Bozza documento di lavoro, dopo seminario del 20 Marzo a Potenza. Contributo per una vertenza sulle politiche industriali nel Mezzogiorno
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- Arrigo Meli
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1 Bozza documento di lavoro, dopo seminario del 20 Marzo a Potenza Contributo per una vertenza sulle politiche industriali nel Mezzogiorno Con il seminario tenutosi a Potenza il 20 Marzo scorso, organizzato dalla CGIL della Basilicata e dalla Camere del Lavoro di Potenza, si è voluto contribuire ad una riflessione e ad una serie di proposte (ancora in parte generiche) intorno alle quali sistematizzare un ragionamento delle diverse CGIL regionali del Sud sulle politiche industriali (partendo ognuno dalle proprie esperienze e specificità). L obiettivo è quello di provare a costruire una serie di vertenze a carattere territoriale (interregionale) e settoriale che tengano insieme: a) riqualificazione del modello di specializzazione produttiva nel Mezzogiorno (attraverso lo sviluppo prioritario di alcune attività a maggior valore e a maggiore produttività relativa, per cui si ritiene il Sud possa godere di vantaggi comparati), b) crescita dimensionale dell impresa meridionale attraverso il sostegno alla formazione di Reti di Impresa, che vanno ulteriormente incentivate in funzione anche di specifiche politiche settoriali, c) innalzamento del grado di apertura del sistema imprenditoriale meridionale verso l estero usando come leva propria la specializzazione produttiva, d) promozione di 5-6 filiere industriali strategiche che possono trovare nel Sud condizioni per divenire di rilevanza nazionale ed internazionale (agendo anche sull inserimento e potenziamento delle agglomerazione di imprese locali nei settori dell industria nazionale già dislocati nelle aree meridionali). Una riflessione, per noi, che deve quindi portare a parole d ordine comuni, alla condivisione di strumenti e alla richiesta di un utilizzo coordinato delle risorse pubbliche, partendo da una premessa di fondo: che non si esce dalla crisi economica del Paese senza un rilancio del Mezzogiorno. E non è possibile un rilancio del Mezzogiorno senza tenere insieme nuove politiche industriali mirate e selettive (negli indirizzi, nelle priorità, negli strumenti) e accesso dei nostri territori e delle nostre aree interne alle grandi rotte del commercio internazionale e alle grandi dorsali. Del resto un tratto comune caratterizza le diverse esperienze presentate al seminario: accanto a poche realtà industriali di elevata qualità che resistono alla crisi, il quadro più complessivo è assai preoccupante e necessita di una repentina inversione di tendenza. Occorre infatti evitare che il Sud continui a presentarsi di fronte alla crisi internazionale agendo esclusivamente con politiche imprenditoriali di aggiustamento, con strategie difensive incentrate sulle convenienze derivanti da un utilizzo più che flessibile del lavoro e, per le piccole imprese, da una prossimità con l economia sommersa. Il contenimento del costo del lavoro per garantire competitività è avvenuto a scapito di quagli adeguamenti competitivi più strutturali identificabili prima di tutto nel rafforzamento delle componenti extra produttive dell organizzazione che oggi non sono più rinviabili, come dimostrano: - la stessa distribuzione dei vantaggi comparati del sistema meridionale in termini di export (dove le imprese presenti di proprietà esterna all area e che hanno giovato di economie di scala e forti investimenti in ricerca hanno visto crescere le proprie esportazioni, mentre sono crollate le esportazioni delle imprese tipiche del made in italy, di dimensioni spesso minori e di origine locale) 1
