FLORILEGIUM. Attualità in tema di Prevenzione Nutrizionale delle Malattie Cardiovascolari. a cura di: Cuore olio di semi di mais

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2 FLORILEGIUM Attualità in tema di Prevenzione Nutrizionale delle Malattie Cardiovascolari a cura di: Cuore olio di semi di mais con la Consulenza Scientifica di: N.F.I. - Nutrition Foundation of Italy Direttore Responsabile Dott. Andrea Poli Segreteria di Redazione Olio Cuore - Divisione di Bonomelli S.r.l. Servizio Relazioni Medico-Scientifiche Via Montecuccoli, Dolzago (LC) Telefono 0341/ daniela.fumagalli@bonomelli.it Pubblicazione Riservata ai Sigg. Medici

3 Presentazione Gentile Collega, Florilegium è ormai giunto alla sua nona edizione: ed anche quest anno ha selezionato per lei alcuni dei temi più moderni, e secondo noi più interessanti, presenti nella letteratura scentifica internazionale sulla relazione tra alimentazione e salute. Abbiamo cercato di dare a questo numero una sorta di taglio monografico : concentrato sugli omega 6 e sui loro effetti salutistici, valutati anche mediante tecniche innovative che si sono grandemente diffuse negli ultimi anni. Questo numero è quindi arricchito dai contributi di Francesco Visioli, dell Università Pierre e Marie Curie di Parigi, che ha esaminato in dettaglio i multiformi effetti dei PUFA omega 6 (e soprattutto dell acido linoleico) sulla salute umana, e di Antonio Gaddi ed Arrigo Cicero, dell Università di Bologna, che discutono le evidenze relative al controllo nutrizionale della colesterolemia. Un tema sul quale Florilegium torna sovente, per la grande importanza che la riduzione dei livelli di questo fattore di rischio gioca nella prevenzione cardiovascolare. Nella letteratura commentata, nuovi dati, in parte raccolti nel nostro Paese, sulla relazione tra il consumo dei vari acidi grassi e la fisiopatologia di condizioni di grande importanza per il benessere presente e futuro nostro e dei nostri pazienti. Olio Cuore contribuisce a sostenere la Giornata Mondiale per il Cuore promossa e realizzata da Ci auguriamo che Florilegium sia diventato per voi un appuntamento piacevole e stimolante al tempo stesso, e rinnoviamo l invito, a chi avesse suggerimenti, proposte o critiche, a mettersi in contatto con noi. Andrea Poli Nutrition Foundation of Italy Fondazione italiana per il cuore

4 Prefazione Indice La continua evoluzione della ricerca nutrizionale moderna sta ridisegnando le informazioni sulla relazione tra il consumo dei vari acidi grassi e le malattie degenerative tipiche dell età avanzata (prima tra tutte l arteriosclerosi). Si sta infatti passando dalle stime del consumo alimentare dei grassi stessi (valutato mediante interviste, questionari strutturati, parametri indiretti) alla misurazione diretta delle loro concentrazioni in campioni di natura biologica (quali ad esempio il sangue). E un salto di qualità di notevole importanza: perché permette di eliminare l effetto di errori metodologici di fatto ineliminabili (soprattutto l imprecisione del racconto o dei ricordi del paziente) e della variabilità individuale nell assorbimento e nel metabolismo dei vari acidi grassi, definendo così con chiarezza molto maggiore la loro relazione con i fattori di rischio e le malattie tipiche della società moderna. E ragionevole immaginare che queste nuove informazioni aumenteranno la nostra efficacia nel mantenere, mediante un alimentazione appropriata, lo stato di salute: e mi fa particolare piacere che Florilegium, che Olio Cuore da anni diffonde nel nostro Paese, sottoponga criticamente questi argomenti all attenzione del medico che svolge attività clinica. Sono lieto di inviarle i miei migliori auguri di buon lavoro Prof. Rodolfo Paoletti Presidente, Nutrition Foundation of Italy Il controllo non farmacologico della colesterolemia A. Gaddi ed A. Cicero (Università di Bologna) Sono sempre più numerose le evidenze che sottolineano l importanza del controllo della colesterolemia in prevenzione cardiovascolare. La conoscenza degli interventi dietetici in grado di ridurre la colesterolemia totale, e soprattutto la frazione aterogena (LDL-c), continua quindi a rivestire un grande interesse sia clinico che generale. Gli acidi grassi omega 6 ed il rischio cardiovascolare F. Visioli (Università Pierre e Marie Curie, Parigi) In un periodo nel quale gli acidi grassi omega 3 sembrano polarizzare l attenzione dei nutrizionisti e degli esperti di prevenzione cardiovascolare, una revisione delle multiformi attività degli omega 6, anche al di là della loro ben nota azione sul profilo lipidico, presenta interessanti sorprese. Letteratura commentata Bassa aderenza di una popolazione di soggetti italiani clinicamente sani alle raccomandazioni nutrizionali per la prevenzione delle malattie croniche. Sofi F et al., Nutr Metabol Cardiovasc Dis 2006 ; 16: I dati raccolti in un campione di popolazione da questo gruppo di ricercatori fiorentini indicano che le linee guida per la prevenzione cardiovascolare sono seguite solo parzialmente dalla popolazione sana in prevenzione primaria. L apporto di PUFA omega 6, in particolare, è molto al di sotto dei suggerimenti pubblicati. Fattori di rischio metabolici per l ictus e gli attacchi ischemici transitori (TIA) in uomini di mezza età. Uno studio nazionale di comunità con un follow-up a lungo termine. Wiberg B et al, Stroke 2006; 37: I risultati di questo studio indicano che i livelli ematici di acido linoleico sono correlati in maniera protettiva al rischio di ictus e di attacchi ischemici transitori (TIA), anche dopo aver tenuto conto dell azione di questo acido grasso sul profilo lipidico. Gli acidi grassi saturi, come l acido palmitico, aumentano invece in misura sensibile il rischio di tali eventi.

5 Relazione tra i livelli plasmatici degli acidi grassi polinsaturi e di alcuni markers circolanti di infiammazione. Ferrucci L. e coll, J Clin Endocrinol Metab 2006; 91: Gli effetti dei PUFA sull infiammazione suscitano grande interesse nella comunità scientifica. Questo interessante e ben condotto lavoro italiano ha esaminato la correlazione tra i livelli ematici dei PUFA omega 3 ed omega 6 ed un ampia gamma di indicatori di infiammazione, mostrando che ambedue le classi di PUFA, sebbene con differente intensità, svolgono un azione antinfiammatoria. I livelli serici degli acidi grassi, biomarkers del loro apporto alimentare, influenzano il livello del colesterolo ematico in una popolazione di adolescenti ed adulti della Nuova Zelanda. Crowe FL et al, Am J Clin Nutr 2006; 83: Determinando la correlazione tra i livelli plasmatici di vari acidi grassi e la colesterolemia, gli autori hanno confermato, con maggiore precisione ed accuratezza degli studi condotto valutando il loro apporto alimentare, gli effetti positivi dei PUFA omega 6 (acido linoleico) e negativi dei grassi saturi (e specificamente dell acido miristico) sulla colesterolemia totale ed LDL. Rapporto tra gli acidi grassi omega 6 ed omega 3 a livello tissutale e rischio di malattia coronarica. Harris W et al, Am J Cardiol 2006; 98(suppl): 19i-26i. Ha senso calcolare il rapporto omega 3 / omega 6 per stimare il rischio cardiovascolare? Gli autori di questa metanalisi suggeriscono di no: la valutazione individuale delle concentrazioni di ambedue queste classi di PUFA è più utile nel valutare il livello di rischio, anche perché entrambe svolgono un effetto protettivo sul rischio cardiovascolare. Il controllo non farmacologico della colesterolemia Antonio Gaddi, Arrigo Cicero Università di Bologna L associazione tra i livelli della colesterolemia totale, e soprattutto della colesterolemia LDL, e l aumento del rischio di sviluppare malattie coronariche ed eventi cardiovascolari, documentata da numerosissime osservazioni epidemiologiche, è stata confermata da studi di intervento dai quali è emerso che la riduzione dei livelli plasmatici del colesterolo comporta la riduzione dell incidenza degli stessi eventi, indipendentemente dal tipo di trattamento adottato. Poichè è ormai accertato che il profilo lipidico, ed in particolare la colesterolemia, è notevolmente influenzata (sia positivamente che negativamente) dallo stile di vita, dalle abitudini alimentari e dai diversi componenti della dieta, macro e micronutrienti, appare opportuno rivedere, seppure sinteticamente, le più recenti indicazioni relative al trattamento dietetico di questa frequente condizione di rischio. Grassi della dieta Alla prima osservazione, verso la metà del secolo scorso, della correlazione diretta tra la quantità dei grassi assunti con gli alimenti ed i valori della colesterolemia, è seguita una serie di ricerche che hanno valutato gli effetti dei diversi acidi grassi dietetici sul metabolismo lipoproteico e sul trasporto del colesterolo. I dati disponibili in letteratura indicano che la sostituzione isocalorica di componenti della dieta privi di effetto sul colesterolo, come i carboidrati, con grassi saturi e trans, comporta l aumento del colesterolo totale e LDL, le cui concentrazioni sono invece ridotte dalla sostituzione con grassi polinsaturi a conformazione cis. La lunghezza della catena degli acidi grassi saturi sembra essere il principale determinante dell effetto ipercolesterolemizzante, che è massimo per i composti a atomi di carbonio (laurico, miristico e palmitico). L acido stearico, a 18 atomi di carbonio, non modifica invece significativamente il colesterolo LDL. In ogni caso le linee guida internazionali suggeriscono di contenere l apporto di saturi con la dieta al di sotto del 10% delle calorie totali. I grassi con un solo doppio legame, come l acido oleico, il principale costituente dell olio d oliva, producono invece un incremento del colesterolo HDL parallelamente ad una modesta o nulla riduzione della frazione aterogena legata alle LDL. Un effetto decisamente ipocolesterolemizzante è invece posseduto dai grassi polinsaturi della serie n-6 o omega 6, come l acido linoleico, presente soprattutto

