Non minore fu l'influenza [...] nel diffondere nuovi principi di igiene e regole di puericultura. [...] Grazie anche a un'abile strategia divulgativa che non ha forse precedenti in Italia, tutto quello che riguardava la riproduzione, e come allora si cominciò a dire, «il rafforzamento della razza» [...] fuoriuscì dalle università e dai laboratori dove la ricerca era radicata, arrivò all'opinione pubblica e diventò, in modi che restano ancora da indagare più da vicino, mentalità diffusa. (d'amelia 1997: ) La ricerca del miglioramento della razza, che come ben sappiamo non riguardò solo l'italia, ebbe come conseguenze: la messa all'indice di «ignoranze e superstizioni femminili», una diffusa colpevolizzazione delle abitudini e delle pratiche più diffuse negli strati popolari, campagne di ogni tipo per sensibilizzare le madri alle giuste tecniche. (ibid.:113) In questo modo, si passa ad una visione della figura materna come: esecutrice di regole e norme decise altrove, da medici, pediatri, psicologi e dove nulla deve essere lasciato al caso, dagli alimenti somministrati ai bambini al numero di minuti del bagno. È iniziata l'era delle guide e dei manuali che insegnano alle donne come fare le madri, una stagione che si dilata fino ai giorni nostri e non dà segni di tramonto. (ibid.:115) Il legame tra medico e madre rinsaldato dal positivismo trova una sua sistematizzazione in Italia durante il fascismo e in Spagna nel periodo franchista. Ciò anche grazie alla creazione di istituti finalizzati (apparentemente) all'assistenza delle donne, attraverso i quali vengono superati i limiti rappresentati dai manuali, per effetto del basso tasso di alfabetizzazione. Ci riferiamo all'opera Nazionale per la protezione della Maternità e dell'infanzia (ONMI), sorta nel corso della dittatura fascista e alle scuole franchiste Escuelas de Hogar e Escuelas de Instructoras Sanitarias. Si tratta, in realtà, di strutture nate con obiettivi chiaramente propagandistici e legati alla politica demografica dei regimi 13. In particolare, le Escuelas de Hogar erano luoghi dove «se aprendían los conociemientos necesarios para desempeñar su labor como esposas y madres de la nueva España» (Gámez Fuentes, 1999: 18) e dove si insegnavano materie quali «labores del hogar, economía doméstica, puericultura y cocina» (Agulló Díaz 1999: 254) Maternità che scoraggia maternità Come abbiamo anticipato, secondo Volpi (2007) è l'eccessiva medicalizzazione della maternità che scoraggia le nascite oggi: È proprio la maternità a scoraggiare la maternità. È la venuta al mondo di un figlio a scoraggiare quella di altri figli: troppo difficili, problematici e portatori d'ansia sono i figli e le corrispondenti gravidanze per indurre, una volta fatto il primo figlio, il desiderio di averne un altro e investire tempo, denaro e pure concrete possibilità e aspirazioni dato anche il mondo di oggi con le sue esigenze, i suoi mille condizionamenti. Che in realtà non sia proprio così, che la gravidanza e i figli non siano poi troppo complicati e incerti, portatori di ansia e problematici non è così importante. Importante è che si tende a crederlo. E si tende a crederlo per qualche motivo, ovviamente. Ne abbiamo isolato uno, a nostro avviso il principale [...]: la «medicalizzazione» della maternità. (Volpi 2007: 87) Per dimostrare la sua tesi, lo statistico porta l'esempio della regione Toscana che si distingue per i migliori servizi di tutela della maternità ma anche per il più alto tasso di denatalità italiana (Ars Toscana 2005 e 2006). La grande assistenza riservata alla gravidanza dovrebbe, in teoria, 13 L'istituzionalizzazione della maternità come progetto politico del franchismo già si evinceva dalle parole di Pilar Primo de Rivera, comandante della sezione femminile (Sección Femenina) del partito spagnolo La Falange, quando definì la maternità: «el verdadero deber de las mujeres para con la Patria» (s.a.: 267). Di fatto, come pone in evidenza María de la Cinta Ramblado Minero: «El Régimen llevó a cabo una política de feminización en la que, como también ocurrió en la Italia de Mussolini y la Alemania de Hitler, se exaltaban los papeles que tradicionalmente cumple la mujer (domésticos) y aquellos en los que no puede ser sustituida (maternidad)» (Instituto de la Mujer, s.a.:5 in Ramblado Minero 2006b: 64). 16