2 - e la dinamiche dagli investimenti diretti esteri (crollati del 100% negli ultimi 3 anni in tutte le aree meridionali). Per questo occorre evitare una politica mirata esclusivamente a rafforzare l esistente: occorre semmai, facendo perno sui punti di forza e le eccellenze che pure vi sono, procedere, anche tramite la maggiore integrazione con le grandi industrie al Sud, a una sostanziale modifica del nostro modello di specializzazione e ad un adeguamento rapido della struttura aziendale tradizionale, dimensionale e settoriale. Con una politica infrastrutturale e logistica al servizio di una strategia attenta a valorizzare l opzione mediterranea; una coordinata politica per le energie tradizionali e rinnovabili finalizzata allo sfruttamento tecnologico e sostenibile delle risorse naturali e ambientali; con una politica industriale di filiera e settoriale più selettiva, sostenuta da strumenti ad hoc. Occorre cioè una radicale inversione di tendenza, politica e anche culturale, rispetto ad un processo ormai ventennale di smobilitazione di ogni strategia di programmazione industriale e di riduzione sistematica delle risorse dedicate (di fronte alla crisi, dal 2008 ad oggi, nei principali paesi europei gli aiuti pubblici per l industria sono cresciuti, giungendo ad una media dello 0,55% del PIL contro lo 0,20% in Italia; per intenderci meno di 4 miliardi di euro a fronte dei 15 della Germania). Smobilitazione e riduzione di risorse che, ricordiamo, sono avvenute a seguito di una visione esclusivamente ideologica e liberista sulle virtù autonome del mercato (che ha fatto sembrare ogni programmazione di politica pubblica per l industria una limitazione della libertà imprenditoriale). Un inversione di tendenza che deve piegare le diverse (scarse) risorse pubbliche oggi disponibili ed i diversi strumenti in direzione di alcune scelte settoriali e di sistema strategiche ed entro cui si inserisce lo stesso Piano di Azione Coesione recentemente varato e l occasione offerta da una riapertura della discussione e del confronto, dopo anni di silenzi ed incertezze (con l unica eccezione del progetto Industria 2015 troppo presto abbandonato e svuotato). Terreno di iniziativa politica e sindacale a tutto campo, riguardando anche il ruolo dell impresa privata e degli investimenti delle grandi aziende nel sud del Paese. Nel costruire una prima riflessione abbiamo quindi sentito (e sentiamo ancora) il bisogno di: - cominciare ad entrare nel dettaglio, insieme alle categorie nazionali della CGIL, per analizzare e proporre politiche settoriali e di filiera, in funzione anche della presenza di grandi industrie (spesso multinazionali o comunque esterne all area) e del loro possibile ruolo attivo per lo sviluppo locale; - avanzare una visione di sviluppo industriale che ponga al centro la questione delle aree interne, del loro essere dimensione sociale e demografica particolare del nostro Sud e su cui misurare concretamente gli effetti di possibili politiche di sviluppo (proponiamo il rilancio delle aree interne come misuratore di sviluppo, in sostanza), visto le tendenze allo spopolamento e alla desertificazione in atto; - cominciare a identificare (o nel nostro caso a condividere se ritenuti tali) i settori strategici prioritari in un ottica interregionale per fare massa critica, per valorizzare i centri di eccellenza, per definire un comune approccio vertenziale e negoziale ai grandi gruppi industriali eventualmente coinvolgibili nei settori strategici di cui sopra. Consapevoli che occorrono scelte chiare e coraggiose di politica industriale per evitare che il Sud sia terra, al massimo, di grandi stabilimenti solo di lavorazione delle materie prime o di assemblaggio, con disequilibri evidenti, nel rapporto di dipendenza con altri mercati anche fuori dall Italia, di basso valore 2
3 aggiunto e bassa integrazione delle imprese nell indotto di secondo e terzo livello, di scarse ricadute occupazionali. Al riguardo identifichiamo in queste possibili aree di intervento industriale prioritario, il terreno per un azione rivendicativa comune delle CGIL meridionali sulle politiche industriali, impegnandoci nella costruzione di vere e proprie vertenze dal basso: - Area dei nuovi sistemi di produzione, distribuzione e risparmio energetico attraverso fonti rinnovabili. Che vuol dire creazione di una filiera delle energie, dall ideazione e ricerca alla distribuzione (efficienza delle attuali reti e creazione di nuove, anche a sostegno di modelli di mobilità sostenibile), dalla nascita di veri e propri distretti della produzione di tecnologie e apparati, fino a