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1 Banzai! Banzai! Banzai! In Giappone, il termine Banzai! letteralmente significa "10 mila anni" e può essere usato per augurare a qualcuno una lunga vita e felicità. Ma durante la seconda guerra mondiale "Banzai!" è stato urlato in battaglia. Era l'equivalente giapponese di "Viva il re!" - Ma per i soldati che stavano dal lato opposto, questo ha avuto il significato di un attacco feroce e suicida. Se i banchieri centrali di tutto il mondo pensano di sentire un grido di battaglia del tipo "Banzai!" direttamente dalle labbra dei loro fratelli giapponesi, a questo punto potrebbero non essere così lontani dalla verità, questo perché i giapponesi hanno in realtà avviato un percorso folle che vuole combattere la deflazione a tutti costi. Come per tutte le grandi battaglie suicide, almeno nelle leggende e nelle tradizioni, una volta che il grido è stato lanciato e la forte carica è partita non ci può più essere la possibilità di tornare indietro. Nelle ultime tre settimane sto continuamente commentando quello che personalmente penso sia una folle strada che i giapponesi hanno intrapreso, e quello che penso possa essere considerato nella storia l'esperimento di politica monetaria più scandaloso, intrigante e disperato da parte di una grande potenza economica. I giapponesi stanno rapidamente arrivando al loro Endgame, ossia raggiungere il limite della loro capacità di prendere in prestito del denaro a tassi di interesse che siano economicamente sostenibili. Se i tassi di interesse sulle obbligazioni giapponesi arrivassero solo anche ad un mero 2,2%, l'80% delle entrate fiscali servirà solo per pagare gli interessi sul loro debito. Con un rapporto debito - PIL pari al 245% si trovano in una situazione profondamente disperata e lo sanno. E quando ci si trova in periodi disperati, sono necessarie solo misure disperate. Per raggiungere l'obiettivo ossia avere la possibilità di trovare una via d'uscita al problema deflazionistico, i giapponesi hanno bisogno sia dell'inflazione che della crescita reale. La crescita reale può arrivare solo da un forte aumento delle esportazioni e invece l'inflazione può venire anche da un aumento dei prezzi all'esportazione. Entrambi i risultati possono essere ottenuti con un indebolimento dello yen. Al fine di poter raggiungere l'obiettivo hanno bisogno di svalutare lo yen di circa il 15-20% l'anno per molti anni a venire. Ma questa è la teoria. In pratica, per il Giappone potrebbe essere molto più difficile sia crescere che generare inflazione rispetto a quanto potrebbe esserlo per altre nazioni di uguale importanza. Oggi ci concentreremo sulla demografia giapponese. La lettera di questa settimana è piena di grafici e tabelle, che non dipingono assolutamente un bel quadro della situazione. La sventura demografica Creare inflazione è l'obiettivo, ma il primo ministro Abe e la Banca del Giappone attraverso il suo governatore Kuroda devono affrontare un compito molto difficile. A differenza dello Zimbabwe, l Argentina e una serie di altri paesi con delle valute che sono oramai defunte, in Giappone il problema non non consiste semplicemente nell'accumulare una quantità insostenibile di debito e quindi stampare tonnellate di soldi. Se fosse così semplice, in questo momento avremmo un inflazione dilagante in tutto il Giappone; in un Paese dove, peraltro, i cittadini hanno preso a prestito un'infinità quantità di soldi, molto superiore a qualsiasi esperienza nella storia moderna (in particolar modo rispetto alla loro dimensione). Nonostante tutti questi sforzi - i giapponesi hanno portato avanti in modo attivo un quantitative easing per molti anni l'obiettivo (creare inflazione) resta lontano. Carl Weinberg di High Frequency Economics scrivendo su Globe and Mail, ci offre una sintesi molto appropriata del dilemma giapponese. L'Istituto Nazionale sulla demografia e sull assistenza sociale prevede che la popolazione in età 1