6 nell olio di mais. In generale, un aumento dell 1% dei livelli di assunzione di grassi di questa serie metabolica, comporta la riduzione di circa 1 mg/dl del colesterolo totale. Questo dato è confermato da importanti studi epidemiologici, che hanno rilevato una riduzione del rischio cardiovascolare direttamente proporzionale all aumento di n-6 di origine alimentare. Gli acidi grassi polinsaturi della serie n-3, o omega 3, influenzano invece soprattutto il metabolismo delle VLDL, riducendo a dosi elevate i trigliceridi, ma non modificano significativamente il colesterolo LDL. Clinici e nutrizionisti sono comunque concordi nel promuovere l aumento dei livelli di assunzione di grassi polinsaturi, sia n-6 che n-3, che secondo le indicazioni dell ATP III possono rappresentare fino al 10% dell apporto calorico complessivo. Vi sono invece indicazioni precise a contenere entro l 1% delle calorie totali il consumo di acidi grassi insaturi trans (dalla conformazione del doppio legame), che sono contenuti prevalentemente nei grassi parzialmente idrogenati di origine industriale (soprattutto le vecchie margarine dure ). Questi grassi influenzano negativamente il profilo lipidico, aumentando il colesterolo LDL e riducendo la frazione HDL, sembrano stimolare nell organismo un attività proinfiammatoria. Secondo studi epidemiologici, il consumo elevato di grassi trans aumenta in modo netto il rischio cardiovascolare, in termini di incidenza di eventi fatali e non fatali. Colesterolo alimentare Il dibattito scientifico sugli effetti del colesterolo di origine alimentare, apportato dai cibi di origine animale, sui livelli plasmatici del colesterolo stesso, è ancora aperto. Infatti, è noto che il colesterolo assunto con la dieta aumenta le concentrazioni del colesterolo LDL, ma l ampiezza dell aumento è limitata, e molto più contenuta rispetto all effetto dei grassi saturi e trans. La difficoltà nel determinare la rilevanza dell impatto che il colesterolo della dieta esercita su quello plasmatico è attribuibile innanzitutto alla grande variabilità individuale del metabolismo di questa molecola, associata sia a patologie sia a fattori genetici. In alcuni individui (cosiddetti assorbitori ) il colesterolo alimentare viene infatti efficacemente assorbito dall intestino e trasferito al fegato, che lo impiega per la sintesi di nuove lipoproteine, mentre in altri individui ( sintetizzatori ) la colesterolemia LDL è condizionata soprattutto dalla sintesi epatica. I pazienti ipercolesterolemici, diabetici o cardiopatici, in ogni caso, non dovrebbero assumere più di 200 mg/die di colesterolo con gli alimenti, mentre per la popolazione generale la raccomandazione è di non superare i 300 mg giornalieri. Carboidrati e fibra La sostituzione isocalorica di grassi saturi e trans con carboidrati ha in genere un effetto ipocolesterolemizzante, che riguarda sia la colesterolemia totale che la frazione LDL. Tuttavia l incremento dei livelli di assunzione di carboidrati provoca l aumento dei livelli dei trigliceridi e la riduzione del colesterolo HDL, con un conseguente aumento delle cosiddette LDL piccole e dense, più aterogene. In particolare gli zuccheri semplici, come il glucosio e il fruttosio, sarebbero responsabili dell effetto ipertrigliceridemizzante, mentre il saccarosio provocherebbe anche la riduzione del colesterolo HDL. La suddivisione funzionale più attuale dei carboidrati è tuttavia basata sull indice glicemico, e cioè sull effetto del consumo di un carboidrato o di un alimento contenente carboidrati sulla glicemia e sull insulinemia. La valutazione di questo parametro ha permesso di osservare che i carboidrati a basso indice glicemico hanno uno scarso effetto sia sulla trigliceridemia che sul colesterolo HDL, mentre quelli ad alto indice glicemico influenzano sfavorevolmente questi parametri lipidici. Alcuni studi hanno infatti dimostrato che la colesterolemia HDL è inversamente associata al carico glicemico, ovvero all indice glicemico complessivo della dieta. Anche la fibra assunta con gli alimenti svolge un ruolo nella modulazione del profilo lipidico: 5-10 g al giorno di fibre solubili, come le pectine, i beta glucani e l emicellulosa, riducono anche del 5% i livelli di colesterolo LDL; in particolare, secondo una recente metanalisi, ogni grammo di fibra abbassa di circa 2 mg/dl il colesterolo totale, e di 2,5 mg/dl il colesterolo LDL, senza effetti significativi sulla colesterolemia legata alle HDL. Etanolo e proteine vegetali Altri nutrienti in grado di modulare il metabolismo o la composizione lipoproteica sono l etanolo (o alcool), che a dosi moderate (1-2 drink al giorno, pari a g/die) aumenta la colesterolemia HDL e riduce il rischio coronarico, e le proteine di origine vegetale, che sono modestamente ipocolesterolemizzanti e ipotrigliceridemizzanti, soprattutto se sostituite ad una quantità isocalorica di carboidrati. Interventi dietetici ipocolesterolemizzanti Alcuni fitocomposti possono essere utilmente integrati nella dieta in virtù del loro effetto ipocolesterolemizzante, supportato da una convincente letteratura scientifica; le proteine della soia e gli steroli di origine vegetale sono esempi di queste sostanze. I fitosteroli, che si dividono in steroli e stanoli, sono molecole strutturalmente simili al colesterolo, naturalmente presenti negli oli vegetali (in particolare nell olio di mais) e in concentrazioni minori nella frutta, nella verdura, nei semi e nei cereali, il cui apporto con la dieta occidentale non supera in media i mg giornalieri. Essi sono in grado di modulare, in modo dose-dipendente, l assorbimento del colesterolo a livello intestinale, riducendo i livelli circolanti di colesterolo totale e soprattutto di colesterolo LDL di circa il 10%, per dosi di consumo di 2 g/die circa. Questi composti