poli di intervento manutentivo altamente specializzati, in connessione con gli attuali distretti meccanici e micro meccanici e con la riconversione dei distretti della meccanica di precisione e della elettomeccanica, oltre che con gli attuali poli di estrazione petrolifera e di gas naturale (geo termia, ecc.); - Area dei nuovi materiali, bio plastici e bio edili (non solo chimica verde quindi con tutti i limiti di questa dizione, ma trasformazione a basso impatto ambientale di materie rinnovabili di derivazione agricola, forestale, zoo tecnica), e quindi riconversione del settore dell edilizia residenziale e delle imprese di costruzioni, delle imprese chimiche, sviluppo di aziende artigiane di terza generazione a forte contenuto di sapere, in un ottica anche di intervento anticiclico nel breve medio periodo; - Area della mobilità sostenibile e conversione dell industria delle auto motive, della cantieristica e del settore ferroviario, con attenzione alle nuove tecnologie di stampaggio (in connessione con i poli industriali sui nuovi materiali, scocche, carrozzerie esterne e interni), al sostegno alle tecnologie verdi legate alla filiera del GPL/CNG, alla logistica del mare, sostenendo nuovi modelli di propulsione anche in chiave di export differenziati su prodotti e tecnologie, oltre che di nuove reti di distribuzione. Dove per mobilità sostenibile e innovazione il riferimento è a 360 gradi (industria cantieristica di medio tonnellaggio e trasposto su ferro merci e persone) e oltre che alla produzione ci si riferisce anche alla fase di progettazione, ricerca, ingegneristica e di integrazione ai servizi connessi; - Area dell Agro industria e dell agricoltura di qualità, con valorizzazione delle reti di fornitori locali, integrazione con i grandi stabilimenti industriali nazionali ed esteri già presenti al Sud, anche rispetto a servizi a maggior valore, oggi importati, (in termini di manutenzione, personalizzazione del prodotto, servizi di imballaggio, lavorazione scarti, logistica e trasporto; anche in connessione alla produzione energetica, al reimpiego degli scarti industriali, al ciclo dei rifiuti agro industriali), con il sostegno alla creazione di prodotti di nicchia esportabili dalle PMI tramite reti uniche di commercializzazione dei grandi marchi già presenti; - Area dell ICT e dell integrazione tra reti TLC e produzione informatiche, applicative e di base, con l ottica di identificare un unica filiera dedicata alla rivoluzione connessa alla smaterializzazione della memoria (cloud) e alla sincronizzazione dei servizi e relativa personalizzazione (casa intelligente, reti urbane sincronizzate, just in time dei prodotti e servizi per le piccole e medie imprese). Da qui l esigenza di selezionare anche le aree ove concentrare le risorse (regionali e comunitarie) per la predisposizione della banda ultra larga fissa e della copertura LTE (esigenza di coordinare Piano di 3
4 Azione Coesione con nuova Cabina di Regia per le reti NGN presso il Ministero dello Sviluppo Economico e con la stessa AGCOM, cui azione per quantificare il Risk premium e la remunerazione degli investimenti privati nelle diverse aree non è neutra). In quest ottica, l integrazione verticale di poli presenti su più regioni (da Melfi a Bari fino a Termoli per fare l esempio dell automotive) e la valorizzazione nella specializzazione produttiva dei sistemi locali orizzontali (propulsione, design, apporto micro elettronico ai sistemi di avviamento), chiamano in causa anche le grandi industrie, per un ruolo attivo sul territorio come generatori di domanda tecnologica, trasferimento di competenze, investimenti in ricerca. Stesso ragionamento potrebbe farsi per l ENI (estrazione, lavorazione petrolchimica, distribuzione) e per i grandi marchi dell alimentare (Ferrero, Barilla, Nestlè, circuito acque minerali, ecc.). Allora in funzione di queste priorità si potrebbero declinare ulteriormente strumenti, risorse, politiche di sistema. Pensiamo al Piano di Azione Coesione (agli assi quali competenze per i giovani in coerenza di questi modelli industriali, al credito di imposta e al credito per investimenti con i fondi regionali, alle risorse