Gestione delle risorse umane e prevenzione: un nuovo approccio

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1 Gestione delle risorse umane e prevenzione: un nuovo approccio per l iniziativa sindacale. Dr. Luisa Benedettini Responsabile dell Ufficio Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro della CGIL nazionale in rappresentanza di CGIL CISL - UIL La mia comunicazione è divisa in tre parti. Nella prima commenterò brevemente, e per questo forse in modo un po sommario, l unica ricerca condotta in Italia sul fenomeno del "Mobbing" (e del Bossing) accessibile "al pubblico". Nella seconda parte vorrei proporre, specie al mondo scientifico e della ricerca ampiamente e autorevolmente rappresentato nella iniziativa odierna, qualche nodo critico da sciogliere. Nella terza parte proporrò un approccio molto pragmatico, quindi sindacale, al fenomeno in questione. Qualche commento alla ricerca sul Mobbing di Harald Ege. Due parole su Harald Ege sono doverose, visto che proprio a lui va il merito di aver sollevato il problema in Italia. Le notizie minime si ricavano dalla contro copertina dei quattro volumi della collana Mobbing, pubblicazioni economiche indirizzate ai lavoratori, ai dirigenti e ai familiari delle vittime. Ege è un ricercatore tedesco da anni residente in Italia e che ha svolto attività di ricerca presso l Università di Bologna. Presidente e fondatore di PRIMA, associazione senza scopo di lucro contro il Mobbing e lo stress psicosociale, nel 1996/97 Ege realizza una singolare indagine sul fenomeno del Mobbing che ha coinvolto più di 300 persone sull insieme del territorio nazionale, ma con prevalenza nel Lazio, Emilia Romagna, Toscana e Lombardia. Definisco singolare tale indagine perché gli intervistati ai quali è stata somministrata una versione modificata del questionario LIPT di Heinz Leymann, autorevole psicologo svedese che ha condotto i primi e più importati studi in materia nel Nord Europa sono stati "trovati", a detta di Ege stesso, grazie alla collaborazione offerta dalla stampa e dalla televisione nazionale e locale che, con alcuni articoli e qualche appuntamento televisivo proposto dal ricercatore tedesco, avevano suscitato nei lettori e ascoltatori un vivo interesse tanto che molti di loro, riconoscendosi vittime del fenomeno che veniva descritto, avevano contattato il ricercatore. Ma veniamo ai principali elementi che emergono dalla ricerca di Ege in Italia (non mancano nelle varie pubblicazioni i riferimenti ed i confronti con altre ricerche svolte in altri paesi). Elementi che oggi mi sembrano confermati, almeno nelle grandi linee, dalle relazioni scientifiche di Gilioli, Cassitto e Cotroneo. Il Mobbing è un fenomeno pericoloso.

2 Ege parla addirittura di una "mina vagante" evocando i casi limite di assurdi suicidi, omicidi o di quelle imprevedibili stragi di familiari o di gente inconsapevole che funestano anche le nostre cronache. Ege riferisce che in Svezia il 10-20% dei suicidi sarebbe riconducibile al Mobbig. In Italia tale percentuale sarebbe del 13%. Gli altri effetti lesivi sulla persona sono molteplici: danni fisici e psicologici, disturbi psicosomatici, stati depressivi, infortuni ecc. Il Mobbing è un fenomeno molto diffuso. In Italia le vittime sarebbero circa i milione e mezzo. Altrettanto diffusa e tenace è la resistenza a riconoscere tale fenomeno. Il Mobbing ha costi economici molto elevati per le imprese e per la società: assenze dal lavoro, calo di produttività, spese mediche, prepensionamenti, invalidità ecc. Il Mobbing è fortemente influenzato e condizionato da fattori culturali. Tra i fattori culturali che maggiormente possono influenzare il fenomeno del Mobbing Ege assegna un particolare rilievo a quelli relativi alla concezione del lavoro prevalente nelle varie nazioni o aree del mondo. Il ricercatore tedesco fa una sorta di rassegna basata sul detto "paese che vai usanza che trovi" dalla quale fa emergere la collocazione del lavoro nella scala ideale dei valori di ogni cultura. Il risultato è una lettura/descrizione vagamente caricaturale, comunque piena di spunti per una riflessione ulteriore, dei diversi comportamenti sul lavoro di americani, tedeschi, arabi, giapponesi, italiani. Nell economia di questa comunicazione non è possibile commentare nel dettaglio questi ed altri aspetti della ricerca messi i luce da Ege. Al di là dei troppi stereotipi che si trovano nelle sue pubblicazioni, forse però dovremmo accettare - come italiani - di riconoscerci in una delle sue vignette (vedi fig. 1) e di riflettere attentamente su alcuni numeri che emergono dalle 300 interviste. - Il maggior numero di casi di Mobbing si registra nel pubblico impiego (22% PA, 8% sanità, 12% scuola/università, 38/% industria e servizi, 3% commercio, 2% agricoltura, altro tra cui credito e poste 15%). - Il numero di casi aumenta con il numero di dipendenti: 2% sotto gli 11 dipendenti, 9% da 11 a 30, 9% da 31 a 50, 13% da 51 a 100, 28% da 101 a 500, 39% sopra i 500). Non si registra nessun caso in agricoltura e nel commercio sotto i 50 dipendenti. Punti critici Dicevo all inizio che in questa seconda parte della comunicazione mi sarei limitata a proporre, specie al mondo scientifico, qualche interrogativo su punti critici.