7 devono essere assunti ai pasti, nell ambito di una dieta equilibrata e ricca di frutta e verdura; usati in modo appropriato essi non inducono effetti indesiderati rilevanti. La sostituzione di parte delle proteine della dieta di origine animale con proteine derivate dalla soia ha un effetto trascurabile nei soggetti con colesterolemia inferiore a 230 mg/dl, ma può ridurre di circa il 20% il colesterolo totale ed LDL in pazienti ipercolesterolemici, senza modificare il profilo di trigliceridi ed HDL. La frazione proteica della soia sembra agire modulando l espressione dei recettori per le apo-b. Ricerche più recenti hanno focalizzato l attenzione sulle proteine del Lupinus albus, dotato di un efficacia ipocolesterolemizzante paragonabile a quella delle proteine della soia. Modesto è invece in genere il contenuto della dieta mediterranea in polinsaturi della serie n-6, apportati prevalentemente dagli oli di mais, girasole e soia, che possono contribuire efficacemente al controllo della colesterolemia totale ed LDL. La dieta Mediterranea può rappresentare quindi in Italia la base più appropriata per una strategia nutrizionale in prevenzione primaria. Per ottimizzarne le capacità di controllo della colesterolemia, tuttavia, è possibile arricchirla in quei componenti funzionali (polinsaturi n-6, proteine di soia, fitosteroli) che posseggono una specifica attività in tal senso. Calo ponderale L obesità addominale è sicuramente un fattore di rischio cardiovascolare, che spesso si associa ad un profilo dislipidemico caratteristico, con bassa colesterolemia HDL e trigliceridemia elevata, ad iperinsulinemia e ad ipertensione. Il calo ponderale, soprattutto se ottenuto mediante una dieta a basso contenuto di carboidrati, comporta in generale un miglioramento del quadro lipidico, e in particolare la riduzione dei trigliceridi, più marcata nei soggetti sovrappeso o francamente obesi. Dati discordanti riguardano invece l effetto della riduzione del peso corporeo sulla colesterolemia LDL, in pazienti a dieta ipolipidica. Tale effetto, in ogni caso, è contenuto: l associazione tra sovrappeso ed obesità ed ipercolesterolemia, d altra parte, non è particolarmente marcata. Attività fisica La maggior parte degli studi osservazionali indica una stretta correlazione tra il livello dell attività fisica praticata ed il metabolismo lipoproteico: uno stile di vita sedentario si associa ad un profilo lipidico sfavorevole, mentre la pratica costante di almeno un attività di tipo aerobico (passeggiare, nuotare, andare in bicicletta) aumenta la colesterolemia HDL e riduce i livelli di trigliceridi. Tali effetti sono tanto maggiori quanto più intenso è l esercizio fisico. Il modello Mediterraneo La dieta Mediterranea classica, a base di grassi monoinsaturi (olio di oliva), carboidrati a basso indice glicemico (pasta), fibra (frutta e verdura), pesce latticini e carne in quantità moderate, comprendeva la maggior parte dei nutrienti ad azione ipocolesterolemizzante prima menzionati. Numerosi studi di intervento nutrizionale hanno poi dimostrato effetti positivi della dieta Mediterranea anche sull aumento della capacità antiossidante plasmatica, sul miglioramento della funzione endoteliale e del metabolismo dell insulina: in generale, in effetti, la riduzione del rischio cardiovascolare osservata con una dieta di questo tipo è solo in parte attribuibile all effetto sul profilo lipidico (spesso contenuto).

8 stnf-r1 (pg/ml) Acidi grassi della serie omega 6 e rischio cardiovascolare Francesco Visioli Université Pierre et Marie Curie Paris 6, France I principali acidi grassi essenziali della dieta, sul piano quantitativo, sono l acido alfa-linolenico (ALA, acido grasso a 18 atomi di carbonio della serie n-3 o omega 3) e l acido linoleico (LA, pure a 18 atomi di carbonio, ma appartenente alla serie n-6 o omega 6). Ambedue questi acidi grassi vanno incontro, nell organismo, a processi di elongazione e desaturazione, mediati dagli stessi sistemi enzimatici, che portano alla formazione, rispettivamente, di acidi grassi omega 3 a lunga catena (EPA, a 20 atomi di carbonio con 5 doppi legami e DHA, a 22 atomi di carbonio con 6 doppi legami) e di acido arachidonico (a 20 atomi di carbonio, con 4 doppi legami). Per effetto dell enzima ciclossigenasi (COX), l acido arachidonico si converte in prostaglandine (per lo più ad attività pro-trombotica e pro-infiammatoria), mentre gli acidi grassi della serie omega 3 formano eicosanoidi ad azione anti-trombotica ed anti-infiammatoria. Dato che tra le due vie metaboliche vi è quindi competizione, l acido linoleico potrebbe, sul piano teorico, inibire la conversione di ALA ad acidi grassi omega 3 a lunga catena, e quindi lasciare via libera alla produzione di acido arachidonico ed alla formazione di molecole pro-infiammatorie. Sulla base di questi presupposti, e nata l ipotesi che il consumo di LA tramite la dieta possa favorire i processi infiammatori nell organismo, ed aumentare quindi il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari. Vi sono altresì teorie che vedono nel rapporto omega 3/omega 6 un importante fattore modulatorio del rischio cardiovascolare. Vediamo, in quest articolo, di verificare queste teorie sulla base di osservazioni epidemiologiche e studi sperimentali. rischio cardiovascolare se si stimolano contemporaneamente processi metabolici di tipo protettivo. Ad esempio, la dieta ed i suoi componenti influenzano anche le frazioni lipidiche plasmatiche, la pressione arteriosa, la trombogenicità, la resistenza insulinica, i livelli di stress ossidativo, la funzione endoteliale ed il rischio di aritmie ventricolari. L effetto globale di un singolo fattore dietetico sul rischio cardiovascolare è quindi dato dal risultato del bilancio tra influenze positive e negative su tutti questi meccanismi (e su altri ancora in fase di identificazione). Effetto sui marker di infiammazione Diversi dati sperimentali suggeriscono che gli acidi grassi della serie omega 6 esercitano effetti antinfiammatori mediati da vie di segnale che non coinvolgono l enzima ciclossigenasi. Sia gli omega 3 che gli omega 6 inibiscono la produzione di fattori infiammatori da parte delle cellule endoteliali, modulando negativamente l attività dell importante fattore nucleare NFkB. Vi sono in realtà pochi studi che abbiano esaminato gli effetti del consumo di omega 6 sui fattori di infiammazione. In uno studio trasversale condotto su 859 uomini e donne, Pischon et al. hanno classificato gli individui in base al loro consumo di acidi grassi delle serie omega 6 ed omega 3, esaminando poi le correlazioni con le concentrazioni plasmatiche dei recettori solubili del tumor necrosis factor (TNF), un indicatore stabile dell attività di quest ultimo. I livelli circolanti più bassi del recettore solubile di TNF-2 si sono riscontrati tra gli individui con i più alti livelli di consumo di omega 3 ed omega 6 (Figura 1). figura L ipotesi che il consumo di acido linoleico abbia affetti negativi sul rischio di patologie cardiovascolari è in larga parte basato su meccanismi teorici di competizione, in base ai quali il consumo di acido linoleico si correla strettamente con i livelli circolanti e tissutali di acido arachidonico. Tuttavia, i livelli di acido arachidonico sono a loro volta finemente regolati, ed il consumo di acido linoleico in quantità plausibili con una dieta adeguata non modifica in modo sensibile le concentrazioni circolanti dell acido arachidonico stesso. Inoltre, le ricerche di questi ultimi anni stanno dimostrando che il rischio cardiovascolare può essere infuenzato dai fattori dietetici tramite varie vie metaboliche. Dal momento che l acido linoleico esercita diverse funzioni fisiologiche, aumentati consumi di questo acido grasso non si traducono necessariamente in aumentato Quartile EPA+DHA (% energia) (0,02) 2 (0,05) 3 (0,10) 4 (00,19) Risultati simili si sono ottenuti dosando i livelli del recettore solubile TNF-1. Nonostante questi esperimenti siano da riconfermare, alti livelli di consumo di 1 (3,37) 2 (4,21) 3 (4,95) 4 (6,19) Quartile cis-la (% energia)