17 incoraggiare la natalità o almeno tranquillizzare quelle donne che, per paura di possibili complicazioni durante la gravidanza o di ipotetiche malattie dei neonati, evitano di fare figli. Tuttavia le percentuali sulla natalità non confermano quest'ipotesi. Perché? Il punto centrale della risposta a questa domanda è espressamente il seguente: non è detto che una tale società, così ben organizzata per rispondere alle esigenze della maternità, a cominciare già dalla gravidanza, riesca a eludere certi problemi [...]; non è detto neppure che non sia essa stessa se non proprio a crearli almeno a ingigantirli in virtù del suo essere tanto attenta e preoccupata da varcare il limite del necessario per affacciarsi nel territorio del superfluo, dell'optional elevato ormai a standard. (Volpi 2007: 90) Di fatto, le donne toscane in stato interessante, soprattutto quelle con un titolo di studio elevato, tendono largamente a superare gli standard di esami e visite gratuiti previsti dalla Regione. In particolare, rispetto alle visite, lo standard ne prevede una entro il primo trimestre tuttavia delle circa 30 mila donne che hanno partorito in Toscana nel 2004, meno del 7% ha fatto fino a 3 visite, mentre l'86% ne ha fatte da 4 a 9, con i massimi livelli tra 6 e 7. Come evidenzia Volpi, non dobbiamo dimenticare che queste visite si sommano a quelle effettuate presso il medico di famiglia. Relativamente alle ecografie, nel 2004 il 78% delle donne non avrebbe rispettatolo standard, superandolo, che prevede 3 ecografie. Veniamo all'amniocentesi: si tratta di un esame che, per scoprire eventuali malformazioni cromosomiche del feto, viene eseguito in forma gratuita alle donne con almeno 35 anni. Secondo i dati di Ars Toscana, il 21,4% delle donne in gravidanza con meno di 35 anni ricorrerebbe a questo esame. I dati nazionali dei due paesi dimostrerebbero un generale aumento della medicalizzazione della gravidanza e del parto, che riguarda in modo particolare le donne con più strumenti culturali e spesso quindi anche con una migliore posizione sociale, più ricettive alle innovazioni. In Italia, tra il 2004 e il 2005, rispetto agli anni , la percentuale di donne che si è sottoposta a più di 7 ecografie è passata dal 23,8% al 29%; quella che ha effettuato 7 o più visite è passata dal 52,7% al 56,4%. Inoltre continua ad aumentare il ricorso al taglio cesareo 14 : la media è passata dal 29,9% nel a 35,2% nel , raggiungendo tassi piuttosto elevati al Sud (Istat 2006). In Spagna, si è registrato negli anni un aumento costate del ricorso al cesareo. In particolare, nel 2002 il 23,5% dei parti avvenuti nelle strutture pubbliche sono stati cesarei 15. Inoltre, ogni anno circa 18% dei bebè vengo estratti con il forcipe. A questo proposito, una giornalista della Asociación El Parto es Nuestro 16 si domanda ironicamente: «Crees que el 40% de las españolas no podemos parir a nuestros hijos?». Inoltre, nel 89% dei parti viene praticata la episiotomia che, secondo la Oms, può essere necessaria solo nel 20% dei casi, al massimo. Volpi pone in evidenza che: [ ] la maternità è posta ben al di là del dominio della donna e della coppia. Il controllo step by step della maternità [è] sempre più parte di una catena di montaggio all'insegna della medicina [ ]. Non c'è nessuna procedura nella tutela della maternità a cominciare dal concepimento per passare attraverso il parto e finire con lo svezzamento del bambino che non sia strettamente medica o comunque verificata e ammessa dalla medicina. Non c'è niente nella gravidanza che non rientri sotto il controllo diretto o indiretto della medicina. Il mangiare e il dormire, il divertirsi e il riposare, il fare o non fare all'amore [ ] tutto, assolutamente tutto della donna in gravidanza è passato armi e bagagli sotto l'egida, gli esami, gli ammonimenti, i consigli tutt'altro che blandi della medicina. [ ] La maternità è uscita dalla sfera di quel che è naturale e perfino ovvio per entrare in tutt'altra sfera connotata come eccezionale e quasi miracolistica in cui comanda l'apparato medico-sanitario [la] futura madre è rimasta in una posizione del tutto subordinata, se non propriamente passiva rispetto alla medicina. Non è lei che conduce la danza [ ] non è che il docile strumento nelle mani d'altri [ ]. In questa condizione psicologica, senza un'effettiva capacità di disporre di se stessa né una reale autonomia [ ] sente tutto il peso di ciò che non sta in lei bensì fuori di lei, che non 14 L'Italia è il paese con il più elevato numero di parti cesarei della UE: 36,9% cesarei nel 2003 contro una media di 23,7% a livello europeo. Si tratta di un tasso che supera più del doppio quello raccomandato dall'oms (1985), ossia un 10%-15%. 15 Cfr. European health for all database, ( consultato il 20 dicembre 2009). 16 Evitar cesáreas innecesarias, ( consultato il 20 dicembre 2009). 17

