Piano educativo individualizzato: Diagnosi funzionale, Profilo dinamico funzionale, attività e interventi Introduzione

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1 Piano educativo individualizzato: Diagnosi funzionale, Profilo dinamico funzionale, attività e interventi Dario Ianes, Università di Bolzano Heidrun Demo, Università di Bolzano Sofia Cramerotti, Centro Studi Erickson di Trento Introduzione Le condizioni problematiche che causano difficoltà di apprendimento e Bisogni Educativi Speciali sono molte: alcune gravi e ben definite, come può essere il ritardo mentale in una sindrome organica, altre più sfumate, come i disturbi dell apprendimento o i problemi di comportamento. Di fronte a queste oggettive difficoltà nel seguire la programmazione rivolta alla classe e altre forme di partecipazione sociale ai vari ruoli della vita di alunno, gli insegnanti si trovano nella necessità di elaborare forme di didattica individualizzata. In generale, ciò significa costruire obiettivi, attività didattiche e atteggiamenti educativi «su misura» per la singola e specifica peculiarità di quell alunno, ponendo particolare attenzione ai suoi punti di forza, dai quali si potrà partire per impostare il lavoro. Dobbiamo ricordare che la costruzione del Piano educativo individualizzato e la sua applicazione concreta non dovrebbero mai essere delegate unicamente all insegnante di sostegno, coinvolgendo al massimo qualche suo volenteroso collega: tutti gli insegnanti devono esserne partecipi, perché l integrazione degli alunni in difficoltà deve riguardare tutti gli ambiti della vita scolastica e non essere solo una presenza limitata a qualche ora o a qualche attività svolta con l insegnante specializzato, magari in qualche «aula di sostegno» (Ianes e Cramerotti, 2009). Le attività dell insegnante di sostegno dovrebbero estendersi e integrarsi in una più globale «funzione di sostegno», attivata dalla comunità scolastica nel suo insieme, nei confronti delle tante e diverse situazioni di disagio e difficoltà che si manifestano. In questo caso sarà l insieme della comunità-scuola, composto di insegnanti, personale tecnico, altri alunni e varie persone significative, che mobiliterà tutte le risorse disponibili, formali e informali, per soddisfare i bisogni formativi e educativi speciali degli alunni, in relazione al tipo e al grado di difficoltà che presentano (Ianes e Macchia, 2008; Booth e Ainscow, 2008). In quest ottica, che cerca di superare la vecchia logica di emarginazione della coppia «alunno con disabilità-insegnante di sostegno», si sono ormai sperimentate molte attività didattiche alternative e soluzioni organizzative diverse, che mettono in primo piano il ruolo attivo degli alunni, lo sviluppo di reti di rapporti di amicizia e di aiuto, il lavoro con gruppi di apprendimento cooperativo, il tutoring o insegnamento reciproco tra alunni, il coinvolgimento delle famiglie e delle realtà sportive, culturali e di volontariato della comunità territoriale. La certificazione: dall individuazione della disabilità al Piano educativo individualizzato Nella scuola italiana il diritto allo studio degli alunni con disabilità è garantito mediante la loro integrazione nella scuola, attraverso varie forme di supporto (che vanno dall assegnazione di insegnanti di sostegno, alla composizione delle classi, alla formazione dei docenti, alla composizione di vari Gruppi di lavoro intra e interprofessionali, sperimentazioni di modelli efficaci di integrazione nelle classi ordinarie, ecc.). La Legge 104/1992 ha chiaramente definito forme e criteri per consentire agli alunni disabili di realizzare i loro diritti di partecipazione attiva, in termini di pieno accesso all istruzione all interno del sistema educativo e lo sviluppo delle potenzialità nell apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni, nella socializzazione e 1

2 nell autonomia (art. 12 e art. 13). Dal 2000, il regolamento dell'autonomia scolastica ha inoltre individuato tra le finalità della scuola quella di rispondere alle "caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo" e ha sottolineato il pieno riconoscimento e la valorizzazione delle diverse abilità. Il comma 5 dell art. 12 della Legge quadro identifica alcuni momenti significativi dell iter finalizzato alla piena integrazione scolastica degli alunni con disabilità: l individuazione dell alunno come «persona handicappata»; la definizione di una «Diagnosi funzionale»; la predisposizione di un «Profilo dinamico funzionale»; la formulazione di un «Piano educativo individualizzato»; le occasioni di verifica degli interventi realizzati e di aggiornamento della documentazione (questi ultimi, contemplati dai commi 6 e 8). Vengono definite anche le modalità di intervento, le caratteristiche peculiari di tale documentazione finalizzata non a un generico inserimento, ma a sostenere e a rendere concreto il diritto all educazione e all istruzione e i limiti degli interventi stessi, avendo ben presente che al centro della programmazione educativa e didattica vi è l alunno con la sua situazione peculiare e le sue esigenze di sviluppo della personalità complessiva e non le singole prestazioni. Circa le modalità, la Legge quadro richiama l esigenza di una integrazione di tutte le competenze e di tutte le professionalità che entrano in gioco: la scuola, nelle sue diverse componenti (dirigente scolastico, docenti curricolari, docenti per il sostegno, eventuali insegnanti utilizzati con funzioni psicopedagogiche, collaboratori scolastici); gli operatori delle Aziende Sanitarie Locali (ASL); i genitori della persona con disabilità; lo stesso alunno, specie nella scuola secondaria di secondo grado; gli altri alunni. Rispetto alle caratteristiche della documentazione da elaborare, la Legge quadro chiarisce senza ombra di dubbio che l iter da seguire per la sua predisposizione deve evitare il rischio di una sanitarizzazione degli interventi e valorizzare invece appieno gli aspetti propriamente educativi e didattici. Il comma 5 dell art. 12 prevede un approccio non solo «alle caratteristiche fisiche, psichiche, sociali e affettive dell alunno» o alle «difficoltà di apprendimento conseguenti alla situazione di handicap», ma più diffusamente alle «possibilità di recupero, alle capacità possedute che devono essere sostenute, sollecitate e progressivamente rafforzate e sviluppate». Infine, a proposito dei confini entro cui definire i contenuti degli interventi da effettuare, si sottolinea la necessità di operare «nel rispetto delle scelte culturali della persona handicappata» (art. 12, comma 5), «con la collaborazione dei genitori» e con il coinvolgimento degli stessi studenti (art. 5, comma 2) (Pavone, 2009). L integrazione delle professionalità Questo aspetto dell integrazione riguarda la comunità scolastica nel suo insieme, gli operatori sociali, sanitari e culturali del territorio, i tecnici della riabilitazione, gli educatori presenti a scuola o nell extrascuola e ogni altra eventuale figura professionale operante nello scenario prefigurato dagli Accordi di programma per l integrazione scolastica degli alunni con disabilità (Legge quadro, art. 13, comma 1a), inseriti nei «piani di zona» (Legge n. 328/2000, articoli 14 e 19). Una effettiva integrazione delle competenze e delle professionalità rimanda, fra l altro, a problemi organizzativi istituzionali; ad esempio, dentro la scuola, se si vuole che i docenti possano veramente integrare le rispettive competenze e professionalità nell azione educativa e didattica, diventano necessarie sia la 2

3 loro organizzazione come gruppo, sia la continuità e la stabilità del lavoro. Analogamente, rispetto al percorso formativo degli alunni si richiede: alla scuola, agli operatori di territorio, a tutti coloro che sono coinvolti nel progetto di integrazione dell allievo con disabilità di concordare i tempi e i modi del proprio intervento; ai servizi sanitari e socio-assistenziali di garantire le proprie prestazioni anche presso la scuola, ogni qualvolta sia necessario e previsto dal progetto di integrazione. Tutto ciò comporta la definizione operativa delle modalità e delle caratteristiche degli incontri, obiettivo primario per garantire l apporto delle diverse funzioni e dei vari ruoli, esercitati nei confronti del singolo minore, e giungere a un piano di interventi ove tali funzioni e ruoli si integrino senza perdere la loro specificità (Pavone, 2009). L Atto di indirizzo e coordinamento alle Aziende Sanitarie Locali (1994) e sue modifiche DPCM n. 185/06 Come si evince dall art. 12, comma 7 della Legge n. 104/92, la definizione delle modalità di svolgimento dei compiti attribuiti dalle norme alle Aziende Sanitarie Locali in materia di integrazione scolastica degli alunni con disabilità era rinviata a un apposito Atto di indirizzo e coordinamento, predisposto dal Ministero della Sanità di concerto con quello per gli Affari regionali ed emanato con DPR in data 24 febbraio Esso disciplina i compiti delle Aziende sanitarie e/o socio-sanitarie locali in ordine all elaborazione: dell iter per l individuazione della situazione di handicap della Diagnosi funzionale del Profilo dinamico funzionale del Piano educativo individualizzato. Il DPR contempla sette articoli che si riferiscono all attività delle Regioni e delle Province autonome (art. 1), all individuazione dell alunno come persona handicappata (art. 2), alla Diagnosi funzionale (art. 3), al Profilo dinamico funzionale (art. 4), al Piano educativo individualizzato (art. 5), alle verifiche (art. 6) e alla vigilanza (art. 7). Fanno parte integrante del provvedimento, inoltre, due allegati: una «scheda indicativa per la redazione della Diagnosi funzionale»; una «scheda indicativa per la redazione del Profilo dinamico funzionale». L Atto di indirizzo è stato in buona parte modificato nel 2006 con apposito Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM n. 185/06) e, successivamente, dall Intesa Stato-Regioni del 20 marzo Sul piano generale, può essere utile segnalare alcuni aspetti che, se applicati correttamente e interamente, possono risultare di grande vantaggio per l integrazione scolastica (Pavone, 2009): i ruoli di disciplina, promozione e vigilanza da parte delle Regioni sulle Aziende sanitarie locali e il conseguente obbligo delle ASL stesse di dare «piena e qualificata collaborazione agli operatori della scuola e alle famiglie» (art. 1 e art. 7); l identificazione del Piano educativo individualizzato come sintesi di «interventi integrati ed equilibrati» che contemplano «progetti didattico-educativi, riabilitativi e di socializzazione», comprese le «attività scolastiche ed extrascolastiche» (art. 5). L iter previsto per la sua predisposizione va definito attraverso una lettura integrata con quella dell art. 12, comma 5 della Legge quadro, anche per evitare un applicazione meramente medicalizzante di un provvedimento finalizzato all integrazione di competenze e professionalità a beneficio dell integrazione scolastica degli alunni con disabilità; le norme molto dettagliate che richiamano e regolano i diversi momenti di «valutazione», «aggiornamento» e «verifica» dei vari documenti (art. 4, comma 4; art. 6); il sistema di classificazione delle condizioni di salute ICF, che introduce nuovi criteri per descrivere il funzionamento e la disabilità associati alla salute della popolazione, non solo biomedici ma anche psico-sociali. 3