9 acidi grassi omega 6 non sembrano aumentare le concentrazioni di markers di infiammazione, anzi sembrerebbero ridurli (vedi oltre). riportato un rischio di sviluppare diabete di tipo II del 20% inferiore a quelle che si posizionavano ai più bassi livelli di consumo (Figura 2). Effetti sui lipidi circolanti A partire dagli anni 60 si sono riconosciuti gli effetti ipocolesterolemizzanti degli acidi grassi polinsaturi, in particolare dell acido linoleico. Questi effetti sono stati descritti da dozzine di trial clinici condotti in condizioni controllate. I risultati sono stati riassunti nelle note (almeno agli addetti ai lavori) equazioni di Keys ed Hegsted. Nonostante vi siano differenze tra queste equazioni, i loro risultati in termini di ruolo degli acidi grassi saturi (che si correlano positivamente con la colesterolemia) e degli acidi grassi polinsaturi (che si correlano negativamente con la colesterolemia) sono pienamente condivisi. RR Multivariato di sviluppare diabete 1,4 1,0 0,6 Q1 Q2 Q3 Q4 Q5 figura 2 Gli studi di supplementazione condotti in condizioni controllate sono invece oggetto di un equazione formulata da Mensink e Katan, che hanno analizzato gli effetti degli acidi grassi dietetici espandendo le loro considerazioni anche alla colesterolemia LDL, a quella HDL ed alla trigliceridemia. Questi studi, in sostanza, rivelano che, a confronto con i carboidrati, gli acidi grassi polinsaturi riducono la colesterolemia LDL, aumentano blandamente la colesterolemia HDL e riducono la trigliceridemia. Sulla base delle equazioni di Keys ed Hegsted citate sopra, i consigli dietetici e le linee guida alimentari di USA e paesi occidentali negli anni 60, 70 ed 80 hanno indirizzato verso la sostituzione degli acidi grassi saturi con quelli polinsaturi, in modo da ottenere benefici doppi in termini di riduzione della colesterolemia. Come risultato di queste linee guida, i consumo di acidi grassi polinsaturi (principalmente acido linoleico) negli USA è cresciuto da circa il 3% dell apporto calorico degli anni 50 a circa il 6-7% dei giorni nostri. Queste modificazioni si riflettono in un aumento delle concentrazioni di acido linoleico misurabili nel tessuto adiposo. Effetti sulla resistenza insulinica e sul rischio di sviluppare diabete di tipo II Studi di supplementazione condotti in condizioni controllate hanno dimostrato che un aumento di consumo di acidi grassi polinsaturi, soprattutto acido linoleico, ha effetti benefici sulla resistenza insulinica. Studi prospettici di ampie dimensioni hanno anche dimostrato che il consumo di acido linoleico correla inversamente al rischio di sviluppare diabete di tipo II. Lo studio più dettagliato in questo senso è stato condotto da Salmeron et al., che, all interno del noto progetto Nurses Health Study, hanno valutato proprio gli effetti del consumo di acido linoleico sul diabete di tipo II. In questa analisi, le donne con il maggior consumo di acido linoleico hanno Quintili di consumo Saturi Mono Poli Trans Dal momento che la resistenza insulinica aumenta la produzione di fattori infiammatori, gli effetti positivi dell acido linoleico sulla resistenza insulinica potrebbero ridurre gli ipotetici effetti pro-infiammatori che si sviluppassero per altre vie. Rischio di patologie cardiovascolari Nonostante si rendano necessari ulteriori studi sugli effetti metabolici degli acidi grassi omega 6, il tema più importante resta quello della correlazione tra il loro consumo ed il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari. Come prima ricordato, il consumo di acido linoleico è fortemente aumentato nel mondo occidentale a partire dagli anni 60. Nello stesso periodo (dal 60 a metà degli anni 80), la mortalità per patologie cardiovascolari è diminuita di circa il 50%, sia negli uomini sia nelle donne. Pur con tutte le difficoltà connesse allo stabilire relazioni di causa-effetto, alcuni ricercatori (ad esempio, Dwyer ed Hentzel) hanno concluso che l aumentato consumo di acido linoleico è probabilmente il principale fattore singolo responsabile di questo calo di mortalità cardiovascolare. Nello stesso periodo citato sopra, sono stati anche condotti diversi trial di intervento utilizzando alti livelli di consumo di acido linoleico in prevenzione cardiovascolare. Questi trials hanno utilizzato prevalentemente olio di semi di mais, che contiene alte percentuali di acido linoleico e basse quantità di ALA, ed olio di semi di soia, anch esso ricco in acido linoleico. Nonostante l olio di semi di soia contenga fino all 8% di ALA, il rapporto omega 6/omega 3 è di circa 7. In tutti e quattro i principali studi effettuati in quest area (il British MRC Soy Oil Study, il Dayton Study of Veterans in the US, lo studio di Leren in Norvegia el il Turpeinen Study in Scandinavia), la colesterolemia plasmatica è

10 calata di circa il 12-15%. Il risultato più importante, però, è stato il calo di mortalità cardiovascolare, attestatosi tra il 10 ed il 45% (Figura 3). MRC low fat 0-10 Dart MRC soy oil -20 Dayton -30 Leren -40 Turpienen Figura 3 Modificazioni della colesterolemia (%) Differenza in CHD (%) Diete a basso consumo di g grasso Diete ricche in poliinsaturi 10 Da segnalare che nel Dayton Study, che ha prodotto effetti notevoli in termini di cardioprevenzione, l olio di semi di mais è stato utilizzato per aumentare l introito di acido linoleico fino al 20% delle calorie totali. La correlazione tra consumo di polinsaturi totale o di acido linoleico e rischio cardiovascolare è stata anche esaminata in diversi studi prospettici con ampia casistica. Sono state notate associazioni inverse statisticamente significative in 5 di 13 studi e, osservazione molto importante, non è mai stata notata una correlazione diretta tra consumo di acido linoleico e rischio cardiovascolare. L analisi più dettagliata che sia stata condotta ad oggi è qualla all interno della coorte del Nurses Health Study. In questo studio sono state seguite circa donne per 14 anni, durante i quali si sono registrate circa morti per patologie cardiovascolari o ricoveri per infarto miocardico acuto. I consumi dietetici sono stati valutati tramite l uso di formulari validati che focalizzavano sui vari tipi di grasso alimentare. Per ogni incremento di consumo di polinsaturi del 5% (in sostituzione equicalorica ai carboidrati), si è osservata una diminuzione del rischio cardiovascolare di circa il 40% (Figura 4). Differenza in CHD (%) Saturi Mono Poli Trans Figura 4 1%E 2%E 3%E 4%E 5%E Questa associazione è più forte di quanto si potrebbe calcolare semplicemente in base agli efeftti di LDL ed HDL, sostenendo così in modo chiaro l ipotesi di effetti importanti su altre vie metaboliche. In un ulteriore analisi del Nurses Health Study, Hu et al. hanno esaminato l ALA ed il rapporto tra ALA ed acido linoleico in relazione al rischio cardiovascolare. Anche il consumo di ALA si è inversamente correlato al rischio cardiovascolare, dimostrando così che il rapporto tra i due acidi grassi non è molto importante, in quanto sia il numeratore che il denominatore hanno effetti benefici sul rischio. Considerazioni di sicurezza d uso Qualche ricercatore ha formutato l ipotesi che alti livelli di consumo di acido linoleico possano aumentare il rischio di neoplasie, in particolare del cancro della mammella. Queste ipotesi derivano da studi su animali, in cui sono state utilizzate diete estreme. A livelli di consumo di acido linoleico molto bassi, non adattabili alla situazione umana, si nota un rallentamento dello sviluppo dei roditori, ed una riduzione dell incidenza dei tumori mammari. Parallelamente, a livelli di consumo estremamente elevati (40% delle calorie da olio di mais), si nota un aumento dello sviluppo di questi tumori nello stesso modello animale. Tuttavia, gli studi umani a lungo termine non mostrano alcun aumento dell incidenza di tumori all interno del range di consumo di polinsaturi tipico di USA ed Unione Europea. Ad esempio, in un analisi complessiva di 7 studi prospettici di coorte che hanno coinvolto circa donne e registrato circa episodi di tumore al seno, non si è notata alcuna correlazione tra livelli di consumo di acido linoleico e rischio di cancro (Hunter et al., 1996). In quello che è, probabilmente, il più ampio studio caso-controllo effettuato in quest area, si è registrata addirittura una correlazione inversa tra consumo di acido linoleico ed incidenza di tumore mammario. Anche una recensione della letteratura effettuata dal World Cancer Research Fund su dieta ed incidenza di tumori non ha trovato alcuna evidenza di un legame tra consumo di acido linoleico e rischio di malattie neoplastiche nella specie umana. Conclusioni Sia gli acidi grassi della serie omega 3 sia quelli della serie omega 6 sono essenziali ed i loro consumo riduce il rischio cardiovascolare. Per questo motivo il calcolo del rapporto tra i due non è molto utile. Per rinforzare il concetto, pensiamo che per ogni rapporto calcolabile le quantità assolute potrebbero essere inadeguate (per assurdo, nell ordine di milligrammi). È quindi molto più utile valutare i livelli di consumo totali di acidi grassi, più che i loro rapporti relativi.