3 Cosa sono veramente il Mobbing e lo Stress? Fattori di rischio cosiddetti "trasversali"? Malattie professionali? Nel caso del Mobbing un reato penale? Quali sistemi diagnostici, quali strumenti di rilevamento, quale misurabilità per questo tipo di fenomeno? Finora mobbing e stress sono stati esclusivo o prevalente campo d indagine della psicologia del lavoro. Il medico del lavoro, l igienista industriale, hanno - almeno loro - accettato la necessità dell integrazione degli strumenti di rilevamento diagnosi e misurazione di tipo obbiettivo e di tipo soggettivo? La sensazione è che specie in Italia esistano ancora forti resistenze culturali nelle singole associazioni scientifiche rispetto ad un approccio integrato e veramente multidisciplinare allo studio degli effetti sulla salute del lavoro. Se questo è vero è facile immaginare quante difficoltà stiamo incontrando come sindacato molti nostri RLS ne sono diretti testimoni - per far passare nei posti di lavoro quell approccio integrato e multidisciplinare - anche i lavoratori e i loro rappresentanti vogliono e devono poter partecipare con la loro "esperienza" - alla valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori e ancor più alla individuazione delle misure idonee per prevenirli. Quale approccio "sindacale" al problema del Mobbing Prima di tutto dobbiamo accordarci o almeno proporre una definizione. Per noi va bene quella molto semplice di "violenza (psicologica) sul luogo di lavoro" In secondo luogo non condivido l opinione di chi sostiene in platea ci sono molti avvocati oggi - che per difendersi da questo tipo di rischio occorre sollecitare l emanazione di una normativa specifica. La direttiva quadro 89/391 della CEE, recepita in Italia con il D.Lgs 626/94, prevede tra gli obblighi generali del datore di lavoro la valutazione e l intervento su ogni tipo di rischio e quindi anche sulla violenza sul lavoro, sia fisica che psicologica. Non si tratta ovviamente di una opinione personale o sindacale, basta leggere in proposito le più recenti (1997) pubblicazioni della Commissione europea sull argomento. In terzo luogo dunque occorre analizzare tempestivamente la causa, l origine di ogni caso di violenza psicologica sul lavoro. Non c è il tempo nell economia di questo intervento di esaminare i possibili fattori scatenanti la violenza psicologica sul lavoro. Per brevità saremmo tentati di dire memori della vignetta di Ege - che la prima causa della grande diffusione del mobbing in Italia, sta in un difetto - nel senso di mancanza - di cultura del lavoro, nella mancanza di etica del lavoro, di civiltà del lavoro. Altro elemento fondamentale che può incidere, negativamente o positivamente, sull insorgere del fenomeno è rappresentato dal "clima", dallo "stile" aziendale. Ogni azienda ha il suo. Immediatamente dopo il clima e lo stile aziendale vengono le caratteristiche dell organizzazione del lavoro e la cura nella gestione delle risorse umane. Quando un azienda non "cura" questi due