2 lavorativa del Giappone si ridurrà nei prossimi 17 anni a 67,7 milioni di persone rispetto ai 81,7 milioni che era nel Prendiamo il 2030 come l ultimo punto della riflessione che vogliamo fare oggi, perché quasi tutte le persone che faranno parte della popolazione in età lavorativa entro il 2030, ossia 17 anni a partire da oggi sono già nate. L immigrazione e l emigrazione sono elementi che non incidono. Invece il declino pari ad un 17% della popolazione in età lavorativa è una certezza, non una previsione. In media si avrà un calo dello 0,9% l'anno della popolazione attiva. Inoltre, le proiezioni ufficiali mostrano un aumento della popolazione con un età superiore ai 64 anni pari a 36,9 milioni nel 2030 rispetto ai 29,5 milioni del Se il tasso di partecipazione alla forza lavoro rimane costante, si stima che il numero di persone che saranno alla ricerca di un lavoro scenderà nel 2030 a 56,5 milioni dai 65,5 milioni di oggi e ai 66 milioni del Cosa succede quando diminuisce la popolazione di una nazione e contestualmente anche la percentuale di persone in età lavorativa? Nel primo e più semplice livello di analisi, la produzione potenziale dell'economia in esame diminuisce: con meno lavoratori in grado di produrre si hanno meno beni. Questo non significa che a quel punto il PIL dovrebbe diminuire; degli incrementi di produttività potrebbero compensare un calo della forza lavoro. Inoltre, un aumento del tasso di partecipazione della forza lavoro potrebbe diminuire l'effetto di diminuzione di una popolazione in età lavorativa. Tuttavia, anche se il tasso di partecipazione della forza lavoro dovesse aumentare al 100% entro il 2030 rispetto al 81 per cento di oggi (che non potrà mai succedere, perché alcune persone dovranno dedicarsi alla cura delle persone anziane e ai bambini, inoltre alcuni hanno delle disabilità oppure non hanno delle competenze o un istruzione adeguata), ci saranno comunque nel 2030 meno lavoratori disponibili rispetto a quello che ci sono oggi. Noi prevediamo che il rapporto debito-pil e il rapporto debito-per-lavoratore cresceranno senza sosta nel corso dei prossimi 17 anni e anche oltre. Inoltre, l'aumento del rapporto tra lavoratori che saranno in pensione e che sarà pari al 32% della popolazione rispetto all attuale 23%, significa che le persone che nel 2030 avranno ancora un impiego dovranno rinunciare a una quota crescente del loro reddito per sostenere chi sarà in pensione. Il reddito disponibile diminuirà con maggiore velocità in relazione alla diminuzione del numero dei lavoratori e questo scenderà molto più velocemente rispetto al calo della produzione e dell'occupazione. La domanda globale di lavoratori diminuirà e così anche il reddito disponibile e questo molto più velocemente della produzione per almeno i prossimi 17 anni. Anche la domanda scenderà, in quanto anche i nuovi pensionati spenderanno di meno rispetto agli anni durante i quali guadagnavano. Soltanto sulla base dei fattori demografici il calo della domanda aggregata, tra oggi e il 2030, supererà il declino che arriverà dalla produzione creando una persistente e ampia capacità in eccesso nell'economia. I prezzi devono per forza scendere in un'economia dove il numero di operatori è in costante aumento. Inoltre, il persistente avanzare della tecnologia probabilmente continuerà ad aumentare in futuro la produzione per singolo lavoratore. Con una domanda ed una produzione complessiva che continuano a diminuire, gli incrementi di produttività abbasseranno i costi della manodopera e questi creeranno una maggiore pressione verso il basso sui prezzi. La disinflazione e la deflazione sono i compagni di un declino demografico. Andrew Cates, economista di UBS a Singapore, ha pubblicato uno studio molto significativo sul rapporto tra inflazione e demografia. Egli osserva che i paesi che hanno delle popolazioni molto più anziane tendono ad avere una minore inflazione. Che non è quello che però i libri di testo suggeriscono, ma è ciò che i dati invece rivelano. L'invecchiamento della popolazione sarà uno dei temi sempre più rilevanti avranno un ruolo sempre più importante per le economie sviluppate e in via di sviluppo. Anche per i suoi effetti sull'inflazione, con le relative conseguenze su politica monetaria e mercati finanziari. 2