11 Dal momento che l aumento dei livelli di consumo degli omega 6, in particolare l acido linoleico, si è associato ad un ridotto rischio cardiovascolare, non si capisce l utilità di ridurre, come proposto da qualcuno, il loro consumo solo per migliorare dal punto di vista matematico il loro rapporto con gli omega 3. Al contrario, è possibile che una simile strategia possa aumentare il rischio cardiovascolare e quello di sviluppare diabete di tipo II, invertendo quindi la tendenza che si è instaurata negli ultimi 40 anni. Dal punto di vista osservazionale e sperimentale non si è ancora in grado di stabilire i livelli di consumo massimi di acido linoleico, ma si può calcolare nel 10% dell energia totale il livello che associa sicurezza d uso con benefici cardiovascolari. 12. Salmeron J, Hu FB, Manson JE, et al. Dietary fat intake and risk of type 2 diabetes in women. Am J Clin Nutr 2001;73: Turpeinen O, Karvonen MJ, Pekkarinen M, Miettinen M, Elosuo R, Paavilainen E. Dietary prevention of coronary heart disease: the Finnish Mental Hospital Study. Int J Epidemiol 1979;8: World Cancer Research Fund, American Institute for Cancer Research. Food, Nutrition and the Prevention of Cancer: a Global Perspective. Washington, DC: American Institute for Cancer Research, Bibliografia 1. Dayton S, Pearce ML, Hashimoto S, Dixon WJ, Tomiyasu U. A controlled clinical trial of a diet high in unsaturated fat in preventing complications of atherosclerosis. Circulation 1969;40: Dwyer T, Hetzel BS. A comparison of trends of coronary heart disease mortality in Australia, USA and England and Wales with reference to three major risk factorshypertension, cigarette smoking and diet. Int J Epidemiol 1980;9: Hegsted DM. Serum-cholesterol response to dietary cholesterol: a re-evaluation. Am J Clin Nutr 1986;44: Hu F, Stampfer MJ, Manson JE, et al. Dietary fat intake and the risk of coronary heart disease in women. N Engl J Med 1997;337: Hu FB, Stampfer MJ, Manson JE, et al. Dietary saturated fats and their food sources in relation to the risk of coronary heart disease in women. Am J Clin Nutr 1999;70: Hunter DJ, Spiegelman D, Adami HO, et al. Cohort studies of fat intake and the risk of breast cancer: a pooled analysis. N Engl J Med 1996;334: Keys A. Seven Countries: A multivariate analysis of death and coronary heart disease. Cambridge, MA: Harvard University Press, Leren P. The Oslo Diet-Heart Study. Acta Medica Scandinavica 1966;466 (suppl): Mensink RP, Zock PL, Kester AD, Katan MB. Effects of dietary fatty acids and carbohydrates on the ratio of serum total to HDL cholesterol and on serum lipids and apolipoproteins: a meta-analysis of 60 controlled trials. Am J Clin Nutr 2003;77: Morris JN, Ball KP, Antonis A, et al. Controlled trial of soya-bean oil in myocardial infarction. Lancet 1968;2: Pischon T, Hankinson SE, Hotamisligil GS, Rifai N, Willett WC, Rimm EB. Habitual dietary intake of n-3 and n- 6 fatty acids in relation to inflammatory markers among US men and women. Circulation 2003;108:

12 Bassa aderenza di una popolazione di soggetti italiani clinicamente sani alle raccomandazioni nutrizionali per la prevenzione delle malattie croniche. Sofi F et al., Nutr Metabol Cardiovasc Dis 2006 ; 16: Riassunto Background: numerosi studi mostrano che le abitudini alimentari influenzano in modo significativo lo stato di salute di una popolazione. Negli ultimi anni, tutte le principali associazioni scientifiche hanno prodotto e diffuso raccomandazioni nutrizionali per la prevenzione delle malattie cronico- degenerative, ma i dati disponibili relativi all aderenza dei soggetti sani a queste raccomandazioni sono relativamente scarsi. Scopo di questo studio era quindi di valutare le abitudini alimentari e l aderenza della popolazione generale alle raccomandazioni per una corretta nutrizione diffuse dall OMS e dall Istituto Nazionale Italiano per la Ricerca sugli Alimenti e la Nutrizione. Metodi e risultati: sono state valutate le abitudini alimentari e parametri biochimici ed antropometrici di 932 soggetti clinicamente sani, residenti a Firenze, arruolati in uno studio epidemiologico condotto tra il 2002 ed il Di questi, 367 soggetti erano di sesso maschile, e 565 di sesso femminile. Confrontando il pattern nutrizionale dei soggetti studiati con le indicazioni nutrizionali delle linee guida, si è osservato che la popolazione in studio aveva abitudini di consumo che rendevano la loro dieta iperproteica ed iperlipidica, con un apporto al contrario considerevolmente basso di acidi grassi polinsaturi (PUFA). In tutti e due i sessi si osservava inoltre un basso apporto di fibra alimentare. Inoltre, lo studio dei pattern di consumo alimentare ha mostrato un aumentato apporto di alcuni alimenti come la carne, sia fresca che conservata o trattata, ed un basso apporto di alcuni cibi salubri come la frutta e le verdure. soggetti sono stati inoltre valutati anche dal punto di vista antropometrico, dell attività fisica e dei dati di biochimica clinica. I dati raccolti sono numerosi ed interessanti (tabella). Il consumo calorico medio, attorno alle 2000 calorie, si colloca in un area prossima alle indicazioni delle linee guida nutrizionali, confermando che l apporto calorico medio della popolazione italiana è appropriato. Elevata è invece la quota delle calorie di origine proteica, pari in media al 17% del totale. Le calorie totali da grassi, viceversa, sono sostanzialmente in linea con le più recenti indicazioni nutrizionali. È invece la composizione relativa dei diversi acidi grassi ad essere molto diversa da quanto suggerito dalle linee guida; in particolare il consumo di acidi grassi polinsaturi è in media pari al 3,2%, ed inferiore al 3% tra i maschi, contro un valore suggerito compreso tra il 6 ed il 10%. L apporto di colesterolo alimentare è invece inferiore a 200 mg/die (e quindi ottimale); il consumo medio di alcol, dell ordine dei 10 g al giorno, suggerisce un consumo complessivamente (e mediamente) moderato di questa sostanza. I ricercatori hanno esaminato anche l apporto con gli alimenti di diverse vitamine e minerali, identificando valori di intake particolarmente bassi per la niacina, molto lontana dalle indicazioni degli obiettivi nutrizionali. L apporto di vitamina C, al contrario, è decisamente elevato, e pari in media a oltre 130 mg al giorno. Molto basso (e questo è forse il dato più preoccupante) anche l apporto di frutta e vegetali, pari a circa un terzo dei livelli di consumo raccomandati (attorno a 150 g/die contro g circa sia per la frutta che per la verdura). Questi dati complessivamente mostrano come il pattern alimentare di una popolazione di soggetti italiani sani sia quantitativamente appropriato, ma decisamente migliorabile da un punto di vista qualitativo. Non si può non rilevare, in particolare, il basso contenuto della dieta dei soggetti studiati in acidi grassi polinsaturi (specie della serie omega 6), il cui consumo si associa ad una riduzione dei livelli della colesterolemia ed ad un basso profilo di rischio cardiovascolare, e che anche in un paese mediterraneo come il nostro potrebbe essere utilmente aumentato. Conclusioni: le abitudini dietetiche di una popolazione italiana clinicamente sana sono caratterizzate da numerosi errori nutrizionali. In particolare, le evidenze raccolte mostrano un alto apporto di proteine animali, di grassi totali, ed un apporto molto basso di acidi grassi polinsaturi. Commento In questa popolazione di soggetti fiorentini, di età media attorno ai cinquant anni (49 anni per i maschi e 46 per le femmine, con un range da 31 a 98 anni) i ricercatori hanno esaminato le abitudini alimentari utilizzando un questionario strutturato e validato che comprendeva 109 cibi diversi. Per ogni alimento sono state valutate non solo la frequenza di consumo, ma anche le dimensioni della porzione standard; i CARATTERISTICHE DELL ALIMENTAZIONE NEL CAMPIONE COMPLESSIVO E NEI SOGGETTI DEI DUE SESSI Complessivo Maschi Femmine (n=932) (n=367) (n=565) Calorie totali (kcal) Carboidrati (%kcal) Proteine (%kcal) Grassi totali (%kcal) SFA (%kcal) MUFA (%kcal) PUFA (%kcal) PUFA/SFA (ratio) Colesterolo (mg/giorno) Alcool (g/giorno) Fibre (g/giorno) ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± ± 6.3 Goals nutrizionali < < 300 <30M; <40F 25