18 dipende da come lei vede e sente il processo della propria gravidanza, ma da come la vedono e la sentono altri che sono per definizione in quanto medici e sanitari, professionisti a ciò ufficialmente abilitati più esperti di lei, più capaci di lei, più bravi di lei. Essa è dunque psicologicamente portata a eccedere, a esagerare [...] pur di non doversi rimproverare, oggi o domani, se qualcosa va come non avrebbe dovuto andare. (Ibid.: 95-97) L'autore sottolinea la necessità, da noi condivisa, che la donna torni ad essere al centro di qualcosa, la gravidanza e il parto, che la riguarda in primis. Solo in questo modo riprenderà coscienza delle sue capacità. Se arriva al parto insicura è spesso perché durante la gravidanza è stata abituata a fidarsi solo della medicina tradizionale, oppure non è cosciente di sé, delle sue capacità ed il sistema della maternità medicalizzata di certo non l'aiuta. L'eccessiva quantità di regole mediche sui comportamenti e gli stili di vita delle madri non riguarda solo la nascita ma anche l'allevamento del bambino, descritto come estremamente fragile e bisognoso di continue cure, una sorta di spugna di sacrifici materni (una madre disobbediente sarebbe investita dai sensi di colpa!): Sotto l'insegna della medicalizzazione il bambino acquista [ ] una dimensione ipertrofica che al tempo stesso preoccupa e minaccia la coppia e segnatamente la madre. La preoccupazione per ciò che in ogni senso richiederà e costerà anche da un punto di vista strettamente materiale ed economico, giacché la medicalizzazione comporta un incremento di costi a 360 gradi che si estende almeno per tutto il periodo dell'infanzia. (Ibid.: ) Ecco allora che non c'è da stupirsi, sostiene Volpi, se le donne preferiscono non fare figli o farne uno solo. L'autore critica la mancanza di misure governative atte a far sì che i figli incidano meno sulla vita della madri e vede in queste una possibile soluzione per dare uguali opportunità di affermazione professionale e sociale alle donne. Ma non basta! Crediamo che la conciliazione e le azioni positive per renderla praticabile sia importante, ma è necessario intervenire anche in un'altra direzione, dando impulso alla condivisione delle responsabilità di cura da parte dei padri. Perché ciò avvenga, sono di fondamentale importanza le azioni che puntano alla trasformazione di modelli culturali obsoleti e di rigide divisioni dei ruoli di genere. 1.3 Conciliazione lavoro-famiglia e padri assenti. Il tempo delle donne e il tempo degli uomini Sia le donne italiane che quelle spagnole devono affrontare oggi una grande sfida: la conciliazione della vita professionale (il ruolo di lavoratrici) con quella famigliare (il ruolo di madri e mogli). Si tratta di una sfida poiché la doppia presenza nel mercato del lavoro e nell'ambito domestico si traduce, per la maggior parte di loro, in un doppio turno di lavoro: nel contesto professionale, dove sempre più spesso rivestono la stessa responsabilità degli uomini, e nel contesto famigliare, dove il lavoro di cura e domestico pesa quasi esclusivamente ancora sulle loro spalle. Oltre alla mancanza di servizi adeguati alla cura, il carico di lavoro femminile trova origine dalla scarsa disponibilità maschile ad adattarsi ai cambiamenti che hanno investito la vita delle donne. Il fatto è che sia la società italiana che quella spagnola si caratterizzano per la presenza di modelli di genere ancora troppo stereotipati, secondo i quali l'ambito privato è "cosa" da donne e quello pubblico è "affare" da uomini e, ultimamente, anche da donne. I dati europei elaborati da Eurostat (2006), quelli italiani (Istat 2007b) e quelli spagnoli (De la Fuente Sánchez 2007) sul tempo di lavoro di donne e uomini e sul tipo di attività svolta dai due sessi confermano che le donne lavorano complessivamente di più, soprattutto a causa dei compiti di cura e domestici, mentre gli uomini dedicano più spazio al lavoro retribuito e al tempo libero. Secondo Eurostat (2006) il tempo (ore e minuti) giornaliero di donne e uomini, italiani e spagnoli, in età compresa tra 20 e 74 anni, sarebbe così distribuito 17 : 17 Le rilevazioni sono state realizzate tra il 1998 e il

