Dalla parte dei bambini con disabilità

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1 Dalla parte dei bambini con disabilità Ogni bambino per crescere e sviluppare la propria personalità e le proprie potenzialità ha bisogno di un ambiente stimolante e sicuro. La famiglia rappresenta senz altro la risorsa primaria, ma accanto a questa ci sono le reti sociali formali e informali che giocano un ruolo di rilievo nel garantire al bambino le possibilità di accesso alla vita di comunità, all educazione, allo svago e al tempo libero. Queste affermazioni acquistano particolare importanza quando si parla dei bambini con disabilità, in quanto la possibilità di partecipazione sociale e il raggiungimento di una buona qualità di vita rappresentano, troppo spesso, una sfida ostacolata dalla presenza di barriere culturali e ambientali. Troppo spesso i bambini con disabilità rischiano di cadere in una sorta di invisibilità che non gli permette di essere riconosciuti come individui ma che li stigmatizza sulla base della loro disabilità. Focalizzare l attenzione esclusivamente sui bisogni individuali di cure speciali, assistenza, riabilitazione tutti ovviamente essenziali porta con sé il rischio di cristallizzare l idea che la vita di un bambino con disabilità sia fatta solo di problemi legati alla menomazione e limitazioni individuali. In realtà, la maggior parte dei bisogni di un bambino con disabilità sono gli stessi di qualsiasi altro coetaneo, vale a dire godere di protezione, dell amore della famiglia, confrontarsi e costruire rapporti con i coetanei con i quali condividere esperienze, giocare e imparare. Per promuovere una buona qualità di vita per il bambino e per la sua famiglia non si può fare a meno di considerare le problematiche di natura medica in rapporto all influenza ambientale e sociale. Vivere in ambienti confortevoli, svolgere attività formative, relazionarsi con altri, salire su un autobus, andare al cinema, non possono essere prerogative di alcuni. Quando queste semplici attività non sono garantite si nega di fatto il diritto di cittadinanza e di crescere come persona. Il riconoscimento dei diritti di cittadinanza dei bambini con disabilità, quindi, non si limita all accesso ai servizi sanitari e socio-sanitari e all istruzione nelle scuole ordinarie ma si realizza pienamente solo quando in ogni situazione viene garantita dignità e libertà. Compito della legislazione e della programmazione dei servizi è promuovere la cultura del rispetto dei diritti di tutti i minori e innalzare i livelli di qualità dei servizi complessivi per l infanzia e la famiglia, migliorando di fatto anche la qualità di vita dei bambini con disabilità. Un documento fondamentale per la tutela dei bambini con disabilità è la Convenzione ONU sui Diritti dell Infanzia e dell Adolescenza, approvata dall Assemblea Generale delle 1

