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- Raffaello Catalano
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1 Sezione 6 di R. Caterina 6.1. Le relazioni di fatto fra l uomo e le cose Il possesso come criterio per l attribuzione di poteri giuridici sui beni Sul fondamento della protezione del possesso I molti moduli del potere di fatto Gli elementi del possesso Gli elementi del possesso: il potere di fatto Gli elementi del possesso: l acquisto del potere di fatto Gli elementi del possesso: l animus domini Il possesso mediato L esercizio del diritto reale: ipotesi problematiche L oggetto del possesso: i beni immateriali L oggetto del possesso: l energia elettrica, le trasmissioni radiotelevisive Gli elementi incompatibili: l altrui tolleranza Gli elementi della detenzione La detenzione Il titolo del detentore La detenzione autonoma, la detenzione qualificata Vicende del possesso e della detenzione I modi di acquisto: l occupazione, lo spoglio, l interversione La consegna La successione nel possesso, l accessione del possesso Circolazione del possesso e autonomia privata Le vicende del rapporto extrapossessorio: la legge, la decisione del giudice, l atto amministrativo La derelizione, la perdita, la rinuncia I rapporti tra il proprietario e il possessore I conflitti tra il possesso (o la detenzione) di cosa aliena e la proprietà Il possesso di buona fede Restituzione dei frutti e responsabilità per danni Riparazioni, miglioramenti, addizioni Le azioni possessorie Le lesioni del possesso Lo spoglio Lo spoglio del possessore mediato La molestia La violenza e la clandestinità dello spoglio L elemento psicologico dello spoglio e della molestia Le cause di giustificazione Le legittimazione attiva alle azioni possessorie La legittimazione passiva alle azioni possessorie Oggetto delle azioni possessorie Termine per la proposizione delle domande La domanda di risarcimento del danno Il divieto di cumulo del possessorio e petitorio La nuova opera e il danno temuto Le relazioni di fatto fra l uomo e le cose Il possesso come criterio per l attribuzione di poteri giuridici sui beni. Il diritto regola i conflitti tra le persone, cui danno luogo il godimento, lo sfruttamento, la percezione del valore delle cose. A tale fine, il diritto presceglie generalmente una persona o una pluralità di persone e assegna loro una posizione privilegiata, a tal Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati
2 358 III, fine disponendo che le altre si astengano da questa o quella ingerenza nella cosa, e mettendo a disposizione delle prime rimedi adatti per rendere effettivo questo obbligo di astensione e per reagire all ingerenza lesiva. In tal modo, il diritto previene conflitti violenti, ed evita la tragedia dei comuni che si produce quando è possibile usufruire di una risorsa scarsa senza limitazioni e senza dover pagare un costo adeguato. Come identificare il soggetto favorito? L individuazione può seguire un criterio fondato sulla relazione di fatto che passa fra la persona e la cosa. Si protegge la tale persona perché si trova nell immobile conteso, perché porta addosso l abito contestato. Beninteso, la protezione può prendere varie forme: può concretizzarsi in una facoltà di rappresaglia, o nel diritto ad un risarcimento; può concretizzarsi in un diritto a riottenere il potere di fatto sulla cosa. Seguendo un criterio del tutto diverso, l individuazione del soggetto favorito può avvenire mediante un indice indipendente dalle relazioni di fatto che passano attualmente fra la persona e la cosa; si può stabilire che questo o quell insieme di circostanze di fatto, che chiameremo titolo ieratico, assegnino ad un soggetto dato la protezione dell ordinamento, e che tale protezione duri senza un limite di tempo, fino a quando non intervenga un altro insieme di circostanze di fatto, che porranno termine alla protezione. Il diritto può dunque scegliere fra un potere dipendente da una relazione di fatto tra l uomo e le cose, e un potere dipendente dal titolo ieratico. Collegamenti fra i due criterii possono operare in vari modi. Così, ad esempio, la relazione di fatto protratta per un certo tempo, o accompagnata da circostanze qualificanti, può essere essa stessa elevata a titolo per una protezione che, d ora in avanti, si perpetuerà anche dopo la perdita della relazione stessa. L ordinamento italiano contemporaneo conosce entrambi i criterii di selezionamento del personaggio favorito. Nelle grandi linee, si può dire che i rimedi possessorii proteggono il soggetto che, al momento dell evento, si trovava in una data relazione di fatto con la cosa; mentre i diritti reali, e le azioni che ne derivano,
3 III, sono accordati a chi sia munito di un titolo (il modo di acquisto della proprietà e degli altri diritti reali può peraltro consistere in un possesso qualificato). Da secoli i giuristi discutono sulla giustificazione della protezione del possesso. Il problema deve essere precisato. Il possesso, come criterio per l attribuzione di poteri giuridici sui beni, è sicuramente più antico della proprietà. Ciò di cui si discute è in effetti la coesistenza della protezione del soggetto del titolo con la protezione del soggetto della relazione di fatto; della protezione della proprietà con la protezione del possesso. Se ogni sistema ha bisogno di regolare l uso delle risorse, e per ciò stesso di creare situazioni di appartenenza, ciò che necessita di una giustificazione è la sopravvivenza dei rimedi possessorii in un sistema che conosce un sistema di appartenenza fondato sul titolo ieratico Sul fondamento della protezione del possesso. Della