4 funzioni cruciali, gli effetti negativi non tarderanno a manifestarsi, problemi e conflitti non verranno prevenuti osservati e affrontati con la tempestività necessaria. Una volta individuate le possibili cause dell insorgere della violenza psicologica nel luogo di lavoro bisognerà immediatamente individuare quelle azioni capaci di prevenire il fenomeno. Tutti gli studiosi di Mobbing sono infatti concordi nel sostenere che non ci sono molte possibilità di uscita dalla sindrome se questa si avvia alla sua quarta fase, cioè all allontanamento della vittima dal posto di lavoro per licenziamento o dimissioni. A questo stadio del problema non restano che interventi a posteriori di risarcimento o tutela assicurativa, giudiziaria e di cura della salute mentale. Lungo sarebbe il discorso su quali possono essere le modalità e gli strumenti per prevenire l insorgere della violenza psicologica sul lavoro. In questa sede è sufficiente richiamare alcuni elementi chiave. Il primo riguarda la sensibilizzazione delle aziende, dei lavoratori, dei servizi aziendali e degli RLS rispetto al problema violenza che deve essere riconosciuto nella sua estensione e pericolosità non solo per il singolo individuo ma anche per gli altri e per l azienda stessa. Il passo successivo al riconoscimento deve essere quello della esplicita dichiarazione che l azienda non tollera la violenza psicologica nel corso dell attività lavorativa. Queste affermazioni devono essere fatte proprie da tutta l azienda e in particolare dalla struttura che gestisce il sistema di gestione della sicurezza aziendale. Seguono conseguentemente le opportune iniziative di informazione e formazione di tutti i dirigenti e dei dipendenti su questo specifico tipo di rischio lavorativo. Infine devono essere previste le opportune modalità di primo intervento se del caso ricorrendo anche a competenze esterne (psicologi del lavoro) in caso di sospetta insorgenza del fenomeno. Va da sé che nell attivare la prima fase di prevenzione, la più importante, cioè la sensibilizzazione del mondo del lavoro, un ruolo fondamentale dovrebbe e potrebbe essere svolto in particolare dalle istituzioni che hanno compiti specifici nel campo prevenzione nei luoghi di lavoro. Tuttavia il bradisismo che da tempo investe tutte le istituzioni e in particolare quelle della prevenzione non lasciano ben sperare rispetto a iniziative istituzionali di sensibilizzazione salvo naturalmente le lodevoli eccezioni come questo secondo seminario nazionale promosso dall ISPESL. Per fortuna anche la stampa ha svolto e sta svolgendo un ruolo molto significativo. Ma ovviamente anche questo non basta. In conclusione devo tuttavia ammettere prima che lo diciate voi tra poco nel dibattito che le più grandi responsabilità le abbiamo noi, parti sociali, vale a dire sindacati e associazioni datoriali nel far crescere tra i nostri associati la cultura del lavoro e della prevenzione. Il D.Lgs 626/94 prevede infatti all art. 20 che le parti sociali istituiscano appositi organismi paritetici nazionali, territoriali e di settore per svolgere in particolare questo ruolo di promozione della cultura della prevenzione.. Moltissimi di questi organismi sono stati insediati. Essi tuttavia finora non hanno messo troppa convinzione nelle loro iniziative, sono poco visibili, non operano con sufficiente efficacia, stentano a farsi riconoscere dalle aziende e dai lavoratori come sedi dove trovare indirizzi, orientamento, risolvere conflitti, trovare sostegno. Anche le istituzioni, il mondo scientifico e della ricerca non riescono ancora a cogliere il ruolo potenziale dei nuovi attori, tanto meno quindi salvo poche e

5 rare eccezioni - li sostengono o li interpellano. Per questo, concludendo questo intervento svolto a nome dei sindacati confederali, voglio ringraziare gli organizzatori dell invito. A chi ha ascoltato, alle molte lavoratrici e lavoratori presenti, vittime della violenza sul lavoro lo sapevate che qualche vittima del mobbing può trovarsi anche tra gli RLS? faccio solo una raccomandazione e una promessa che so di poter mantenere. La raccomandazione è di non seguire il consiglio di Barbara Palombelli che, dalle colonne di Repubblica, minimizzando a mio avviso con troppa leggerezza il fenomeno, suggerisce come strategia migliore un pericoloso: "resistete e vendicatevi". Quella semmai è la strategia migliore per perpetuare la violenza sul lavoro. La promessa invece è questa. La Svezia ha emesso nel 1993 un Ordinanza (entrata in vigore nel 1994) contenente "Disposizioni sulle misure da adottare contro le forme di persecuzione psicologica negli ambienti di lavoro". Si tratta di un ottimo vademecum, pieno di buoni consigli e buone pratiche da attuare in azienda, molto adatto a nostro avviso - anche per datori di lavoro e lavoratori italiani. Lo stiamo traducendo perché è in inglese. Appena pronto, il nostro contributo alla campagna di sensibilizzazione lo daremo mettendo a disposizione degli RLS e dei lavoratori, uno strumento molto ben fatto e collaudato.

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