OSSERVATORIO. In questo numero R IVISTA DELL'ASSOCIAZIONE I TALIANA DEGLI A VVOCATI PER LA F AMIGLIA E PER I M INORI 1 EDITORIALE

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1 R IVISTA DELL'ASSOCIAZIONE I TALIANA DEGLI A VVOCATI PER LA F AMIGLIA E PER I M INORI OSSERVATORIO In questo numero 1 EDITORIALE Il diritto all autodeterminazione nelle scelte di vita, di cura e di morte Bioetica e lotta al dolore 2 La Legge 12/2001: spunti di riflessione su bioetica e diritto 3 Il diritto della persona ad essere alleviata dalla sofferenza della malattia, tra progetti e realtà 5 Aboliamo i dolori forzati : campagna di informazione contro il dolore promossa da Cittadinanzattiva- Tribunale dei diritti del malato 5 Norme per agevolare l impiego dei farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore (L. 8/02/2001, n. 12) 7 Indizione della Giornata nazionale del sollievo (Presidenza del Consiglio dei Ministri, 24/05/2001) 7 La mozione del Consiglio della Regione Lombardia sulla regolamentazione dell uso medico della canapa indiana e dei suoi derivati (30/04/2002) 9 La delibera del Consiglio della Regione Toscana Linee guida assistenziali ed indirizzi organizzativi per lo sviluppo della rete di cure palliative (26/09/2000) 11 La lotta al dolore in Canada: Marijuana Medical Access Regulations (30/07/2001) 13 La lotta al dolore negli USA: la Corte Suprema degli Stati Uniti vieta la marijuana ai malati terminali (14/05/2001) Il diritto a morire 15 Stato vegetativo permanente e diritto all autodeterminazione della persona incapace 17 Eutanasia volontaria e direttive anticipate 19 Morte dignitosa e sospensione delle cure : profili di diritto penale italiano 20 I comitati etici ospedalieri 21 Il caso di Eluana Englaro e il decreto della Corte d Appello di Milano (26/11/1999) W W W. A I A F - A V V O C A T I. I T 26 Il testo del Parere della Commissione Veronesi su nutrizione e idratazione nei soggetti in stato di irreversibile perdita della coscienza (20/10/2000) 33 Le leggi sull eutanasia approvate da Olanda e dal Belgio (10/04/2001 e 28/05/2002) GIURISPRUDENZA CIVILE 40 Opponibilità al terzo del provvedimento di assegnazione della casa familiare Anno VII - n 3, nuova serie, trimestrale. Registr. presso il tribunale di Roma n.496 del Redazione: Galleria Buenos Aires 11, Milano, tel , fax osservatorio@aiaf-avvocati.it Stampa: Tipografia Fabrizio Grazini, v. Salicicchia 7, Viterbo Spedizione in abbonamento postale - Art.2 c.20.c, L. 662/96 - Filiale di Viterbo

2 AIAF OSSERVATORIO Anno VII - n 3, luglio-settembre 2002, nuova serie trimestrale. Registrazione Redazione Tribunale di Roma, n 496 del Galleria Buenos Aires 11, 20124, Milano tel.: fax: osservatorio@aiaf-avvocati.it web: Direttore responsabile Comitato di redazione Milena Pini Gian Ettore Gassani Carla Marcucci Marina Marino Antonina Scolaro Progetto grafico e impaginazione Stampa Spedizione Roberto Dimonte Tipografia Fabrizio Grazini via Salicicchia 7, Viterbo Abbonamento postale Art.2 c.20.c, L. 662/96 - Filiale di Viterbo

3 LUGLIO - SETTEMBRE 2002 EDITORIALE Il diritto all autodeterminazione nelle scelte di vita, di cura e di morte M ILENA PINI D edichiamo questo numero della rivista al tema dei diritti della persona che si trova in uno stato di grave e dolorosa malattia, e nella fase terminale della vita. Il progredire della scienza può oggi consentire il prolungamento della vita di una persona gravemente malata, ma ciò avviene spesso in condizioni di notevole sofferenza, e anche quando la persona non è più capace di esprimere il proprio parere o consenso. Il dibattito che si è aperto, con ritardo, in Italia, soprattutto a seguito di alcune pronunce di giudici inglesi e delle leggi sull eutanasia varate recentemente in Olanda e Belgio, pone in primo piano il diritto di autodeterminazione della persona nelle scelte di vita, di cure e terapie mediche, e di morte, tra limiti ed effettivo riconoscimento. Alla persona malata spetta il diritto di essere informata sul suo stato di salute, sull iter della malattia, sulle possibili cure e le loro conseguenze, al fine di esprimere il suo consenso, libero e consapevole. La volontà del malato deve essere rispettata, anche nel caso in cui si dichiari contrario a terapie, con la conseguenza di accelerare la morte. Le questioni aperte, sulle quali si discute e si cerca una soluzione, sul piano etico, medico, giuridico e religioso, sono molteplici: dalla lotta al dolore con l utilizzo di droghe leggere, al rifiuto dell accanimento terapeutico, all eutanasia. Viene messo in discussione anche il rapporto tradizionale tra medico e malato, dove il medico rappresenta ed impone al malato scelte etiche della collettività, che possono non essere condivise dal paziente. Si intravede quindi un nuovo e diverso rapporto tra medico e paziente, dove a questi è riconosciuto il diritto di scegliere il modo in cui affrontare la sofferenza, la fase terminale della vita e la morte, e al medico spetta il compito di assistere il malato nella sua scelta. In questa prospettiva anche la scelta estrema dell eutanasia diventa espressione della cultura della libertà e della consapevolezza. È proprio la crescita, tra i cittadini, di una maggior consapevolezza del proprio diritto a scegliere le cure e terapie, e a rifiutare l accanimento terapeutico, che sta ponendo tali questioni all attenzione del legislatore e degli operatori giuridici. Dopo una fase, segnata dalla direzione impressa dal Prof. Veronesi al Ministero della sanità, che ha portato all approvazione della legge 8 febbraio 2001, n. 12 Norme per agevolare l impiego dei farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore, e all istituzione di una Commissione di studio sullo stato vegetativo permanente, che ha definito l idratazione e la nutrizione artificiale delle persone in tale stato come trattamenti medici, con la conseguenza che si è riconosciuta la possibilità di assumere decisioni che portino alla legittima interruzione di tali trattamenti, si assiste oggi ad una inversione di tendenza a livello ministeriale. Il Prof. Francesco D Agostino, presidente dell Unione giuristi cattolici italiani e attuale presidente del Comitato nazionale di Bioetica, intervenendo al I Forum internazionale sulla qualità della vita e legalizzazione della morte, tenutosi a Roma il 23 e 24 luglio 2002, promosso da Cittadinanzattiva, si è dichiarato contrario a legiferare su questa materia, e richiamandosi all Enciclica papale del 1995 ha ribadito la sua incondizionata opposizione ad ogni azione che procuri la morte. La mancanza di una legislazione, sia civile che penale, in materia, inizia peraltro a sollecitare l iniziativa dei cittadini in sede giudiziaria. Nell intento di fornire un informazione il più possibile completa su questi temi, abbiamo ritenuto utile pubblicare su questo numero, in merito alla lotta contro il dolore, il testo della legge n. 12/2001, la mozione del Consiglio della Regione Lombardia sulla regolamentazione dell uso medico della canapa indiana e dei suoi derivati, la delibera del Consiglio della Regione Toscana sulle cure palliative, la legge varata in Canada sull uso terapeutico della marijuana e la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che invece la vieta. Il caso di Eluana Englaro e il decreto della Corte d Appello di Milano, introducono poi l ulteriore tema del diritto a morire, con le nostre riflessioni su bioetica, stato vegetativo permanente ed eutanasia. Per una conoscenza diretta e più approfondita di questi temi, pubblichiamo il documento della Commissione Veronesi su nutrizione e idratazione nei soggetti in stato di irreversibile perdita della coscienza e le leggi olandese e belga sull eutanasia, dove emerge l evidente preoccupazione da un lato di salvaguardare la vita umana e i suoi valori etici, e dall altra il diritto di libera e consapevole scelta della persona, o di chi la rappresenta, se si trova in stato di incapacità. La soluzione adottata in molti Paesi di riconoscere la validità delle direttive anticipate sui trattamenti terapeutici, sottoscritte dalla persona quando si trova ancora in stato di piena capacità, è oggetto di dibattito anche nel nostro Paese, ed è stata formulata come proposta di legge dalla Consulta di Bioetica di Milano, che pure pubblichiamo. 1

4 CONTRIBUTI AIAF OSSERVATORIO Bioetica e lotta al dolore La Legge 12/2001: spunti di riflessione su bioetica e diritto NICOLETTA M ORANDI * Con la legge 12/2001 sono state introdotte nel nostro Paese le norme sulla liberalizzazione della terapia del dolore, che consentono ai malati terminali di ottenere più facilmente dal medico curante antidolorifici a base di morfina. La delicata tematica appartiene alla più vasta materia della bioetica, termine con il quale si studiano, anche sotto il profilo giuridico, i comportamenti umani riguardanti la vita e la cura della salute, raffrontati da un lato con le possibilità offerte dal progresso medico - scientifico, dall altro con la necessità di salvaguardia degli interessi collettivi, nel rispetto dell art. 32 della Costituzione. Il quale come è noto sancisce la tutela della salute come diritto fondamentale sia dell individuo che della collettività, e dispone che in nessun caso la legge può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Il giurista studia dunque con la bioetica la ricerca di un limite, nuovo e diverso rispetto al passato, da apporre alla libertà dell individuo di disporre della propria vita e della propria salute. A tal fine è oggi necessario anche per l operatore del diritto interrogarsi ed indagare sul significato di salute, vita, uomo. Se, ad esempio, debba intendersi per vita solo quella biologica, o non anche (per qualcuno soprattutto o solo) quella relazionale; o se, ancora, il tema del dolore e della sofferenza, in determinate condizioni, incroci e debba misurarsi con quello della tutela della dignità umana, e dunque, in ultima analisi, in cosa consista il diritto alla vita e alla salute e quali debbano essere i limiti della portata dell intervento regolatore della legge. Ricordiamo, ad esempio, in proposito, che la Convenzione Internazionale sui diritti dell uomo e la biomedicina adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio di Europa il 19 novembre 1996, all art. 2 afferma in ogni caso l interesse dell individuo viene privilegiato rispetto agli interessi della scienza e della società ; e ancora, che il Patto Internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 66 ratificato e reso esecutivo in Italia con legge 881/97, dispone che nessuno può essere sottoposto senza il suo libero consenso, ad un esperimento medico-scientifico (art. 7). È dunque nell ambito di questa più vasta tematica che si inserisce la legge 12/2001 la quale interviene a modificare la disciplina sugli stupefacenti e sostanze psicotrope (DPR 9/10/90 n.309), consentendo agli operatori sanitari di somministrare in via terapeutica i farmaci analgesici oppiacei ai pazienti affetti da dolore severo in corso di patologia neoplastica o degenerativa (art.5 bis). Essa rappresenta, dunque, un significativo riconoscimento del diritto del malato a sottrarsi al dolore e alla sofferenza. Lontano da una possibile soluzione legislativa nel nostro Paese è invece il diverso, e certamente più difficile, tema della eutanasia, termine con il quale ci si riferisce alla possibilità per l individuo, di fronte a sofferenze non sopportabili, di decidere della propria morte. Il dibattito qui si fa evidentemente più aspro, tra una visione biologica e sacrale della vita, da un lato, ed un istanza di umanizzazione della morte e di attenzione alla qualità della vita, dall altro, che investe la natura della stessa funzione medica. Ricordiamo in proposito un importante documento delle Chiese Valdesi * avvocato, componente del Comitato Direttivo Centrale AIAF del 26/8/98 nel quale si afferma con forza l opinione secondo cui quando la vita è privata della possibilità dell esperienza del vivere e progettare, è senza futuro possibile, è limitata ad uno stato vegetativo, non può definirsi umana, perché essenza della vita dell uomo è appunto non solo vivere, ma vedersi e pensarsi, vivere. Cessata la vita biografica dovrebbe dunque potersi consentire di porre fine alla vita biologica. Medesime riflessioni si pongono in tema di richiesta di sospensione delle cure in caso di accanimento terapeutico, che si distingue, pur se sottilmente dalla c.d. eutanasia passiva. Appare evidente da queste brevi riflessioni che i principali nodi, sia giuridici che culturali, relativi ai temi trattati, riguardino, da un lato, la portata dei principi di autonomia e autodeterminazione dell individuo rispetto alla propria vita, interrogati anche con riferimento ai principi che sovraintendono la professione medica; dall altro, e comunque, le tecniche di espressione del consenso e dunque, della capacità di esprimere la propria volontà. Temi scottanti, che l AIAF, come Associazione presente in tutte le problematiche inerenti i rapporti familiari e la vita delle persone, non può non offrire allo studio e all attenzione dei propri associati. 2