coesistenza della protezione della proprietà con la protezione del possesso è stata data una celebre giustificazione, che si fa risalire a Savigny: la protezione della relazione di fatto impedisce l uso delle armi da parte dei cittadini impegnati nella difesa dei propri diritti ( ne cives ad arma veniant ). La tutela del possesso risponderebbe ad esigenze di tutela dell ordine pubblico, impedendo il dilagare di esercizi arbitrarii delle ragioni dei contendenti e di spogli a catena. La protezione possessoria, se ispirata a questa logica, porta con sé una serie di regole applicative. In particolare, essa sembra suggerire la repressione non di qualunque offesa al possesso, ma solo di quelle offese che costituiscono una concreta minaccia per l ordine pubblico, e dunque delle offese violente, o clandestine. La logica descritta ha contribuito alla formazione di più di un sistema storico. L idea della prevenzione e della repressione della violenza traspare nei nomi dell interdictum unde vi, dell interdictum de vi cottidiana, e ancor più dell interdictum de vi armata. E in Inghilterra, le formule dei writs che descrivono le originarie fattispecie di trespass parlavano, all origine, di quare vi et armis
4 360 III, clausum fregit (trespass to land), quare vi et armis lapidem molarem gregit et bona et catalla cepit et asportavit (trespass to chattels). In Italia, il codice civile menziona la violenza o la clandestinità come elementi per la dequalificazione della condotta contro cui reagisce l azione di reintegrazione (art. 1168). Tuttavia, l evoluzione del diritto ha liquidato da tempo la tradizione favorevole alla dequalificazione della lesione violenta e clandestina. Limitandoci all ordinamento italiano contemporaneo, si deve registrare che già secondo il codice alcuni possessori sono protetti contro ogni lesione, e non solo contro quelle violente o clandestine (art c.c.); e, anticipando un dato su cui torneremo, diciamo subito che la giurisprudenza accoglie un accezione così annacquata della violenza dello spoglio da neutralizzarla completamente, svolgendola in un requisito tautologico: per la giurisprudenza ogni spoglio contrario alla volontà espressa o anche solo presunta del possessore è violento. La tutela dell ordine pubblico è una giustificazione insufficiente di fronte all ampiezza con cui in molti ordinamenti il possesso è protetto. Una spiegazione alternativa della protezione del possesso è spesso ricondotta al nome di Jhering. Proteggendo il possesso, il diritto proteggerebbe in modo più efficace la proprietà: spesso il proprietario e il possessore coincidono; proteggendo il possesso, il proprietario non ha bisogno di provare il suo diritto quando è spossessato; la protezione accordata a possessori che non sono proprietari sarebbe un prezzo da pagare per proteggere efficacemente i proprietari. Anche questa proposta non riesce a dar conto di come effettivamente la protezione del possesso è configurata in molti ordinamenti. In particolare, non riesce a spiegare perché il possesso sia protetto anche quando il convenuto riesca a provare che il possessore non è il proprietario. Una spiegazione più completa e convincente della protezione del possesso deve partire dalle stesse ragioni che inducono, più in generale, gli ordinamenti a dare vita a situazioni di appartenenza,
5 III, cioè l opportunità di prevenire conflitti violenti ma anche la distruzione e lo spreco delle risorse che discendono dalle tragedie dei comuni. Come si è detto, l ordinamento può scegliere se individuare il soggetto favorito attraverso la relazione di fatto con la cosa o attraverso il titolo ieratico. Nessun ordinamento moderno si accontenta di un sistema di appartenenza fondato sulla relazione di fatto con la cosa; tutti riconoscono una proprietà che sopravvive anche in assenza della relazione di fatto. Ma i problemi che conducono alla creazione delle situazioni di appartenenza si riproducono nelle ipotesi in cui il proprietario è assente. Il proprietario ha diritto di escludere i terzi; ma come risolvere i conflitti quando nessuna delle due parti in causa è il proprietario? L ordinamento può avere interesse ad individuare un supplente del proprietario assente; ed è naturale che lo individui in un soggetto che è per definizione presente, cioè nel soggetto del potere di fatto. Lo stesso proprietario ha tutto da guadagnare dalla protezione accordata al possessore verso i terzi. Il possessore ha un interesse proprio a difendere la cosa; l ordinamento, una volta concessogli un potere di difesa, potrà imporgli di rispondere nei confronti del proprietario per come ha difeso la cosa contro i terzi. Il proprietario ha interesse ad avere di fronte a sé un gestore responsabilizzato e messo in grado di difendere la cosa piuttosto che a lasciare, nella sua assenza, il bene alla mercé di qualunque intrusione. Il possessore difende il proprio interesse, aspirando a godere il bene e magari sperando di usucapire, ma allo stesso tempo finisce anche per difendere gli interessi del proprietario ( 1 ). Il possesso può in questo quadro essere visto come una forma ( 1 ) L impostazione del testo riflette ampiamente riflessioni già presenti in R. SACCO, Il possesso,intrattato di diritto civile e commerciale già diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, Milano, 1988, e in R. SACCO er.caterina, Il possesso, 2ª ed., Milano, Per una ricostruzione del dibattito sulle ragioni della tutela del possesso, e per una soluzione non dissimile da quella proposta nel testo, cfr. anche J. GORDLEY & U. MATTEI, Protecting Possession, in44american Journal of Comparative Law, 293 (1996).