4 Le componenti fondamentali del Piano educativo individualizzato Alla base di un integrazione scolastica efficace vi è quindi sempre l attivazione di un buon Piano educativo individualizzato. Partendo dalle necessità e dalle difficoltà che molto spesso gli insegnanti incontrano nella stesura di un PEI e nell individuazione di strumenti e materiali adatti per uno specifico alunno con Bisogni Educativi Speciali, recentemente è stata creata anche una piattaforma online di supporto alla costruzione, compilazione e gestione del Piano educativo individualizzato (Ianes, Cramerotti e Scataglini, 2007). Vediamo allora quali sono le componenti fondamentali di un PEI-Progetto di vita e quali fasi di programmazione devono essere affrontate nella sua definizione. Nel nostro modello (Ianes e Cramerotti, 2009), il PEI-Progetto di vita è costituito dalle componenti presentate in figura 1, che corrispondono ad altrettante fasi di programmazione e di lavoro. Fig. 1 Le fasi di programmazione e di lavoro del Piano educativo individualizzato. Fonte: Ianes e Cramerotti, * Come stabilito dall Intesa Stato-Regioni del 20 marzo 2008, la Diagnosi funzionale include anche il Profilo dinamico funzionale e corrisponde, in coerenza con i principi dell ICF, al Profilo di funzionamento della persona. La Diagnosi funzionale educativa La Diagnosi funzionale educativa è la prima componente del Piano educativo individualizzato: essa si pone come obiettivo fondamentale la conoscenza più estesa e la comprensione più approfondita possibile dell alunno nel suo funzionamento, con i punti di forza e i deficit. Questa conoscenza deve però essere «funzionale educativa», appunto, e cioè utile alla realizzazione concreta e quotidiana di attività didattiche e educative appropriate, significative ed efficaci. La Diagnosi funzionale è quindi la base indispensabile per una buona definizione di un Piano educativo individualizzato Progetto di vita, dal momento che in essa si esplora la situazione globale dell alunno, si cerca di conoscerne i vari aspetti, le varie interconnessioni, i punti di forza e di debolezza, le risorse, i vincoli, ciò che facilita e ciò che invece ostacola. La Diagnosi funzionale dovrebbe essere un percorso globale di conoscenza 4

5 e comprensione profonda ed estensiva del funzionamento del soggetto e dei suoi contesti. Proprio per questo la Diagnosi funzionale deve risultare da un lavoro interdisciplinare, che veda la collaborazione degli insegnanti, degli operatori dell ASL e dei familiari. La sua stesura non dovrebbe essere delegata allo psicologo, al neuropsichiatra e nemmeno all unità multidisciplinare: queste professionalità dovranno certo fornire i loro contributi di conoscenze, preziosi in moltissimi ambiti, secondari in altri. Purtroppo oggi invece la Diagnosi funzionale, così come viene descritta nell art. 3 dell Atto di indirizzo e coordinamento alle Aziende Sanitarie del 1994 e come viene ancora largamente intesa e utilizzata nel nostro Paese, risente di un impostazione prevalentemente clinico-medica e molto spesso fornisce ben pochi aiuti concreti agli insegnanti impegnati a definire una programmazione individualizzata. Per questo si potrebbe dire che è ben poco «funzionale». Il ruolo della scuola deve invece essere centrale: gli insegnanti possono ormai utilizzare una vasta gamma di strumenti di raccolta di dati e di conoscenze per la comprensione profonda e utile dell alunno in difficoltà, attivando direttamente una regia e un coordinamento nel gruppo di lavoro a livello di scuola che integri i vari contributi che provengono dagli ambiti sanitario, familiare e sociale. Attualmente, a nostro avviso, il modello che meglio di tutti abbraccia questa visione è quello proposto dall Organizzazione Mondiale della Sanità nella classificazione ICF Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (2002) ora disponibile anche nella versione ICF-CY per bambini e adolescenti (OMS, 2007) e quindi ancora più vicino ai bisogni e alle peculiarità che caratterizzano queste fasi dello sviluppo umano. Il modello ICF risponde appieno alle nostre esigenze di avere una modalità conoscitiva della realtà globale dell alunno che aiuti adeguatamente nella progettazione individualizzata. L importanza del modello ICF per la definizione della Diagnosi funzionale e quindi per la stesura di un vero e proprio Profilo di funzionamento dell alunno è sottolineata anche dall Intesa Stato-Regioni del 20 marzo 2008 e dalle Linee guida per l integrazione scolastica degli alunni con disabilità emanate dal MIUR nell agosto In riferimento a quest ultimo documento, si sottolinea l esigenza fondamentale che il personale scolastico si avvicini e si formi all uso di questo modello, nella prospettiva di una visione sempre più globale e completa dell alunno con Bisogni Educativi Speciali. Presentiamo ora il nostro modello di Diagnosi funzionale (Ianes, 2004). Questa Diagnosi funzionale si lega direttamente ai processi di integrazione scolastica, di apprendimento e socializzazione, non si esprime solo in termini tecnico-sanitari, e cerca di attivare collaborazioni a più largo raggio, coinvolgendo direttamente gli insegnanti e la famiglia, anche attraverso l uso di strumenti specifici, naturalmente nel rispetto delle prerogative professionali dei vari operatori. Come ogni diagnosi nei campi più diversi, anche quella funzionale, finalizzata a un intervento educativo o a un percorso didattico individualizzato rivolto agli alunni in difficoltà, cerca di raggiungere la conoscenza più approfondita ed estesa possibile delle varie caratteristiche della persona nella situazione/relazione che esamina. Oltre ad avere questa finalità «descrittiva» degli aspetti più o meno evidenti della situazione, essa dovrebbe elaborare ipotesi (e possibilmente verificarle) sulle interconnessioni e relazioni di reciproca influenza tra fattori diversi (comprensione delle interconnessioni e delle mediazioni), ad esempio tra attività e specifiche funzioni corporee; fattori contestuali, ambientali e personali; tra fattori contestuali personali e partecipazione sociale, e così via. L aspetto analitico e descrittivo dovrebbe dunque essere compresente e integrato con lo sforzo di comprendere relazioni che interconnettono (Ianes e Biasioli, 2005). Accanto a questi ovvi requisiti generali, nel caso della Diagnosi funzionale legata alla definizione del Piano educativo individualizzato, abbiamo in più un esigenza specifica di carattere pragmatico, espressa dal termine «funzionale»: i dati di conoscenza, raccolti nella 5