5 LUGLIO - SETTEMBRE 2002 CONTRIBUTI Il diritto della persona ad essere alleviata dalla sofferenza della malattia, tra progetti e realtà ANTONINA SCOLARO * P reghiera ed esorcismo sono stati i primi tentativi messi in atto dall uomo per vincere il dolore che fiacca il corpo e debilita lo spirito; il dolore, che avvicina a Dio e purifica, è stato spesso oggetto di riflessione filosofica oltre ad essere naturalmente costante interesse terapeutico e scientifico. Il primo ad usare il termine anestesia fu Platone per indicare la mancanza di sensazioni in termini filosofici. Il dolore e la sofferenza, nell evoluzione umana, sono stati di volta in volta accettati con rassegnazione, combattuti con empirismo, saggezza o suggestione: la storia dei continui sforzi dell uomo per alleviare il dolore inizia dalla mitologia e si ritrova in tutte le epoche ed in ogni civiltà e cultura. Buddha invitava a riflettere sul fatto che la nascita si accompagna al dolore, il decadimento delle energie è doloroso, come la malattia e la morte. Doloroso è il connubio con ciò che è sgradevole, dolorosa la separazione da ciò che è piacevole ed anche i desideri insoddisfatti generano dolore. La rivoluzione copernicana nel trattamento del dolore è stata determinata dalla scoperta che nel paziente malato l organismo riduce la produzione delle endorfine e quindi l uomo è meno protetto rispetto al dolore e che gli oppiacei sono delle endorfine esogene, per cui per alleviare il dolore è utile e necessaria la somministrazione di farmaci, di oppiacei. Nonostante l attenzione mostrata sempre dall uomo e dalla ricerca scientifica per combattere il dolore, risale solo al 1954 la legge che ha istituito ufficialmente i Servizi di Anestesia negli ospedali italiani, sancendo all art. 1 che Il medico anestesista pratica direttamente sui malati sotto la propria responsabilità gli interventi per l anestesia, sorvegliando l andamento del trattamento; esprime il proprio motivato parere sulle condizioni del malato in relazione al trattamento anestetico e di tutto quanto possa essere richiesto nei riguardi del Servizio di Anestesia. Dopo la legge 685/75, che regolamentava l uso di tutte le sostanze stupefacenti e psicotrope in modo estremamente riduttivo e con un contesto di adempimenti burocratici * avvocato, componente il Comitato Direttivo Centrale AIAF di grossa portata, e dopo che nel 1980 l Organizzazione Mondiale della Sanità ha istituito l Ospedale senza dolore, era necessario un intervento legislativo al fine di attuare la depenalizzazione delle procedure legate alla terapia e al trasporto delle sostanze stupefacenti, intervento che si è realizzato con la legge Ventafridda-Veronesi. Tale legge costituisce un notevole passo avanti nella somministrazione dei medicinali a base di oppiacei per il trattamento in assistenza domiciliare dei malati in fase avanzata di malattia oncologica e da quelli affetti da sintomatologia dolorosa di tipo cronico. Nell ottobre 2000 la Commissione Veronesi, esprimendo un parere sulla Nutrizione e idratazione nei soggetti in stato di irreversibile perdita della coscienza ha sviluppato alcune considerazioni che possono considerarsi punti fermi nella terapia del dolore e cure palliative: Le regole giuridiche in materia di decisioni cliniche e di responsabilità professionale partono dalla necessità di individuare una giustificazione e, quindi, di regolare ogni intervento che venga compiuto su un corpo umano in ambito medico, sia esso di natura diagnostica o terapeutica, sia esso di natura chirurgica o farmacologica o strumentale, sia esso idoneo a risolvere la causa della malattia o, semplicemente, idoneo a consentire un adattamento di vita o alleviare il dolore.in tutti i casi però si tratta di interventi che vengono compiuti su un individuo umano e che, come tali, devono essere giustificati, poiché nessuno di tali interventi può in ragione di una sua qualità intrinseca, prescindere dall esistenza di una valida ragione che giustifichi l invasione della sfera corporea del soggetto interessato. In questa prospettiva, e in generale, anche per la palliazione o per la mera assistenza alla persona bisogna distinguere tra il dovere sociale di predisporre le condizioni e le strutture necessarie e di offrire quelle possibilità (palliazione, assistenza personale etc..) e la concreta attuazione di quegli atti di cura e di assistenza, che non possono che essere giustificati sulla base della volontà del diretto interessato o dell esistenza di altro obbligo correlato alla sua specifica persona. La regola fondamentale che governa il rapporto medico-paziente è, nel nostro ordinamento come negli altri paesi sviluppati, quella del consenso informato: la base di tale regola è il principio di autodeterminazione di ogni soggetto in ordine ai trattamenti da effettuarsi sulla propria persona. Nessun intervento medico può essere effettuato senza o contro la volontà del diretto interessato, anche se dalla mancata esecuzione dell intervento derivi un danno alla salute della persona. La rilevanza giuridica del tema è strettamente connessa a tematiche di grande attualità nella letteratura medica. Il parere, su questo argomento, di due medici che da anni si confrontano con il dolore, ci consente alcune interessanti riflessioni. Il Prof. Ugo Delfino, Libero Docente in Anestesiologia e rianimazione, Direttore della II Scuola di Specializzazione in Anestesiologia e Rianimazione dell Università degli Studi di Torino, che ha iniziato ad occuparsi della terapia del dolore fin dal 1967, rileva che negli anni 70 vi sono state importanti scoperte anatomiche e fisiologiche che hanno portato a comprendere che gli oppiacei possono combattere il dolore e soprattutto il dolore incoercibile, ma l uso degli oppiacei era totalmente precluso dalla normativa vigente e per combattere il dolore incoercibile le tecniche in uso prevedevano interventi invasivi che interessavano il midollo spinale o l ipofisi. Nonostante la maggiore attenzione mostrata oggi con l istituzione delle Commissioni Ministeriali, che si sono occupate e si occupano della terapia del dolore, molto resta ancora da fare. Per comprendere la reale portata dell inadeguatezza della situazione che viviamo oggi nei nostri ospedali - mi precisa il Prof. Delfino - è necessario avvicinarci un attimo all evoluzione che ha interessato il campo della lotta al dolore. La strategia antalgica è radicalmente mutata allorché nel 1973 è stato scoperto che i ricettori degli oppiacei sono collocati prevalentemente nel midollo spinale e nel sistema nervoso centrale; tale 3

6 CONTRIBUTI AIAF OSSERVATORIO scoperta ha consentito quindi di passare dalla neurolesione alla neuromodulazione; va tuttavia sottolineato che gli oppiacei non sono scevri da effetti collaterali (ad esempio possono fare insorgere problemi respiratori), il che ha posto un grosso problema in ordine alla responsabilità del medico che ha prescritto il farmaco. Nella pratica medica questo problema viene normalmente affrontato somministrando farmaci meno rischiosi (fans), con il risultato che le metodiche più moderne e più utili rimangono nel cassetto: oggi la morfina viene somministrata dai medici di base prevalentemente per bocca, ossia non tramite la via fisiologica ottimale (midollo spinale), e con un sovradosaggio di 1 a 200, ossia non viene applicata in concreto l innovativa scoperta della neuromodulazione. Nonostante l evoluzione scientifica in atto e gli importanti risultati già conseguiti, in vari Paesi con la terapia del dolore, il diritto del malato a trovare sollievo alla sofferenza non ha avuto in Italia piena attuazione, tanto che l Ospedale senza dolore è una realtà formale in quanto in ogni ospedale vi è un referente, ma non attuata in concreto. E dunque evidente che le leggi non sono sufficienti, se non supportate da una autentica volontà di cambiare le cose. Secondo il Prof. Delfino è necessario un programma urgente per formare gli operatori, medici ed infermieri, attraverso una adeguata istruzione universitaria; è necessaria l individuazione di indicatori di qualità dei percorsi assistenziali, indispensabili a mettere in funzione con i criteri più moderni strutture e reti di assistenza. Le Regioni oggi contano principalmente sul sostegno di un sistema di volontariato, occorre invece che i medici di base vengano più direttamente coinvolti, occorre istituire degli Hospices, sul modello inglese ed olandese, al fine di consentire al malato di poter vivere nella propria casa, ricevendo comunque cure ed assistenza adeguata al suo dolore, alla sua sofferenza ed alla sua dignità. La Prof. Dott. Elsa Margaria, dell Ospedale S. Anna di Torino, è considerata la maggiore esperta in Italia della analgesia applicata al parto. A suo parere, non esistono, a parte il generico diritto alla salute, norme giuridiche che garantiscano al paziente la terapia del dolore. Per quanto riguarda il dolore acuto (dolore postoperatorio, da trauma, da parto ecc.), è noto che la priorità del trattamento è volta principalmente a garantire la vita del paziente, non l assenza di dolore. Ne è dimostrazione il bassissimo consumo di analgesici riferito dai medici che si occupano di emergenza. Anche nei reparti ospedalieri la terapia antalgica viene generalmente demandata all intraprendenza del personale paramedico. Il dolore cronico (cosiddetto benigno, da cancro, da lesioni del S.N.C.) viene considerato ineluttabile e parte della malattia di base stessa. Si è maggiormente occupato del problema, da un punto di vista etico, il clero. Già nel 1957 Papa Pio XII sottolineava il dovere, da parte del medico, di combattere la sofferenza senza restrizioni; se è infatti lecito per l uomo riconoscere il proprio dolore come purificatore, non è diritto del medico formulare giudizi sulle sofferenze altrui. Dal punto di vista sanitario, vennero pubblicate per la prima volta nel 1986 le linee guida per il trattamento del dolore da cancro, da parte dell Organizzazione Mondiale della Sanità, a Ginevra. In Italia è del 20/4/2000 la circolare ministeriale inerente l uso della morfina per il trattamento dei malati terminali, ed è in data 16 novembre 2000 che il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge per disciplinare la somministrazione dei medicinali a base di oppiacei per il trattamento dei pazienti affetti da sintomatologia dolorosa cronica. Nel giuramento di Ippocrate (400 A.C.) era scritto: difenderò il mio paziente da ogni cosa ingiusta e dannosa, e anche ora non vi sono precisi riferimenti, nel codice deontologico dei medici a terapie per il dolore. Il risultato è che il dolore, primo e principale sintomo che porta il paziente dal medico, è ancora cartesianamente visto come un campanello di allarme, un sintomo da non trattare di per sé al fine di non ostacolare l iter terapeutico. Per questa ragione i pazienti quasi sempre utilizzano i farmaci analgesici con il sistema dell autoprescrizione e del passa-parola, non sapendo che i vari tipi di dolore possono essere leniti da farmaci diversi, e con tecniche e dosaggi specifici. A mio parere la cultura del dolore, attualmente inesistente, dovrebbe trovare la sua sede di impostazione e di applicazione più nelle Aule della Medicina, soprattutto del corso di laurea, che in quelle giuridiche. Il dolore infatti è un esperienza emotiva e personale, difficilmente razionalizzabile e quantizzabile. Il diritto alla salute, allo stare bene, ad essere affrancati dal dolore incoercibile è un diritto primario dell individuo, al quale l ordinamento giuridico non può non prestare l attenzione che richiede, non solo perché la salute è un bene tutelato dalla nostra Carta Costituzionale, ma anche in ragione delle ricadute che ha nella nostra società. Non si possono non condividere le opinioni tecniche espresse dal Prof. Delfino e dalla Prof. Margaria, circa la necessità di una migliore formazione, tuttavia non può prescindersi dalla necessità di principi normativi chiari, anche nell individuazione delle responsabilità. Se certamente è vero che la cultura del dolore dovrebbe trovare impostazione ed applicazione nelle Aule di Medicina, è parimenti vero che essa dovrebbe avere un referente chiaro ed incisivo anche e soprattutto nelle Aule Giudiziarie. Solo in questo modo la tutela del quisque de populo sarà completamente sovrapponibile a quella costituzionalmente garantita. La Dichiarazione congiunta sui diritti dei malati di cancro In occasione della Giornata per i diritti dei malati di cancro, il 3 ottobre a Roma è stata presentata la Dichiarazione Congiunta sui Diritti dei Malati di Cancro - approvata all unanimità dall Assemblea Generale dell ECL (Association of European Cancer Leagues) il 29 giugno 2002 a Oslo. La dichiarazione vuole essere uno strumento di base per i legislatori dei singoli paesi in modo che possano adottare normative adeguate, aggiornare e coordinare quelle esistenti a tutela dei malati. Per meglio promuovere i diritti dei malati di cancro, la Commissione Europea ha promosso la Settimana Europea per la Lotta contro il Cancro 2002 (7-13 ottobre), coordinata dall ECL di cui fanno parte 39 organizzazioni di 27 Paesi che si occupano della lotta contro i tumori; i membri per l Italia sono Aimac e Lega Nazionale per la Lotta contro i Tumori. La Dichiarazione Congiunta riconosce ai malati di cancro il diritto: - alle cure mediche e all uguaglianza di trattamento - al sostegno sociale e alla tutela sul lavoro - all informazione appropriata e comprensibile - all autodeterminazione sugli atti medici e di ricerca - alla libera scelta del medico curante e della struttura ospedaliera - al supporto psicologico - alla riservatezza e alla privacy - alla riabilitazione e alla prevenzione - alla continuità di cura in ospedale e a domicilio - alla terapia del dolore - all assistenza terminale compassionevole 4