13 Fattori di rischio metabolici per l ictus e gli attacchi ischemici transitori (TIA) in uomini di mezza età. Uno studio nazionale di comunità con un follow-up a lungo termine. Wiberg B et al, Stroke 2006; 37: Riassunto Background ed obiettivi dello studio: l impatto delle alterazioni glico- e lipometaboliche sull incidenza dell ictus non è stato a tutt oggi definito con chiarezza. Abbiamo quindi indagato la correlazione tra un ampio numero di variabili di questa natura ed il rischio nel tempo di eventi cerebrovascolari, come l ictus, fatale e non fatale, i TIA, e sui diversi sottotipi di ictus, in uno studio di coorte. Metodi: i dati sono stati ottenuti da uno studio prospettico nazionale condotto su uomini di mezza età, invitati a una valutazione del proprio stato di salute all età di cinquant anni. Risultati: durante un follow-up medio di durata molto prolungata, fino a 32 anni, 421 soggetti sono stati colpiti da un ictus oppure da un attacco ischemico transitorio (TIA). In un modello statistico di Cox, dopo aver tenuto conto del trattamento con farmaci cardiovascolari all inizio dello studio, ogni deviazione standard di aumento dell indice di massa corporea, della pressione sistolica e diastolica, dei livelli serici della proinsulina e della lipoproteina (a) si associava ad un aumento dall 11 al 35% del rischio di eventi successivi di natura cerebrovascolare, come l ictus o i TIA. Anche l ipertrofia ventricolare sinistra all elettrocardiogramma ed il fumo di sigaretta erano associati all aumento del rischio di ictus e TIA. Le stesse variabili correlavano anche al rischio di infarto cerebrale o di TIA. Un elevata proporzione di acido palmitico, palmitoleico ed oleico negli esteri del colesterolo si associava ad un aumento del rischio cerebrovascolare, mentre una più elevata proporzione di acido linoleico svolgeva un azione opposta (e quindi protettiva) nei riguardi del rischio di ictus e di TIA. Ulteriori aggiustamenti statistici del modello, per tenere conto in modo appropriato dell effetto dell ipertensione, della malattia diabetica, della sindrome metabolica, del tasso di colesterolo, della eventuale prsenza di fibrillazione striale, di eventuali malattie cardiovascolari pregresse, del fumo di sigaretta e dei livelli dell attività fisica, non modificavano in modo significativo i risultati ottenuti. Conclusioni: gli indici di un alto apporto alimentare di grassi non salubri, ed un alto livello plasmatico della lipoproteina (a), sono importanti predittori del rischio di ictus fatale e non fatale e di TIA, indipendentemente dei fattori di rischio classici, in un campione di uomini di mezza età seguiti per un periodo molto prolungato. Commento In questo studio di popolazione statunitense, la cui caratteristica principale è il periodo molto prolungato di osservazione dei soggetti arruolati, i ricercatori hanno correlato il rischio di ictus o di TIA con il livello di numerosi fattori di rischio cardiovascolare, e con parametri biochimici indicativi dell apporto di diverse sostanze e soprattutto dei grassi alimentari. Mentre il rischio di eventi cerebrovascolari si associa in maniera attesa all aumento della pressione arteriosa, alla presenza di malattia diabetica o della sindrome metabolica, alcune indicazioni che derivano dalla correlazione tra i livelli di specifici acidi grassi nel plasma ed il rischio di questi eventi sono di un certo interesse. È interessante innanzitutto sottolineare che i ricercatori hanno misurato direttamente la concentrazione degli acidi grassi negli esteri del colesterolo a livello plasmatico, utilizzando raffinate tecniche di natura gascromatografica, invece di valutarne l apporto alimentare. I risultati suggeriscono che i livelli plasmatici di alcuni grassi saturi, come l acido palmitico, caratterizzati da una catena relativamente lunga e notoriamente dotati di effetti sfavorevoli sul rischio cardiovascolare, si associano anche all aumento del rischio di ictus cerebrale. Sempre tra i saturi, i risultati tendono invece ad assolvere l acido stearico, a 18 atomi di carbonio, caratterizzato da un profilo di effetti sostanzialmente neutro sui lipidi ematici, ed in particolare sul tasso di colesterolo. Più interessanti sono probabilmente i risultati relativi agli effetti acidi grassi insaturi sul rischio di ictus, con alcune indicazioni per certi versi sorprendenti. I livelli plasmatici di acido oleico, per esempio, si associano ad un consistente aumento del rischio, che raggiunge un importante significatività statistica e che è dell ordine del 15 20% per ogni aumento di una deviazione standard dei livelli plasmatici. Anche per gli acidi grassi della serie omega 3 (o n-3) non sembrano osservarsi effetti favorevoli, con un rischio relativo sostanzialmente prossimo all unità per le variazioni di apporto alimentare considerate. E forse opportuno sottolineare come l unico acido grasso caratterizzato da un evidente pattern di tipo protettivo nei riguardi dell ictus, in questo studio, sia l acido linoleico, un polinsaturo della serie omega 6 a 18 atomi di carbonio (figura); l ampiezza dell effetto è significativa, essendo pari al 25%, dopo 30 anni di followup, per i soggetti con tenore di acido linoleico al di sopra della mediana rispetto ai soggetti al di sotto della mediana stessa. E noto che l apporto alimentare di questo acido grasso, in molti studi osservazionali, si associa una riduzione della colesterolemia; la permanenza dell effetto protettivo, in

14 questo studio, anche dopo l aggiustamento statistico per i valori della colesterolemia stessa, tuttavia, induce ad ipotizzare altri effetti protettivi dell acido linoleico sul rischio cardiovascolare, che si aggiungerebbero al controllo del profilo lipidico. Lo studio di Wiberg, in conclusione, suggerisce che elevati consumi di oli ricchi in questo composto (come l olio di mais e gli altri oli di semi) possano indurre una riduzione significativa del rischio cerebrovascolare; i potenziali effetti sfavorevoli dell acido oleico, rilevati in un contesto alimentare dove la fonte principale di questo acido grasso non è l olio di oliva, come è invece in Italia, devono essere valutati con grande cautela, e replicati in studi locali, prima di essere considerati applicabili alla nostra popolazione. Rischio di ictus o TIA e tenore di acido linoleico negli esteri del colesterolo plasmatico 0,40 Riassunto Relazione tra i livelli plasmatici degli acidi grassi polinsaturi e di alcuni markers circolanti di infiammazione. Ferrucci L. e coll, J Clin Endocrinol Metab 2006; 91: Obiettivi dello studio: le persone con un elevato apporto alimentare di acidi grassi polinsaturi tendono ad avere una ridotta mortalità e morbilità cardiovascolare. Gli effetti protettivi degli acidi grassi polinsaturi sono mediati da meccanismi multipli, che includono la loro attività antinfiammatoria. L associazione tra livelli fisiologici degli acidi grassi polinsaturi nel sangue ed i livelli plasmatici di markers di azione infiammatoria o antinfiammatoria, tuttavia, non è stata esaminata e definita in modo dettagliato. RR di ictus/tia 0,30 0,20 0,10 0,00 Acido Linoleico inferiore alla media Acido Linoleico pari o superiore alla media tempo di osservazione (anni) Metodi e risultati: è stata esaminata la correlazione tra la concentrazione relativa dei vari acidi grassi nel plasma a digiuno ed il livello di alcuni indicatori di infiammazione in persone di nazionalità italiana, di età compresa tra 20 e 98 anni. Dopo aver effettuato gli appropriati aggiustamenti statistici per l età, il sesso, e per alcuni dei più comuni fattori confondenti, bassi valori plasmatici di acido arachidonico e docosaesaenoico si associavano a livelli significativamente aumentati di IL-6 e di IL-1ra, e a livelli significativamente ridotti di TGF-beta. Livelli più bassi di acido alfa-linolenico si associavano ad alti livelli di proteina C reattiva e di IL-1ra, mentre livelli più bassi di acido eicosapentenoico si associavano ad alti livelli di IL-6 e a bassi livelli di TGF beta. Bassi livelli di acido docosaenoico si associavano fortemente con bassi livelli di IL- 10. Il livello complessivo degli acidi grassi omega 3 si associava a valori più bassi di IL-6 (p<0,005), IL-1ra (p=0,004) e di TNF-alfa (p=0,04), e a livelli più elevati della IL-6r solubile (p<0,001) e di TGF-beta (p=0,0012). Bassi livelli degli acidi grassi polinsaturi della serie omega 6 si associavano in modo significativo a livelli più elevati di IL-1ra (p=0,026) e a bassi livelli di TGF-beta (p=0,0014). Il rapporto tra omega 6 ed omega 3 correlava fortemente, in modo negativo, con il livello di IL-10. Questi risultati erano sostanzialmente analoghi tra i partecipanti privi di malattia cardiovascolare e dopo l esclusione dei valori lipidici dalle covariate. Conclusioni: in questo campione di comunità, gli acidi grassi polinsaturi, e specialmente quelli della serie omega 3, sono associati in modo indipendente con bassi livelli di molti indicatori di infiammazione (IL-6, IL-1ra, TNF-alfa, PCR) e con alti livelli di indicatori a significato antinfiammatorio (IL-6r solubile, IL-10, TGF-beta),