6 diagnosi, dovrebbero consentire di operare direttamente nel concreto della prassi scolastica quotidiana. Questo vuol dire che una Diagnosi funzionale è realmente «funzionale» solo se è di immediata utilità per l insegnante, se riesce a guidarlo direttamente nella scelta di obiettivi appropriati e di metodi di lavoro efficaci sulla base delle caratteristiche peculiari dell alunno in difficoltà. Per costruire un buon PEI abbiamo dunque bisogno di una metodologia di diagnosi che sia realmente funzionale, cioè che descriva dettagliatamente le caratteristiche dell alunno, le interpreti e cerchi di spiegarle, ma che nel contempo sia connessa strettamente alla realtà della vita scolastica, familiare e sociale, nei suoi aspetti di insegnamento/apprendimento e di relazionalità, socialità e sviluppo psicologico-affettivo. Non è dunque una diagnosi clinica un po «allungata», anzi, si potrebbe, per chiarire ulteriormente il nostro intento, proporre l abolizione dell espressione «Diagnosi funzionale» a favore dell espressione «valutazione psicoeducativa funzionale». Non si può quindi delegare la Diagnosi funzionale esclusivamente ai tecnici specialisti, con l aspettativa illusoria che essi forniscano agli insegnanti un «distillato» prodigioso di conoscenze e di linee operative, miracolosamente capace di metterli in condizione di lavorare adeguatamente, risolvendo ogni dubbio e difficoltà. La conoscenza approfondita della situazione dell alunno, l esplorazione delle sue capacità, dei suoi deficit e delle varie cause che portano a questa situazione devono coinvolgere una gamma molto ampia di persone e professionalità che, naturalmente, si pongono da prospettive e con metodologie di valutazione diverse, necessariamente da integrare e completare a vicenda. Anche la famiglia dell alunno possiede una quantità immensa e preziosa di dati: essi provengono, talvolta disordinatamente, dalla conoscenza esperienziale (diventano racconti, biografie e autobiografie fondamentali per capire a fondo i contesti di vita del soggetto) e spesso sono accompagnati da ipotesi interpretative incomplete. Gli specialisti sanitari tendono invece spesso a fare interpretazioni sulla base di pochi dati di conoscenza diretta dell alunno (e spesso settoriali), mentre gli insegnanti si trovano in una situazione che potremmo definire intermedia, per certi versi sicuramente privilegiata: vivono molte ore a contatto con l alunno ma in una relazione professionale, e perciò con minor coinvolgimento emotivo rispetto ai familiari. La Diagnosi funzionale diventa allora qualcosa di più di un solo compito interdisciplinare: diventa una raccolta di informazioni e un elaborazione a più mani, dove i diversi apporti vanno sintetizzati e resi significativi da una regia attenta e consapevole che dovrebbe essere collocata all interno della scuola e gestita da un ristretto gruppo operativo che conosca perfettamente le situazioni di apprendimento e di socialità di quella scuola. Le aree fondamentali della Diagnosi funzionale secondo ICF-CY Una Diagnosi funzionale che voglia essere il più possibile completa e utile alla progettazione scolastica/esistenziale non si effettua con qualche osservazione, qualche scheda, qualche test. È un processo articolato, che è sicuramente problematico e semplicistico schematizzare e costringere all interno di un modello. Ma nel nostro caso il modello è la concettualizzazione dell ICF-CY, che ci aiuta a organizzare in modo realmente globale e completo la raccolta di informazioni sul soggetto e sui suoi contesti di vita. Dobbiamo avere presenti fin dall inizio due principi. Il primo è che non è utile immergersi nei particolari e nei dettagli perdendo di vista la necessità di fare una sintesi di una realtà umana globale e unitaria, di una persona reale, che è molto di più e ben altro che una fredda serie di dati oggettivi sul suo «funzionamento». Il secondo è che non bisogna cercare di fermare il fluire nel tempo delle situazioni personali, relazionali e contestuali cristallizzando come definitive e stabili le nostre osservazioni e pensando che rimarranno immutate anche nel futuro. La situazione di una persona è oggi in equilibrio nell interazione del suo passato con i progetti verso il suo futuro. 6

7 Con queste precauzioni ben presenti esaminiamo la struttura del nostro modello di Diagnosi funzionale (figura 2). Fig. 2 Struttura del modello ICF-CY in base alla quale definire la Diagnosi funzionale. Fonte: Ianes e Cramerotti, La situazione globale di una persona, del suo stato di salute e di funzionamento nei suoi contesti reali di vita, va descritta mettendo in relazione informazioni su: condizioni fisiche funzioni corporee strutture corporee attività personali partecipazione sociale fattori contestuali ambientali fattori contestuali personali. Condizioni fisiche Questa è la parte che riguarda principalmente la situazione fisica, «organica» dell alunno: in primo luogo le caratteristiche tipiche della sua sindrome, in termini biologici, fisiopatologici e delle necessità terapeutiche e riabilitative. È evidente che in questa parte della Diagnosi funzionale sono richieste professionalità specialistiche in ambito neurologico, neuropsichiatrico, pediatrico, ortopedico, riabilitativo e in altre branche delle scienze biomediche. Riteniamo che sia utile suddividere questa parte della Diagnosi funzionale in due distinti campi di informazione. Il primo è la storia clinica, e cioè gli eventi vissuti dall alunno dal punto di vista organico. Per chi opera in ambito educativo/didattico è infatti estremamente importante conoscere 7

8 almeno i principali eventi clinicamente significativi che hanno segnato la storia dell alunno, in particolare le malattie, i ricoveri, le cure tentate, i risultati raggiunti, ecc. Diventa fondamentale per gli insegnanti sapere quanto le condizioni fisiche dell alunno si siano evolute positivamente o se vi sia invece una tendenza al peggioramento. Questa tendenza all evoluzione in senso positivo o negativo dovrebbe essere riportata sia per quanto riguarda le varie caratteristiche fisiche specifiche della sindrome, sia in riferimento agli altri aspetti del funzionamento organico. Questa parte sarà in stretta relazione con le due parti successive: «Funzioni e strutture corporee». Il secondo campo di informazioni clinico-mediche riguarda essenzialmente gli effetti, riscontrati o prevedibili, sulla prassi scolastica causati primariamente dalle condizioni cliniche dell alunno, così come sono state individuate dagli specialisti. In particolare, sono da evidenziare le seguenti questioni operative: 1. «precauzioni» che l insegnante deve prendere con l alunno viste le sue particolari condizioni fisiche, come ad esempio l attenzione alla dieta, alle posture, a movimenti particolari, ecc.; 2. la necessità di assumere farmaci (e i loro reali effetti diretti e collaterali); 3. la necessità e il tipo di interventi riabilitativi di varia natura; 4. la programmazione nel tempo di visite e controlli; 5. le persone specifiche di riferimento tecnico nei vari ambiti; Gli insegnanti e le famiglie dovrebbero essere particolarmente esigenti nei confronti degli operatori sanitari, al momento della formulazione e della discussione di questa parte della Diagnosi funzionale, chiedendo loro un elaborazione approfondita di questi dati: dati storici e anamnestici, dati sulle condizioni attuali ma, soprattutto, informazioni concrete sul significato operativo di stretta rilevanza biomedica che la patologia riscontrata riveste per la vita scolastica. Questo non vuol certo dire che l operatore sanitario debba predire cosa farà o non farà l alunno a scuola: dovrebbe comunque sforzarsi, assieme agli insegnanti, di declinare in senso operativo e quotidiano le sue conoscenze biomediche. Funzioni corporee Le funzioni corporee sono le funzioni fisiologiche dei vari sistemi corporei (comprese le funzioni mentali). Le menomazioni sono da ritenersi come problemi nella funzione del corpo, intesi come una deviazione o una perdita significativa. Nell ICF-CY vengono prese in considerazione le funzioni mentali, le funzioni sensoriali e del dolore, le funzioni della voce e dell eloquio, le funzioni dei sistemi cardiovascolare, ematologico, immunologico e dell apparato respiratorio, le funzioni dell apparato digerente e dei sistemi metabolico ed endocrino, le funzioni genitourinarie e riproduttive, le funzioni neuro-muscoloscheletriche e correlate al movimento, le funzioni della cute e delle strutture correlate. Per la definizione della Diagnosi funzionale abbiamo bisogno di informazioni sul livello reale di competenza dell alunno nei vari settori del suo sviluppo intellettivo, comunicativo, motorio, dell autonomia e così via. Per quanto riguarda gli ambiti dell Attività e della Partecipazione e per le «Funzioni mentali», che ci interessano particolarmente in questa sede, dobbiamo ricercare i punti di forza dell alunno, da definire negli aspetti di capacità e performance. Se le capacità e le performance non raggiungono le aspettative, si viene a evidenziare una difficoltà, un deficit, una restrizione di attività e/o partecipazione. Questo confronto tra capacità e performance del soggetto e aspettative su di lui caratterizza l essenza stessa del processo di valutazione delle competenze. L ICF-CY e i suoi ambiti ci forniscono in questo senso una mappa generale che ci indica cosa osservare e cosa descrivere. Il confronto tra capacità e performance dell alunno e criteri di riferimento può però essere 8