6 362 III, cadetta di appartenenza, protetto per le stesse ragioni della proprietà, e contro ogni genere di ingerenza, anche non violenta. Il soggetto dotato di titolo ieratico avrà gli strumenti per prevalere sul soggetto del potere di fatto, e recuperare la cosa; potrà, in quella sede, chiedere conto dei danni arrecati dallo stesso possessore o da terzi. Potrà, per evitare ingiustificati arricchimenti, essere chiamato a tenere indenne il possessore di una serie di spese legate alla gestione della cosa di cui il possessore ha dovuto darsi carico. Il dato meno facile da spiegare, e per certi versi sorprendente, è la possibilità per il possessore, almeno in certe circostanze, di reagire anche allo spoglio posto in essere dallo stesso proprietario. Intanto, bisogna dire che si tratta di una regola meno universale di quella che protegge il possessore verso i terzi. Nei sistemi di common law, sul possessore prevale il proprietario, che ha un better title; in Germania, l opinione maggioritaria consente che la ragione petitoria escluda la sussistenza della lesione possessoria ( 2 ). Come vedremo, nello stesso ordinamento italiano il divieto per il convenuto nel possessorio di far valere in via di eccezione le sue ragioni proprietarie è stato ridimensionato da una sentenza della Corte costituzionale. Laddove il possessore è effettivamente protetto anche nei confronti del proprietario, si possono immaginare alcune ragioni a sostegno di questa soluzione. Intanto, un ordinamento può ritenere più facile mettere in funzione, a favore del possessore, un azione giudiziale esperibile nei confronti di tutti, contrappesata da un azione per il rilascio e il rendiconto concessa al proprietario, piuttosto che non istituire un sistema di azioni per la tutela dell appartenenza, fondate sul titolo relativamente migliore, in cui il possessore prevale sul terzo e soccombe di fronte al proprietario. In secondo luogo, poiché il possesso fa nascere ragioni del possessore per spese, riparazioni, ecc., esiste un legittimo inte- ( 2 ) Cfr. G. A.BECCARA, La Corte costituzionale ridimensiona la portata del cosiddetto divieto del cumulo tra possessorio e petitorio, in Quadrimestre, 1993, 594, pp. 617 ss.
7 III, resse del possessore a poter abbinare la definizione dei rapporti contabili relativi a queste voci con la definizione del suo dovere di rilasciare il bene al proprietario (tanto che molti ordinamenti riconoscono al possessore un diritto di ritenzione). In terzo luogo, la tutela del possessore contro lesioni violente da parte del proprietario può effettivamente essere ispirata alla tutela dell ordine pubblico; e la protezione del possessore anche contro il proprietario potrebbe essere il residuo di una impostazione ( ne cives ad arma veniant ) che si è affievolita nel corso del tempo I molti moduli del potere di fatto. Gli ordinamenti giuridici consentono a chi si trova in una relazione di fatto con la cosa di reagire alle lesioni del possesso. Non è questo l unico effetto che gli ordinamenti assegnano alla relazione di fatto tra l uomo e la cosa. La relazione di fatto con la cosa, accompagnata da circostanze qualificanti, può costituire un modo di acquisto della proprietà così avviene per l usucapione, per l acquisto a non domino di beni mobili, per l occupazione. La consegna può essere oggetto di un obbligo contrattuale ebi- sognerà stabilire quando esso è assolto. Il diritto penale può assegnare una rilevanza alla relazione di fatto con le cose a seconda dei casi per proteggere il possessore o per punirlo. Non necessariamente le relazioni di fatto a cui l ordinamento attribuisce, a vari fini, rilevanza, sono identiche. I tratti distintivi che possono diventare rilevanti sono molti. Limitiamoci a qualche esempio, relativo all ordinamento italiano. Secondo un opinione consolidata, per non frustrare la ragione della norma che impone il requisito della consegna, ai fini dell art c.c. è insufficiente la consegna nelle forme spiritualizzate del costituto possessorio o della consegna delle chiavi; la regola possesso vale titolo presuppone il trasferimento all acquirente del possesso materiale (c.d. possesso reale ) ( 3 ). Ep- ( 3 ) Cfr. L. MENGONI, Gli acquisti a non domino, 3ª ed., Milano, 1975, pp. 128 ss.; Cass. 17 marzo 1950, n. 720, in Foro it., 1950, I, 1177.
8 364 III, pure, ad altri fini, la consegna delle chiavi basta sicuramente a trasferire il possesso. Il possessore di buona fede è (quasi ovunque) destinatario di regole diverse dal possessore di mala fede; ad esempio, in Italia solo il possessore di buona fede acquista i frutti. In senso ampio, possiamo dire che ogni relazione di fatto con la cosa è possesso; ed allora si dovranno precisare di volta in volta i fatti concomitanti il possesso che sono necessari perché si produca questo o quest altro effetto. Nulla vieta, però, di riservare il nome di possesso solo alle relazioni di fatto caratterizzate da certi tratti distintivi; ed allora bisognerà trovare un altro nome per le relazioni di fatto prive di quei tratti distintivi, ma comunque rilevanti per il diritto. Una apparente divaricazione tra i sistemi di civil law si traduce sostanzialmente in una diversa scelta terminologica. In armonia con la tradizione romanistica, i sistemi italiano e francese distinguono tra possesso e detenzione sulla base di un elemento che l opinione prevalente identifica nell animus domini l intenzione di comportarsi e farsi considerare come titolare della