Immaginate il suono di un fischietto
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- Sebastiano Novelli
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1 1260 al fronte GIORNI Così, nell estenuante guerra di posizione, si logoravano e morivano i nostri soldati DI TRINCEA Tra i reticolati del Montello. Attorno all aereo precipitato. In posa nei camminamenti rinforzati. Mitragliatrice in azione. Un lanciere di scorta ai prigionieri. Respiratore antigas. Scheletri insepolti. In una nuvola di gas, protetti dalle maschere. Prima di partire per il fronte. Riposo dopo la corvè sul Monte Tomba. Piccioni per la trasmissione di messaggi. Treno ospedale per il trasporto dei feriti. Immaginate il suono di un fischietto seguito dal grido Savoia!. Figuratevi decine di uomini uscire dalle loro postazioni e correre per cinquanta, cento metri verso il nemico zigzagando tra buche, reticolati e altri ostacoli. E dietro un ondata di rincalzi già pronta a unirsi a loro. Se questa scena di eroismo ancora non vi commuove, pensate alla prima linea di soldati falciati dalle mitragliatrici nemiche, e poi alla seconda che si spegneva e si appiattiva sopra nuvole di filo spinato, che la pioggia di fuoco fatta precedere dall artiglieria aveva solo intricato ulteriormente. Forse solo il terzo manipolo di uomini, usando i cadaveri dei compagni come riparo o come ponte per raggiungere le trincee avversarie, finiva per balzarci dentro e affrontare il nemico all arma bianca brandendo le baionette inastate sui fucili: ma dietro ogni curva di quei budelli di terra poteva anche esserci una bomba, un lanciafiamme o una trappola. Dietro-front. A tornare sani, salvi e perdenti, poi, si rischiava di essere accusati di codardia o di ammutinamento, ed essere passati per le armi. Infine, se vi rimane ancora un po di immaginazione, provate a vedervi il riposo dei sopravvissuti, tra cadaveri, topi e fango, o le prime medicazioni ai feriti dilaniati o mutilati dalle esplosioni, che potevano solo sperare di sopravvivere abbastanza per essere smistati agli ospedali da campo nelle retrovie. Questo è lo scenario in cui si combatteva durante la Prima guerra mondiale. Quando non capitava anche di peggio, 57
2 Razzi di segnalazione di diverso colore Bossolo d artiglieria usato come campana per dare l allarme Nemico invisibile Un posto di vedetta contro gli attacchi con i gas a Cortellazzo (Ve). Il 48 per cento dei soldati italiani morì ucciso dal nemico, oltre il 30 per cento di malattia e circa il 20 finì disperso Codardi alla sbarra La distribuzione, per provincia d origine, delle condanne per codardia. Punivano chi aveva abbandonato il proprio posto o non era andato all assalto. La pena prevista poteva essere anche la fucilazione. L immagine rubata di una fucilazione. Venezia Milano Bologna Genova Firenze Cagliari Roma Bari Napoli Catanzaro Palermo inferiore alla media nella media superiore alla media come l essere aggrediti coi gas asfissianti, che i soldati italiani conobbero all alba del 29 giugno del 1916 nella zona di monte San Michele (Valle dell Isonzo): sorpresi nel sonno, persero la vita in pochi minuti uomini dell XI corpo d armata, e altri 4 mila rimasero intossicati gravemente. Meglio farla finita. «Dal punto di vista psicologico l assalto non era nemmeno il momento più terribile: consentiva di passare all azione, si poteva persino sperare di riuscire a nascondersi e far perdere le proprie tracce, o consegnarsi al nemico» spiega Bruna Bianchi, docente di Storia delle dottrine politiche all Università di Venezia. «L attesa nell immobilità della trincea invece, sotto l incubo di una ripresa delle operazioni belliche, tormentati dalla sete, dagli insetti, dalla pioggia e circondati dai cadaveri, era un patimento intollerabile». Vita a rovescio. In trincea i ritmi di vita erano capovolti: all immobilità diurna si contrapponeva una febbrile attività notturna. Protetti dal buio della notte si mangiava un rancio avvizzito e freddo, a volte addirittura ghiacciato, e si lavorava alle corvè. Si piantavano picchetti, si scioglievano matasse di filo spinato, si scavavano trincee, si trasportavano casse di munizioni Che cosa c era All inizio della guerra la razione giornaliera erano 750 grammi di pane, 375 di carne e 200 di pasta, più altri viveri come cioccolato, caffè e formaggio. In alta montagna si Il rancio è servito La distribuzione del rancio nell estate del 1917 a Gradisca d Isonzo. e