3 Diamo prima un'occhiata ai dati reali. Nel grafico sotto sono rappresentati i livelli medi di inflazione nel corso degli ultimi 5 anni a confronto con la variazione a 5 anni del rapporto di dipendenza (dependency ratio). Quest'ultimo è il rapporto tra le persone molto anziane e giovanissime verso la popolazione che si trova ancora in età lavorativa. Uno spostamento su tale rapporto implica che la popolazione in un dato paese è sempre più giovane (e viceversa il contrario). Il grafico mostra quindi che i paesi che negli ultimi anni sono diventati sempre più anziani hanno in genere dei tassi di inflazione molto bassi, e nel caso del Giappone una forte deflazione. Nel frattempo i paesi che in questi ultimi anni sono diventati sempre più giovani, come l'india, la Turchia, l'indonesia e il Brasile hanno dovuto affrontare dei tassi di inflazione relativamente elevati. Cates non guarda solo al Giappone, ma ha una visione molto più globale. Tuttavia, il Giappone risalta molto in questo grafico (si veda il rettangolo rosso per evidenziare il Giappone): E mentre la correlazione non è una causalità, il seguente grafico che mostra l inflazione rispetto alla crescita della popolazione in Giappone non fa altro che confermare la situazione. 3

4 E riportiamo ancora un altro grafico del Mr. Cates. Egli osserva che i libri di testo economici ci segnalano che una forza lavoro che diminuisce tende ad aumentare la pressione verso l alto sui salari (il lavoro è solo una risorsa in ingresso sul lato dell'offerta) e così alla fine si finisce nell avere una inflazione da costi: Questo però non tiene conto di una serie di altri fattori che hanno probabilmente una certa rilevanza nel processo interno di generazione di inflazione. I cambiamenti demografici per esempio influenzeranno la domanda naturale di una economia di beni durevoli, il mercato immobiliare e gli aggregati creditizi. Quest'ultimo dato è certamente confermato dalla ragionevole stretta correlazione che esiste tra il credito e l'invecchiamento, come è possibile vedere dal grafico che è qui sotto riportato. Alla ricerca dei giapponesi ottimisti 4

5 Suona negativo come quello che ci siamo detti prima, ossia si può trovare chi pensa che l'economia giapponese possa girare intorno a se stessa, che l'inflazione possa salire per sempre e che i tassi di interesse giapponesi anche data la quantità di moneta che è stata stampata non aumenteranno. Scherzi a parte. Bloomberg News ha fatto un sondaggio intervistando cinque ex funzionari della Banca del Giappone i quali ritengono che "le plusvalenze dei rendimenti dei titoli di Stato saranno contenute nel corso dei prossimi due anni". Quattro dei cinque non credono sia possibile che inflazione andrà oltre il 2%. Anche con una macchina di stampa che lavorasse a pieno regime. Potete convincervi che Abenomics riuscirà a realizzare una crescita nominale pari al 3 o al 4%. Basta dare uno sguardo a questa storia raccontata con un grafico interattivo da Reuters Breakingviews. (La schermata riportata qui di seguito è solo destinata a stuzzicare la vostra curiosità.) Provate a giocare con le variabili del grafico e scoprirete ciò che pensiate sia possibile. Se si parte dal trend che è in corso, la crescita del PIL potenziale è molto inferiore al 1%. Ma cosa succede se come Andy Mukherjee a Breakingviews diventate maggiormente ottimista? Le donne giapponesi che partecipano alla forza lavoro sono una percentuale pari a circa il 63%, il più basso tasso di partecipazione femminile tra le nazioni sviluppate. Che cosa potrebbe succedere se il tasso di partecipazione delle donne aumentasse fortemente perché vengono creati posti di lavoro come Abe ha promesso? E se gli anziani decidessero di lavorare molto più a lungo? E se gli uomini decidessero di lavorare ancora di più (anche se hanno uno dei più alti tassi di partecipazione). E a quel punto che il tasso di disoccupazione potesse diminuire di, diciamo un 40%. Se si fanno queste ipotesi allora si può arrivare a un tasso di crescita del 1,5% (il che come ho mostrato la scorsa settimana, non è neanche lontanamente sufficiente!). Abe deve affrontare una grande scommessa e cioè che la creazione di inflazione incoraggerà la gente a consumare, nella speranza che a quel punto le cose possano andare ancora meglio. Non importa che gli anziani non la pensino così. Ma queste sono le persone che in Giappone hanno maggior soldi da spendere. Il programma di Abe è l'ennesimo caso di un esercizio sulla base della teoria economica, dettata dai libro di testo piuttosto che essere dettata dal guardare in faccia la realtà. Con l'invecchiamento della popolazione significa che qualcuno deve prendersi cura dei genitori che invecchiano. E in Giappone (come in molti altri posti) la responsabilità ricade di solito sulle donne le quale abbassano così il tasso di partecipazione femminile al mondo del lavoro. E quindi da dove arriveranno quei nuovi posti di lavoro? E chi pagherà per loro? Inoltre, Abe promette che entro il 2020 il governo giapponese sarà in surplus e che entro pochi anni 5