2 Nazioni Unite il 20 novembre del 1989 a New York e ratificata dall Italia il 27 maggio 1991 con la Legge n. 176/1991. Essa si fonda su quattro princìpi fondamentali: Non-discriminazione (articolo 2) Migliori interessi del bambino (articolo 3) Sopravvivenza e sviluppo (articolo 6) Partecipazione attiva del fanciullo (articolo 12) L articolo 23 è dedicato esplicitamente ai bambini con disabilità e riconosce il loro diritto a «condurre una vita piena e decente, in condizioni che garantiscano la loro dignità, favoriscano la loro autonomia e agevolino una loro attiva partecipazione alla vita della comunità»; inoltre, assicura il supporto alla famiglia, finalizzandolo a garantire l accesso all educazione, formazione, cure sanitarie, riabilitazione, preparazione al lavoro e attività ricreative. Con questo articolo, dunque, la Convezione punta a promuovere l inclusione sociale dei bambini con disabilità e il loro sviluppo personale e a valorizzare le differenze. L accezione di diversità espressa nel testo della Convenzione è stata, però, per troppo tempo male interpretata giustificando interventi segregativi (la tendenza a categorizzare e indirizzare i bisogni dei bambini con disabilità separatamente dagli altri). La situazione dagli anni novanta ad oggi è molto cambiata, grazie anche al costante impegno dei movimenti associativi di famiglie di persone con disabilità, Organizzazioni Non Governative e del Terzo Settore, nel far sentire la propria voce rispetto alla applicazione dei princìpi espressi nella legge e al miglioramento della qualità dei servizi offerti. Restando ancora per un momento sulla Convenzione ONU sui Diritti dell Infanzia e dell Adolescenza, è utile ricordare che, al fine di verificare che i principi sanciti dalla stessa siano effettivamente rispettati, ogni Stato ha il dovere di redigere e presentare ogni cinque anni un rapporto che ne verifica lo stato di applicazione a livello nazionale. In Italia, nel 2000, si è costituito un Gruppo di Lavoro, di cui è parte, tra gli altri, il Consiglio Nazionale sulla Disabilità (CND), che elabora un rapporto supplementare a quello governativo. Grande attenzione è stata posta dal Gruppo di Lavoro sulla diffusione di una cultura che valorizzi il bambino e l adolescente con disabilità, come soggetto di diritto e come protagonista attivo del suo percorso di vita. Nell ultimo rapporto si è approfondito il tema del disagio legato alle malattie croniche, rispetto al quale si rileva che «nei Paesi occidentali la prevalenza delle malattie croniche e delle disabilità è in costante aumento, per le maggiori possibilità terapeutiche che hanno assicurato la sopravvivenza, ma non la guarigione, per molte di tali condizioni. In età pediatrica, le malattie croniche rappresentano ormai la patologia preminente e le disabilità che ne conseguono la principale problematica assistenziale. Quelle molto gravi e particolarmente disabilitanti impongono un adeguamento dei modelli sociosanitari, attraverso una revisione organizzativa, ma prima ancora culturale, per garantire il miglior 2

3 benessere possibile e il contenimento del disagio e della sofferenza. In particolare, i bambini con patologia cronica e disabilità rappresentano sempre di più la principale sfida per l assistenza pediatrica». Rispetto a ciò il Gruppo di Lavoro raccomanda da una parte «di migliorare le indagini epidemiologiche per definire la prevalenza delle varie malattie croniche e disabilità della popolazione pediatrica italiana, sia a livello nazionale che locale», dall altra di «definire i percorsi assistenziali condivisi dei pazienti con disabilità (e delle rispettive famiglie), così da individuare i bisogni ancora inevasi e pianificare interventi per la rimozione degli ostacoli che ancora caratterizzano le cure dei bambini con malattie croniche o disabilità». Anche la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità approvata dalle Nazioni Unite nel 2006 e ratificata dall Italia con legge n. 18/2009, dedica un articolo ai minori con disabilità, affermando che «Gli Stati Parti adottano ogni misura necessaria a garantire il pieno godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali da parte dei minori con disabilità, su base di eguaglianza con gli altri minori» (art. 7 comma I), mentre al III comma afferma «Gli Stati Parti garantiscono ai minori con disabilità, su base di eguaglianza con gli altri minori, il diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni su tutte le questioni che li riguardano e le loro opinioni sono debitamente prese in considerazione, tenendo conto della loro età e grado di maturità, assicurando che sia fornita adeguata assistenza in relazione alla disabilità e all età, allo scopo di realizzare tale diritto». Ma cosa succede nella realtà quotidiana dei bambini italiani con disabilità? Secondo Save the Children, una delle più autorevoli organizzazioni che lavorano per la tutela dei minori, sarebbero necessarie maggiori risorse da destinare all infanzia e un più efficace coordinamento nell applicazione delle politiche per la promozione e la tutela dei bambini, in particolare attraverso l Osservatorio Nazionale Infanzia e la Conferenza Stato-Regioni, anche al fine di garantirne maggiore uniformità sull intero territorio nazionale. L Italia, nonostante sia un Paese con ottime leggi di tutela, ha ancora alcuni punti oscuri sulla difesa dei diritti umani dei bambini con disabilità. In particolare tra le principali criticità si rileva la mancanza di: dati certi sulla fascia di età dei minori con disabilità che va da 0 a 5 anni; un piano nazionale strategico sull età evolutiva; definizione dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) per l età evolutiva e dei LIVEAS (Livelli Essenziali di Assistenza Sociale); definizione di percorsi di presa in carico appropriati e specifici per bambini con disabilità gravissime; 3