di approvvigionamenti, si seppellivano i morti. Oppure si partecipava a pericolose missioni notturne nella terra di nessuno per aprire varchi nei reticolati, catturare prigionieri o raccogliere informazioni sui nemici. Di giorno, invece, si stava pigiati uno sull altro, infreddoliti, immersi nel fango, tormentati dai pidocchi: le condizioni igieniche erano terribili e l aria irrespirabile, mista com era all odore di terra umida e polvere da sparo, di sangue e vomito, di sigarette e sudore, di urina ed escrementi, di lubrificanti per le armi e cadaveri in putrefazione; insomma alla puzza di morte. Amici nemici. Per alleviare il problema dei pidocchi e degli altri parassiti che infestavano corpo e divise si ricorreva allo spulciamento reciproco, che diventava nella gavetta del soldato distribuivano anche lardo, pancetta e latte condensato. Nel 1916 la razione diminuì: si passò da calorie a 3.000, con il pesce al posto della carne. Per Arma silenziosa Vittime dei gas asfissianti sul San Michele, dove morirono così in tenere alto il morale dopo Caporetto, la porzione aumentò, ma mai fino alle calorie degli inglesi. Gli austriaci invece patirono la fame. così un occasione di fraternizzazione. Il contadino veneto incontrava l artigiano siciliano, il minatore sardo il montanaro piemontese: tra tutti quelli che si avvicendarono al fronte, circa il 49 per cento proveniva dal Nord, il 23 dal Centro, il 17 dal Sud e l 11 dalle isole. E la trincea divenne una babele di dialetti. La divisione più profonda, però, era quella che separava i soldati in prima linea da quelli nelle retrovie, dove era dispiegato l apparato militare di supporto, con i comandi, i centri di assistenza medica, le cucine, il servizio di smistamento della posta... Per ogni soldato al fronte c era un imboscato da disprezzare, e da invidiare: chi era esonerato dai combattimenti trovava il modo di racimolare qualche soldo, chi era di un arma sussidiaria come gli autisti di veicoli militari non doveva imbracciare il fucile; mentre al com- L altra metà della guerra Crocerossine pietose, madri amorevoli e spose devote. Queste erano le icone femminili sbandierate dalla propaganda della Prima guerra mondiale. Ma in quegli anni le donne furono molto altro. Emancipate. «Innanzitutto cominciarono a uscire di casa e a essere più visibili: c era bisogno di loro nelle fabbriche svuotate, e nelle città presero il posto degli uomini come bigliettaie, tramviere e spazzine» racconta Bruna Bianchi. «Per la prima volta, poi, era la La visita ai feriti, assistiti dalle pie infermiere. donna a gestire il denaro, usufruendo del sussidio giornaliero dello Stato: 0,60 lire per la moglie e 0,30 per ciascun figlio sotto i 12 anni». In realtà la nuova visibilità femminile fu accolta anche con molta diffidenza. Scandali. Quella della guerra fu una generazione di donne che persero il marito o che non giunsero mai all altare e che, nella solitudine, cercarono di organizzarsi in nuove forme di socialità fuori della famiglia. Si misero in svariate occasione alla testa di cortei di protesta contro il carovita e per le licenze dei soldati. Si diffusero comportamenti considerati sconvenienti come l assunzione di alcolici, la frequentazione di locali notturni, l uso di un abbigliamento meno austero. La propaganda insistette anche sulla condanna delle nascite illegittime, ma spesso queste furono conseguenza di atti di violenza, o di un allentamento della moralità conseguente alla povertà, al desiderio di assistenza e protezione, al diffuso senso di insicurezza. battente spettavano solo 50 centesimi e il rischio della vita ogni giorno. Solidarietà e prepotenze. A un certo punto si creò un solco anche tra i graduati e la truppa. Gli ufficiali di complemento vivevano e solidarizzavano con i loro uomini, ma spesso erano intimamente dilaniati dalla consapevolezza di condurli a morire o della gratuità di certe violenze. Sui giovani ufficiali i comandi avevano esercitato una fortissima pressione perché imponessero ai soldati una disciplina ferrea. «Se nel corso del conflitto il dissenso sulla conduzione della guerra avvicinò ufficiali subalterni e soldati, rimanevano in ampi strati dell esercito molti motivi di frattura. L acquisizione del grado, il desiderio di distinguersi e di fare carriera 58 59