7 LUGLIO - SETTEMBRE 2002 DOCUMENTI Aboliamo i dolori forzati la Campagna di informazione contro il dolore promossa da Cittadinanzattiva -Tribunale dei diritti del malato Cittadinanzattiva -Tribunale per i diritti del malato lo scorso 4 aprile 2002 ha dato il via ad una campagna di informazione contro il dolore. Nel corso della conferenza stampa di presentazione dell iniziativa sono stati riportati i dati dell Organizzazione mondiale della sanità relativi al consumo terapeutico della morfina, quale indice per una valutazione dell efficacia dei programmi di controllo del dolore da cancro. In particolare, quanto ai dolori legati all area oncologica, si stima che ne soffrano in Italia circa persone. Il 20-50% dei pazienti affetti da cancro soffre di dolore già al momento della diagnosi e il 60-95% dei pazienti in stadio avanzato o terminale ha dolore e muore con dolore. Ma l Italia è agli ultimi posti nel consumo della morfina per uso terapeutico, con 46 dosi medie per milione di abitanti, contro le 541 della Germania, le 1462 della Francia e le 6430 della Danimarca. L Italia consuma circa lo stesso quantitativo pro capite annuo di Andorra, dell Estonia e del Sud Africa; la Namibia ne consuma poco di più; la Polonia e l Ungheria ne consumano il doppio dell Italia, la Spagna ne consuma il triplo, il Regno Unito, i Paesi Bassi e il Lussemburgo consumano 7 volte il quantitativo italiano, la Francia e gli Stati Uniti 8 volte, l Austria 10 volte e il Canada 12 volte. Inoltre, secondo una ricerca americana condotta nel 1997, un malato oncologico su quattro non riceve alcun analgesico o gli vengono somministrati farmaci con l intento di alleviare il dolore piuttosto che per evitarlo. Oggi la medicina e l innovazione tecnologica mettono a disposizione numerosi strumenti per eliminare il dolore fisico o attenuarlo fino a renderlo sopportabile e sono numerose le figure professionali che lavorano all interno delle strutture sanitarie italiane per aiutare chi soffre a vincere il dolore. Alcune operano a diretto contatto con i cittadini, come i medici di famiglia, gli anestesisti, i clinici del dolore, gli specialisti delle cure palliative; altre operano dietro le quinte, come i farmacisti, altre ancora nell ambito delle associazioni non profit che erogano assistenza sanitaria e socio-assistenziale e intervengono al livello formativo e culturale. La campagna Aboliamo i dolori forzati - iniziativa di informazione e tutela per l accesso alle terapie del dolore - nel 2002 concentra la propria attenzione sul dolore cronico reumatico e si propone cinque obiettivi fondamentali: elaborare il primo rapporto sull accesso alle terapie del dolore sulla base di una ricognizione da realizzare interpellando direttamente i cittadini affetti da patologie croniche, in particolare reumatiche; fornire ai cittadini che si rivolgono al Tribunale per i diritti del malato le informazioni per accedere alle terapie del dolore, dotando Pit Salute il servizio di informazione, consulenza e assistenza del Tribunale per i diritti del malato - di una rete di consulenti specialisti sul tema delle terapie del dolore; rendere noti gli obiettivi dell iniziativa Aboliamo i dolori forzati attraverso una comunicazione istituzionale, da realizzare con la diffusione di un leaflet nelle sale d attesa degli studi dei medici di medicina generale, nelle farmacie e in numerose strutture sanitarie del nostro Paese; realizzare una campagna stampa sul tema delle terapie del dolore, da lanciare mediante una conferenza stampa nazionale; promuovere la realizzazione di iniziative pubbliche locali di informazione e tutela sulle terapie del dolore con il supporto delle realtà territoriali di Tribunale per i diritti del malato-cittadinanzattiva. Per ulteriori informazioni vedere il sito m.p. Norme per agevolare l impiego dei farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore LEGGE 8 FEBBRAIO 2001, N. 12 ART Al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all articolo 41, dopo il comma 1 è inserito il seguente: 1-bis. In deroga alle disposizioni di cui al comma 1, la consegna di sostanze sottoposte a controllo può essere fatta anche da parte di operatori sanitari, per quantità terapeutiche di farmaci di cui all allegato III-bis, accompagnate da dichiarazione sottoscritta dal medico di medicina generale, di continuità assistenziale o dal medico ospedaliero che ha in cura il paziente, che ne prescriva l utilizzazione anche nell assistenza domiciliare di pazienti affetti da dolore severo in corso di patologia neoplastica o degenerativa, ad esclusione del trattamento domiciliare degli stati di tossicodipendenza da oppiacei ; b) all articolo 43: 5

8 DOCUMENTI AIAF OSSERVATORIO 1) dopo il comma 2, è inserito il seguente: 2-bis. Le ricette per le prescrizioni dei farmaci di cui all allegato III-bis sono compilate in duplice copia a ricalco per i farmaci non forniti dal Servizio sanitario nazionale, ed in triplice copia a ricalco per i farmaci forniti dal Servizio sanitario nazionale, su modello predisposto dal Ministero della sanità, completato con il timbro personale del medico ; 2) dopo il comma 3 è inserito il seguente: 3-bis. La prescrizione dei farmaci di cui all allegato III-bis può comprendere fino a due preparazioni o dosaggi per cura di durata non superiore a trenta giorni. La ricetta deve contenere l indicazione del domicilio professionale e del numero di telefono professionale del medico chirurgo o del medico veterinario da cui è rilasciata ; 3) i commi 4 e 5 sono sostituiti dai seguenti: 4. Il Ministro della sanità stabilisce con proprio decreto la forma ed il contenuto dei ricettari idonei alla prescrizione dei farmaci di cui all allegato III-bis. L elenco dei farmaci di cui all allegato III-bis è modificato con decreto del Ministro della sanità emanato, in conformità a nuove disposizioni di modifica della disciplina comunitaria, sentiti l Istituto superiore di sanità e il Consiglio superiore di sanità, per l inserimento di nuovi farmaci contenenti le sostanze di cui alle tabelle I, II e III previste dall articolo 14, aventi una comprovata azione narcotico-analgesica. 5. I medici chirurghi e i medici veterinari sono autorizzati ad approvvigionarsi dei farmaci di cui all allegato III-bis attraverso autoricettazione, secondo quanto disposto dal presente articolo, e ad approvvigionarsi, mediante autoricettazione, a detenere nonché a trasportare la quantità necessaria di sostanze di cui alle tabelle I, II e III previste dall articolo 14 per uso professionale urgente. Copia dell autoricettazione è conservata per due anni a cura del medico, che tiene un registro delle prestazioni effettuate, per uso professionale urgente, con i farmaci di cui all allegato III-bis. 5-bis. Il personale che opera nei distretti sanitari di base o nei servizi territoriali o negli ospedali pubblici o accreditati delle aziende sanitarie locali è autorizzato a consegnare al domicilio di pazienti affetti da dolore severo in corso di patologia neoplastica o degenerativa, ad esclusione del trattamento domiciliare degli stati di tossicodipendenza da oppiacei, le quantità terapeutiche dei farmaci di cui all allegato III-bis, accompagnate dalla certificazione medica che ne prescrive la posologia e l utilizzazione nell assistenza domiciliare. 5-ter. Gli infermieri professionali che effettuano servizi di assistenza domiciliare nell ambito dei distretti sanitari di base o nei servizi territoriali delle aziende sanitarie locali e i familiari dei pazienti, opportunamente identificati dal medico o dal farmacista, sono autorizzati a trasportare le quantità terapeutiche dei farmaci di cui all allegato III-bis, accompagnate dalla certificazione medica che ne prescrive la posologia e l utilizzazione a domicilio di pazienti affetti da dolore severo in corso di patologia neoplastica o degenerativa, ad esclusione del trattamento domiciliare degli stati di tossicodipendenza da oppiacei ; 4) il comma 6 è abrogato con effetto dalla data di entrata in vigore del decreto del Ministro della sanità di cui al primo periodo del comma 4, come sostituito dal numero 3) della presente lettera; c) all articolo 45: 1) il comma 2 è sostituito dal seguente: 2. Il farmacista deve vendere i farmaci e le preparazioni di cui alle tabelle I, II e III previste dall articolo 14 soltanto su presentazione di prescrizione medica sulle ricette previste dai commi 2 e 2-bis dell articolo 43 e nella quantità e nella forma prescritta ; 2) i commi 4 e 5 sono sostituiti dai seguenti: 4. Decorsi trenta giorni dalla data del rilascio la prescrizione medica non può essere più spedita. 5. Salvo che il fatto costituisca reato, il contravventore alle disposizioni del presente articolo è soggetto alla sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma da lire a lire ; d) gli articoli 46, 47 e 48 sono abrogati; e) all articolo 60, dopo il comma 2, sono aggiunti i seguenti: 2-bis. Le unità operative delle strutture sanitarie pubbliche e private, nonchè le unità operative dei servizi territoriali delle aziende sanitarie locali sono dotate di registro di carico e scarico delle sostanze stupefacenti e psicotrope di cui alle tabelle I, II, III e IV previste dall articolo ter. Il registro di carico e scarico deve essere conforme al modello di cui al comma 2 ed è vidimato dal direttore sanitario, o da un suo delegato, che provvede alla sua distribuzione. Il registro di carico e scarico è conservato, in ciascuna unità operativa, dal responsabile dell assistenza infermieristica per due anni dalla data dell ultima registrazione. 2-quater. Il dirigente medico preposto all unità operativa è responsabile della effettiva corrispondenza tra la giacenza contabile e quella reale delle sostanze stupefacenti e psicotrope di cui alle tabelle I, II, III e IV previste dall articolo quinquies. Il direttore responsabile del servizio farmaceutico compie periodiche ispezioni per accertare la corretta tenuta dei registri di carico e scarico di reparto e redige apposito verbale da trasmettere alla direzione sanitaria. 2. Al citato testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, è aggiunto, in fine, il seguente allegato Allegato III-bis (articoli 41 e 43) Farmaci che usufruiscono delle modalità prescrittive semplificate: Buprenorfina, Codeina, Diidrocodeina, Fentanyl, Idrocodone, Idromorfone, Metadone, Morfina, Ossicodone, Ossimorfone. 3. Il decreto di cui al primo periodo del comma 4 dell articolo 43 del citato testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, come sostituito dal comma 1, lettera b), numero 3), del presente articolo, è emanato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. 4. All articolo 5, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 539, le parole: hanno validità limitata a dieci giorni sono sostituite dalle seguenti: hanno validità limitata a trenta giorni. 6