4 provvedimenti che impongano l adozione degli strumenti di classificazione della salute e disabilità validati quali la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) dell Organizzazione Mondiale della Sanità; raccordo tra i pediatri di base e i servizi di neuropsichiatria infantile. Esiste poi il problema, più o meno presente nelle diverse regioni d Italia, della diagnosi certa e precoce, spesso legata al caso o alla presenza sul territorio di un servizio specialistico. Va tuttavia detto che è tangibile il cambiamento di mentalità che negli ultimi venticinque anni ha portato i bambini con disabilità a godere di una più ampia partecipazione alla vita della famiglia e della comunità, rispetto ad un tempo - non troppo remoto - in cui l istituto era l unica risposta ipotizzata. Molti risultati positivi si sono ottenuti, ma ancora molto si può migliorare. Professionisti quali assistenti sociali, terapisti occupazionali, insegnanti possono fare molto per garantire ai bambini e le loro famiglie una buona qualità di vita. La prospettiva che, a parere di chi scrive, è necessario adottare per far sì che i nostri interventi in ambito sociale e soci-sanitario siano efficaci, si basa sull idea che il lavoro di cura per e con i bambini con disabilità possa garantire loro la possibilità di essere ascoltati, di esprimere se stessi e la propria identità e deve promuovere una cultura che lascia spazio e coltiva le aspirazioni di vita dei bambini. In altre parole il processo di empowerment deve iniziare fin dalle prime fasi di vita. Questo processo, ovviamente, non può non coinvolgere attivamente le famiglie, le quali giocano un ruolo essenziale nel garantire opportunità inclusive al proprio figlio. Per i professionisti del settore questo significa lavorare con l intero nucleo familiare, concepire un percorso di presa in carico di tutta la famiglia che riconosca e sappia decifrare l impatto che la disabilità di un figlio ha per una famiglia al fine di fornire strumenti e strategie che consentano di affrontare le difficoltà e riconoscere le discriminazioni. Il supporto ai bambini è efficace se assume una prospettiva evolutiva orientata alla vita indipendente e all empowerment personale. I bambini hanno bisogno di costruire la fiducia nelle proprie possibilità di essere indipendenti. Compito della rete dei servizi è essere al fianco del bambino e della sua famiglia, accompagnandoli nelle transizioni, nei cambiamenti e preparandoli ad affrontare la vita. L assessment dei bisogni di ogni bambino con disabilità deve guardare a come le capacità genitoriali e i fattori ambientali hanno un impatto sui suoi bisogni di sviluppo, abilità e potenzialità. Non bisogna dimenticare che l erogazione di servizi e la pianificazione di politiche sarà sempre inefficace se basata su un modello medico della disabilità per cui il processo di empowerment deve riguardare l intera società (empowerment comunitario). 4

5 Sulla base di quanto detto finora, la presa in carico da parte dei servizi territoriali non può che fondarsi su una progettazione fortemente personalizzata. Parlare di progetti personalizzati per i bambini con disabilità rende necessario partire da due premesse: la definizione di disabilità come punto di partenza per definire chi sono i bambini con disabilità e la definizione di una metodologia appropriata per progettare interventi di presa in carico personalizzati. L ICF, nella versione per bambini e adolescenti (ICF-CY) pubblicata nel 2007, risponde ad entrambe le questioni. L Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la disabilità come la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo, i fattori personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive l individuo. L ICF propone un modello bio-psico-sociale ponendo sullo stesso piano sia gli aspetti riguardanti la salute della persona (coerentemente con un modello bio-medico), che gli aspetti di partecipazione sociale e relazione con i fattori ambientali. L ICF-CY rappresenta una cornice concettuale scientificamente rigorosa per lo sviluppo di interventi personalizzati per i bambini. La classificazione permette di rilevare la rapida crescita e i cambiamenti fisici, psicologici e sociali che caratterizzano le prime due decadi di vita. Questa differenziazione dal funzionamento dell adulto è significativa in quanto rende i professionisti, che sono chiamati ad analizzare e valutare la condizione del bambino, capaci di rilevare i cambiamenti associati alla crescita e allo sviluppo. Bisogna sottolineare, inoltre, che lo sviluppo del bambino è un processo dinamico che non può essere pensato isolatamente, ma sempre e soltanto in relazione al contesto di vita familiare. Il funzionamento del bambino è fortemente influenzato dalle interazioni con i familiari o altri care giver nel contesto di vita di appartenenza. L utilizzo della Classificazione ICF-CY nella stesura di progetti individualizzati presenta diversi aspetti importanti: Propone un approccio metodologico per l analisi dei diversi ambiti da considerare nella presa in carico; Fotografa la condizione di salute e l ambiente in cui il bambino vive; Permette di superare l inquadramento del bambino in una categoria diagnostica e punta sull analisi del profilo di funzionamento; Offre un linguaggio comune agli operatori; Garantisce continuità informativa evitando che le informazioni acquisite fino ai 18 anni vengano perse per l utilizzo di strumenti completamente differenti nell età adulta. Il percorso di presa in carico per le persone con disabilità spesso inizia in età precoce e si protrae fino all età adulta ed è per questo motivo che diventa necessario che gli operatori coinvolti siano sensibili ai cambiamenti associati alla crescita e allo sviluppo. La rete dei 5