proprietà, o, più ampiamente, di un diritto reale sulla cosa. Chi ha un potere di fatto sulla cosa ma non l animus domini è un detentore. Il legislatore tedesco assume un punto di partenza diverso. La nozione di base è la signoria di fatto sulla cosa. Chi ha la tatsächliche Gewalt ha il Besitz, cioè il possesso. Chi si comporta come conduttore, o come depositario, è Besitzer, così come chi si comporta come proprietario. La protezione possessoria è in Germania riconosciuta al Besitzer. E in Francia e in Italia? In Francia e in Italia la azione contro lo spossessamento (réintégrande, azione di reintegrazione) è concessa anche al detentore. In Francia la equiparazione è ancora più ampia, perché una legge del 1975 (l del 9 luglio) ha esteso al detentore anche la azione contro le molestie (complainte) ( 4 ) ( 4 ) Cfr. A. GUARNERI, Una legge francese sulle azioni possessorie, inriv. dir. civ., 1980, I,
9 III, In Francia, in Italia solo il possessore può usucapire. E in Germania? In Germania il BGB distingue tra chi possiede la cosa als ihm gehörend, come appartenente a lui stesso, e chi possiede in altro modo; e crea perciò la figura dello Eigenbesitzer, contrapposto al Fremdbesitzer; solo chi possiede come proprietario acquista per usucapione. In altre parole: in Germania la categoria dei possessori è ampia, e dentro la categoria si ritaglia una sottocategoria più ristretta a cui è riservata la possibilità di acquistare per usucapione; in Francia e in Italia la categoria dei possessori è più ristretta, ma la protezione possessoria è estesa anche a soggetti che non sono possessori. La differenza è principalmente terminologica. Il legislatore italiano adotta la contrapposizione possessodetenzione; non è detto che vi si mantenga sempre fedele. Ad esempio, gli artt ss. riservano al possessore del titolo di credito la possibilità di presentare il documento all emittente, per pretenderne con successo la prestazione. Ma il trattamento giuridico del detentore non è diverso. Possessore e detentore possono pretendere la prestazione; il debitore si libera non solo pagando al possessore, ma anche pagando al detentore. E infatti le leggi speciali sulla cambiale e sull assegno identificano il portatore legittimo del titolo con il detentore (cfr. ad es. l art. 20 della legge cambiaria). Sotto un diverso profilo, abbiamo già detto che secondo un interpretazione pacifica sebbene nell art c.c. il legislatore parli genericamente di possesso come condizione essenziale per l acquisto della proprietà delle cose mobili, egli ha inteso riferirsi al possesso materiale ( 5 ). È bene allora tenere a mente una lezione già da tempo assorbita in altri ordinamenti; possesso è un concetto funzionale e relativo; non è detto che le relazioni di fatto tra uomo e cosa a cui il diritto attribuisce rilevanza a vari fini siano identiche fra loro ( 6 ). ( 5 ) Cass. 17 marzo 1950, n. 720, in Foro it., 1950, I, 1177, p ( 6 ) Nella letteratura inglese cfr., in questo senso, D.R. HARRIS, The Concept of Possession in English Law, in A.G. GUEST (ed.), Oxford Essays in Jurisprudence, London, 1961, 69. Nella letteratura italiana l esistenza di molteplici figure di possesso, non riconducibili ad una nozione
10 366 III, Gli elementi del possesso Gli elementi del possesso: il potere di fatto. Secondo la impostazione tradizionale, ai fini della configurabilità del possesso sono necessari due elementi: il potere di fatto sulla cosa (latineggiando, corpus); l intenzione di tenere quella determinata cosa quale proprietario o titolare di un altro diritto reale (animus). La descrizione del potere di fatto è difficoltosa. In dottrina si sono moltiplicate le perifrasi descrittive (signoria di fatto, signoria economica, dominazione, etc.), che risolvono poco, perché spostano il problema dalla nozione del potere di fatto alle nozioni di signoria (fisica o economica), dominazione, etc. Lo sforzo per indicare la struttura del possesso deve passare attraverso la constatazione di due concezioni alternative, più o meno esplicitamente seguite nella letteratura. Una parte della dottrina muove dall idea che il possessore, come il proprietario, può essere attivo, o essere inoperoso. Il proprietario può coltivare il prato, o lasciarlo incolto; può leggere il libro o lasciarlo sulla scrivania. Il possessore deve poter fare lo stesso senza smettere di essere tale. La definizione del potere di fatto deve essere valida anche per l ipotesi del possesso inoperoso; ed allora, deve ricorrere ad elementi diversi dalla condotta del possessore. Un primo passo in questa direzione si può far risalire a Savigny, che ebbe il merito di osservare che per la continuazione del possesso non è necessaria la immediata fisica disponibilità della cosa, ma importa unicamente che duri la potenza di riprodurre a piacere quell immediato rapporto ( 7 ). Basta, dunque, la possibilità di ingerirsi senza ostacoli nella cosa. Il secondo passo è stato la valorizzazione di un elemento diverso dall ingerenza del possessore: l astensione dei terzi. L inunitaria, è sottolineata (anche attraverso la scelta del titolo) in B. TROISI e C. CICERO, I possessi, in Trattato di diritto civile del Consiglio nazionale del Notariato diretto da P. PERLINGIERI, Napoli, Sulla molteplicità delle relazioni di fatto rilevanti insistono SACCO, Il possesso, cit., e SACCO ecaterina, Il possesso, 2 a ed. ( 7 ) F.K. VON SAVIGNY, Il diritto del possesso (tr. it. P. CONTICINI), Firenze, 1839, 18, p. 217.