15 indipendentemente dall effetto di fattori confondenti. I nostri risultati sono di supporto all informazione che gli acidi grassi della serie omega 3 possono avere un effetto benefico nei pazienti portatori di malattie caratterizzate da un attivazione dei fenomeni infiammatori. Commento L ipotesi che i fenomeni di natura infiammatoria possano svolgere un ruolo significativo nella genesi della malattia aterosclerotica e delle sue complicanze (influenzando per esempio il processo conclusivo della storia biologica della placca ateroscerotica, e cioè la sua rottura) ha indotto alcuni autori ad ipotizzare che gli acidi grassi polinsaturi possano svolgere effetti favorevoli o sfavorevoli sul rischio vascolare anche a seguito della loro capacità di influenzare questi fenomeni nell organismo. Gli acidi grassi della serie n-3, o omega 3, sono in genere considerati antinfiammatori, poiché il loro metabolismo porta alla formazione di intermedi della serie degli eicosanoidi ad azione più o meno marcata in questa direzione. Gli acidi grassi della serie n-6, o omega 6, al contrario, sembrerebbero dotati di un azione pro-infiammatoria, sempre essenzialmente dovuta alle azioni biologiche degli eisosanoidi che derivano dal loro metabolismo. opposta (figura). I trends, come si può osservare, sono analoghi per i due gruppi, anche se l effetto degli omega 3 è maggiore. In conclusione, i risultati di questo studio epidemiologico italiano suggeriscono che tutti gli acidi grassi polinsaturi, sia della serie omega 3 che della serie omega 6, svolgerebbero un azione di natura antinfiammatoria; un loro adeguato apporto alimentare, di conseguenza, può svolgere un azione aterosclerotica anche attraverso la modulazione di questi fenomeni. Distribuzione dei livelli serici di citochine infiammatorie (sopra) e anti-infiammatorie (sotto) in soggetti con valori crescenti di acidi grassi n-3 o n-6 nel plasma. 1,7 1,5 1,3 1,1 0,9 0,7 0,5 P =.001 IL 6(pg/mL) Trend P =.0005 P <.02 Ref Trend P<.0001 P =.0001 P =.002 P = Quartili di Acidi Grassi n-3 (%) Quartili di Acidi Grassi n-6 (%) Ref 6,0 5,6 5,2 4,8 4,4 4,0 P =.004 TNF alfa (pg/ml) Trend P =.0008 P =.032 Ref P =.040 Trend P< Quartili di Acidi Quartili di Acidi Grassi n - 3 (%) Grassi n - 6 (%) Ref In questo interessante studio di popolazione, condotto nell area toscana da alcuni anni e denominato InChianti (Invecchiare nel Chianti), i ricercatori hanno esaminato la correlazione tra i livelli plasmatici di alcuni acidi grassi ed un ampia e raffinata serie di indicatori di infiammazione di significato sia pro- che anti-infiammatorio. I risultati osservati sono per certa parte attesi e per altri viceversa sorprendenti. I livelli plasmatici degli acidi grassi della serie omega 3, come atteso, si associano ad una riduzione dei fenomeni infiammatori: i livelli plasmatici di molte citochine infiammatorie tendono infatti a ridursi al crescere delle loro concentrazioni plasmatiche, mentre i livelli di mediatori ad azione antinfiammatoria tendono a variare in direzione opposta. 1,9 1,7 1,5 1,6 1,1 0,9 P =.001 IL 10 (pg/ml) Trend P =.0007 Ref P<.040 Trend P < Quartili diacidi Grassi n-3 (%) Quartili di Acidi Grassi n-6 (%) Ref P <.001 TGF beta (pg/ml) Trend P =.0001 P <.001 P =.012 Ref P =.006 Trend P < Quartili di Acidi Grassi n-3 (%) Quartili di Acidi Grassi n-6 (%)) Ref Tuttavia anche gli acidi grassi della serie omega 6, come l acido linoleico, presente in molti oli vegetali, tendono ad associarsi a spostamenti nella stessa direzione delle molecole infiammatorie ed antinfiammatorie: un dato in buon accordo con i risultati degli studi epidemiologici che concordemente suggeriscono che aumentati livelli di assunzione di questi acidi grassi si associano ad una riduzione del rischio cardiovascolare. Nei quartili di soggetti con concentrazioni plasmatiche crescenti di acidi grassi omega 3 e omega 6, infatti, si osservano livelli significativamente decrescenti di IL-6 e di TNF-alfa (due citochine infiammatorie); i livelli di alcune citochine ad attività o significato antinfiammatorio (IL-10 ed TGF-beta) si muovono invece in direzione

16 Riassunto I livelli serici degli acidi grassi, biomarkers del loro apporto alimentare, influenzano il livello del colesterolo ematico in una popolazione di adolescenti ed adulti della Nuova Zelanda. Crowe FL et al, Am J Clin Nutr 2006; 83: Premesse: i risultati di studi randomizzati e controllati indicano che la quantità ed il tipo dei grassi assunti con l alimentazione influenzano in modo significativo la colesterolemia. I risultati degli studi osservazionali, d altra parte, mostrano associazioni soltanto deboli tra l apporto alimentare dei vari acidi grassi ed i valori della colesterolemia stessa. I livelli plasmatici dei vari acidi grassi sono validi ed obiettivi indicatori dell apporto alimentare, e possono rendere più accurata la stima degli effetti dell apporto alimentare di questi composti sul profilo lipidico. Obiettivi: obiettivo di questo studio era di accertare se i livelli plasmatici degli acidi grassi siano associati con la colesterolemia in un campione di adulti e di adolescenti residenti in Nuova Zelanda. Disegno sperimentale: questo studio trasversale, di natura osservazionale, è stato condotto su soggetti neozelandesi di età superiore ai 15 anni, che avevano preso parte nel 1997 ad un indagine nutrizionale nazionale. La composizione in acidi grassi degli esteri del colesterolo, dei fosfolipidi e dei trigliceridi è stata valutata mediante tecniche appropriate. Risultati: l aumento di una deviazione standard (DS) dell acido miristico (14:0) negli esteri del colesterolo, nei fosfolipidi e nei trigliceridi corrispondeva ad un aumento della colesterolemia di 0,19, 0,13, e 0,10 mmoli/litro, rispettivamente, dopo l aggiustamento statistico per il sesso, l età, l indice di massa corporea, l etnicità ed il fumo di sigaretta. La differenza media nella concentrazione del colesterolo serico tra gli individui nel quintile a più elevato o più basso livello di acido miristico come estere del colesterolo serico era di 0,48 mmoli (p per il trend <0,001). Una deviazione standard di aumento nella proporzione dell acido linoleico negli esteri del colesterolo, nei fosfolipidi nei trigliceridi, corrispondeva invece ad una diminuzione della colesterolemia di 0,07, 0,07 e 0,05 mmoli/litro rispettivamente. La differenza nella colesterolemia media tra i soggetti nel quintile a più elevato o a più basso livello di acido linoleico come estere del colesterolo era pari a 0,18 mmoli/litro (p per il trend = 0,019). Conclusioni: l apporto di acidi grassi saturi e polinsaturi, misurato utilizzando indicatori oggettivi del loro consumo come i loro livelli nel plasma, è un importante predittore della colesterolemia in Nuova Zelanda. Commento Poiché è noto che la stima degli apporti alimentari dei vari acidi grassi è imprecisa, basandosi su informazioni riportate dal paziente che spesso sono inaccurate, o su tabelle di composizione spesso non aggiornate, gli autori di questo lavoro si sono posti l obiettivo di correlare i livelli plasmatici dei vari acidi grassi con la concentrazione del colesterolo serico, per definire in maniera più accurata l effetto dei vari acidi grassi sulla colesterolemia stessa. Lo studio è stato condotto su circa soggetti, di età uguale o superiore a 15 anni, di cui erano noti sia i livelli della colesterolemia sia la concentrazione nel siero dei diversi acidi grassi. I risultati dell indagine confermano due informazioni largamente note, in quanto già evidenti correlando l apporto alimentare dei vari acidi grassi con la colesterolemia, e cioè che gli acidi grassi saturi si associano un aumento del valore della colesterolemia stessa, mentre gli acidi grassi polinsaturi, e specificamente l acido linoleico, sono associati ad una riduzione dello stesso valore. Inatteso è invece il rilievo di un associazione positiva (e quindi sfavorevole) tra i livelli plasmatici di un acido grasso monoinsaturo, l acido palmitoleico, e la colesterolemia. Entrando con maggiore dettaglio nelle caratteristiche dei soggetti con livelli crescenti di acido linoleico negli esteri del colesterolo, si può osservare come al crescere di questo parametro (dal 39 al 58% circa) la colesterolemia si riduca, in un modello non aggiustato, di circa l 8% (da 229 a 212 mg/dl); il colesterolo HDL, al contrario, non si modifica in maniera apprezzabile (da 51 a 50 mg/dl). Il rapporto tra queste due frazioni (da taluni utilizzato come indice di aterogenicità del profilo lipidico) scende, conseguentemente, da 4,79 a 4,49 (p <0,05) (figura). Il lavoro conferma quindi, utilizzando un indicatore nettamente più accurato rispetto alla stima degli apporti alimentari, che l unico acido grasso i cui livelli plasmatici si associano con una riduzione significativa della colesterolemia è l acido linoleico. Tra gli acidi grassi saturi, quelli a catena di media lunghezza, come l acido miristico, sarebbero al contrario caratterizzati dal massimo effetto di aumento della colesterolemia stessa. Questi studi confermano l opportunità di spostare il consumo dei vari acidi grassi verso un adeguato apporto di polinsaturi della serie omega 6 se l obiettivo è di ridurre la colesterolemia in modo significativo. Col tot, mg/dl Col tot / HDL-c ,5 Col tot, mg/dl Col tot / HDL-c ,5 I II III IV V Quintili di LA