3 Palloni frenati Noti anche come draken, erano utilizzati per osservare le posizioni e i movimenti del nemico. Venivano fatti alzare in volo con agganciata una cesta per l equipaggio e controllati da terra con funi. Comunicazioni Avvenivano tramite telefono, piccioni viaggiatori oppure staffette. Un sistema curioso era la cosiddetta bandiera a lampo di colore. Delle bacchette con un lato bianco e uno rosso erano cucite su una tela che, piegata con le mani, mostrava a intermittenza un colore o l altro, permettendo di comunicare ricorrendo all alfabeto Morse. Le fasi dell attacco 1. L artiglieria martellava i reticolati e le trincee nemiche per diffondere il panico e per tagliare le comunicazioni tra i reparti avversari. 2. Dopo ore (o giorni) di bombardamenti, l artiglieria allungava il tiro oltre la prima linea per isolare la difesa, creando una fascia della morte che falcidiava eventuali rinforzi dalle retrovie. Intanto, le prime pattuglie aprivano varchi nei reticolati, con cesoie o tubi di gelatina esplosiva. 3. La prima ondata d assalto dava il via all avanzata. 4. La seconda ondata subentrava alla prima e, in caso di riuscita, proseguiva l assalto contro la seconda linea di difesa avversaria. Marco Crosetto La trappola dei reticolati Esistevano due tipi principali di filo spinato. Il primo era uno sbarramento ordinato su più file parallele di paletti (in ferro o legno) nei quali veniva fatto passare il filo di ferro. Il secondo era il reticolato speditivo : veloce da costruire, consisteva in cavalletti di legno avvolti di reticolato che, una volta fabbricati al riparo della trincea, erano lanciati oltre il parapetto. Ai fili si attaccavano barattoli di 3 Razzi Di diversi colori e intensità, venivano utilizzati per dare ordini, per rischiarare di notte il campo di battaglia, oppure per segnalare all artiglieria come aggiustare il tiro. 2 Terra di nessuno Era il tratto di terreno che divideva gli schieramenti. A volte era più ampio di un chilometro, in altri casi poteva ridursi a una stretta linea come avvenne sul Monte Civerone in Valsugana, dove gli avamposti austro-ungarici erano a soli 5-10 metri da quelli italiani. latta o trappole luminose per smascherare eventuali sortite nemiche. Oppure vi si camuffavano triboli (chiodi a 3 o 4 punte), istrici (matasse di ferro e aculei) o torpedini terrestri (mine antiuomo). Linee di difesa Le trincee costituivano una linea di sbarramento. Solitamente, dietro la prima linea a contatto diretto col nemico ne venivano preparate una seconda e una terza. Ciò permetteva ai soldati di ripiegare e opporre una nuova resistenza, qualora il nemico fosse riuscito a sfondare. Sbarramenti di filo spinato in Valsugana. 4 Lanciafiamme Esistevano postazioni fisse in trincea, che lanciavano liquidi infiammati fino a 20 metri di distanza contro le truppe in avanzata, oppure lanciafiamme portatili, i cui effetti devastanti erano accentuati nelle anguste trincee. Scudi corazzati Vedette e tiratori scelti si proteggevano con scudi dotati di una feritoia. Un colpo, un morto La parola cecchino nacque proprio durante la Grande Guerra e deve la sua origine al nome dell imperatore austriaco Francesco Giuseppe (soprannominato dagli italiani Cecco Beppe). Il compito Aviazione Occhi dell artiglieria per il puntamento, gli aerei svolgevano soprattutto compiti di ricognizione. Nei duelli aerei si usavano biplani e triplani, più robusti dei monoplani. Trincee La loro costruzione dipendeva dal tipo di terreno. Potevano essere scavate nella roccia, come sul Carso, oppure nella nuda terra, come nelle valli trentine. Seguivano un andamento a zig-zag per evitare che i soldati fossero colpiti d infilata. Sul parapetto venivano sistemati sacchi di terra, protezioni di legno, muretti di sassi. Larghe quanto bastava per far passare i fanti in fila, non erano più profonde di 2 metri. Per evitarne il crollo, alle pareti erano applicate travi o graticci di rami. Un gradino di terra o di legno consentiva ai soldati di sporgersi per sparare. del cecchino era quello di diffondere il terrore nelle schiere nemiche con tiri precisi e improvvisi. Per essere ancora più efficace, a volte il tiratore posizionava il suo fucile su un cavalletto fisso, mirando a un passaggio obbligato della trincea nemica. Tale era la paura di diventare un facile bersaglio che i soldati italiani, per non rischiare di essere scorti, impararono a fumare tenendo in bocca la parte accesa delle sigarette. 