6 servizi rappresenta un punto di riferimento che supporta la persona con disabilità e la sua famiglia nei momenti di bisogno, percorrendo un tratto del percorso di vita insieme e sostenendo le scelte. Nell attuale sistema dei servizi ci si interroga sempre di più su come coordinare la realizzazione di azioni nel presente (per far fronte a situazioni contingenti) e la pianificazione di interventi in una prospettiva di evoluzione del bambino verso la vita adulta. Solo prendendo in considerazione il rapporto tra presente e futuro, i servizi possono tenere conto delle diverse esigenze che per ogni persona si presentano in ciascuna fase della vita. Ogni fase della vita è frutto di processi di accumulo e integrazione di esperienza ma, a tal proposito, bisogna sottolineare che per una persona con disabilità le tappe dello sviluppo possono essere difficili da conquistare. L ingresso nella scuola, le scelte dopo l obbligo, l adolescenza, lo sviluppo sessuale, l orientamento lavorativo, l autonomia in età adulta, il distacco dalla famiglia, sono momenti fondamentali dell esistenza di ogni persona e sono affrontati con speranza e gioia ma anche con dubbi e ansie all interno di una famiglia. Una famiglia con un bambino con disabilità vive una sfida impegnativa. Il momento in cui i genitori scoprono che il proprio figlio ha una disabilità può essere veramente molto difficile: rabbia, dolore e difficoltà ad accettare la realtà sono gli stati d animo più comuni. È essenziale che le famiglie non si sentano sole ma vengano sostenute verso il superamento di una prima comprensibile fase di smarrimento e frustrazione concentrandosi su ciò che si può fare fin da subito perché la disabilità non condizioni negativamente la crescita e la vita futura de bambino. È necessario quindi, soffermarsi e riflettere sul ruolo della famiglia e sul suo rapporto con i servizi. Il lavoro prezioso che la famiglia svolge deve essere riconosciuto e sostenuto da una rete dei servizi che sappia dare soluzioni condivise e partecipate. Non è quindi possibile affrontare i problemi connessi alla disabilità ignorando la stretta relazione tra la persona e la sua famiglia. Occorre permettere alla famiglia di acquisire competenze, di avere momenti di confronto e di sostegno psicologico e pratico nel prendersi cura del figlio con disabilità. Tale alleanza deve essere attivata fin dai primi momenti e mantenuta nel tempo, programmata e adattata alle specifiche esigenze delle singole persone. Un aspetto molto importante per esempio è relativo al fornire informazioni chiare ed esaustive. All interno di un nucleo familiare la diagnosi di disabilità è sempre un evento destabilizzante che a volte può assumere un elevata potenzialità distruttiva e disorganizzatrice. In questo senso, una famiglia pervasa da sensi di colpa, demotivazione e frustrazioni, può generare rapporti di chiusura e disagio che impediscono di ricevere un aiuto. I genitori, i fratelli e le sorelle, i nonni e gli altri parenti vivono la disabilità ciascuno in modi specifici. L obiettivo da raggiungere in un percorso di presa in carico è sostenere la 6