per l agenda digitale europea ), alle destinazioni prioritarie delle risorse del CIPE per le infrastrutture e le opere pubbliche, alla riprogrammazione delle risorse comunitarie. E più in generale alla funzione dei sistemi della formazione, dell università e della ricerca presenti al Sud, delle politiche attive del lavoro, delle agenzie per la formazione permanente, rendendo complementari a questo scenario le riflessioni e gli interventi sulle proto imprese e la rifocalizzazione delle risorse comunitarie in atto. E di conseguenza proporre specifici paletti per la stesura degli Accordi Regionali di Sviluppo (assorbendo i Contratti di programma e i Piani Operativi Locali) con vincoli e misuratori specifici in funzione dell aumento di produttività, capacità di esportazione oltre il mercato locale, crescita dimensionale delle PMI locali; concentrando il grosso delle risorse sulla leva del Contratto di Rete (come strumento aggregativo con premialità differenti in funzione delle politiche settoriali); unificando le diverse misure per il credito agevolato in un unico strumento finalizzato anche alla differenziazione degli indotti meridionali di primo e secondo livello; creando canali privilegiati specifici ( c.d. filiera istituzionale) per l attrazione di investimenti esterni in ricerca e sviluppo, applicata ai settori strategici di cui sopra; passando da strumenti con meccanismi di selezione semi automatica che hanno assecondato le attuali domande delle imprese ad una maggiore selettività dei crediti di imposta e dei crediti per investimenti tecnologici, riducendo la dispersione risorse. Guardando anche alle positive esperienze già in campo (si pensi ad alcune realtà pugliesi, dove diversi interventi contro il nanismo aziendale e per favorire l integrazione con i mercati stranieri stanno dando buoni frutti, come dimostra il dato in controtendenza dell export e la stessa capacità di contenimento della crisi occupazionale, con saldi mediamente in attivo). E dentro questa cornice inserire, anche, la questione del risanamento delle aree di crisi industriale, facendo un bilancio degli interventi non solo in termini di risorse spese, ma di effetti occupazionali diretti prodotti (un iniezione di trasparenza oggi sempre più necessaria, soprattutto in quelle regioni ancora oggi prive di un vero e proprio Osservatorio sulle crisi industriali e sugli interventi messi in campo negli ultimi anni). E dove, infine, ma non per importanza, è parte di una strategia di politica industriale nazionale e per il Sud anche il ruolo della (seppur sempre più ridotta) domanda pubblica, in particolare in relazione al sostegno ad un nuovo modello di produzione e di efficienza energetica, di mobilità sostenibile a partire dalle aree urbane, ad una domanda di riconversione edilizia, alla creazione di servizi e beni elettronici (dall e- 4
5 commerce, alle PP.AA.). E la capacità più in generale di coordinare una domanda privata dei grandi soggetti (banche, reti energetiche, idriche, gas, poste, ecc.). Il tutto con un disegno economico e geopolitico esplicito: fare del Sud non solo la leva per un rilancio industriale dell Italia, per contribuire nella nuova divisione internazionale del lavoro ad un posizionamento nella parte alta, ma anche per baricentrare verso il Mediterraneo la nostra funzione ed il nostro ruolo. Anche perché se alcuni elementi positivi vanno tenuti in conto, per nella crisi complessiva dell economia meridionale, tra questi il più importante è che l export meridionale è cresciuto, pur con le difficoltà e caratteristiche sopra indicate, di fatto esclusivamente verso i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo (circa il 40% del totale): la prospettiva di una stabile e ricercata crescita verso il Mediterraneo può rappresentare quindi non solo un importante mercato di sbocco per le imprese meridionali, non solo una condizione per lo sviluppo della logistica legata ai commerci, ma anche una vera e propria area di integrazione dei sistemi economici, sociali e culturali, aprendo per l Italia e l Europa una nuova e positiva prospettiva di pace e sviluppo. 5
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