1 grande guerra Come riparo per i tiratori scelti si escogitarono finte carogne di animali in paglia e gesso determinarono comportamenti boriosi in molti ufficiali, insuperbiti dal nuovo smalto sociale acquisito con la divisa» spiega Bianchi. Nelle trincee si modificò anche il rapporto fra i vivi e i morti, tanto stretto era il contatto coi cadaveri dei compagni o dei nemici che per giorni si decomponevano sui reticolati e nella terra di nessuno: a volte i loro corpi venivano persino usati per rafforzare le trincee. Oppure, allargando i fossati, ci si trovava ad amputare col piccone gli arti dei commilitoni morti che spuntavano congelati dalla terra. Inadeguati. D estate, chiusi nella loro divisa di panno di lana stretta al collo, i soldati soffrivano la calura e la sete; in autunno le piogge non davano tregua e trasformavano i camminamenti e le postazioni in pantani, preludio di quelle malattie di origine reumatica che dopo la guerra avrebbero falcidiato schiere di ex combattenti. Durante gli inverni rigidi non si poteva contare su indumenti supplementari o coperte pesanti, perché la lana doveva essere comprata all estero: così la propaganda distribuì una cartolina in cui si invitava a tosare persino il cane di casa Il tempo libero si passava leggendo le lettere da casa, scrivendole o affidandone la scrittura a chi ne era capace (v. articolo a pag. 64). E cercando di salvare la pelle dai colpi dei cecchini o da quelli dell artiglieria e delle bombarde, che comunque non smettevano mai di sparare. L arrivo di corvè con razione doppia di cognac, cioccolato e altri generi di conforto designava la prossimità di un nuovo assalto. Per il soldato non era previsto alcun momento di distrazione, tranne appunto l alcol, Tiratore scelto in agguato. che faceva parte del rancio, e le prostitute. Furono in
4 Sconosciuto, ma onorato Chi è il caduto della Grande Guerra che riposa all interno dell Altare della patria del Vittoriano a Roma e che ogni anno riceve il tributo del presidente della Repubblica nell anniversario della fine del conflitto? La decisione di avere una tomba simbolica per tutti i caduti fu sentita proprio dopo la Prima guerra mondiale, durante la quale migliaia di corpi rimasero senza nome. Udine, 13 ottobre 1921: le salme dei militi ignoti verso Aquileia. fatti istituite nelle zone di guerra case di tolleranza gestite e controllate dalle autorità militari. Disertori per necessità. Il pensiero che accompagnava più frequentemente i soldati nelle trincee era come uscirne, magari con in tasca una licenza che permettesse di allontanarsi per qualche giorno dall orrore della guerra o di raggiungere i familiari in difficoltà. «Non era però possibile fare affidamento su licenze concesse con regolarità ed equità: spesso i permessi venivano soppressi per motivi di mobilitazione o come ritorsione per atti di indisciplina» dice Bruna Bianchi. Per ottenere la sospirata pausa alcuni si offrirono volontari in Nel 1921 fu istituita una commissione, composta da ufficiali e sottoufficiali ma anche da un soldato semplice, con il compito di tornare sui luoghi delle battaglie e recuperare 11 salme di caduti mai identificati. Riesumati. Dall Alto Isonzo al Pasubio, dal Monte Grappa ad Asiago si cercarono cadaveri il cui riconoscimento fosse stato (e fosse) impossibile. Raccolti e collocati in bare uguali, i corpi furono condotti nel duomo di Aquileia (Udine). Uno solo. Per la scelta definitiva fu designata la triestina Maria Bergamas, il cui figlio Antonio, disertore dalle file austriache, si era arruolato volontario nell esercito italiano ed era morto in combattimento senza essere mai identificato. Le cronache dell epoca raccontarono come la donna, vinta dall emozione e incapace di proseguire, avesse indicato la seconda bara della fila: il Milite ignoto era stato scelto. Le altre salme furono tumulate presso quella chiesa, mentre alla prescelta spettò un viaggio verso Roma su un treno speciale, al cui passaggio tutta l Italia si inchinò. La salma venne posta nel monumento il 4 novembre Spirito di gruppo Anche in fila dal barbiere i soldati scoprirono il valore del cameratismo. I nuovi arrivati in trincea avevano un altissima probabilità Canta che ti passa ul cappello, sul Scappello che noi portiamo / c è una lunga, c è una lunga penna nera / che a noi serve, che a noi serve da bandiera / su pei monti, su pei monti a guerreggiar. Per farsi coraggio, consolarsi e raccontare la guerra, alpini e fanti... cantarono a squarciagola, e oggi quelle melodie ci proiettano a quasi un secolo fa. A quando, per