11 III, gerenza del possessore può essere saltuaria e sfuggente; l astensione dei terzi è invece requisito del possesso in ogni sua fase. Il potere di fatto non consiste tanto in una relazione materiale tra il soggetto e la cosa, ma nel fatto che i terzi si astengono e che non vi è invece un ostacolo fisico, almeno di carattere duraturo all ingerenza del possessore sulla cosa ( 8 ). Il potere di fatto sulla cosa, allora, richiede l astensione attuale dei terzi da ingerenze sulla cosa e la possibilità di ingerirsi da parte del possessore; non richiede necessariamente una attività da parte del possessore ( 9 ). Questa ricostruzione ha suscitato insofferenze in dottrina. Non sono mancate, infatti, critiche a una eccessiva spiritualizzazione del corpus. Il codice civile (art. 1140) richiede una attività; mentre il proprietario può non esercitare il suo diritto senza perderlo, il possessore inattivo perderebbe allora il suo possesso. In questo senso andrebbe respinta la tentazione di un troppo spinto parallelismo tra possesso ed esercizio del diritto di proprietà: il non uso non sarebbe adattabile al possesso, che esige un comportamento positivo ( 10 ). Se la dottrina è divisa, la giurisprudenza è fermissima nel ritenere che per la conservazione del possesso non occorre la materiale continuità dell uso né l esplicazione di continui e concreti atti di godimento e di esercizio del possesso ( 11 ); che anzi il possesso può anche concretarsi nel non uso ( 12 ). Per limitarci a qualche esempio, si è ritenuto che lo stato di abbandono in cui versa un fondo non vale a escludere il possesso, poiché si può possedere un fondo anche trascurandone la coltivazione, per mancanza di interesse o per altre ragioni ; e ciò in base al principio di diritto che non condiziona la conserva- ( 8 ) AL. FEDELE, Possesso ed esercizio del diritto, Torino, 1950, p. 63. ( 9 ) In questo senso, A. MONTEL, Il possesso, 2ª ed., in Trattato di diritto civile italiano diretto da F. VASSALLI, Torino, 1962, p. 39 ss.; R. SACCO er.caterina, Il possesso, 2 a ed., in Trattato di diritto civile e commerciale già diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, Milano, 2000, pp. 76 ss. ( 10 ) In questo senso, U. NATOLI, Il possesso, Milano, 1992, p. 38 ss.; F. ALCARO, Il possesso, in Commentario del codice civile diretto da P. Schlesinger, Milano, 2003, p. 35 ss. ( 11 ) In questo termini Cass. 11 novembre 1997, n ( 12 ) Cass. 29 luglio 1958, n
12 368 III, zione del possesso all esplicazione di continui e concreti atti di godimento e di esercizio del possesso ( 13 ); che il semplice abbandono del domicilio coniugale da parte del proprietario del fondo, ancorché seguito da assoluto disinteresse per le sorti di questo bene (disinteresse protrattosi per oltre venti anni) non basta a far perdere il possesso ( 14 ); che non necessariamente perde il possesso di una servitù di passaggio chi tiene chiuso, per molti anni, il cancello di accesso alla strada utilizzata, essendo sufficiente che la cosa resti nella virtuale disponibilità del possessore ( 15 ). La giurisprudenza spesso, adottando una formula latina, parla di possibilità di conservare il possesso solo animo ( 16 ). La formula latina dichiara superfluo il corpus, perché con la parola corpus indica la sola ingerenza attuale del possessore. Si dica che non è necessario il corpus (nel senso di ingerenza attuale), si dica che il corpus si riduce alla sola ingerenza potenziale accompagnata dalla astensione dei terzi: ciò che è sicuro è che la giurisprudenza non richiede un comportamento attivo da parte del possessore. La concezione attivistica del possesso, se presa sul serio, è incompatibile con le esigenze di una gestione normale dei beni. I soggetti di norma non realizzano continui atti di godimento dei propri beni; anche l inerzia può essere un comportamento efficiente, e non c è ragione di scoraggiarla. In realtà, la stessa dottrina che nega, in linea di principio, che l inattività sia compatibile con l esistenza del possesso, finisce spesso per ridimensionare le proprie affermazioni. Si ammette, infatti, che non è immaginabile una continuità fisica della relazione con la cosa, che la attività deve essere valutata tenendo conto della specifica funzione del bene di riferimento, implicando necessariamente anche momenti di inerzia e di discontinuità ; ma si avverte che occorre tenere ben distinti i profili ( 13 ) Cass. 4 giugno 1999, n ( 14 ) Cass. 7 gennaio 1992, n. 39. ( 15 ) Cass. 6 settembre 1994, n ( 16 ) PAOLO, Sent. V, 2, 1: retinere tamen nudo animo possumus, sicut in saltibus aestivisque contingit.