19 PAESI Lavoro retribuito Pasti Lavoro famigliare Totale lavoro e studio e cura personale Tempo libero Uomini Donne Uomini Donne Uomini Donne Uomini Donne Uomini Donne Italia Spagna In particolare, secondo i dati Istat (2007a), il 63% delle madri italiane con un una professione extradomestica dichiara di non ricevere alcun aiuto per i lavori di casa. Tra coloro che lo ricevono, nel 52% dei casi l'aiuto viene da una collaboratrice domestica, nel 25% dai nonni 18 e solo nel 17% dal partner. Per quanto riguarda le attività di cura svolte dai padri, secondo i dati Istat relativi al censimento , il 78,1% dei padri italiani farebbe il bagnetto al proprio bebè almeno una volta alla settimana, il 45,1 % lo metterebbe regolarmente a letto e un 43,2% giocherebbe con lui ogni volta che può. In Spagna, nel 2001 gli uomini dedicavano in media 51 m giornalieri alla cura dei figli (vestirli, fare loro il bagno, dar loro da mangiare; aiutarli a fare i compiti; giocare con loro, ecc.), contro 1 h e 51 delle donne. Cinque anni dopo, la situazione registra un peggioramento: gli uomini dedicano solo 38 m alla cura dei figli, contro 1 h e 14 m delle donne (de La Fuente Sánchez 2007). Secondo un'altra ricerca, commissionata dalla rivista Mi bebé y yo, su famiglie spagnole, i padri sarebbero più coinvolti di un tempo nei lavori di cura, ma la madre continuerebbe ad avere un ruolo principale nella cura dei figli (Cortés 2007). In particolare, la ricerca ha dimostrato che alcune attività sono ancora esclusive delle madri. Ad esempio, nel 80,2% dei casi sono le mamme che conoscono le taglie dei loro figli e si preoccupano dell'acquisto dei vestiti. Oppure, solo un 29,4 % dei papà cambiano il pannolone al loro bambino. Quando il bambino è ammalato, nel 72,8% dei casi è la madre che lo accompagna dal medico, mentre i padri sarebbero più coinvolti in attività ludiche o si occuperebbero maggiormente di fare il bagnetto al piccolo. In Spagna, come in Italia, i padri che partecipano alle cure dei figli, lo fanno principalmente nelle attività più gratificanti 20. A questo proposito Mencarini (2007) puntualizza: «l'attività di cura dei padri avviene nel tempo lasciato libero dal lavoro che, a differenza di quello delle madri, non appare toccato dagli impegni di una paternità accudente». Il doppio turno di lavoro delle donne indicato dai dati appena esaminati può costituire un freno non insignificante alla scelta di diventare madre. Come sottolinea Letizia Mencarini (2007): A questa crescente eguaglianza fuori della famiglia non ha però corrisposto la stessa tendenza all'interno delle relazioni di coppia e delle famiglie. Possiamo dire che l'uguaglianza di genere non varca la "porta di casa", dove i ruoli restano imperniati alla tradizione. Insomma, non sembra casuale che proprio nei paesi dove le coppie sono rimaste più vicine al modello tradizionale dell'uomo principale, se non unico, "percettore di reddito" (male bread-winner), dove il lavoro femminile trova limitazioni dalla mancanza di servizi di supporto alla famiglia, e dove l'organizzazione sociale rende difficile combinare lavoro e famiglia, i livelli di fecondità siano colati a picco. In questi contesti, nelle coppie che non possono permettersi un forte ricorso ad aiuti esterni familiari o a pagamento, se gli uomini non contribuiscono al lavoro di cura e domestico, le opportunità per le donne in campo lavorativo possono infatti essere severamente compromesse proprio dall'avere figli. E questa situazione, di per sé, può spingere molte donne a ridurre il numero di figli o addirittura a rinunciare alla maternità. (Mencarini 2007) Di fatto, alcune analisi mostrano l'esistenza di una correlazione tra disuguaglianze di genere e bassa fecondità. In particolare, da uno studio condotto proprio in Italia e in Spagna emergerebbe che, tra le coppie più giovani a doppio reddito, la partecipazione paterna alla cura del primo figlio aumenterebbe la probabilità di averne un secondo (Cooke 2003). 18 Il ricorso ai nonni come strategia di conciliazione è predominante in entrambi i paesi (Istat 2007a e Cortés 2007). 19 Purtroppo non esistono dati più recenti. 20 A questo proposito, cfr. anche Di Giulio e Rivellini

20 Sulla base di questi risultati e dei dati sopra approfonditi, crediamo che sia più che mai opportuno favorire una cultura delle pari opportunità. Anche attraverso la diffusione nei testi della cultura di massa di modelli di genere meno tradizionali e discrimanti. Questo è uno dei modi per avviare un cambiamento, che deve essere prima di tutto psicologico, culturale. 20

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