7 famiglia nella comprensione e accettazione della condizione di disabilità, supportarla nella costruzione di un ambiente quotidiano il più possibile sereno e armonioso per la vita di un bambino con disabilità. Si tratta senza dubbio di un lavoro complesso ma è importantissimo orientare la famiglia sulle strategie da adottare per permettere al bambino di vivere una vita normale. La maggiore preoccupazione per un genitore è la prevenzione del peggioramento della condizione del proprio figlio, il mantenimento di un autonomia ottenuta e di un buon livello di qualità di vita. Proprio allora è più evidente che servirebbe un progetto individualizzato e invece si entra nel vuoto determinato dalla mancanza di risorse economiche pubbliche e dei servizi. A disposizione c è solo un elenco di servizi, senza verificare se esso sia quello di cui quella specifica persona ha bisogno per il proprio progetto di vita. Oltre all aiuto concreto che può provenire dalle istituzioni, è molto importante che i genitori entrino in contatto con altre famiglie che vivono o hanno vissuto la stessa esperienza o comunque situazioni molto simili, per non sentirsi soli e per scoprire che esistono ancora molte vie da percorrere. Normalmente le ASL suddividono i servizi per le persone con disabilità per età. Fino ai diciotto anni, la famiglia ha un servizio di riferimento che deve garantire la globalità delle risposte e interagire con le varie agenzie e strutture di riferimento (educative, formative, tempo libero, ecc.): questo servizio, che, generalmente, prende il nome di Neuropsichiatria Infantile e dell Età Evolutiva, è formato da un team di professionisti che compre l ambito riabilitativo (fisioterapisti, logopedisti, ecc.), neuro-psichiatrico e psicologico. Con il crescere dell età si accentuano le differenze: finita la scuola dell obbligo le strutture di integrazione diventano incerte; le opportunità di incontrare coetanei si attenuano; le offerte lavorative sono estremamente limitate. La prospettiva di un isolamento all interno della famiglia si ripercuote sullo sviluppo della personalità proprio nel momento più critico della crescita. Un elemento importante in questa fase di passaggio è rappresentato dal modificarsi dei rapporti con le Istituzioni: quando il figlio è ormai uscito dal mondo della scuola, alcuni legami con il mondo esterno si sono interrotti, altri se ne sono creati e tra questi, quelli che più frequentemente provocano disagi derivano proprio dal contatto con enti o strutture fornitrici di servizi sanitari e sociali, con operatori e amministrazioni locali. Frequentemente si tratta di relazioni difficili, generatrici a loro volta di sofferenza perché, rispetto al mondo esterno - verso amici, lavoro, vita sociale - i genitori si sono spesso costruiti un muro difensivo/offensivo originato dalla tensione, dall insicurezza provocato dalla situazione. Quello che servirebbe è la continuità nella presa in carico e interventi integrati tra loro. In una rete di servizi integrati è necessario individuare e valorizzare quegli operatori in grado di assumersi una presa in carico effettiva: chi si assume un compito di questo genere non può non tenere conto dei diversi fattori costituenti la vita della persona, connettendosi a reti 7