9 LUGLIO - SETTEMBRE 2002 DOCUMENTI Indizione della Giornata nazionale del sollievo Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 24 maggio 2001 (pubblicata sulla G.U. n. 163 del ) IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI Visto il rapporto 1997 dell Organizzazione mondiale della sanità che considera il controllo del dolore, la riduzione della sofferenza e la disponibilità delle cure palliative per chi non può essere curato una delle sei grandi priorità in campo sanitario; Visto il decreto del Presidente della Repubblica 23 luglio 1998, recante Approvazione del piano sanitario nazionale 1998/2000 che nell obiettivo IV affronta il problema dell assistenza alle persone nella fase terminale della vita, sottolineando l esigenza di un potenziamento degli interventi di cure palliative e la realizzazione di strutture residenziali dedicate; Visti il decreto-legge 28 dicembre 1998, n. 450, convertito, con modificazioni dalla legge 26 febbraio 1999, n. 39, il decreto ministeriale 28 settembre 1999 e il decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 20 gennaio 2000, che definiscono le norme di integrazione tra le reti di assistenza dei malati terminali e le strutture di ricovero; Vista la legge 8 febbraio 2001, n. 12, Visto l accordo del 19 aprile 2001, sancito tra il Ministro della sanità, le regioni, le province autonome di Trento e Bolzano e le province, i comuni e le comunità montane, sul documento di iniziative per l organizzazione della rete dei servizi delle cure palliative, in cui si sottolinea l esigenza di raggiungere la migliore qualità di vita garantibile per i malati terminali e per le loro famiglie; Ritenuto che in armonia con il piano sanitario nazionale , che considera indispensabile ai fini della promozione della salute la realizzazione di un patto di solidarietà che impegni non solo le istituzioni preposte alla tutela della salute, ma anche una pluralità di soggetti, come i cittadini, il volontariato, gli organi e i mezzi di comunicazione e l intera comunità europea ed internazionale; Sentito il Consiglio dei Ministri nella riunione del 24 maggio 2001; Su proposta del Ministro della sanità; EMANA LA SEGUENTE DIRETTIVA: Le amministrazioni pubbliche, anche in coordinamento con gli organismi di volontariato nell ultima domenica di maggio di ogni anno, designata Giornata del sollievo, si impegnano, nelle rispettive competenze, a promuovere e testimoniare, attraverso idonea informazione e tramite iniziative di sensibilizzazione e solidarietà, la cultura del sollievo dalla sofferenza fisica e morale in favore di tutti coloro che stanno ultimando il loro percorso vitale, non potendo più giovarsi di cure destinate alla guarigione. La presente direttiva, previa registrazione da parte della Corte dei Conti, sarà pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Roma, 24 maggio 2001 Il Presidente del Consiglio dei Ministri Amato Il Ministro della sanità Veronesi Mozione approvata dal Consiglio della Regione LOMBARDIA in data 30 aprile 2002 IL CONSIGLIO premesso che nel nostro ordinamento è già previsto l utilizzo di diverse droghe per uso medico, tra cui merita particolare menzione quello della morfina; il Senato ha approvato in via definitiva il il Ddl contenente le norme per agevolare l impiego dei farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore ; in Canada, Gran Bretagna, Germania, Israele, Olanda, Stati Uniti e Australia sono state condotte ricerche sull utilizzo medico dei derivati della canapa indiana; nel 1999 l International Narcotic Board delle Nazioni Unite ha incoraggiato le ricerche sull uso terapeutico della cannabis; il governo canadese nel 1999 ha adottato un piano quinquennale per la produzione di canapa indiana per uso medico; nel 1999 il ministro tedesco della sanità si è espresso a favore dell utilizzo terapeutico dei derivati della canapa indiana; il governo israeliano nel 1999 ha adottato le linee guida per l uso medico della canapa indiana e dei suoi derivati; in Gran Bretagna nell autunno del 98 la Commissione Scienza e Tecnologia della Camera dei Lords, basandosi sulle con- 7

10 DOCUMENTI AIAF OSSERVATORIO clusioni di numerosi studi scientifici, si è schierata a favore della introduzione per scopi terapeutici della canapa indiana e dei suoi derivati; il 5 novembre del 1998 gli elettori americani di Alaska, Arizona, Colorado, Nevada, Oregon e Washington, consultati con un referendum su questo tema, hanno approvato l uso terapeutico della marijuana per i malati di tumore e di AIDS; la commissione federale statunitense dell Istituto di medicina della National Academy of Sciences di Washington nel 1999 ha chiesto l introduzione in campo medico del principio attivo della canapa indiana (THC); nel 1999 un comitato della British Medical Association si è espresso a favore dell utilizzo terapeutico dei derivati della canapa indiana; ritenuto che la scelta di approvare l utilizzo terapeutico della canapa indiana non rientra nel confronto tra l approccio proibizionista e quello antiproibizionista sulle droghe; considerato che gli effetti collaterali più comuni e fastidiosi dei chemioterapici nella terapia neoplastica risultano essere il profondo senso di nausea e il vomito; i farmaci utilizzati nella cura dell AIDS presentano frequentemente tra gli effetti collaterali un forte senso di nausea, che determina un aumentato rischio di inedia per i malati; la canapa indiana e i suoi derivati presentano un importante effetto antiemetico; l American Cancer Society ha finanziato negli ultimi mesi ricerche per determinare se un cerotto al THC (il principio attivo dei cannabinoidi) possa essere usato come metodo alternativo e più efficace, per offrire i benefici effetti dei cannabinoidi ai pazienti che soffrono di nausea, vomito e altri effetti collaterali provocati dalla chemioterapia; riviste scientifiche internazionali riferiscono che il 44% dei medici avrebbe consigliato ai propri pazienti di utilizzare i derivati della canapa indiana e pertanto, per procurarseli illegalmente, ai malati sarebbero state, e sono, inflitte inutilmente ulteriori pene e ansie; gli effetti collaterali della canapa indiana e dei suoi derivati risultano essere poco rilevanti nel periodo immediatamente successivo all assunzione e scarsamente dimostrati nel lungo periodo, nonostante siano stati cercati da numerosi studi condotti dalle autorità federali statunitensi; non è stata rilevata tolleranza farmacologia -ovvero per ottenere effetti analoghi nel tempo non è necessario incrementare la dose del farmaco-, né presenza di sintomi d astinenza, se non in casi aneddotici; la commissione composta da dieci accademici esperti in sostanze psicoattive, incaricata dal Ministero della Sanità francese e presieduta da Bernard Pierre Roques, nel 1999 ha riconosciuto che la canapa indiana è meno dannosa per la salute umana di tabacco e alcool; considerato inoltre che diverse e autorevoli riviste scientifiche internazionali riportano studi sull efficacia della canapa indiana e dei suoi derivati nel ridurre la pressione intraoculare nella terapia del glaucoma e che sono in atto diverse sperimentazioni scientifiche per valutare l efficacia terapeutica per i cannabinodi nella terapia della sclerosi multipla; sono in corso diverse ricerche per stabilire l efficacia e la possibile utilizzazione dei cannabinoidi nella terapia dell asma bronchiale; l alta densità di recettori cannabinoidi CB1 all interno dei gangli basali suggerisce un potenziale ruolo degli endocannabinoidi nel controllo del movimento volontario e nei disturbi del movimento correlati con i gangli basali, quali il morbo di Parkinson e che l aumento dei livelli dei cannabinoidi nel globus pallidus si associa con una riduzione dei movimenti in un modello sperimentale di Parkinson realizzato su cavie; studi clinici riportati da autorevoli riviste scientifiche riferiscono dei benefici dall uso dei derivati della canapa indiana per pazienti affetti dalla sindrome di Gilles de la Tourette; ricerche, condotte su modelli sperimentali con animali, hanno dimostrato che i cannabinoidi hanno efficacia terapeutica su cellule tumorali cerebrali; durante il XIII Congresso della Società Italiana per lo Studio dell Arteriosclerosi, tenutosi dal 3 al 5 dicembre 99 all Università degli Studi di Milano, è emersa l ipotesi di un possibile utilizzo di derivati della canapa indiana per contribuire alla prevenzione dell aterosclerosi; considerato infine che riviste scientifiche internazionali riferiscono casi clinici di epilessia ed emicrania che hanno beneficiato dell utilizzo dei derivati della canapa indiana, che secondo studi sperimentali potrebbero inoltre rappresentare un utile alternativa agli oppiacei nel trattamento dei dolori cronici; Paul M. Hyman, portavoce della American Cancer Society di New York, nel corso del 2000 ha dichiarato: Battersi contro questo uso medico della marijuana vuol dire combattere la stessa ricerca scientifica ; CHIEDE al Governo e al Parlamento di regolamentare l uso medico della canapa indiana e dei suoi derivati IMPEGNA il Presidente del Consiglio regionale e il Presidente della Regione a comunicare il contenuto della presente mozione al Governo e al Parlamento nazionale. 8

11 LUGLIO - SETTEMBRE 2002 DOCUMENTI Linee guida assistenziali ed indirizzi organizzativi per lo sviluppo della rete di cure palliative Delibera del Consiglio della Regione TOSCANA n. 996 del 26 settembre 2000 LA GIUNTA REGIONALE Visto il Piano sanitario regionale 1999/2001, approvato dal Consiglio Regionale che nella parte III, al paragrafo 4 pone fra le politiche di sistema per la qualità dei trattamenti erogati dal Servizio sanitario regionale, lo sviluppo di azioni tese al contenimento degli stati di sofferenza e di dolore affermando che nei trattamenti sanitari deve essere sempre assicurato l impiego di metodiche e l applicazione di rimedi terapeutici, diagnostici ed assistenziali, atti ad evitare o sedare il dolore ed a diminuire gli stati di sofferenza ; Considerato che al punto 4.2. del predetto paragrafo le suddette tematiche vengono trattate con particolare riferimento all assistenza alla fine della vita ritenendo il miglioramento della qualità dell assistenza sanitaria in tale circostanza uno dei fattori decisivi per lo sviluppo di una sanità pubblica maggiormente garante dei diritti e della dignità della persona malata ; Considerato che sempre nel suddetto punto si afferma che le metodiche della medicina palliativa sono l approccio clinico-terapeutico elettivo per il trattamento dei malati a fine della vita ; Preso atto che al successivo punto 4.3 del medesimo paragrafo la Giunta regionale viene impegnata ad emanare sulle suddette tematiche apposite direttive organizzative e comportamentali corredate anche da specifiche linee guida per gli operatori; Vista inoltre la Deliberazione del Consiglio regionale del 29 febbraio 2000 n. 128 con la quale, in esecuzione della Legge 26 febbraio 1999, n. 39 è stato approvato il Programma per la realizzazione dei Centri residenziali per le cure palliative; Considerato che nella lettera a) del punto 6 della parte dispositiva della suddetta Deliberazione la Giunta regionale viene ugualmente impegnata a procedere alla definizione della stuttura assistenziale relativa all erogazione delle cure palliative con particolare riferimento anche alla regolamentazione dei rapporti con i medici di medicina generale; Preso atto che il Dipartimento diritto alla salute e politiche di solidarietà ha ritenuto opportuno, ai fini dello sviluppo delle suddette azioni di competenza regionale, costituire un apposito gruppo di studio sulla materia integrato con esperti indicati dal Consiglio Sanitario regionale con lettera n. CSR/111/1.0.1 del 19/08/99 conservata agli atti e con la presenza di un rappresentante della Commissione regionale di Bioetica così come espressamente previsto dal P.S.R.; Considerato che in data 13/07/2000 con lettera n. 105/21510/04.03 il predetto Gruppo di studio ha trasmesso al Dipartimento diritto alla salute e politiche di solidarietà un documento contenente una proposta unitaria ed organica delle direttive che la Giunta regionale era impegnata ad emanare ai sensi delle già citate Deliberazioni del Consiglio regionale 17 febbraio 1999 n. 41 e 29 febbraio 2000 n.128; Visto il documento allegato sub A alla presente deliberazione come parte integrante e sostanziale della medesima, concernente le Linee guida assistenziali ed indirizzi organizzativi per lo sviluppo della rete di cure palliative redatto dai competenti uffici del Dipartimento del diritto alla salute e politiche di solidarietà sulla base sia della suddetta proposta elaborata dal Gruppo di studio appositamente costituito, sia dei rilievi svolti in merito dal Consiglio Sanitario regionale; Valutate le linee guida e le gli indirizzi organizzativi sviluppati nel suddetto documento rispondenti alle finalità indicate dalle richiamate Deliberazioni del Consiglio regionale ed assolventi gli impegni posti a carico della Giunta regionale; Ritenuto necessario stabilire che ciascuna Azienda sanitaria Toscana attivi un processo di progressivo adeguamento della rete di cure palliative secondo gli indirizzi e le modalità contenute nel documento approvato con la presente deliberazione, avendo cura di rispettare le indicazioni operative contenute nello schema procedurale di attuazione, riportato nell allegato 3 del medesimo documento; DELIBERA 1. di approvare per le motivazioni e nei termini indicati in narrativa, il documento allegato sub A alla presente deliberazione, come parte integrante e sostanziale della medesima, concernente le Linee guida assistenziali ed indirizzi organizzativi per lo sviluppo della rete di cure palliative ; 2. di impegnare ciascuna Azienda sanitaria Toscana ad attivare un processo di progressivo adeguamento della rete di cure palliative secondo gli indirizzi e le modalità contenute nel documento approvato con la presente deliberazione, avendo cura di rispettare le indicazioni operative contenute nello schema procedurale di attuazione, riportato nell allegato 3 del medesimo documento; 3. di pubblicare per intero sul BURT il presente provvedimento, in ragione del particolare rilievo del provvedimento che per il suo contenuto deve essere portato a conoscenza della generalità dei cittadini. Linee guida sulle cure paliative 1. Definizione, ambito di applicazione, indicazioni e orientamenti sulla metodologia assistenziale 1.1 le cure palliative sono espressione di una concezione della medicina che libera il termine curare dalla prospettiva totalizzante del guarire dalla malattia, assumendo il concetto ben più complesso del prendersi cura dell individuo. Tale assunto dell operare determina ricadute corrette in termini di impegno professionale, tempo, spazio, strutture, idee e ricerca. 1.2 le persone alle quali sono indirizzate le cure palliative sono accolte nella globalità della loro realtà fisica, psichica e sociale per 9