9 fatto anche seguendo un approccio radicalmente diverso rispetto a quello del confronto con parametri di sviluppo ben definiti. Questa seconda modalità consiste nel confrontare le capacità/performance concretamente manifestate dall alunno con quanto uno specifico ambiente di vita richiede per un soddisfacente adattamento e un buon livello di autostima. Il criterio di riferimento è allora quell insieme di competenze indispensabile all interno delle varie «ecologie di vita e di relazione» in cui si dovrebbe trovare l alunno: la famiglia, la scuola, il quartiere, il gruppo di amici, ecc. In questo tipo di valutazione non ci sono riferimenti normativi standardizzati e tappe di sviluppo che dovrebbero essere raggiunte a una determinata età: si cerca invece di determinare il livello di adattamento (o comportamento adattivo) dell alunno rispetto alle richieste tipiche dei diversi ambienti in cui si trova realmente a vivere. Nel definire la mappa delle aree principali di valutazione abbiamo operato alcuni cambiamenti rispetto a quanto viene suggerito su questo punto specifico della Diagnosi funzionale all interno dell art. 3 dell Atto di indirizzo e coordinamento del In primo luogo si è voluto dare maggiore rilievo alla parte «affettivo-relazionale», portandola nei «fattori contestuali personali», conferendole carattere di maggiore autonomia, con più strumentazione, attribuendole contenuti psicologici, affettivo-emotivi, relazionali e comportamentali. In secondo luogo sono stati uniti i punti «cognitivo» e «neuropsicologico» ed è stato dato particolare spazio agli aspetti metacognitivi e di controllo superiore dei processi e delle attività mentali, collegandoli agli item definiti dall ICF-CY nella sezione «Funzioni mentali». Le aree linguistiche, motorio-prassiche e dell autonomia personale e sociale sono comprese nella sezione «Attività personali», assieme ad altre rilevanti, come ad esempio le interazioni e relazioni interpersonali. L area sensoriale è ben rappresentata nelle corrispondenti sezioni delle «Funzioni e Strutture corporee». Nell area delle Funzioni mentali (cognitive e metacognitive) si dovrebbe valutare il funzionamento intellettivo dell alunno, che va esaminato attraverso il suo modo abituale e quotidiano di operare nelle principali funzioni cognitive, o processi mentali, e non solo attraverso l uso di strumenti standardizzati. In realtà suddividere e «smontare» il funzionamento cognitivo in specifiche funzioni «semplici», ben identificabili e valutabili, è difficile, ma è comunque molto utile per individuare deficit specifici e punti di forza da tenere presenti nel lavoro didattico e da cui ricavare corrispondenti obiettivi di insegnamento o di recupero. In quest area andremo quindi a indagare sia i processi che i prodotti cognitivi, e quindi, nello specifico, la funzionalità intellettiva, processi come l attenzione, la memoria, la capacità di discriminazione e generalizzazione, abilità come il problem solving e il planning, le abilità metacognitive, indagando anche gli stili cognitivi di elaborazione dell informazione e di apprendimento. Strutture corporee Le strutture corporee sono le parti anatomiche del corpo, come gli organi, gli arti e le loro componenti. Le menomazioni sono problemi nella struttura del corpo, intesi come deviazioni o perdite significative. Nell ICF-CY vengono prese in considerazione le varie strutture corporee: strutture del sistema nervoso, occhio, orecchio e strutture correlate, strutture coinvolte nella voce e nell eloquio, strutture dei sistemi cardiovascolare, immunologico e dell apparato respiratorio, strutture correlate all apparato digerente e ai sistemi metabolico ed endocrino, strutture correlate ai sistemi genitourinario e riproduttivo, strutture correlate al movimento, cute e strutture correlate. 9

10 Attività personali Le attività personali fanno riferimento all attività e all esecuzione di un compito o di un azione da parte di un individuo. Le limitazioni dell attività sono le difficoltà che un individuo può incontrare nello svolgimento delle varie attività. L ICF-CY prevede che ogni attività possa essere descritta con due qualificatori per: capacità: ossia l abilità di eseguire un compito o un azione senza l influsso, positivo o negativo, di fattori contestuali ambientali e/o personali; performance: ossia l abilità di eseguire un compito o un azione con l influsso, positivo o negativo, di fattori contestuali ambientali e/o personali. La sezione «Attività personali» comprende le seguenti aree. Apprendimento e applicazione delle conoscenze: questa parte riguarda le esperienze sensoriali intenzionali come guardare e ascoltare, l apprendimento di base, l applicazione delle conoscenze acquisite, pensare, risolvere problemi e prendere decisioni. Compiti e richieste generali: questa parte riguarda gli aspetti generali dell eseguire compiti singoli o articolati, organizzare la routine e affrontare lo stress. Gli item di questa sezione possono essere usati in congiunzione con compiti o azioni più specifici per identificare le caratteristiche sottostanti all esecuzione dei compiti in circostanze diverse. Comunicazione: riguarda le caratteristiche generali e specifiche della comunicazione attraverso il linguaggio, i segni e i simboli, inclusi la ricezione e la produzione di messaggi, sostenere una conversazione e usare strumenti e tecniche di comunicazione. Mobilità: riguarda il muoversi cambiando posizione del corpo o collocazione o spostandosi da un posto all altro, portando, muovendo o manipolando oggetti, camminando, correndo o arrampicandosi e usando vari mezzi di trasporto. Cura della propria persona: riguarda la cura di sé, lavarsi e asciugarsi, occuparsi del proprio corpo e delle sue parti, vestirsi, mangiare e bere, prendersi cura della propria salute. Vita domestica: riguarda l esecuzione di azioni e compiti domestici e quotidiani. Le aree della vita domestica includono: procurarsi un posto in cui vivere, cibo, vestiario e altri beni di prima necessità, pulire la casa, sistemare e aver cura degli oggetti personali, ecc. Interazioni e relazioni interpersonali: riguarda l esecuzione delle azioni e dei compiti richiesti per le interazioni semplici e complesse con le persone (estranei, amici, parenti, membri della propria famiglia, partner e persone amate) in un modo contestualmente e socialmente adeguato. Partecipazione sociale La partecipazione è il coinvolgimento attivo in una normale situazione di vita integrata. Le restrizioni della partecipazione sono i problemi che un individuo può incontrare nel coinvolgimento nelle normali situazioni di vita. Ogni ambito di partecipazione può essere descritto con gli stessi due qualificatori di capacità e performance della sezione «Attività personali». La sezione «Partecipazione sociale» comprende: Aree di vita principali: questa parte riguarda lo svolgimento dei compiti e delle azioni necessarie per impegnarsi nell educazione, nel gioco, nel lavoro e nell impiego e nelle questioni di gestione economica. Vita sociale, civile e di comunità: questa parte riguarda le azioni e i compiti richiesti per impegnarsi nella vita sociale fuori dalla famiglia, nella comunità, in aree della vita comunitaria, sociale e civile. 10

11 Fattori contestuali ambientali I fattori contestuali ambientali costituiscono gli atteggiamenti, l ambiente fisico e sociale in cui la persona vive. I qualificatori, in questa sezione, indicano il grado in cui un fattore ambientale rappresenta un «facilitatore» o una «barriera». Appartengono a questa sezione: Prodotti e tecnologia: i prodotti o sistemi di prodotti, naturali o fatti dall uomo, gli strumenti e la tecnologia esistenti nell ambiente circostante di un individuo, che vengono raccolti, creati, prodotti e fabbricati (ogni prodotto, strumento, apparecchiatura o tecnologia adattato o progettato appositamente per migliorare il funzionamento di una persona con disabilità). Ambiente naturale e cambiamenti effettuati dall uomo: gli elementi animati e inanimati dell ambiente naturale o fisico, e le parti di quell ambiente che sono state modificate dall uomo, così come le caratteristiche delle popolazioni umane all interno di quell ambiente. Relazioni e sostegno sociale: le persone o gli animali che forniscono sostegno concreto fisico o emotivo, nutrimento, protezione, assistenza, e riguarda anche le relazioni con altre persone, nella loro abitazione, nel luogo di lavoro, a scuola, nel gioco, o in altri aspetti delle loro attività quotidiane. Atteggiamenti: gli atteggiamenti che sono le conseguenze osservabili di costumi, pratiche, ideologie, valori, norme, convinzioni razionali e convinzioni religiose. Questi atteggiamenti influenzano il comportamento individuale e la vita sociale a tutti i livelli, dalle relazioni interpersonali e associazioni comunitarie alle strutture politiche, economiche e giuridiche; gli atteggiamenti individuali o della società nei riguardi dell affidabilità e del valore di una persona possono, ad esempio, motivare pratiche positive, onorifiche o invece pratiche negative e discriminanti (ad esempio stigmatizzazione, stereotipizzazione e marginalizzazione o abbandono della persona). Servizi, sistemi e politiche: servizi che forniscono programmi strutturati e interventi in vari settori della società, pensati al fine di rispondere alle necessità degli individui; sistemi che sono meccanismi amministrativi di controllo e organizzativi, e sono stabiliti a livello locale, provinciale, nazionale e internazionale, dai governi o da altre autorità riconosciute; politiche costituite da regole, ordinamenti, convenzioni e norme stabiliti a livello locale, provinciale, nazionale e internazionale, dai governi o da altre autorità riconosciute. Fattori contestuali personali I fattori contestuali personali sono il background personale della vita e dell esistenza di un individuo e rappresentano quelle sue caratteristiche individuali che non fanno parte della condizione fisica. Questi fattori comprendono il sesso, l etnia, l età, lo stile di vita, modelli di comportamento generali e stili caratteriali. Questa dimensione della Diagnosi funzionale è della massima importanza, perché ci permette di conoscere più da vicino una serie di aspetti psicologici e comportamentali che influenzano in modo talvolta determinante il benessere psichico dell alunno, il suo apprendimento e le sue possibilità di una socializzazione soddisfacente. Alcuni di questi aspetti sono di immediata percezione da parte dell insegnante, altri vanno invece analizzati utilizzando specifici strumenti di valutazione o avvalendosi della collaborazione di uno psicologo. In ogni caso questa area completa e «umanizza» la Diagnosi funzionale, che finora si era rivolta alla descrizione della situazione biomedica, dei livelli di sviluppo e delle attività personali, della partecipazione e dei fattori contestuali ambientali. Questa «umanizzazione» prende le forme di una valutazione dell immagine di sé come persona che apprende, immagine che l alunno ha sviluppato nel tempo, dei suoi atteggiamenti e idee sul suo lavoro scolastico, del suo senso di autoefficacia e livello di 11