13 III, giuridici dell inerzia rispetto a quelli puramente fattuali, per così dire naturali ed esistenziali e quindi irrilevanti ai fini dell indagine ( 17 ). Siccome qui si intende precisamente fornire una descrizione fattuale del potere di fatto, preferiamo chiamare le cose con il loro nome e dire che l inerzia del possessore non è incompatibile col possesso. Il possesso, secondo la giurisprudenza, viene meno se vengono meno la possibilità di ingerirsi e l astensione dei terzi. Così, si è deciso che seppure il possesso, che si esercita ad intervalli (come nei pascoli soggetti a soste invernali o estive, saltus hiberni et aestivi ) non cessa di essere continuo, se l utilizzazione della cosa, su cui si esercita il potere di fatto, subisce interruzioni dipendenti dalla natura o dalla destinazione economica della cosa, la possibilità di ripristinare ad libitum il contatto materiale con la cosa, ossia il corpus, viene meno, se altri abbiano frattanto instaurato sulla cosa il proprio possesso, sia pure attraverso un autonomo atto di apprensione ; con la conseguenza che il possessore, privato del possesso, che ( ) non si avvalga dell azione reintegratoria, non può recuperare di sua iniziativa la perduta disponibilità, senza incorrere, sussistendone anche gli altri estremi, in uno spoglio ( 18 ). Si è escluso che possa considerarsi possessore chi, per riacquistare il possesso di alcuni beni mobili custoditi in un abitazione, sia costretto a penetrare furtivamente nella casa, effrangendo la serratura di una porta, in quanto il possesso solo animo ( ) presuppone necessariamente che il titolare abbia la possibilità di disporre ad libitum ed a propria discrezione del corpus e senza che debba avvalersi di azioni violente o clandestine ( 19 ). Ancora, dal momento che il possesso e la detenzione non sono ipotizzabili se manchi la disponibilità, anche solo virtuale, della cosa, si è escluso il possesso della madre per l allontana- ( 17 ) ALCARO, Il possesso, cit., pp ( 18 ) Così Cass. 20 gennaio 1986, n ( 19 ) Cass. 5 dicembre 1988, n
14 370 III, mento forzato ( ) dal fondo e per gli impedimenti frapposti dal figlio ai tentativi di riacquisto del godimento del bene ( 20 ). La giurisprudenza insiste sulla necessità della possibilità di ripristinare ad libitum il contatto materiale con la cosa. La casistica evidenzia però che l impossibilità dell ingerenza si accompagna puntualmente ad un ingerenza altrui (e dunque al venir meno dell astensione da parte dei terzi). Non c è da stupirsi. Finché l impossibilità di ingerenza materiale (causata ad esempio da fattori naturali) non si accompagna all ingerenza altrui, non sorgono conflitti. Possono essere utili due precisazioni. Il potere di fatto è elemento indispensabile del possesso. Lo spoglio pone fine al potere di fatto, e dunque al possesso; il che non esclude che lo spogliato abbia diritto a essere ripristinato nel potere di fatto esercitando le azioni possessorie. Il linguaggio corrente può indurre in equivoci; molte volte è comodo parlare del possessore per indicare in realtà una persona che ha avuto, e poi perduto, il possesso. Si dirà così che il possessore agisce in reintegrazione invece di dire che colui che era possessore fino al momento dello spoglio agisce in reintegrazione. Le molestie, invece, sono ingerenze marginali che modificano il contenuto del potere di fatto, senza necessariamente distruggerlo. Chi passa sul mio fondo non distrugge il mio possesso; naturalmente il passaggio potrà preludere all acquisto del possesso di una servitù di passaggio, il che mi impedirà di passare alle vie di fatto e ad esempio bloccare il passaggio senza commettere spoglio. I requisiti dell astenzione dei terzi e della possibilità di ingerirsi nel bene si intrecciano allora in modo stretto. L impossibilità di ingerenza diventa concretamente rilevante quando si combina con l ingerenza altrui; l ingerenza altrui distrugge il potere di fatto quando tende ad escludere il precedente possessore. ( 20 ) Cass. 26 ottobre 1993, n
15 III, Gli elementi del possesso: l acquisto del potere di fatto. Si afferma, solitamente, che l ingerenza deve essere attuale nel momento iniziale del possesso, anche se può essere puramente potenziale nella fase ulteriore. Già i Romani insegnavano che il possesso si può conservare, ma non acquistare solo animo ( 21 ). E la giurisprudenza italiana si mantiene fedele a tale principio. La regola così descritta è certamente ragionevole. Senza una presa di possesso riconoscibile di Tizio, come si potrebbe stabilire che il possessore è proprio Tizio, e non un altro soggetto? Il principio però conosce un eccezione. Secondo una massima giurisprudenziale consolidata, per stabilire se vi sia stato o non trasferimento del possesso, non è necessaria l apprensione materiale della cosa, in quanto il potere di fatto deve intendersi conseguito quando, pur mancando la prossimità o contiguità materiale tra il soggetto e la cosa, questa sia posta, tuttavia, a disposizione del soggetto medesimo, il quale abbia la possibilità di agire liberamente su di essa ( 22 ). Torneremo a parlare della consegna; per ora registriamo che quando il potere di fatto si fa derivare dal consenso del precedente possessore, non è necessaria, per iniziare a possedere, nessuna ingerenza materiale. La necessità di un ingerenza iniziale non deve allora essere sopravvalutata. Certo, la situazione di fatto deve essere intelleggibile; e in assenza di qualsiasi ingerenza materiale, di solito non lo è. Ma quando la situazione è illuminata da altri elementi, anche della ingerenza iniziale si può fare a meno. Dal punto di vista dell ambito spaziale dell ingerenza, vale la vecchia regola romana secondo cui sufficit quamlibet partem fundi introire ( 23 ). La giurisprudenza ripete fedelmente che una volta fornita la prova del possesso della cosa nella sua unità, ( 21 ) PAOLO, Sent. V, 2, 1: Sed nudo animo adibisci quidam possessionem non possumus, retinere tamen nudo animo possumus, sicut in saltibus aestivisque contingit. ( 22 ) Così Cass. 8 ottobre 1963, n. 2676; nello stesso senso Cass. 20 aprile 1962, n. 801; Cass. 10 dicembre 1996, n ( 23 ) PAOLO, Dig. 41, 2, 3, 1.