6 il tasso di crescita del deficit sarà inferiore rispetto al tasso di crescita nominale del PIL. Quali programmi dovranno tagliare per pagare quei nuovi lavoratori? In Giappone ci sono molto più anziani che bambini. Mentre siamo in tema di promesse, Abe dice che anche lui entrerà negli accordi di libero scambio con il resto dell'asia e degli Stati Uniti rendendo maggiormente aperta anche l'economia giapponese. Tutto questo mentre la sua moneta sta precipitando del 15% rispetto a un anno fa, sconvolgendo i suoi vicini e cambiando drasticamente gli equilibri sugli scambi? Ora lui vuole giocare nella sandbox global-trade? Ero su Bloomberg co Tom Keene questa mattina. Uno degli altri ospiti stava parlando del Giappone che aveva deciso di aprire dei negoziati di libero scambio con gli Stati Uniti; parlando ovviamente del riso che il Giappone come è noto protegge mantenendolo forzatamente poco costoso. "Allora" ho risposto, "il Giappone ha deciso che vuole far scendere il valore dello yen del 50% e poi aprirsi al commercio del riso?" Non ero sorpreso dalla cosa. Io sono un gran fautore del libero scambio, ma il Giappone parla di libero scambio solo ora quando sono sull'orlo di una crisi, mi sembra un po' ipocrita. Banzai! Banzai! Banzai! I giapponesi stanno caricando le linee di battaglia deflazionistiche, gridando "Banzai!" Questo attacco è tutto o niente. Penso che i giapponesi stanno offrendo agli investitori il loro fianco. I mercati ci hanno mostrato che questa battaglia non sarà unilaterale. Ma voglio continuare a ribadire quello che vado dicendo da tempo: essere short del debito giapponese sarà il miglior trade di questo decennio. Questa è la maggiore posizione che detengo nel mio portfolio personale. Come ho detto a Tom Keene questa mattina, è mia intenzione (e ancora di più una speranza) far pagare ad Abe-san e Kuroda-san un pezzo del mio nuovo appartamento, in quanto attraverso la loro politica stanno provocando la completa distruzione dello yen. Avrò successo? Il tempo lo deciderà, intanto i fondi pensione pubblici giapponesi hanno annunciato che ridurranno le loro posizioni sulle obbligazioni locali, aumentando in contemporanea la loro quota in azioni locali ed estere. Non è stato fornito alcun periodo di tempo durante il quale attueranno la politica, anche se abbiamo degli elementi che ci dicono che hanno già iniziato. (da Kiron Sarkar.) E' arrivato il momento di concludere la lettera di questa settimana, ma questi sono argomenti su cui dovremo tornare nuovamente. Ma prima di terminare, voglio segnalarvi un altra tabella in cui mi sono imbattuto mentre ricercavo dei documenti su questo argomento. Si tratta di un confronto del rapporto sulla dipendenza tra i diversi paesi sviluppati. Questo è il rapporto tra pensionati e persone sotto i 16 anni rispetto a coloro che fanno parte della forza lavoro. Come si può vedere il Giappone non si trova in ultima posizione. La Francia, l'italia e l'ungheria hanno dei risultati demografici che sono ben peggiori. 6

7 Il vostro analista sui mutui che è orgoglioso di essere padre di un bambino (yen), John Mauldin 2013 John Mauldin. All rights reserved versione italiana a cura di Horo Capital. Tutti i diritti riservati. John Mauldin - è un esperto finanziario, autore di best-seller, tra cui l'ultimo Endgame. Ogni settimana, oltre 1 milione di lettori scelgono Mauldin per la sua visione su Wall Street, il mercato globale e la storia economica. La newsletter Thoughts from the Frontline fornisce agli investitori in modo gratuito, informazioni imparziali e di orientamento. La traduzione italiana è curata da Horo Capital e disponibile su Horo Capital - Independent Financial Advisory Firm - Via Silvio Pellico Milano - 7

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