12 autostima, della sua identità autonoma, della sua affettività ed emotività, della sua motivazione, della sua maturità relazionale ed eventualmente dei suoi comportamenti problematici. L alunno viene qui considerato come una persona complessa dal punto di vista psicologico e non più solo come una persona che sa o non sa fare le cose che ci aspettiamo da lei. Nel nostro modello di Diagnosi funzionale si è quindi voluto privilegiare il ruolo di alcuni aspetti psicologici, affettivi e comportamentali, e in particolare: stili di attribuzione; autoefficacia; autostima; emotività; motivazione; comportamenti problema. La nostra attenzione ai fattori contestuali si può concretizzare in due modi (Ianes e Macchia, 2008): 1. descrizione generale delle valenze positive o negative dei vari fattori (quando applicabili naturalmente!) per farne un profilo globale dei contesti e dell influenza che hanno sul complesso di capacità e sulla situazione del soggetto; 2. connessione specifica e puntuale di alcuni fattori contestuali (con le valenze facilitanti o ostacolanti) con alcune aree di Attività o Partecipazione. Ad esempio, descrivendo o valutando l area della comunicazione, potremo aggiungere le considerazioni sul ruolo facilitante per il linguaggio espressivo non verbale di alcuni ausili tecnologici per la comunicazione (Prodotti e tecnologia) e di una forte autostima, particolarmente nelle aree familiare e interpersonale (Fattori contestuali personali: autostima). La connessione tra Diagnosi funzionale e attività di insegnamento: il lavoro del Profilo dinamico funzionale In questo secondo momento del Piano educativo individualizzato si effettuano alcune importanti operazioni rispetto ai dati emersi dalla Diagnosi funzionale. In primo luogo occorre identificare gli obiettivi che si potranno concretamente inserire in una programmazione reale di attività scolastiche. Sulla base di questa selezione, gli obiettivi a medio e breve termine verranno integrati nelle attività e nella programmazione della classe, e verranno definite delle attività concrete di insegnamento sulla base anche della conoscenza di determinate tecniche educative/didattiche. Ciò significa organizzare delle sequenze di obiettivi a breve termine, con incrementi molto graduali di difficoltà, utilizzando le metodologie di adattamento, di analisi del compito e altre tecniche di facilitazione. Nel Profilo dinamico funzionale si trovano dunque le linee concrete di prospettiva, e cioè quello che si vorrà raggiungere, espresso in obiettivi a lungo, medio e breve termine. Il Profilo dinamico funzionale funge quindi da strumento di raccordo tra la conoscenza dell alunno, prodotta dalla Diagnosi funzionale educativa, e la definizione di attività, tecniche, mezzi e materiali per la prassi didattica di ogni giorno. Ciò in pieno accordo con quanto sancito dall Intesa della Conferenza Unificata Stato- Regioni-Province-Comuni del 20 marzo 2008, secondo cui la Diagnosi funzionale va a includere anche il Profilo dinamico funzionale e diventa così, in coerenza con i principi ICF, un vero e proprio Profilo di funzionamento della persona. La Diagnosi funzionale produce solitamente una notevole quantità di dati: medici, familiari, sociali, sulla situazione evolutiva e sulle competenze dell alunno rispetto agli obiettivi della classe, sulle sue caratteristiche psicologiche, emotive e relazionali, e sugli eventuali comportamenti problematici. Questi dati provengono da valutazioni mediche, relazioni degli assistenti sociali, incontri con i genitori, i terapisti della riabilitazione, i logopedisti, gli psicologi; provengono inoltre dall osservazione diretta degli insegnanti all inizio dell anno scolastico, da precedenti valutazioni e dalla somministrazione di test, verifiche e prove oggettive. Tutti questi dati spesso si accumulano in modo disordinato, senza collegamenti significativi fra di loro, e da queste informazioni frammentarie, più o meno precise e oggettive, si fa 12

13 fatica a ricomporre e integrare l unità globale e unica di quell alunno, con la sua situazione e la sua storia. Le operazioni del Profilo dinamico funzionale dovrebbero quindi aiutarci a ricostruire, dai dati della Diagnosi funzionale, una sintesi integrata che ci permetta di comprendere le caratteristiche dell alunno, trasformandole in obiettivi a breve, medio e lungo termine. Come si può notare, questa nostra proposta riguardo al Profilo dinamico funzionale introduce elementi diversi rispetto all articolo 4 («Profilo dinamico funzionale») dell Atto di indirizzo e coordinamento alle Aziende Sanitarie Locali del febbraio La concezione di profilo che traspare dall Atto di indirizzo, infatti, ci lascia perplessi per diversi motivi. Vi è spesso un riferimento «prognostico»: ad esempio, nel comma 1, dove si legge che il profilo «indica [...] il prevedibile livello di sviluppo che l alunno in situazione di handicap dimostra di possedere nei tempi brevi (sei mesi) e nei tempi medi (due anni)»; oppure, nel comma 2, «descrive in modo analitico i possibili livelli di risposta dell alunno in situazione di handicap riferiti alle relazioni in atto e a quelle programmabili»; e, nel comma 3, «comprende [...] l analisi dello sviluppo potenziale dell alunno a breve e medio termine». Un espressione ricorrente è quella di «potenzialità», sul cui significato possono nascere diversi dubbi. È ovviamente importante che nel profilo vi sia un ottica positiva, che metta in evidenza le capacità dell alunno e stimoli a promuovere sviluppo e crescita, al di là di un ottica patologica e legata al pessimismo del deficit. Ma non è certo con queste concezioni «prognostiche», ancora molto legate a una concezione medica, che si rende operativa in senso pedagogico e didattico quest ottica positiva. Che senso ha parlare di «prevedibile livello di sviluppo» che l alunno «dimostra di possedere»? Come si può dimostrare di possedere un... prevedibile livello di sviluppo? Lo sviluppo, come ognuno sa, dipende da un gran numero di fattori in relazione reciproca, che risiedono nella persona, nell ambiente, nell interazione di questi due elementi e nelle rappresentazioni che di questi elementi si fanno i soggetti stessi (si pensi, per quest ultimo punto, alla fiducia che può avere o non avere l insegnante rispetto alle possibilità del suo alunno). Come si può prevedere l esito di tutto questo (che non si conosce ) soltanto dopo un primo periodo di «inserimento» scolastico? Crediamo che non abbia senso cercare di prevedere il futuro, ma che sia essenziale cercare invece di costruirlo, giorno dopo giorno, con attività concrete, mirate a precisi obiettivi. Dove si arriverà, quali saranno «i possibili livelli di risposta» non lo sa nessuno, e concentrarsi in questo sforzo prognostico può essere addirittura controproducente, se induce aspettative riduttive. Nella nostra proposta (Ianes e Cramerotti, 2009) si abbandona il concetto di «potenzialità esprimibile» e si introduce invece quello di obiettivi a lungo, medio e breve termine. Si cerca cioè di superare quella concezione «prognostica» di profilo, per definire una serie di operazioni che si fondino su una concezione pedagogica e psicologica moderna, sulle metodologie più accettate di programmazione didattica, che siano di reale e immediata utilità per gli insegnanti impegnati nell integrazione scolastica. Se si è cercato di rendere più pedagogica e allargata la Diagnosi funzionale, a maggior ragione la stessa logica va riproposta in questa fase, che dovrebbe essere il ponte essenziale per la definizione di attività concrete di insegnamento. Nella nostra proposta, il Profilo dinamico è un processo a quattro fasi (vedi tabella 1), che trasforma i dati della Diagnosi funzionale in obiettivi a breve termine rispetto a precise priorità. Ma non è solo questo: nella prima fase si cerca di introdurre un elemento del tutto trascurato nel profilo ministeriale e cioè la sintesi significativa e il coordinamento dei dati raccolti, con lo scopo di capire meglio la situazione dell alunno e proporgli un programma di lavoro realmente rispondente ai suoi bisogni speciali. 13