16 372 III, non è necessaria l ulteriore dimostrazione del possesso della parte o della frazione ( 24 ) (il che presuppone, ovviamente, una cosa chiaramente individuabile nella sua unità). Nei limiti in cui gli atti di ingerenza rilevano, si pone il problema se essi debbano essere atti di ingerenza volontari. Il problema tende spesso a confondersi con quello della rilevanza dell animus domini; sul piano logico, tuttavia, è ben possibile distinguere tra volontà di assoggettare a sé la cosa e volontà di essere proprietario. La risposta tradizionale è che gli atti di ingerenza devono essere volontari. Nello stesso senso si esprime la giurisprudenza italiana. L atto di acquisto del possesso, secondo la giurisprudenza, è un atto giuridico, e come tale richiede la consapevolezza e la volontà dell agente, ma non è un negozio giuridico; pertanto nell atto di acquisto del possesso è indispensabile la volontà del soggetto di esercitare la propria signoria sulla cosa mentre l effetto è determinato direttamente dalla legge in relazione a circostanze che esulano del tutto dall elemento interiore o spirituale ; dal che si ricava che per l acquisto del possesso ( ), non è affatto necessaria la capacità di agire ma basta la capacità naturale di intendere e di volere ( 25 ). Di conseguenza, anche il minore ( 26 ) e l infermo di mente ( 27 ), purché dotati di capacità naturale, possono porre in essere atti di acquisto del possesso. Dunque, è indispensabile la volontà del soggetto di esercitare la propria signoria sulla cosa, e quindi la consapevolezza e volontà dell ingerenza; non sarebbero sufficienti ingerenze dovute ad episodi di sonnambulismo o di raptus. La necessità di questa consapevolezza e volontarietà sono state criticate. Si è osservato che uno stato psicologico di volontà non può durare quanto dura il possesso, né protrarsi quando il possessore dorme o è impazzito, e che si può avere il possesso di oggetti dimenticati. ( 24 ) Cass. 11 febbraio 1967, n. 347; nello stesso senso, Cass. 19 luglio 1968, n ( 25 ) Cass. 18 giugno 1986, n ( 26 ) Cass. 18 giugno 1986, n ( 27 ) Cass. 25 febbraio 1952, n. 504.
17 III, Tali censure non sono insuperabili. Come l ingerenza, la volontà è richiesta nel solo momento dell acquisto; come il possessore non deve mantenere un contatto fisico con la cosa, così non occorre che in ogni singolo istante pensi al proprio rapporto. D altra parte, la consapevolezza e volontarietà dell ingerenza non implica necessariamente consapevolezza delle singole cose di cui si acquista il possesso: si pensi al rigattiere che, senza esaminarne il contenuto, acquista una scatola piena di vecchi giocattoli. Figure di potere di fatto, in cui l operazione di ieri vale a fondare il potere di fatto di oggi, hanno ugualmente fornito l occasione per discutere sia del requisito dell intento che dell effettiva esigenza di una ingerenza iniziale: si pensi alla predisposizione di una trappola o, più banalmente, di una cassetta per le lettere Gli elementi del possesso: l animus domini. Una lunga tradizione richiede che il potere di fatto sia accompagnato da un elemento psicologico. Questo elemento viene definito come intenzione di comportarsi e farsi considerare come titolare di quel diritto reale, cui corrisponde il potere di fatto sulla cosa. Si parla, perlopiù, di animus domini, o animus possidendi, o ancora di animus rem sibi habendi (il che può creare qualche confusione con il requisito della volontarietà dell ingerenza, che talvolta è indicata nello stesso modo). Questo intento viene utilizzato per discriminare il possessore (il quale intende esercitare la proprietà o altro diritto reale) dal detentore. L insegnamento in esame è saldo in Francia e in Italia. In Germania, come si è detto, si è abbandonata la distinzione tra possesso e detenzione; lo stesso BGB, però, distingue tra chi possiede la cosa als ihm gehörend, come appartenente a lui stesso, e perciò acquista per usucapione la proprietà, e chi possiede in altro modo; e dottrina e giurisprudenza richiedono la volontà di esercitare il potere sulla cosa come proprietario.
18 374 III, Il codice italiano del 1942 non ha richiesto espressamente l intento (mentre il codice civile del 1865, art. 686, parlava espressamente di animo di tenere la cosa come propria ). Tuttavia, distinguendo tra possesso e detenzione, sembra averlo logicamente sponsorizzato. Il codice, inoltre, menziona il requisito dell attività corrispondente all esercizio del diritto reale, e l intento sembra un tipico elemento dell attività-esercizio: l esercizio del diritto di usufrutto su un appartamento si può distinguere cioè dall esercizio del diritto personale del conduttore in base all intento del soggetto. La giurisprudenza è saldamente ancorata al criterio discretivo dell animus, e contrappone animus possidendi e animus detinendi ( 28 ); e, sia pur con formulazioni diversificate, anche in dottrina rimane diffusa l idea che sia l animus a distinguere le figure del possessore e del detentore ( 29 ). Non manca, tuttavia, una forte corrente dottrinale orientata verso la concezione oggettiva del possesso, che rifiuta rilevanza all intento e propone di rimpiazzarlo con altri elementi. Una parte degli autori, per sollevare il giudice dall indagine su un fatto psicologico, quale è l intento, suggeriscono di qualificare il potere di fatto in base a comportamenti materiali del soggetto. In questo senso si è osservato che ciò che conta è la condotta di chi tiene o usa la cosa, non le sue segrete intenzioni, di cui il diritto non si può occupare ; per il possesso occorre che la persona si comporti in modo corrispondente a quello di chi esercita un diritto ; invece, detentore è colui che si comporta non in modo corrispondente all esercizio di un diritto reale, ma in modo diverso, cioè dando dei segni di riconoscere un potere altrui; per esempio, paga un canone di locazione, chiede un ( 28 ) Cfr., a mero titolo di esempio, Cass. 19 agosto 2002, n ; Cass. 18 febbraio 2000, n ( 29 ) Cfr., ad esempio, C. TENELLA SILLANI, voce Possesso e detenzione, indigesto civ., XIV, Torino, 1996, 8, pp. 15 ss.; A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, 41 a ed., Padova, 2004, pp