12 DOCUMENTI AIAF OSSERVATORIO essere accompagnate nella fase finale della loro esistenza da vivere con dignità. L approccio metodologico clinico delle cure palliative aiuta il personale di assistenza a prendersi cura, con realistico senso del limite, dell uomo ammalato e morente, rifuggendo dagli estremi dell accanimento terapeutico e della rinuncia ad agire quando non è più ragionevole pensare alla guarigione. Questo tipo di assistenza, proprio per la sua complessità e per i valori che sottintende, non può essere caratterizzato da improvvisazione e spontaneismo, ma necessita senza dubbio di riflessioni che si traducano in un metodo operativo e in adeguati strumenti di intervento. 1.3 le cure palliative sono quel complesso di interventi assistenziali destinati a migliorare la qualità della vita, oltrepassando ed integrando l intento terapeutico tradizionale teso esclusivamente ad orientare e controllare il processo evolutivo della malattia. Queste terapie sostengono la vita e considerano la morte un processo naturale che non deve essere nè affrettato né posticipato, provvedendo sollievo dal dolore e da altri sintomi; integrano gli aspetti psicologici e spirituali dell assistenza offrendo al malato un sostegno per vivere, preferibilmente al proprio domicilio, il più attivamente possibile. Aiutano inoltre la famiglia ad affrontare e superare la prima fase del lutto. 1.4 destinatari delle cure palliative sono le persone affette da malattia, evolutiva e irreversibile, per la quale non ha più indicazione la terapia specifica. Le cure palliative sono pertanto un diritto di tutti i malati terminali, anche se molti interventi terapeutici peculiari possono essere di supporto nel corso della malattia prima della fase terminale assieme ai trattamenti specifici. 1.5 il passaggio alle cure palliative è preceduto da una valutazione tecnica collegiale coordinata di norma dal medico che ha in cura il paziente; al medico spetta il compito di informare adeguatamente il paziente al fine di acquisirne il necessario consenso, seguendo in ciò le indicazioni stabilite al capo IV del codice di deontologia medica. Questa valutazione, ancorché avvenga in regime di ricovero ospedaliero, deve essere eseguita con il coinvolgimento del medico di medicina generale. Il passaggio alle cure palliative può essere deciso dal paziente quando lo richieda autonomamente. 2. Specifiche indicazioni delle cure palliative 2.1 l ambito di applicazione delle cure palliative riguarda di norma il controllo dei sintomi nella fase terminale di patologie evolutive e irreversibili, definibile secondo i seguenti criteri: - criterio terapeutico: assenza, esaurimento, non opportunità di trattamenti curativi specifici; - criterio sintomatico: presenza di sintomi invalidanti che condizionano la riduzione di performance al di sotto del 50% della scala di karnofsky; - criterio evolutivo temporale: da determinarsi in fase di valutazione specifica del quadro evolutivo temporale della malattia secondo le specifiche indicazioni della eapc (european association palliative care). 2.2 si raccomanda di attenersi, per quanto concerne le specifiche indicazioni medico cliniche, a linee guida e protocolli validati, anche attraverso indicazioni espresse in merito dal consiglio sanitario regionale. 2.3 per quanto concerne le specifiche indicazioni inerenti i bisogni assistenziali, dovranno essere attuati tutti i trattamenti che permettono la valutazione ed il controllo dei sintomi. Oltre al dolore dovranno essere contenuti e, ove possibile, risolti tutti i sintomi che provocano sofferenza come profonda astenia, dispnea, tosse e singhiozzo, stipsi, nausea e vomito, edemi e versamenti, incontinenza. Una delle principali finalità delle cure palliative risulta inoltre il mantenimento dello stato funzionale del malato il più a lungo possibile. È tuttavia inevitabile che si manifesti una progressiva incapacità a provvedere a vari compiti come la cura personale, la preparazione dei pasti, la cura della famiglia, la gestione della casa, la mobilità. Occorre pertanto aiutare il malato e la sua famiglia a trovare soluzione a questi problemi fornendo - nei limiti delle competenze, delle normative e delle risorse disponibili - supporti umani, professionali e materiali. A tal fine, occorre sviluppare l integrazione dell intervento sanitario con quello di assistenza sociale, sviluppando la collaborazione tra servizi distrettuali, servizi sociali del comune, servizi di quartiere per gli anziani, organizzazioni no-profit. L azienda Usl dovrà provvedere a rilevare e soddisfare i bisogni relativi ai presidi sanitari necessari per l assistenza del malato al proprio domicilio, come: letto snodabile, comoda, carrozzina, materasso antidecubito, deambulatore, busto ortopedico. 2.4 per quanto concerne le indicazioni inerenti i bisogni cognitivi, emotivi e relazionali, tali bisogni del malato si possono definire bisogni di rassicurazione. Il malato vuole sentirsi accettato come tale, teme l isolamento dagli altri, l esclusione dai progetti e dalle decisioni familiari, vuole mantenere il proprio ruolo nella famiglia e nel gruppo sociale. 2.5 per quanto concerne le specifiche indicazioni inerenti i processi comunicativi, l informazione al malato presuppone un atteggiamento di costante attenzione e ascolto dei molti messaggi che il malato continuamente trasmette. Di fronte alle richieste di informazione il medico deve stabilire un rapporto comunicativo nel quale le risposte devono trascendere l asetticità dell informazione stessa. Comunicare con il malato non significa dare notizie in maniera unidirezionale ma instaurare una relazione che coinvolga sul piano emotivo tutti gli interlocutori. Spesse volte è il malato stesso che rinuncia completamente all informazione tecnica a favore di un bisogno di protezione globale: ciò corrisponde quasi sempre alla concessione al medico di una delega assoluta etica e terapeutica. In particolare, nella comunicazione della prognosi - quanto mi resta da vivere?- il medico, abituato a ragionare in termini di curva di sopravvivenza, può dare una risposta che fa riferimento alla probabilità stimata, ma in nessun caso egli riuscirà a prevedere il destino del singolo caso; nel suo rapporto con il malato deve quindi razionalmente accettare questo limite predittivo, collocandosi totalmente nella dimensione dell ignoto che è in definitiva l unica veramente propria della morte. Permettere al malato di affrontare l angoscia di morte significa, infatti, identificarsi con giusta empatia nella sua condizione, per aiutarlo ad accettare la sua personale verità sull esistenza e il suo termine, l unica verità che in quel momento egli è effettivamente in grado di comprendere, affrontare ed elaborare. Nei processi di comunicazione sono pertanto aspetti irrinunciabili: l ascolto; la relazione empatica; la condivisione del programma; la partecipazione totale dell equipe; i momenti di verifica dell efficacia dell intervento; l attenzione a trasmettere messaggi di speranza. - omissis - 10

13 LUGLIO - SETTEMBRE 2002 DOCUMENTI La lotta al dolore in Canada I l Canada ha liberalizzato le droghe leggere per scopi terapeutici dopo una serie di battaglie legali da parte di malati che rischiavano l incriminazione per l uso della marijuana come medicinale. Il 31 luglio del 2000 la Corte d Appello dell Ontario, esaminando il caso di Terrance Parker che usava la marijuana per aiutarsi a controllare l epilessia, decise che il divieto di far rientrare la marijuana nel Controlled Drug and Substances Act fosse incostituzionale e di nessun effetto. Dopo un anno, la Health Canada annunciò l intenzione di sviluppare un nuovo regolamento per l accesso dei Canadesi alla marijuana. Con l entrata in vigore del Marijuana Medical Access Project le droghe leggere possono ora essere prescritte dai medici come analgesico per malati cronici o terminali, che sono stati suddivisi in tre categorie. Nella categoria 1 rientrano i pazienti affetti da una malattia terminale, con una prognosi di morte entro i dodici mesi. Non essendoci rischi da uso prolungato, il procedimento per l autorizzazione è in questi casi più semplice. La categoria 2 riguarda i pazienti che soffrono di sintomi specifici, elencati in una tabella. Le domande che rientrano in questa categoria sono sottoscritte dai pazienti, ma è necessaria anche una dichiarazione di un medico specialista che affermi, tra l altro, che tutti i trattamenti convenzionali siano stati già provati senza efficacia. Nella categoria 3 rientrano infine i pazienti che si trovano in condizioni diverse da quelle indicate nelle precedenti categorie. Vengono richieste dichiarazioni di due medici specialisti a sostegno della domanda. Anche in questo caso è necessario provare che tutti i trattamenti tradizionali sono stati provati senza risultato. Per tutte e tre le categorie l autorizzazione per il possesso di marijuana per scopi medici, dovrà specificarne la quantità massima per un trattamento di 30 giorni. Ottenuta l autorizzazione il paziente potrà possedere e coltivare la marijuana necessaria al suo uso personale per gli scopi terapeutici per i quali è stata rilasciata. MARIJUANA MEDICAL ACCESS REGULATIONS (30 LUGLIO 2001) (DISPOSIZIONI PER L ASSUNZIONE MEDICA DI MARIJUANA) INTERPRETAZIONE - omissis - PARTE I - AUTORIZZAZIONE A POSSEDERE 2. Attività autorizzate Al detentore di un autorizzazione al possesso è permesso possedere marijuana essiccata, secondo l autorizzazione, per obiettivi medici del detentore. 3. Eleggibilità per l autorizzazione a possedere Una persona è eleggibile ad avere una autorizzazione per il possesso, solo se risiede in Canada ordinariamente. 4. Domanda per l autorizzazione a possedere. Colui che rivolge domanda per ottenere un autorizzazione per il possesso di marijuana essiccata, a scopo terapeutico, dovrà farne richiesta al Ministro. La domanda conterrà una dichiarazione del richiedente, una del medico se si basa su malattie da sintomi di categoria 1 e anche da uno specialista se di categoria 2 e 3 e due copie di una fotografia recente del richiedente. 5. Dichiarazione del richiedente La domanda deve contenere: nome, sesso e data di nascita; indirizzo, telefono, fax e indirizzo se posseduto; se il luogo indicato non è privato, indicare il tipo e il nome dell istituto; l autorizzazione deve essere chiesta sia in nome del richiedente, sia se la richiesta avviene attraverso un altra persona, nel qual caso la persona deve essere nominata, anche ai sensi delle Narcotic Control Regulations deve essere conosciuto il distributore che otterrà la licenza. Colui che fa domanda deve essere conscio che L act non prevede nulla sulla sicurezza ed efficacia della droga come tale e che ciò venga compreso; che il richiedente abbia valutato insieme al medico l opportunità dell uso della marijuana e che tale valutazione abbia portato alla dichiarazione del medico. La dichiarazione deve essere datata e sottoscritta dal richiedente che attesta che le informazioni in essa contenute sono veritiere e complete 6. La dichiarazione del medico Essa deve indicare, in ogni caso, il nome del medico o dello specialista, l indirizzo di lavoro ed il numero di telefono, numero della licenza di medico, il fax e l se posseduti; le condizioni mediche del richiedente, il sintomo e la sua associazione a tali condizioni nonché ad una delle categorie menzionate; il dosaggio giornaliero in grammi e il ciclo raccomandato per il richiedente; il periodo per il quale si raccomanda l uso della marijuana, se inferiore a dodici mesi. Nel caso di sintomo di Categoria 1, la dichiarazione del medico deve indicare anche che il richiedente è affetto da malattia terminale, che sono stati provati, o, almeno considerati, tutti i trattamenti tradizionali; che l uso della marijuana allevierebbe il sintomo e che i benefici siano maggiori dei rischi. In caso di sintomo della categoria 2, lo specialista deve avere una specializzazione che sia appartenente all area della malattia e sia rilevante nel trattamento delle condizioni mediche del paziente; che tutti i trattamenti tradizionali siano stati provati, o, almeno, considerati e che ciascuno di essi sia risultato non appropriato, in quanto inefficace. Che l uso di altre droghe abbia causato fenomeni allergici o incrociati con le altre medicine e che l uso della marijuana possa alleviare il sintomo e che i benefici siano maggiori dei ri- 11