esempio, per glorificare la presa del Monte Nero (1915) si intonava: azioni pericolose; altri se la presero senza permesso, e divennero disertori. «Se si analizzano le motivazioni avanzate dai soldati, si scopre che il 28 per cento aveva disertato per aiutare la famiglia con il proprio lavoro, soprattutto in campagna, dove la guerra aveva provocato una cronica mancanza di braccia. Tra i soldati del Sud, dove la situazione fu particolarmente grave, la percentuale di disertori arrivò al 47 per cento» spiega Bianchi. La giustizia militare non tardò a mostrare i muscoli: «I dati ufficiali delle condanne gravi per il reato di diserzione sono impressionanti, pur se approssimativi e inferiori alla realtà: condanne a morte, di cui 391 eseguite, e condanne all ergastolo» precisa la studiosa. Sul campo, per punire situazioni estreme come appunto la diserzione, ma anche per riaffermare la cieca obbedienza ai superiori, si consumarono esecuzioni sommarie e decimazioni di interi reparti, di cui è rimasta traccia solo nelle memorie dei soldati. I disertori che riuscivano a far perdere le proprie tracce entravano nella drammatica condizione della latitanza, unendosi a bande di renitenti che non avevano risposto alla chiamata alle armi, sempre esposti al pericolo di essere stanati dalle ronde dei carabinieri. Pazzi di guerra. L ultima speranza per tornare a casa, a volte, era farlo da feriti. Ci si iniziò a sparare intenzionalmente a una mano (magari la sinistra, per non pregiudicare la possibilità di lavorare) o a un piede, a ferire un occhio o un orecchio; spesso con conseguenze mortali. Difficile fu per i medici individuare queste forme di autolesionismo, specie se a essere simulati erano disturbi mentali. Ma era veramente solo simulazione? Il contatto quotidiano con la morte, la lontananza dagli affetti, l esasperazione della costrizione laceravano la stabilità mentale ed emotiva di questi uomini, che cominciarono a soffrire di amnesia, sordo-mutismo, contratture muscolari, paralisi, inebetimento e regressione all infanzia. «I nevrotici di guerra furono equiparati ai disertori, Spunta l alba del 16 giugno / comincia il fuoco l artiglieria / il Terzo alpini è sulla via / Monte Nero a conquistar. Oppure, per coprire il frastuono dei combattimenti, si canticchiava: Ho lasciato la mamma mia / l ho lasciata per fare il soldà. / Ta pum, ta pum, ta pum, dove il ritornello imitava il colpo d arma da fuoco e la sua eco nella valle. Oilalà. Una delle canzoni di protesta più blasonate scherniva chi la guerra Alloggiamenti di fortuna della 113 a batteria. di morire entro le prime 5 ore non la faceva: O vigliacchi che voi ve ne state / colle mogli sui letti di lana / schernitori di noi carne umana / questa guerra ci insegna a punir. Poi arrivò l ultima controffensiva del 18: La tradotta che parte da Torino / a Milano non si ferma più / ma la va diretta al Piave / cimitero della gioventù. / Siam partiti in Dopo Balli improvvisati tra le baracche sul Monte Cristallo. ventisette / solo in cinque siam tornati qua / e gli altri ventidue / sono morti tutti a San Donà. I brani si possono ascoltare su www. cimeetrincee.it/canti. I nemici che non furono mai vinti: i pidocchi. Ricordi di guerra Il possente uso dell artiglieria causò orribili mutilazioni, a cui si rimediava anche con protesi facciali. perché dominati dallo stesso desiderio Prim ima di sottrarsi al servizio militare e di abbandonare la zona di guerra. In realtà, specie i disturbi isterici rivelarono come per allontanarsi dalla violenza i soldati rinunciassero a una funzione della coscienza: non parlavano più, non vedevano più, non camminavano più, pur in assenza di problemi fisici effettivi» spiega Bruna Bianchi. A questi smarrimenti si rispose con una violenza pari a quella che si voleva fuggire. Occorreva dimostrare al soldato che la determinazione del medico (a rimandarlo in guerra) era più forte della sua. Così lo si colpiva con attacchi a sorpresa, come erano definite le scariche della terapia elettrica. Talvolta bastava la suggestione creata da una seduta di ipnosi, a cui una mente sconvolta non sapeva resistere, per rigettarlo nell inferno. Anita Rubini SAPERNE DI PIÙ La follia e la fuga, Bruna Bianchi (Bulzoni Editore). Nevrosi di guerra, diserzioni e disobbedienza nell esercito italiano. I canti degli alpini, Andrea Munari e Gianni Potrich (Nordpress Edizioni)
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