17 Rapporto tra gli acidi grassi omega 6 ed omega 3 a livello tissutale e rischio di malattia coronarica. Harris W et al, Am J Cardiol 2006; 98(suppl): 19i-26i. Commento Gli studi epidemiologici più recenti hanno dedicato una crescente attenzione ai livelli tissutali dei vari acidi grassi, che rappresentano un indicatore molto più accurato del loro reale consumo rispetto alle stime basate su interviste o questionari alimentari. Riassunto Alcuni autori hanno proposto di utilizzare il rapporto tra la proporzione tissutale degli acidi grassi omega 6 (acido linoleico, o LA ed acido arachidonico, o AA) ed acidi grassi omega 3 (acido alfa-linolenico o ALA, acido eicosapentenoico o EPA, acido docosaenoico o DHA) come indicatore del rischio di malattia coronarica. L uso di questo rapporto al posto della determinazione dei livelli di ciascun membro o di ciascuna classe di questi acidi grassi è basata su presupposti di natura essenzialmente teorica, e non è stato adeguatamente validato. In questo studio abbiamo pertanto deciso di valutare la relazione tra il rischio di malattia coronarica ed i livelli tissutali degli acidi grassi omega 3 ed omega 6 combinando i dati di studi caso-controllo o di studi prospettici di corte che esaminavano il rischio di malattia coronarica in funzione dei livelli tissutali degli acidi grassi considerati. Nell analisi sono stati inclusi i risultati di 13 studi: 11 studi caso-controllo e 2 studi prospettici di coorte; sono state confrontate le medie dei livelli assoluti e dei rapporti tra diversi acidi grassi, nonchè le rispettive differenze, tra i casi (soggetti con malattia coronarica pregressa) ed i controlli (soggetti senza malattia coronarica). La differenza più ampia e costante tra i casi ed i controlli era la somma tra i livelli plasmatici di EPA e DHA (-11% tra i casi rispetto ai controlli, p=0,002). La proporzione di EPA, DHA ed AA era inferiore dell 8% circa, sempre tra i casi rispetto ai controlli, ma nessuna di queste differenze individuali era statisticamente significativa. Gli acidi grassi omega 3 totali e gli acidi grassi omega 6 totali erano inferiori del 7% e del 4%, rispettivamente, tra i casi rispetto ai controlli, ma solo la differenza tra gli acidi grassi omega 3 totali dei casi e dei controlli era significativa. Il rapporto tra AA ed EPA era ridotto, in modo non significativo sul piano statistico, del 10% circa. I rapporti tra i differenti acidi grassi non erano generalmente in grado di distinguere in maniera accurata tra i casi ed i controlli, ed ogni potere discriminatorio dei rapporti stessi dipendeva in realtà dalla loro correlazione con i livelli degli acidi grassi omega 3. La somma dei livelli di EPA e DHA sembra rappresentare il migliore indicatore del rischio coronarico basato sui livelli tissutali degli acidi grassi. È noto da tempo che sia i livelli tissutali degli acidi grassi omega 3 che degli omega 6 correlano con il rischio coronarico: nella maggior parte degli studi l aumento dei livelli di ambedue questi gruppi di acidi grassi si associa ad una riduzione del rischio di eventi coronarici e, più in generale, cardiovascolari. Sulla base di considerazioni essenzialmente di natura biochimica (tra cui soprattutto la competizione esistente tra queste due classi di acidi grassi essenziali per i sistemi enzimatici che ne catalizzano l allungamento e la desaturazione, le elongasi e le desaturasi) alcuni autori hanno ipotizzato che il rapporto tra i loro livelli di consumo, o tra i loro livelli tissutali, possa rappresentare un migliore indicatore del rischio coronarico rispetto ai parametri relativi a ciascuna delle due classi di acidi grassi presi individualmente. L uso di rapporti tra variabili o fattori di rischio, nella stima della probabilità di incorrere in eventi di natura coronarica, non migliora tuttavia, in genere, la stima del rischio stesso. Combinare due valori diversi in un rapporto significa infatti perdere una significativa quantità di informazione, ed in particolare ottenere lo stesso valore per livelli ambedue bassi o ambedue elevati dei parametri di cui si stima il rapporto (tabella): un operazione non sempre supportata dai dati disponibili. Un altro indicatore di rischio frequentemente impiegato, il rapporto tra il colesterolo totale ed HDL, è per esempio valutato criticamente da molti esperti, perché non è per nulla certo, per esempio, che il rischio di un soggetto con 300 mg/dl di colesterolo totale e 75 mg/dl di colesterolo HDL sia identico a quello di un soggetto con 180 mg/dl di colesterolo totale e 45 mg/dl di HDL, anche se il rapporto tra i due parametri, in ambedue i casi, è evidentemente sempre pari a quattro. Questo lavoro di Harris, uno dei principali esperti del settore, ha valutato in una metanalisi degli studi controllati disponibili se l impiego del rapporto tra le concentrazioni tissutali degli acidi grassi omega 3 ed omega 6 sia più accurato, nel distinguere tra i soggetti con o senza storia clinica di infarto miocardico, rispetto alla stima individuale dei livelli delle due classi di questi acidi grassi. La risposta al quesito è negativa: il rischio coronarico cresce infatti al ridursi dei livelli tissutali di ambedue le classi di polinsaturi, anche se la differenza è più marcata per la diminuzione dei livelli totali degli acidi grassi omega 3. E un risultato sostanzialmente in accordo con quello degli studi epidemiologici che hanno stimato l effetto dell apporto alimentare di questi acidi grassi sul rischio, che come è noto pure si riduce al crescere di entrambi.

18 Gli autori concludono quindi che il rapporto tra i livelli plasmatici degli acidi grassi della serie omega 3 ed omega 6 non è un buon indicatore del rischio coronarico: sembrerebbe meglio stimare separatamente le concentrazioni di queste due classi di polinsaturi, e valutare, sulla base dei valori rilevati, l opportunità di integrare l apporto di una o dell altra delle classi di acidi grassi considerate. Possibilità teoriche che conducono ad un rapporto ad alto rischio tra acidi grassi omega-6 ed omega-3 Variazioni possibili di consumo Acidi Grassi Omega-6 Omega * = aumento; = decremento; = nessun cambiamento; * Questo scenario era quello responsabile delle differenze osservate tra casi e controlli nel nostro studio

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