14 DOCUMENTI AIAF OSSERVATORIO schi, compresi quelli a lungo termine. 7. Nel caso della presenza di un sintomo appartenente alla Categoria 3, la dichiarazione del medico deve indicare, inoltre, che tutti i trattamenti convenzionali siano stati già provati o, perlomeno, considerati e le ragioni per le quali non abbiano funzionato. La dichiarazione del secondo medico deve indicare il nome dello specialista, l indirizzo del luogo di lavoro, il telefono, il numero della sua tessera, il numero di fax e l indirizzo ; che la sua specializzazione sia rilevante nel trattamento dell affezione del paziente; che abbia valutato con il medico generico del paziente l opportunità di tale terapia. 8. La dichiarazione deve essere datata e sottoscritta. 9. Dosaggio che eccede i 5 grammi Se il dosaggio giornaliero raccomandato supera i cinque grammi, il medico curante o lo specialista devono indicare che il rischio di un dosaggio così elevato è stato considerato, compresi i rischi che riguardano l apparato cardiovascolare, polmonare, il sistema immunitario e la performance psicomotoria, esattamente come quando si è dipendenti. 10. La fotografia La fotografia deve identificare chiaramente il richiedente, essere un primo piano fino alle spalle, in contrasto con lo sfondo e di dimensioni minime di 43mm per 54mm e non più grande di 50mm per 70mm. 11. Rilascio di un autorizzazione al possesso Se i requisiti saranno soddisfatti, il Ministro fornirà al richiedente un autorizzazione a possedere la marijuana, per lo scopo terapeutico menzionato nella richiesta e avviserà dell autorizzazione il medico curante e lo specialista. L autorizzazione conterrà il nome ela data di nascita del possessore, l indirizzo, il numero di autorizzazione, il nome e la categoria del sintomo, la condizione clinica o il trattamento con il quale il sintomo è associato; la quantità massima di marijuana in grammi che l autorizzato potrà possedere per volta; la data di rilascio e la data di scadenza. 12. Motivi di rifiuto Il Ministro rifiuterà la concessione dell autorizzazione di possedere alla persona che: a) non risulti eleggibile secondo i criteri indicati nel punto 3; b) abbia rilasciato dichiarazioni false o inducenti in errore; c) se, per i sintomi della categoria 3, non siano stati provati o considerati tutti i trattamenti tradizionali; d) sia un distributore autorizzato ma che non possa distribuire marijuana. 13. Scadenza dell autorizzazione L autorizzazione scade dodici mesi dalla data di rilascio o se nella richiesta era indicato un tempo inferiore, entro quella data. 14. Rinnovo dell autorizzazione per il possesso La richiesta di rinnovo dell autorizzazione dovrà essere rivolta al Ministro dal richiedente, che dovrà indicare nuovamente i presupposti della sua richiesta. 15. Il rinnovo per sintomi di categoria 1 potrà essere concesso una sola volta. 16. Per sintomi appartenenti alle altre due categorie potrà essere fatta ogni volta che si riterrà necessario. - omissis - PARTE II - LICENZA PER LA PRODUZIONE 24. Uso personale - licenza di produzione per attività autorizzate Il titolare di una licenza di produzione per uso personale è autorizzato a produrre e detenere marijuana, nei termini della licenza, per lo scopo medico del possessore. 25. Eleggibilità per la licenza Una persona può essere eleggibile ad ottenere la licenza di produzione per uso personale solo se il soggetto risiede abitualmente in Canada ed ha raggiunto i diciotto anni di età. Se una licenza per uso personale viene revocata, essa non può essere richiesta per un periodo di dieci anni dopo la revoca. - omissis Restrizioni Il possessore di una licenza per la produzione può produrre marijuana solamente nel luogo autorizzato per la produzione e nell area produttiva autorizzata. Il produttore deve attenersi alle modalità indicate nella licenza per quanto concerne la coltivazione all aperto o al chiuso e non può coltivare la marijuana in luoghi adiacenti a scuole, parchi giochi pubblici o altri luoghi frequentati principalmente da minori degli anni diciotto. 57. Ispezioni Al fine di verificare che la produzione di marijuana sia conforme al presente regolamento ed alla licenza di produrre, un ispettore potrà, in qualunque momento, entrare in tutti i luoghi ritenuti opportuni dall ispettore; egli potrà aprire ed esaminare ogni container trovato che possa contenere marijuana; esaminare ogni cosa trovata sul luogo che venga usata o possa essere usata per produrre o conservare marijuana; esaminare qualunque dato o documento relativo alla produzione di marijuana o alla condizione clinica del soggetto per il quale la sostanza viene prodotta; usare i computers per esaminare i dati trovati. L ispettore non potrà introdursi entro il luogo di residenza senza il consenso di un occupante. - omissis - 12

15 LUGLIO - SETTEMBRE 2002 DOCUMENTI La lotta al dolore negli USA N egli Usa alcuni Stati (Arizona, Colorado, Oregon, Alaska, Maine, Washington, California, Nevada, Haway) consentono l uso terapeutico della marijuana, ma nell aprile del 2001 la U.S. Drug Enforcement Agency ha rifiutato la petizione per ricatalogare la marijuana a fini terapeutici, e nel maggio 2001 la Corte Suprema degli Stati Uniti, in una causa promossa dallo Stato contro una cooperativa di coltivatori di cannabis dell Oakland, diretta da un medico che somministrava la droga sotto controllo per lenire le sofferenze di pazienti affetti da gravissime e dolorose patologie, ne ha vietato l uso ritenendo irrilevante la prova che alcune persone si trovino in serie condizioni mediche per le quali l uso della cannabis è necessaria per trattare o alleviare tali condizioni o che quelle persone patiranno dei forti dolori se sarà negata loro la cannabis. CORTE SUPREMA DEGLI STATI UNITI GLI STATI UNITI CONTRO LA COOPERATIVA ACQUIRENTI DI CANNABIS DI OAKLAND E JEFFREY JONES PER LA REVISIONE DELLA DECISIONE DELLA CORTE D APPELLO (14 MAGGIO 2001) Il giudice Thomas ha pronunciato il giudizio della Corte. Il Controlled Substances Act, 84 Stat. 1242, 21 U.S.C. 801 et seq., proibisce la lavorazione e la distribuzione di varie droghe, compresa la marijuana. In questo caso, siamo chiamati a decidere se vi sia un eccezione a tale divieto che derivi dalla necessità medica. Abbiamo ritenuto di no. I Nel novembre del 1996 i votanti della California adottarono un provvedimento chiamato The Compassionate Use Act of Tentando di assicurare ai cittadini della California, gravemente malati, il diritto di ottenere ed usare la marijuana per scopi terapeutici, Cal. Health&Safety Code Ann (West Supp. 2001), lo statuto crea un eccezione alla legislazione della California che proibisce la coltivazione ed il possesso di marijuana. Queste proibizioni non si applicano più al paziente o a chi se ne occupa principalmente i quali possiedono o coltivano marijuana per scopi di terapia del paziente sotto la prescrizione o la approvazione del medico. Sulla scia dell iniziativa dei votanti, molti gruppi hanno organizzato dispensari medici di cannabis per andare incontro alle esigenze di pazienti qualificati. United States v. Cannabis Cultivators Club, 5 F. Supp. 2d 1086, 1092 (ND Cal. 1998). La convenuta la Cooperativa acquirenti di cannabis di Oakland è uno di questi gruppi. La Cooperativa è un organizzazione non - profit che opera in downtown Oakland, è diretta da un medico. Per diventare membro, un paziente deve fornire una dichiarazione scritta del medico curante che consente la terapia con la marijuana e deve sottomettersi ad una intervista di valutazione; se viene accettato il paziente riceve una carta di identificazione che gli dà diritto ad avere la marijuana dalla Cooperativa. Nel gennaio del 1998, gli Stati Uniti hanno citato in giudizio la Cooperativa e il suo direttore esecutivo, il convenuto Jeffrey Jones nella Corte del distretto degli Stati Uniti per il distretto Nord della California, cercando di proibire la distribuzione e la lavorazione della marijuana, dimostrato che, siano o no legali le attività della Cooperativa secondo la legge della California, esse violano le leggi federali. In particolare, il Governo ha sostenuto che la Cooperativa avesse violato il Controlled Substance Act sulle proibizioni per la distribuzione, lavorazione ed il possesso, con l intento di distribuire e lavorare una sostanza controllata. 21 U.S.C. 841 (a). Concludendo che il Governo ha dimostrato una probabilità di successo nel merito, la Corte del Distretto ha concesso una diffida preliminare. App. to Pet. for Cert. 39a 40a, 5 F. Supp. 2d, at La Cooperativa non si è opposta alla diffida ma la ha violata apertamente, distribuendo marijuana a numerose persone e App. to Pet. for Cert. at 21a 23a per far cessare tali violazioni il Governo ha iniziato un azione per inosservanza di una pronuncia giudiziale. In sua difesa, la Cooperativa ha affermato che tutte le distribuzioni erano necessarie dal punto di vista medico. Secondo la Cooperativa, la marijuana è l unica droga che possa alleviare un dolore violento ed altri sintomi di debilitazione dei pazienti della Cooperativa. Id., at 29a. La Corte del Distretto ha respinto questa difesa dopo aver determinato che la prova del fatto che i destinatari della marijuana fossero in un pericolo attuale di un danno imminente senza la droga, era insufficiente. Id., at 29-32a. La Corte Distrettuale ha ritenuto colpevole la Cooperativa e, su richiesta del Governo, modificato la diffida preliminare dando mandato per la confisca degli immobili della Cooperativa. Id., at 37a. Benché possa risultare questa sofferenza umana, la Corte ha ragionato sul fatto che l equa autorità di una corte non la tolleri al fine di ignorare una legge federale. Ibid. tre giorni dopo, la Corte Distrettuale ha rigettato sommariamente una richiesta della Cooperativa che voleva la revoca della diffida per permettere quelle distribuzioni necessarie. La Cooperativa è ricorsa in appello sia contro la pronuncia di colpevolezza e sia contro il rifiuto della correzione dell ingiunzione. Prima che la Corte d Appello decidesse il caso, la Cooperativa ha escluso il fondamento della sua colpevolezza promettendo alla Corte Distrettuale di conformarsi alla decisione di interrompere la distribuzione. Di conseguenza, veniva risolto l appello sulla colpevolezza. 190 F. 3d 1109, (1999). Il rifiuto alla richiesta di modifica della diffida, comunque, ha presentato una viva controversia, appellabile ai sensi del 28 U.S.C. 1292(a)(1). Nel merito, la Corte d Appello l ha revocata e ha rinviato la causa: secondo la Corte, infatti, la difesa basata sulla necessità medica era una difesa legittimamente conoscibile che avrebbe potuto verosimilmente applicarsi alle circostanze. Inoltre, la Corte d Appello ha dissertato sul fatto che la Corte Distrettuale ha creduto erroneamente che essa non avesse la facoltà di emettere un ingiunzione che fosse più limitata nello scopo che nella legge stessa. Id., at Secondo la Corte d Appello, infine, la Corte Distrettuale ritiene una facoltà chiara e giusta comminare la revoca di un ingiunzione per motivi di interesse pubblico, considerando fattori come i forti dolori provocati dalla privazione 13