19 III, contributo per le spese, scrive una lettera di ringraziamento, o chiede una dilazione per la riconsegna, ecc. ( 30 ). Altra parte della dottrina propone invece di sostituire all animo il titolo. In questa prospettiva, la differenza tra possesso e detenzione a chi ben guardi non è nella volontà, ma nel titolo, che dalla volontà o dalla legge si desuma; nell autonomia o nella dipendenza obbiettiva dal possesso e dal potere di fatto altrui ; per cui non si richiede un determinato animus ma un determinato titolo (che è la qualifica giuridica del fatto) ( 31 ). Ed ancora, nello stesso senso, si è osservato che la relazione possessore/ detentore non può non sorgere sulla base di un rapporto (di tipo obbligatorio) configurato giuridicamente e formalmente inquadrabile in un determinato modello o tipo negoziale, fonte di limiti e di misurate attribuzioni soggettive ; per cui laddove tale titolo non si ravvisasse, la posizione del soggetto, nella cui disponibilità la cosa si trovi, si qualificherebbe senz altro in termini di possesso ( 32 ). Nella dottrina orientata verso la concezione oggettiva aleggia la diffidenza verso il ricorso ad elementi di incerta natura psichica o spirituale, a vaghi elementi fondati sulla ricerca delle segrete intenzioni del soggetto ( 33 ). La valutazione del dibattito sul requisito soggettivo del possesso deve essere articolata in più punti. Innanzitutto, è bene precisare che, ammessa una rilevanza della volontà, è ovvio che questa volontà deve manifestarsi in qualche modo all esterno, e che nessuno intende attribuire rilevanza a pensieri segreti del soggetto da individuare mediante tecniche di divinazione sciamanica. Del resto, una generica irrilevanza degli stati intenzionali per il diritto sembra difficile da ( 30 ) P. ZATTI ev.colussi, Lineamenti di diritto privato, 9ª ed., Padova, 2003, pp Un discorso non dissimile (ma con toni più sfumati) è in F. DE MARTINO, Del possesso, in Commentario del codice civile a cura di A. SCIALOJA eg.branca, 5 a ed., Bologna-Roma, 1984, pp. 1 ss. ( 31 ) C.A. FUNAIOLI, L animus nel possesso e il dogma della volontà, ingiust. civ., 1951, 16, p. 27. ( 32 ) ALCARO, Il possesso, cit., p. 84. Favorevole alla sostituzione della volontà con il titolo è anche C.M. BIANCA, Diritto civile, VI, La proprietà, Milano, 1999, p ( 33 ) P. RESCIGNO, Manuale di diritto privato, Milano, 2000, p Considerazioni non dissimili in TROISI ecicero, I possessi, cit., p. 16.
20 376 III, sostenere (basti pensare al diritto penale); e naturalmente, laddove rilevano, gli stati intenzionali sono pur sempre ricostruiti sulla base di indici esterni ( 34 ). Il tentativo di sostituire all animo il titolo incontra alcune difficoltà. Una conferma dell irrilevanza dell animus è spesso tratta dall art. 1141, 2 comma, c.c.: la interversione infatti si verifica esclusivamente in dipendenza di due fatti obiettivi, ritenuti dalla legge idonei a mutare il titolo della detenzione ( 35 ); a nulla varrebbe in contrario la prova di una diversa volontà se non attuata nelle forme necessarie appunto per mutare il titolo ( 36 ). Il codice italiano richiede al detentore, per acquistare il possesso, che il titolo muti per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione fatta contro il possessore. Tale disposizione non soltanto non fornisce una prova decisiva a favore dell irrilevanza dell animus, ma anzi fornisce un indizio in senso contrario. Certo, non basta al detentore mutare la propria volontà per trasformarsi in possessore. Ma il fatto che, in questa ipotesi, a tutela del possessore originario, siano richiesti dei requisiti ( 34 ) Il sospetto di molti giuristi per il ricorso a elementi interni e psichici riecheggia, più o meno consapevolmente, le tesi del comportamentismo, che è stato il paradigma dominante nella ricerca psicologica nel corso della prima metà del Novecento. Gli psicologi comportamentisti, ponendo al centro dei loro interessi teorici la previsione e la spiegazione del comportamento, escludevano gli stati mentali dall ambito della ricerca psicologica in quanto non osservabili. Secondo questo approccio, una teoria appropriata deve cercare di descrivere e spiegare il comportamento esclusivamente a partire da dati empirici certi, cioè stimoli e risposte; il riferimento a supposti enti non osservabili è inammissibile. Per un comportamentista la mente non esiste, almeno nel senso che nella pratica scientifica bisogna operare come se non esistesse; in tal modo la mente è a tutti gli effetti rimossa dalla spiegazione psicologica e dalla ontologia delle scienze del comportamento. Dalla seconda metà degli anni Cinquanta il comportamentismo è entrato in crisi ed è stato soppiantato dalla psicologia cognitiva. La psicologia cognitiva è la scienza che studia i processi di elaborazione di informazioni negli organismi complessi. L organismo di cui si occupa il cognitivista non è più vuoto come voleva il comportamentismo. Tra la stimolazione e la risposta vi è nuovamente la mente, concepita come elaboratore di informazioni. Le informazioni in ingresso vengono codificate nella mente, divenendo in tal modo oggetti interni (le rappresentazioni mentali) suscettibili di elaborazioni di vario tipo. Oggi il realismo intenzionale, cioè l idea che gli stati mentali esistono e sono causalmente coinvolti nella genesi del comportamento, ha ripreso vigore tra gli scienziati cognitivi. Per una introduzione a questi temi, cfr. M. MARRAFFA, Filosofia della psicologia, Roma-Bari, ( 35 ) ALCARO, Il possesso, cit., p ( 36 ) FUNAIOLI, L animus nel possesso, cit., p. 27.
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