14 TABELLA 1 Le fasi operative e le funzioni svolte dal Profilo dinamico funzionale Fonte: Ianes e Cramerotti, 2009 FASE 1: Sintetizzare in modo significativo i risultati della Diagnosi funzionale La grande quantità di informazioni che sono state raccolte da tante fonti vengono confrontate tra di loro e sintetizzate nelle aree significative del modello ICF (condizioni fisiche, funzioni e strutture corporee, attività personali, ecc.). Le informazioni dovrebbero essere sintetizzate e integrate attorno a quattro poli principali: 1.punti di forza, cioè livello raggiunto, abilità possedute adeguatamente («capacità» ICF); 2.punti di forza, livelli raggiunti, abilità manifestate grazie alla mediazione positiva di fattori contestuali («performance» ICF; specificando il ruolo giocato dalla mediazione positiva o negativa dei fattori contestuali); 3.deficit, cioè carenza, mancanza, incapacità o sviluppo inadeguato rispetto ai criteri e alle aspettative; 4.relazioni di influenza e di mediazione tra vari ambiti di funzionamento dell alunno. Se pensiamo alla persona umana come a un essere caratterizzato dal più alto grado di integrazione e interconnessione di aspetti e caratteristiche, dobbiamo tentare di individuare alcune di queste relazioni, soprattutto quelle più utili per gli obiettivi dell integrazione scolastica. FASE 2: Definire gli obiettivi a lungo termine Da questi quadri sintetici si ricavano gli obiettivi a lungo termine, quelli cioè che «idealmente» ci piacerebbe raggiungere in una prospettiva temporale che si potrebbe collocare dall uno ai tre anni. Nella prospettiva del Progetto di vita, questa dimensione temporale si può dilatare notevolmente, arrivando a definire obiettivi anche in dimensioni esistenziali dell età adulta. Si potrebbe dire che in questa fase della stesura del Profilo dinamico funzionale si definiscono gli obiettivi «teorici», cioè tutti quelli che legittimamente derivano dalla sintesi riportata precedentemente. Gli obiettivi possono derivare dal deficit, e si pongono comunque come capacità o performance. Una gamma dunque di possibili obiettivi, all interno della quale si dovranno operare una valutazione e una scelta per concentrare le nostre energie su quelli ritenuti prioritari. FASE 3: Scegliere gli obiettivi a medio termine In questa fase vengono scelti tra gli obiettivi a lungo termine quelli a medio termine, da raggiungere cioè nell arco di alcuni mesi o di un anno scolastico. Si passa cioè dall obiettivo a lungo termine, teoricamente adeguato, considerati i deficit e le abilità evidenziati nella Diagnosi funzionale, all obiettivo effettivo, quello cioè su cui si inizia a lavorare e per il quale si deve cominciare a pensare quali materiali, tecniche e interventi saranno più efficaci. FASE 4: Definire gli obiettivi a breve termine e le sequenze di sotto-obiettivi In moltissimi casi, aver definito una buona serie di obiettivi a medio termine non esaurisce questa fase di programmazione; c è infatti bisogno di semplificarli, ridurne la complessità e scomporli in sotto-obiettivi che facilitino l apprendimento. In molti casi si deve lavorare sugli obiettivi a medio termine, per ricavarne sequenze facilitanti di obiettivi più accessibili, da presentare immediatamente al nostro alunno. Vi sono diversi metodi per costruire sequenze di sotto-obiettivi facilitanti; qui di seguito ricordiamo brevemente i tre più utilizzati. 1. Ridurre le difficoltà dell obiettivo semplificando le richieste di corretta esecuzione Un obiettivo può essere portato più vicino ai livelli attuali di competenza dell alunno se riusciamo a ridurne la difficoltà attraverso una modifica dei criteri di corretta esecuzione, quali ad esempio l accuratezza, la velocità di azione, l intensità, la durata e la frequenza ottimale di emissione di un determinato comportamento. Questa semplificazione sta alla base della tecnica di insegnamento che va sotto il nome di shaping (modellaggio). 2. Ridurre la difficoltà dell obiettivo attraverso l uso degli aiuti necessari e sufficienti Un obiettivo può essere reso più accessibile anche attraverso l uso accorto e pianificato di aiuti, di cui andranno forniti solo quelli necessari e sufficienti, né di più né di meno, per non correre il rischio di creare dipendenza e passività dando troppi aiuti. 3. Ridurre la difficoltà dell obiettivo attraverso l analisi del compito (task analysis) 14

15 L analisi del compito permette di scomporre un obiettivo sia in senso sequenziale-descrittivo, elencando le serie di risposte singole che compongono quel compito, sia in senso strutturalegerarchico, individuando le abilità più semplici e prerequisite che costituiscono la struttura di base di quell obiettivo e che vanno costruite per prime, appunto in ordine gerarchico. Entrambe queste modalità ci consentono di costruire sequenze di sotto-obiettivi più graduali in termini di difficoltà e perciò più facilitanti. In conclusione, ripercorriamo le varie operazioni e fasi attraverso cui abbiamo costruito il Profilo dinamico funzionale: dapprima abbiamo sintetizzato i risultati della Diagnosi funzionale, riducendoli organicamente attorno ai concetti unificanti di «capacitàperformance», «deficit» e «relazioni di influenza»; come operazione successiva abbiamo ricavato una serie di obiettivi potenziali a lungo termine, di abilità e cambiamenti adattivi che idealmente ci piacerebbe raggiungere con quell alunno; subito dopo però abbiamo ridotto le nostre «pretese», scegliendo una serie più accessibile di obiettivi a medio termine, cercando di definirli attraverso la mediazione di esigenze diverse; questi obiettivi sono stati poi ulteriormente scomposti e analizzati in obiettivi a breve termine, organizzati in alcuni casi addirittura in sequenze facilitanti di sotto-obiettivi graduati per difficoltà crescente. A questo punto abbiamo le idee molto più chiare sul percorso da seguire e soprattutto sappiamo perché andiamo in un certo luogo piuttosto che in un altro. Siamo pronti allora a definire modi concreti per aiutare il nostro alunno in questo viaggio, con attività specifiche di insegnamento, sia che si tratti di adattamenti e modifiche di ciò che viene fatto da tutti i suoi compagni in classe, sia che si tratti di materiali e attività più specifici. Ci rimangono a questo punto da definire i mezzi concreti che useremo per far compiere quel viaggio al nostro alunno. E allora vediamo il terzo elemento del PEI-Pdv. Le attività, i materiali e i metodi di lavoro In questa terza parte del PEI-Pdv si elaborano soluzioni operative nella dinamica insegnamento-apprendimento per favorire il raggiungimento degli obiettivi definiti nel Profilo dinamico funzionale. In primo luogo si identificheranno gli spazi, i tempi, le persone e le altre risorse materiali, organizzative, strutturali e metodologiche che serviranno per realizzare attività didattiche, educative e di stimolazione. Si pensi ai materiali specifici, all adattamento dei testi scolastici e dei materiali didattici, all uso di luoghi (ad esempio, le uscite in ambienti reali del quartiere), alle tecniche didattiche (ad esempio quelle metacognitive) che in alcuni casi sono necessarie per superare determinate difficoltà di apprendimento. Altre tecniche specifiche che vanno certamente ricordate in questo contesto sono quelle che stanno alla base del processo di insegnamento-apprendimento e, in particolare, quelle che fanno riferimento all approccio cognitivo-comportamentale (come ad esempio l analisi del compito, l uso degli aiuti, delle facilitazioni e dei rinforzi, le tecniche di apprendimento senza errori, i modelli competenti, le strategie di generalizzazione e mantenimento, l Applied Behavior Analysis, ecc.), tutte quelle metodologie innovative che prevedono il coinvolgimento attivo del gruppo dei pari (ad esempio nell apprendimento cooperativo e nel tutoring) e le tecniche psicoeducative nella gestione dei comportamenti problema. Non dobbiamo dimenticare poi l importanza di altre «cornici» di riferimento decisamente fondamentali, ossia la cornice relazionale, al cui centro si colloca la qualità della relazione insegnante-alunno, e la cornice affettiva, orientata verso un attenzione continua alle emozioni, agli stati d animo e ai sentimenti, fattori che tutti insieme contribuiscono ad arricchire profondamente i processi di insegnamento-apprendimento. Nel nostro agire educativo-didattico quotidiano, qualunque siano gli obiettivi che cerchiamo di raggiungere, dobbiamo quindi sempre muoverci su quattro piani distinti ma strettamente 15