16 DOCUMENTI AIAF OSSERVATORIO di marijuana. Rinviando la causa, la Corte d Appello ha istruito la Corte Distrettuale di considerare i criteri dell esenzione per necessità mediche e di revocare la diffida esponendo quei criteri nell ordinanza di revoca. La Corte Distrettuale, seguendo tali istruzioni, modificò la diffida per permettere alla Cooperativa di inserire la difesa basata sulle necessità mediche. Gli Stati Uniti ricorsero per riesaminare la decisione della Corte di Appello che la necessità medica sia una difesa legalmente conoscibile per le violazioni del Controlled Substances Act, poiché la decisione riguarda questioni importanti come la capacità dello Stato di rendere forti le leggi sulla droga, questa Corte ha accettato il ricorso. 531 U. S (2000). II Il Controlled Substances Act stabilisce che, eccetto ciò che è autorizzato dal presente titolo, sarà illegale per ciascuno, coscientemente o intenzionalmente lavorare, distribuire o dispensare una sostanza controllata. 21 U. S. C. 841(a)(1). Sono, però, stabilite delle eccezioni: per la marijuana (e altre droghe che sono state classificate come tabella I delle sostanze controllate), viene menzionata solo un eccezione e cioè che venga usata solo per progetti di ricerca approvati dal Governo, 823 (f). non conducendo un progetto simile, la Cooperativa non può appellarsi a questa eccezione. La Cooperativa sostiene, in ogni modo, che nonostante il linguaggio dello statuto sia apparentemente assoluto, lo statuto stesso è soggetto ad aggiunte, eccezioni implicite, una delle quali è la necessità medica. Secondo la Cooperativa, quindi, poiché la necessità era una difesa per il common law, la necessità derivante da esigenze mediche dovrebbe essere compresa nel Controlled Substances Act. La Corte non è d accordo. Quale argomento iniziale, la Corte rileva che vi sia una questione aperta nello stabilire se le Corti Federali abbiano o meno l autorità di conoscere una difesa per necessità che non è stabilita nello statuto. Una difesa per necessità tradizionalmente si applica ad una situazione in cui le forze fisiche dell attore, oltre il suo controllo, rendono una condotta illegale il minore tra i due mali. United States v. Bailey, 444 U. S. 394, 410 (1980). Anche nel common law, la difesa per necessità è stata a volte controversa, (See, e.g., Queen v. Dudley & Stephens, 14 Q. B ) e, poiché nel nostro sistema costituzionale i crimini federali sono stabiliti dallo statuto più che dal common law, il dibattito è ancora più evidente. Inoltre, se deve essere stabilita una esenzione o eccezione, questo è un compito legislativo e non giudiziario. United States v. Rutherford, 442 U. S. 544, 559 (1979). Nondimeno si riconosce che questa Corte ha discusso la possibilità di una difesa per necessità senza rigettarla contemporaneamente. e.g., Bailey, supra, at Comunque, la Corte non deve decidere se la difesa per necessità possa essere una difesa quando lo statuto federale non lo prevede espressamente; in questo caso, per risolvere la questione presentata, possiamo riconoscere solo che l eccezione per necessità terapeutica è in contrasto con il Controlled Substances Act. Lo statuto non invalida esplicitamente la difesa ma le sue previsioni non lasciano dubbi al fatto che essa sia improponibile. Secondo qualunque concezione di legale necessità, un principio è chiaro: la difesa non può riuscire quando la legge stessa ne abbia determinato i principi. 1 W. LaFave & A. Scott, Substantive Criminal Law 5.4, p. 629 (1986). Nel caso del Controlled Substances Act, lo statuto stabilisce che la marijuana non comporta dei benefici terapeutici degni da integrare un eccezione al di fuori dei confini di un progetto governativo. Mentre altre droghe possono essere dispensate e prescritte, non è così per la marijuana che attualmente non può essere autorizzata per uso medico. La struttura dell Act sostiene tale conclusione. Lo statuto divide le droghe in cinque tabelle anche in relazione all uso medico e vengono imposte restrizioni alla lavorazione e alla distribuzione anch esse in relazione alla classificazione. La tabella I è quella che impone maggiori restrizioni. Il Ministro della giustizia inserisce nella tabella I una droga, solo se essa non è attualmente accettata come uso terapeutico negli Stati Uniti ; se ha un alto potenziale di abuso e se il suo uso non è sufficientemente sicuro, sotto il controllo medico. 812(b)(1)(A) (C). la Cooperativa ha fatto notare che il Ministro non aveva inserito la marijuana nella Tabella I, ma lo ha fatto il Congresso il quale non deve fare accertamenti prima di includere una droga nella Tabella I. Questa Corte non è così convinta che tale distinzione abbia significato. Secondo la Cooperativa le droghe che il Congresso ha inserito nella Tabella I potrebbero essere distribuite, quando fossero necessarie dal punto di vista medico. Nulla nello statuto indica che esistano due categorie di Tabelle I, dove, all occorrenza, una è più disponibile dell altra; al contrario, per lo statuto tutte le droghe della Tabella sono uguali. La cooperativa, inoltre, non fornisce una spiegazione convincente sul perché le droghe che il Congresso ha inserito nella Tabella I dovrebbero essere soggette a maggiori controlli rispetto a quelle inserite dal Ministro della giustizia. La Cooperativa sostiene che, inserendo la marijuana nella Tabella I, il Congresso abbia voluto assicurare un livello di controllo più elevato tra quelli stabiliti ed afferma inoltre che l uso di droghe possa essere necessario in generale, nonostante esse non siano accettate per uso medico: l uso di una droga può comportare benefici in termini di terapia per un singolo paziente o una categoria di pazienti. Questa Corte non interpreta lo Statuto in questo modo. Risulta chiaro dal testo dell Act che il Congresso ha deciso che la marijuana non avesse effetti benefici tranne che con un eccezione. Lo statuto prevede espressamente che molte droghe hanno un uso legittimo ed uno scopo terapeutico e sono necessarie per mantenere la salute ed il benessere di tutti i cittadini americani, 801 (1), ma non c è un eccezione che riguardi l uso di marijuana. Riluttante a vedere tale omissione come un caso e non disposta assolutamente a calpestare un dato legislativo, manifestato in uno statuto, la Corte respinge l argomentazione della Cooperativa. Infine la Cooperativa afferma che la Corte dovrebbe interpretare il Controlled Substances Act per includere una difesa basata sulla necessità medica per permettere ciò che essa considera essere difficili questioni costituzionali. In particolare, la Cooperativa asserisce che esclusa la possibilità di una difesa per necessità medica, lo Statuto eccede i poteri del Congress Commerce Clause; vìola una serie di diritti sostanziali, dovuti, dei pazienti ed offende le libertà fondamentali delle persone tutelate dal Quinto, Nono e Decimo Emendamento. Come la Cooperativa riconosce, la disciplina dell impedimento costituzionale non ha applicazione in assenza di ambiguità dello Statuto. Poiché questa Corte non ha dubbi sul fatto che il Controlled Substances Act non può sostenere una difesa basata sulla necessità terapeutica per ciò che riguarda la distribuzione di marijuana, la Corte non trova convincimento in questo principio di impedimento, né oggi prende in considerazione le sottostanti questioni costituzionali. Poiché la Corte d Appello non ci ha investito di tali questioni, questa Corte declina di fare ciò in prima istanza. Per queste ragioni riteniamo che la necessità medica non è una difesa per la lavorazione e la distribuzione di marijuana. La Corte d Appello sbagliava nel sostenere che la necessità medica è una difesa legalmente riconoscibile, (190 F 3d, at 1114.) e ha continuato a sbagliare quando ha istruito la Corte Distrettuale a considerare i criteri di un esenzione basata su una necessità medica e che modificasse la diffida per far rientrare quei criteri nell ordine di modificazione. 14

17 LUGLIO - SETTEMBRE 2002 CONTRIBUTI III La Cooperativa sostiene che, benché il Controlled Substances Act impedisca la difesa per necessità medica, c è un terreno alternativo per ciò che afferma la Corte d Appello. Questo caso, ricorda la Cooperativa alla Corte, nasce da una mozione di modifica di una diffida al fine di permettere le distribuzioni necessarie dal punto di vista terapeutico. Secondo la Cooperativa, la Corte d Appello sosteneva correttamente che la Corte Distrettuale possiede un equo ambito di discrezione per ottenere la revoca della diffida per necessità medica a prescindere dal fatto che nello statuto ci sia o meno una difesa legale di tale necessità. Per sostenere la decisione che segue abbiamo solamente la necesità di riaffermare che le Corti Federali, nell esercizio della loro giurisdizione di equità, hanno il potere discrezionale di modificare una difesa basata su un argomento di pubblico interesse. La Corte non è d accordo. La corte d Appello sbagliava a riguardo del fatto che la Corte distrettuale potesse esercitare tale discrezione. Come punto iniziale la Cooperativa è nel giusto quando sostiene che, quando le Corti Distrettuali agiscono come corte di equità, esse hanno un potere discrezionale fin dove lo statuto non disponga chiaramente in un altro modo. Per diverse centinaia di anni, le corti di equità hanno usato una discrezione legittima per prendere in considerazione la necessità di pubblico interesse nel revocare la diffida. Tale discrezione è rimossa solo da un chiaro e valido comando legislativo. La Cooperativa è nel giusto anche quando sostiene che la Corte Distrettuale aveva un potere discrezionale in questo caso. Il Controlled Substances Act investe le corti distrettuali della giurisdizione per proibire le violazioni dello statuto, ma un assegnazione di giurisdizione per concedere una revoca secondo equità, difficilmente attribuisce la capacità assoluta di farlo in qualsiasi circostanza. Ma dal mero fatto non discende che la Corte Distrettuale quando valuta la richiesta di revoca della diffida, possa prendere in considerazione qualsiasi fattore che dovrebbe essere messo in relazione con il pubblico interesse o la convenienza delle parti, incluse le necessità mediche dei pazienti della Cooperativa. Al contrario, una Corte nell esercizio dei suoi poteri di equità, non può ignorare la decisione del Congresso, deliberatamente espressa nella legislazione.. Una corte distrettuale non può scavalcare una scelta politica del Congresso articolata in uno statuto, in merito a quale comportamento debba essere proibito. Quando una Corte di equità esercita i suoi poteri discrezionali non può considerare i vantaggi e gli svantaggi di una costrizione che non è presente nello statuto ma solo l impiego del rimedio straordinario della diffida. In questo caso la Corte d Appello sbaglia nel considerare rilevante la prova che alcune persone si trovino in serie condizioni mediche per le quali l uso della cannabis è necessaria per trattare o alleviare tali condizioni o i loro sintomi ; che quelle persone patiranno dei forti dolori se sarà negata loro la cannabis ; e che non c è alcuna alternativa legale alla cannabis per il trattamento effettivo delle loro condizioni mediche.. Come spiegato prima, nel Controlled Substances Act, l equilibrio si è scontrato con l eccezione della necessità medica poiché le proibizioni dello Statuto coprono anche coloro che hanno ciò che viene indicata come necessità terapeutica, esso preclude di prendere in considerazione tale prova. La sentenza della Corte d Appello è rigettata e la causa viene rinviata per ulteriore trattazione con questa motivazione. Così è deciso. Il diritto a morire Stato vegetativo permanente e diritto all autodeterminazione della persona incapace M ARINA M ARINO * L a Corte d appello di Milano con una decisione del 30 dicembre 1999 ha affrontato per la prima volta nel nostro Paese il grave problema della richiesta di sospensione dell alimentazione artificiale in persone in stato vegetativo permanente (svp). Lo stato vegetativo permanente, sotto il profilo clinico, è quello stato che consegue alla distruzione totale della corteccia o delle connessioni cortico-diencefaliche, mentre il tronco encefalico sopravvive e resta funzionante. La caratteristica fondamentale dello stato vegetativo permanente è stata descritta * avvocato, componente del Consiglio di Presidenza AIAF da Jennett e Plum come la mancanza di ogni risposta adattativa all ambiente esterno, l assenza di ogni segno di una mente che riceve e proietta informazioni, in un paziente che mostra prolungati periodi di veglia. Le persone in stato vegetativo permanente sono dunque in grado di respirare spontaneamente, hanno conservato le funzioni cardiovascolari, renali ed intestinali, ma non hanno motilità volontaria, né segni minimi di percezione cosciente. Essendo andata persa irrimediabilmente ogni possibilità di attività psichica, la loro sopravvivenza dipende interamente dai presidi che i parenti o la assistenza ospedaliera possono loro fornire. I precedenti giurisprudenziali a questo riguardo sono pochissimi anche all estero, in particolare ricordiamo il caso Cruzan negli USA ed il caso Bland in Gran Bretagna. Trattasi di casi che sono stati esaminati dal giudice statunitense e da quello inglese con diversa impostazione giuridica. Nel caso Cruzan la Corte Suprema ha fon- 15