8 per accedere a tutte le risorse necessarie con cui collaborare e co-progettare. La capacità di dare risposte non standardizzate può essere data dalla realizzazione di una presa in carico globale che utilizzi lo strumento del Progetto Individuale come previsto dall articolo 14 della Legge n. 328/2000. Il Progetto Individuale, nella sua definizione e realizzazione, è un processo dinamico che deve sapersi adattare alle necessità delle persone che mutano nelle diverse fasi della vita. Deve, quindi, garantire continuità nei processi, soprattutto in occasione di quelle fasi di passaggio avvertite come particolarmente critiche e spesso di abbandono. Alla luce della attuale situazione dei servizi e delle politiche nazionali e regionali, si possono identificare tre ambiti in cui è necessario un miglioramento continuo: lo studio e la pratica delle metodiche riabilitative: serve un continuo aggiornamento, maggiore attenzione alla personalizzazione dei percorsi riabilitativi che consenta di capire cosa è più adatto alle esigenze di ogni bambino, l adozione di una visione olistica degli interventi che sappia occuparsi del profilo motorio, intellettivo e relazionale; l assistenza: il supporto offerto ai bambini e alle famiglie deve sempre di più essere umanizzato, personalizzato e partecipato. È importante saper valorizzare il ruolo della famiglia, considerando che se supportati, formati e guidati i genitori possono essere dei meravigliosi facilitatori dello sviluppo del proprio figlio. Il ruolo dei servizi che offrono assistenza è anche quello di rendere consapevoli gli utenti dei propri diritti e dei percorsi per ottenerli; le conoscenze nell ambito della salute mentale dell età evolutiva. Ad oggi sono ancora poche le conoscenze condivise. Partendo dalle evidenze scientifiche si possono progettare interventi precoci nelle gravi psicopatologie (per esempio l autismo e l anoressia) e formulare strategie adeguate e mirate, il più possibile preventive; l integrazione scolastica in quanto passaggio fondamentale per l inclusione delle persone con disabilità nella società. In Italia la legislazione afferma con chiarezza il diritto degli alunni con disabilità all integrazione scolastica: per prima, la Legge n. 517/1977 che abolisce le classi differenziali e le scuole speciali e definisce il ruolo dell insegnante di sostegno; successivamente, la Legge quadro n. 104/1992 pone come obiettivo dell integrazione lo sviluppo delle potenzialità della persona con disabilità nell apprendimento, nelle relazioni e nella socializzazione. La normativa, inoltre, sottolinea l importanza del coinvolgimento della famiglia nel processo educativo del bambino e della collaborazione tra scuola, ASL ed Enti Locali. La scuola diventa così un luogo di relazione tra le varie agenzie che concorrono a fornire le risorse umane, tecnologiche ed economiche necessarie per garantire l integrazione. L integrazione sancita nelle leggi trova, però, alcuni punti critici nella sua applicazione reale: non tutti gli istituti scolastici sono accessibili, le classi non sono idonee, gli insegnanti di sostegno diminuiscono in numero e qualità della preparazione specialistica, non sempre ci sono 8

9 risorse sufficienti per garantire gli altri servizi necessari (assistenza personale, trasporti forniti dagli Enti Locali). In conclusione, preme sottolineare che la possibilità per un bambino con disabilità di crescere, apprendere e partecipare come soggetto attivo nel mondo può e deve diventare un «evento ordinario» come ha affermato Gerison Lansdown, figura particolarmente attiva e impegnata nel campo dei diritti dei minori (nel corso dei lavori del Comitato Ad Hoc per la definizione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità). Pur nel riconoscimento della unicità di ogni bambino con un proprio stile cognitivo, forma espressiva e comunicativa, la pianificazione di politiche e interventi e, di conseguenza, l approccio adottato nella quotidianità dagli operatori, non può che trovare il suo fondamento nel rispetto delle pari opportunità per tutti i bambini. Garantire le pari opportunità ad un bambino con disabilità significa non solo rispettare la sua identità, ma anche assicurare la possibilità di essere ascoltato e fare scelte per la propria vita. Lo scopo dei nostri interventi, in quanto operatori nel sociale, è assicurare il positivo sviluppo della personalità del bambino e la sua capacità di comunicare, apprendere e partecipare. Questo richiede una flessibilità che agenzie organizzate e strutturate da tempo secondo schemi rigidi, ancora faticano a conquistare. A cura di Margherita Claudia Di Giorgio, Anna Vecchiarini e Pierangelo Cenci Bibliografia Giorgio Genta, Dario Petri La famiglia con disabilità: analisi, strategie e proposte per affrontare la disabilità grave e gravissima di un figlio, Associazione Bambini Cerebrolesi (ABC) Federazione Italiana, 2011 Matilde Leonardi, Daniela Ajovalasit Il progetto personalizzato per il bambino con disabilità alla luce della classificazione ICF e ICF-CY,

10 Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui diritti dell infanzia e dell adolescenza I diritti dell infanzia e dell adolescenza in Italia. 2 Rapporto Supplementare alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell infanzia e dell adolescenza in Italia, 2009 Every Child Matters, presented to Parliament by the Chief Secretary to the Treasury by Command of Her Majesty, UK September

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