16 interconnessi tra loro: la relazione con l alunno, la dimensione affettiva, la dimensione didattica organizzata in concrete attività orientate da precise metodologie di riferimento e la gestione «microscopica», molecolare delle dinamiche di comunicazione e mediazione didattica rispetto al raggiungimento di obiettivi specifici nelle varie aree di funzionamento dell alunno e degli apprendimenti disciplinari (Ianes e Cramerotti, 2009). Gli insegnanti hanno quindi bisogno di un repertorio ampio di attività, situazioni, modelli di lavoro, sequenze di obiettivi articolate per difficoltà crescente e che si siano dimostrate efficaci. Utilizzando ancora l immagine del viaggio, in questo terzo elemento del Piano educativo individualizzato dovremo trovare dunque i mezzi di trasporto che ci consentono di effettuare concretamente quei percorsi di obiettivi. È evidente che uno stesso itinerario può essere compiuto in molti modi differenti; allo stesso modo, un obiettivo può essere raggiunto con diversi mezzi e materiali didattici in funzione delle caratteristiche dell alunno, delle risorse della situazione e della nostra competenza e preferenza didattica. Nel pluralismo delle possibilità operative, fatta salva la correttezza deontologica e la validità metodologico-scientifica, solo la fantasia e la motivazione dell insegnante possono porre dei limiti alla varietà delle proposte. In questo materiale di studio, riteniamo utile approfondire, in modo particolare, due filoni di strategie che, dato il loro carattere fortemente trasversale possono essere applicati in vari contesti educativo-didattici e in varie situazioni (Ianes, 2006). Strategie base di insegnamento-apprendimento Verranno innanzi tutto discusse alcune strategie educativo-didattiche «di base» tratte dalle sperimentazioni nell ambito dell analisi del comportamento (Applied Behavior Analysis ABA). Attualmente l approccio neocomportamentale è un ambito operativo e di ricerca molto ampio che include varie tecniche educative e di insegnamento e diverse metodologie di intervento. In ogni sua applicazione o ramificazione si trova ben in evidenza la necessità di fondare sistematicamente gli interventi sui dati della ricerca empirica e di rivolgersi primariamente al comportamento osservabile, attualmente manifestato dal soggetto, e ai fattori controllabili che contribuiscono al suo mantenimento ed alla sua evoluzione. Di notevole importanza è anche il costante uso di procedure sistematiche e oggettive di valutazione dei cambiamenti comportamentali prodotti (Ianes, 2006). Questo approccio definisce dunque come oggetto appropriato di intervento il comportamento attuale del bambino (sia nei suoi aspetti problematici, che in quelli deficitari rispetto allo sviluppo delle varie abilità), pur riconoscendo naturalmente che gli eventi della storia passata e i processi genetici e organici hanno in molti casi giocato un ruolo determinante. Molti di questi fattori però non possono essere più modificati e soltanto l ambiente di stimolo circostante e lo stato attuale dell organismo (nei suoi aspetti di comportamento e di elaborazione delle informazioni, oltre che di vissuto emotivo) possono essere in qualche misura coinvolti per facilitare l apprendimento di abilità adattive e comportamenti adeguati. Il ruolo dell insegnante, dell educatore e del genitore diventa allora quello di far acquisire comportamenti più adattivi e di organizzare l ambiente in modo che esso sia naturalmente rinforzante per i nuovi comportamenti appresi, che così saranno maggiormente mantenuti ed impiegati nel tempo. L operatore che usa l approccio comportamentale assume inoltre, quasi sempre, un chiaro e attivo ruolo educativo e di supporto nei confronti dei genitori, e più in generale della famiglia del bambino con difficoltà. Verranno qui di seguito presentate le principali tecniche speciali per lo sviluppo e l insegnamento di abilità, dal momento che esse costituiscono l ossatura centrale e primaria di questo approccio. 16

17 La «task analysis» (analisi del compito) Molto spesso nell insegnamento ad alunni con Bisogni Educativi Speciali gli obiettivi, che vengono definiti in base ad una prima operazione di valutazione delle abilità possedute e dei deficit, devono essere ridotti ed organizzati in sequenze graduali per difficoltà, che riescano a facilitarne l apprendimento. L analisi del compito è un insieme di metodi che consente di scomporre in sotto-obiettivi più semplici e accessibili un compito-obiettivo inizialmente troppo complesso per essere proposto nella sua totalità anche con le facilitazioni descritte nel capitolo precedente (Ianes, 2006). Una metodologia di task analysis, in genere la prima che si utilizza, va sotto il nome di «descrizione del compito» ed è stata definita come l identificazione e la descrizione sistematica di tutti i movimenti e le risposte che compongono le sequenze ottimali dell esecuzione efficace ed efficiente di un compito. Questa elencazione dei singoli comportamenti motori, verbali o cognitivi, deve rispettare esattamente la sequenza temporale in cui devono essere emessi e può essere raffigurata graficamente con il metodo del diagramma di flusso. Con questa metodologia descrittiva un compito può essere scomposto in unità di risposta abbastanza ampie oppure in micro-unità, non ulteriormente riducibili in modo semplice. Tale definizione molto dettagliata si esegue su obiettivi particolarmente difficili, che hanno un grande rischio di errore, e che perciò devono essere analizzati in modo molto accurato, al fine di trarne indicazioni utili per la valutazione iniziale della performance dell alunno e per la successiva programmazione dell insegnamento. In questa descrizione vengono individuati anche i processi decisionali che il soggetto dovrebbe consapevolmente eseguire per scegliere tra l esecuzione dei diversi comportamenti possibili (Ianes, 2006). In questo modo, una descrizione completa del compito comprenderà le risposte del soggetto, gli indizi percettivi discriminativi ed i processi cognitivi decisionali: tale sequenza può servire come base per una valutazione specifica dei livelli di abilità, come contenuto per una serie di auto-istruzioni o strategie autoregolative metacognitive o per l impiego di altre tecniche di aiuto (prompting) verbale. A questo punto è possibile introdurre una seconda metodologia di task analysis, ovvero l individuazione delle abilità componenti e prerequisite al compito, che nel livello precedentemente illustrato, è stato descritto in senso sequenziale. Si cerca cioè di identificare le varie abilità il cui possesso sia un requisito indispensabile per l esecuzione del compito (abilità componenti) e per il suo apprendimento iniziale (abilità prerequisite). Sia nel caso della descrizione che in quello della scomposizione di un compito complesso nelle sue abilità componenti e prerequisite, l insegnante sta definendo una serie di sottoobiettivi sequenziali, per facilitare con un percorso molto graduale in termini di difficoltà l apprendimento dell alunno. Le tecniche di "prompting" e di "fading" L acquisizione di un abilità è facilitata anche dall uso di istruzioni, aiuti gestuali, esempi e modelli ed altri stimoli aggiuntivi di vario genere (prompts). Si possono considerare prompts tutti «gli eventi di stimolo» che facilitano il soggetto che apprende nell iniziare l emissione della risposta desiderata o di una sua approssimazione positiva, in modo che possa poi sperimentare un risultato gratificante. Il comportamento positivo può essere aiutato in molti modi: guidando fisicamente la risposta del soggetto, con istruzioni verbali specifiche sull azione attesa, indicando l elemento che dovrebbe essere scelto, mostrando attraverso un modello competente l esecuzione adeguata delle risposte, aggiungendo immagini o figure esplicative, oppure enfatizzazioni delle caratteristiche distintive visive in compiti di discriminazione (si tenga sempre presente la discussione sull adattamento degli obiettivi fatta nel capitolo precedente). 17

18 Questi ed altri esempi di aiuto possono definirsi forme di prompting solo se possiedono due caratteristiche essenziali: essere efficaci, produrre cioè un effetto di decisa facilitazione sulla risposta corretta, ed essere poi progressivamente ridotti, sparire cioè gradualmente dalla situazione di stimolo che viene presentata al soggetto, la quale, più o meno lentamente, ritorna al suo stato normale, senza più nessuna aggiunta di prompts artificiali. I più diffusi modi per realizzare il fading sono: riduzione graduale dell aiuto inizialmente dato attraverso guida fisica diretta che diventa via via fornito solo da istruzioni verbali (particolarmente utile nell insegnamento di abilità di linguaggio ricettivo); attenuazione di intensità del modello o del prompt verbale; attenuazione di varie forme di enfatizzazione di alcuni elementi importanti delle istruzioni (alcuni verbi pronunciati in modo prolungato o particolare); attenuazione della ripetizione di alcune parole chiave contenute nelle istruzioni verbali; attenuazione e sparizione progressiva delle figure, dei colori o di altre forme di aiuto visivo introdotte come aggiunte facilitanti in compiti di discriminazione (Ianes, 2006). Le tecniche per l'apprendimento "senza errori" di abilità di discriminazione Le tecniche di insegnamento «senza errori» cercano di facilitare apprendimenti discriminativi di varia natura, senza però fare incorrere in errori il soggetto. Ciò è possibile con un accuratissima programmazione e «manipolazione» del materiale di stimolo che viene presentato al soggetto nel programma di insegnamento (Ianes, 2006). Il materiale visivo di stimolo viene realizzato introducendo massicciamente prompt costituiti da figure e vari richiami per l attenzione, come colori, o altre aggiunte grafiche (frecce direzionali, disegni, ecc.) (Ianes, 2006). La tecnica più nota è lo stimulus fading che consiste nell esagerazione di alcune caratteristiche fisiche dello stimolo discriminativo, quello che dovrà poi guidare la risposta di scelta, in modo che tale risposta corretta sia immediatamente facilitata in modo decisivo. Con questi alti livelli di aiuto, infatti, non è quasi possibile che l alunno commetta un errore: le abilità richieste per rispondere correttamente dovrebbero essere già presenti nel suo repertorio comportamentale e cognitivo. Questa enfatizzazione artificiale dello stimolo discriminativo si ottiene aumentandone la grandezza ed intensità (ad esempio, la parola corretta che deve essere riconosciuta un input verbale, viene presentata con caratteri e corpi tali da renderla immediatamente «attraente»), con un uso dell aggiunta di «sottolineature» ed indicazioni colorate (sui dettagli discriminativi, ad esempio, tra le diverse monete) aggiungendo stimoli «potenti» rispetto alla risposta attesa (figure familiari al bambino) e poi gradualmente tali modificazioni si dovranno ridurre fino a ritornare alla forma originale dello stimolo. Tra le tecniche di apprendimento senza errori troviamo anche lo stimulus shaping in cui lo stimolo con funzione di aiuto è una figura che viene progressivamente trasformata nello stimolo da imparare, generalmente una parola, una lettera o un numero di difficile discriminazione. Un altra tecnica di apprendimento senza errori, importante per quanto riguarda il processo di eliminazione degli stimoli-aiuto è il prompt-delay (presentazione sempre più differita nel tempo dello stimolo-aiuto). Nelle prime presentazioni del materiale stimolo, quello di aiuto (già ben noto al bambino) è fornito contemporaneamente a quello ancora da apprendere: ad esempio, la figura che rappresenta l oggetto (aiuto) e la parola scritta del nome di quell oggetto. In questo modo vengono praticamente annullate le possibilità di errore. Successivamente, lo stimolo di aiuto viene presentato dopo quello da apprendere, inizialmente con un intervallo di ritardo di pochi secondi, che però aumenta progressivamente sempre di più. Il bambino, dopo un certo numero di prove in cui ha avuto bisogno di attendere l arrivo del prompt, riuscirà così ad anticiparlo, rispondendo correttamente allo stimolo che prima non conosceva. 18

19 L'uso di modelli competenti (modeling) L apprendimento di nuove competenze attraverso la tecnica del modeling si basa sull apprendimento osservativo, che avviene quando il soggetto osserva un altra persona (il modello) che esegue il comportamento in questione. L osservatore guarda il modello che agisce, ma egli non emette direttamente nessuna risposta, nè riceve alcuna conseguenza diretta. Il comportamento desiderato è appreso solamente attraverso l osservazione «passiva» del modello. Per chiarire meglio gli effetti del modeling, è importante distinguere tra apprendimento e performance, intesa come emissione reale della risposta osservata. Quest ultima si ritiene possa essere acquisita nel repertorio di possibilità e «potenzialità» comportamentali dell alunno attraverso una codificazione cognitiva di ciò che egli osserva. Se invece l alunno modificherà in modo stabile e duraturo i suoi repertori comportamentali manifestati, allora si potrà parlare di apprendimento vero e proprio, e questo sarà in funzione delle conseguenze, rinforzanti o meno, che egli avrà sperimentato direttamente in contingenza ai suoi tentativi di imitazione. Rinforzamento positivo e motivazione estrinseca «di risultato» La tecnica senz altro più nota dell analisi del comportamento è il rinforzamento positivo sistematico, che si basa sul principio, fondamentale nel paradigma dell apprendimento operante, secondo cui un comportamento si rafforzerà, aumenterà cioè in frequenza e probabilità di emissione, se sarà seguito da un rinforzatore (positivo o negativo) vissuto dal soggetto che emette il comportamento. In ambito educativo e didattico sono state usate infinite varianti e applicazioni quasi esclusivamente del rinforzamento positivo, utilizzando vari tipi di premi e incentivi: rinforzi alimentari, oggetti, attività piacevoli, privilegi, rinforzi simbolici (sistemi di «economie» a punti, stelline, caselle colorate, adesivi, e così via), gratificazioni affettive come attenzione ed approvazione, feedback informativi di vario genere, ecc. Le tecniche di «shaping» e «chaining» Lo shaping è una classica tecnica comportamentale per lo sviluppo di comportamenti complessi, non presenti nel repertorio di abilità del bambino. Si attua tramite l aiuto ed il rinforzo sistematico di approssimazioni sempre più vicine al comportamento finale. Se un bambino, ad esempio, è molto timoroso e non parla mai in classe di sua spontanea volontà, l insegnante può decidere di usare lo shaping per sviluppare passo dopo passo una serie di comportamenti di partecipazione abbastanza complessi e, per il momento, ancora fuori portata di quel bambino. L insegnante può iniziare aiutando la partecipazione del bambino rivolgendogli una domanda molto semplice, che gli richiede un livello di capacità già stabilmente posseduto. In queste condizioni le probabilità di una risposta corretta e di un conseguente rinforzo sono molto alte. Una volta consolidato e reso frequente questo primo livello di partecipazione, l insegnante richiederà una seconda approssimazione alla meta, e cioè ad esempio rivolgerà una domanda non più solo a lui, ma assocerà anche un altro alunno, e così via. Lo shaping richiede una grande flessibilità e attenzione da parte dell insegnante, che dovrà cogliere anche progressi molto lievi, per rinforzarli positivamente, come, in questo caso, il semplice dirigersi dello sguardo e degli accenni di movimenti della bocca. In questo senso, lo shaping si avvicina di più a una «filosofia» generale di intervento, che non ad una tecnica ben precisa, come è invece il chaining (concatenamento). Il chaining è anch esso una classica tecnica comportamentale, derivata dagli studi di Skinner sull apprendimento operante. L obiettivo è lo stesso dello shaping, e cioè costruire un comportamento complesso, attualmente non presente nel repertorio di abilità, ma il metodo è radicalmente diverso. Nel chaining il comportamento finale viene descritto nei 19

20 suoi micro comportamenti con la task analysis, e diventa così simile ad una catena di unità di risposta singole e facilmente accessibili. L insegnante inizia poi con il proporre l ultimo anello di questa catena (concatenamento retrogrado), perché si ritiene che l ultimo componente del comportamento complesso sia il più rinforzante, essendo quello contiguo al rinforzamento naturale finale. Strategie di generalizzazione e mantenimento Le tecniche descritte nei paragrafi precedenti producono senz altro, se applicate correttamente e sistematicamente, dei risultati significativi e apprezzabili, ma ci dobbiamo anche porre due domande critiche per giudicare l effettivo successo delle procedure impiegate. I cambiamenti ottenuti si estendono anche a situazioni, contesti, persone o materiali diversi da quelli dove è o era attivo l intento originale, in modo tale che si possa affermare che vi è stata «generalizzazione dello stimolo»? E inoltre: i cambiamenti ottenuti si mantengono nel tempo, dopo che le condizioni speciali del programma di intervento originario si sono attenuate del tutto e interrotte? Nella pratica i due problemi si vengono quasi a sovrapporre, dal momento che l obiettivo sarà veramente raggiunto quando le nuove abilità saranno applicate in tutti quei vari contesti e per tutto il tempo in cui questo è necessario. Per questo motivo verranno descritte insieme le tecniche che si sono dimostrate utili per ottenere generalizzazione e mantenimento delle abilità acquisite. La prima strategia fa riferimento al portare il comportamento sotto il controllo di contingenze di rinforzamento che sono attive naturalmente nell ambiente reale di vita dell alunno. In questo modo le contingenze artificiali possono essere tranquillamente interrotte, dal momento che la stessa funzione è svolta ora da eventi regolarmente presenti nell ambiente. La generalizzazione avverrà inoltre con maggiore probabilità se si verifica un espansione del controllo che alcuni stimoli (quelli usati originariamente nell insegnamento) hanno sul comportamento positivo. Il bambino sarà dunque in grado di generalizzare se riconoscerà, in altri contesti o situazioni, degli aspetti di stimolo che gli consentiranno di assimilare questa nuova condizione a quella precedente. Ciò può avvenire con maggiore facilità se si introducono nell insegnamento un numero sufficiente di esemplari diversi della situazione stimolo, oppure vari insegnanti, o vari ambienti dove simulare le abilità, oppure se si insiste particolarmente sul lavoro con quello che viene definito il «caso generale», la situazione cioè che racchiude in sé quante più caratteristiche di tipicità, che poi si ritroveranno nelle varie situazioni naturali. La modificazione delle contingenze di rinforzamento può essere un altra strategia efficace per la generalizzazione e il mantenimento: ciò significa rendere il rinforzo positivo non sempre continuo e in rapporto immediato 1:1 con la risposta desiderata, ma gradualmente differito nel tempo dopo l esecuzione della risposta, dato in modo intermittente, dopo due, tre e via via sempre più risposte e soprattutto in maniera irregolare, di modo che siano sempre meno evidenti le contingenze originarie. Il trasferimento di abilità da un contesto all altro e la loro durata si possono ottenere anche con l uso, nel ruolo di facilitatori, aiutanti e tutor, di altri alunni, compagni del soggetto. Strategie metacognitive e di autoregolazione Un altro grande filone di didattica speciale riguarda la metacognizione e l autoregolazione consapevole. Nella didattica metacognitiva l attenzione dell insegnante non è tanto rivolta all elaborazione di materiali o metodi nuovi per «insegnare come fare a», quanto al formare quelle abilità mentali superiori di autoregolazione che vanno al di là dei «semplici» processi cognitivi primari (ad esempio, leggere, calcolare, ricordare, ecc.). Questo andare al di là della cognizione significa innanzitutto sviluppare nell alunno la consapevolezza di 20

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