18 CONTRIBUTI AIAF OSSERVATORIO dato la propria decisione sulla volontà manifestata dal diretto interessato, anche se manifestata in tempi molto passati, essendo rilevante, secondo le Corti statunitensi, la prova della volontà espressa dalla persona, in modo preciso ed inequivocabile. I giudici inglesi, invece, come nel caso Bland, ritengono spesso impossibile e comunque inutile la ricerca della volontà eventualmente espressa dal paziente precedentemente all evento, e, al fine di decidere se accogliere o respingere una richiesta di interruzione dei presidi forniti al paziente, danno rilevanza al parere e alla valutazione dei medici. Si deve però tenere presente che in Gran Bretagna il Comitato etico della British Medical Association ha redatto nel 1992 un documento, più volte citato nella decisione sul caso Bland, che, in relazione ai casi di persone in stato vegetativo permanente, prevede la possibilità di sospendere l alimentazione quando il coma persista da più di un anno. In Italia il tema della sospensione dell alimentazione artificiale, in quei casi in cui si può configurare un accanimento terapeutico, non ha ancora trovato una soluzione legislativa. In Parlamento giace da tempo la proposta di legge sulle direttive anticipate, che dovrebbe sancire il diritto della persona di esprimere anticipatamente le proprie volontà in merito alle cure, così che, in base a un semplice scritto, sia possibile vedere rispettate le proprie preferenze nel caso di successive situazioni di incapacità. Il decreto della Corte milanese sul caso di Eluana Englaro, pur avendo respinto la domanda del padre, tutore della ragazza, di sospensione dell alimentazione artificiale, ci consente alcune riflessioni sull argomento. Eluana Englaro nel corso di un incidente stradale occorsole nel 1992 aveva riportato un danno cranio-encefalico, a seguito del quale si trova da allora in stato vegetativo irreversibile, in tetraparesi, non in grado di manifestare all ambiente esterno alcun contatto, ed incapace di sopravvivere se non assistita, sotto ogni profilo e se non alimentata con sondino gastrico. Nel 1999 il tutore della giovane, nel frattempo interdetta, chiedeva, ai sensi dell art.732 c.c., al Tribunale competente per territorio, di essere autorizzato a dare disposizioni affinché, ferma restando la somministrazione di farmaci necessari ad intervenire sia sull epilessia, che sul disagio fisico conseguente la mancanza di liquidi, venissero interrotte l alimentazione artificiale e la somministrazione di vitamine. Il Tribunale adito dichiarava l inammissibilità del ricorso, affermando che la domanda era in contrasto con i principi fondamentali dell ordinamento vigente nei confronti del quale l eutanasia altro non era che il tentativo di giustificare la tendenza della comunità.a trascurare i diritti dei suoi membri più deboli. Rilevava altresì che l art. 2 Cost. tutela il diritto alla vita, e che l indisponibilità del diritto alla vita da parte dello stesso titolare, desumibile dall art. 579 cp che prevede come reato l omicidio del consenziente, rende impossibile per un terzo il valido rilascio del consenso alla soppressione di una persona umana incapace di esprimere la propria volontà. Concludeva pertanto sostenendo che la sospensione dell alimentazione forzata, avrebbe costituito l omissione di uno dei più elementari doveri dell obbligo di cura ed assistenza. Avverso tale decisione ricorreva in appello il tutore sostenendo, in via principale, che nell art. 357 c.c., che pone a carico del tutore la cura della persona dell interdetto, si deve comprendere anche la facoltà di ottenere per conto del tutelato le informazioni relative alle diagnosi e cure che lo riguardano e conseguentemente il diritto del tutore di accettare o rifiutare le stesse. Chiedeva quindi la revoca del provvedimento del Tribunale, il conseguente rilascio della richiesta autorizzazione, e, nell ipotesi in cui la Corte d appello avesse respinto la domanda perché contraria alla legislazione vigente, chiedeva la rimessione della questione alla Corte costituzionale per contrasto dell art. 357 c.c. con gli artt. 2, 3, 13, 32 della Costituzione. La Corte d appello di Milano respingeva il reclamo con decreto del 26 novembre1999, che disamina puntualmente tutte le questioni proposte e, pur riconoscendo al tutore, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale nel decreto impugnato, la legittimazione ad agire proprio in forza dell art.357 c.c., riteneva di dover respingere la richiesta avanzata in via principale e di non poter esaminare la sollevata questione di legittimità costituzionale in quanto non pertinente, considerato che la rilevanza esprime un nesso di strumentalità, un legame oggettivo tra la questione di costituzionalità e la risoluzione del caso de quo, mentre nel caso di specie - a giudizio della Corte - la questione di costituzionalità era stata sollevata solo per ragioni di politica generale per sollecitare un intervento normativo in un settore ritenuto scoperto. Tale decisione è sicuramente apprezzabile per l accurata disamina degli elementi di diritto inerenti una questione tanto complessa per gli aspetti giuridici, quanto drammatica per gli aspetti umani. È necessario tuttavia osservare come il decreto della Corte motivi il rigetto della domanda essendo il dibattito ancora aperto in ambito medico e giuridico in ordine alla qualificazione del trattamento somministrato. Se è questa la motivazione che ha determinato la Corte a respingere l appello proposto dal tutore, non vi è dubbio che la questione di legittimità costituzionale proposta, al fine di colmare un vuoto legislativo, doveva essere accolta proprio in considerazione della motivazione adottata per respingere il ricorso. In effetti è più che mai urgente dare soluzione a questi casi, colmando le lacune legislative. Secondo la normativa vigente, ogni persona ha la facoltà di scegliere i trattamenti sanitari ai quali sottoporsi, ed è libera di accettarli o rifiutarli, previa prestazione del consenso informato. Ai sensi degli artt. 3, 13 e 32 della nostra Carta Costituzionale ogni persona capace di intendere e volere ha, infatti, il diritto di determinarsi in ordine ai trattamenti terapeutici ai quali sottoporsi o sottrarsi, e conseguentemente i poteri dei medici debbono rimanere negli stretti limiti della loro professione. Il documento del Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) del 1992 intitolato: Informazione e consenso all atto medico, afferma testualmente che al centro dell attività medico-chirurgica si colloca il principio del consenso, il quale esprime una scelta di valore nel concepire il rapporto medico-paziente, nel senso che tale rapporto pare fondato prima sui diritti del paziente che sui doveri del medico. Sicché sono da ritenere illegittimi i trattamenti sanitari extraconsensuali, non sussistendo un dovere di curarsi, se non nei definiti limiti dei trattamenti sanitari obbligatori. Su questa linea, l art. 32 del nuovo Codice di Deontologia Medica (CDM), approvato il 3/10/98 afferma che: In ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace di intendere e di volere, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona.... Da queste affermazioni incontrovertibili discendono due domande: la persona in permanente stato di incapacità ha il medesimo diritto di determinazione? E, in caso affermativo, chi deve decidere in ordine all accettazione o al rifiuto dei trattamenti? A mio giudizio, pare evidente che non possa che riconoscersi pari diritto tanto alle persone incapaci quanto a quelle capaci, in ordine alla determinazione rispetto ai trattamenti sanitari, in applicazione dell art.3 della nostra Carta Costituzionale. È evidente che la persona incapace si trova in una situazione diversa da quella capace, ma tale diversità non può giustificare l assunzione di un modello difforme in ordine al proble- 16

19 LUGLIO - SETTEMBRE 2002 CONTRIBUTI ma della decisione relativa ai trattamenti sanitari ai quali sottoporre la persona. Deve essere ricordato che un corretto rapporto medico-paziente prevede che il medico indichi quale sia la diagnosi, spieghi e chiarisca quali siano le possibili terapie, indichi quali siano gli effetti delle stesse, chiarisca la prognosi; a seguito di tutte queste informazioni il paziente presta il proprio consenso, manifestando in tal modo la propria volontà di sottoporsi o meno a detti trattamenti terapeutici. Tale modello decisionale che vede da un lato il medico e dall altro il paziente, non potrà essere modificato nell ipotesi di un paziente in stato di incapacità, poiché lo stesso è stato costruito per garantire e tutelare i diritti della persona e sarebbe assurdo negare che le persone incapaci non siano anch esse portatrici di tali diritti. Un importante riconoscimento del diritto all autodeterminazione per la persona incapace è espresso nella Convenzione sui Diritti dell Uomo e la Biomedicina approvata il 19/11/1996 dal Consiglio d Europa, che prevede all art. 9 che i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà, dovranno essere tenuti in considerazione. L art. 34 del nuovo Codice di Deontologia Medica prevede altresì che: Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, non può non tener conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso. Alla luce di questo articolo, il medico deve pertanto tener conto della volontà espressa dal paziente fra i criteri per decidere se quel trattamento è appropriato in quella specifica situazione, per quel paziente, con la sua storia clinica e le sue convinzioni morali e religiose. Per quel che attiene l individuazione delle persone che possano assumere decisioni in ordine a tale questione, non vi è dubbio circa il fatto che tale angosciosa decisione spetti al tutore nel caso di persone incapaci maggiorenni di età ed ai genitori, nell ipotesi di minori. Le problematiche che emergono rispetto a questi temi, già oggetto di attenta riflessione da parte dell AIAF, dovranno essere ancor più approfondite, anche attraverso il confronto che coinvolga le diverse competenze professionali mediche, giuridiche, sociali ed etiche. Eutanasia volontaria e direttive anticipate M ILENA PINI * DIRITTO A VIVERE, DIRITTO A MORIRE, questo il titolo del I Forum internazionale sulla qualità della vita e legalizzazione della morte, tenutosi a Roma il 23 e 24 luglio 2002, promosso da Cittadinanzattiva, movimento di partecipazione civica che si propone di tutelare i diritti dei cittadini, quali protagonisti della costruzione di una società più umana, democratica e civile, ed in particolare dal Tribunale per i diritti del malato (la rete di Cittadinanzattiva che si occupa di sanità), che già nel 1995 aveva posto, tra i punti della Carta dei diritti del malato, il diritto del cittadino, anche se condannato dalla sua malattia, a trascorrere l ultimo periodo della vita conservando la sua dignità, soffrendo il meno possibile e ricevendo attenzione e assistenza. Il forum, cui hanno partecipato medici, associazioni e organizzazioni che si occupano di assistenza ai malati, politici e rappresentanti delle istituzioni, ha discusso sui temi della umanizzazione delle situazioni di sofferenza e della lotta al dolore, sulla distinzione tra diritto alla cura e accanimento terapeutico, sull eutanasia e il testamento biologico. Tra gli altri sono intervenuti Stefano Rodotà, docente di diritto civile e presidente dell Authority per la tutela della riservatezza, e Francesco D Agostino, presidente dell Unione giuristi cattolici italiani e attuale presidente del Comitato nazionale per la bioetica, che hanno espresso differenti posizioni sull eutanasia. Stefano Rodotà, esprimendosi a favore di una legge sull eutanasia anche in Italia, come già avvenuto in Olanda e in Belgio, ha richiamato la Convenzione Europea di Biomedicina di Oviedo, ratificata dall Italia nel 2001, laddove si legge che devono essere presi in considerazione i desideri espressi dal paziente, e cioè si afferma la dignità della persona, che non è più oggetto della decisione del terapeuta, bensì soggetto della scelta. In questa prospettiva, secondo Rodotà, è necessaria una riflessione sulla possibilità di una reale uguaglianza di tutti i cittadini di fronte al diritto di esercitare il proprio libero arbitrio, così da garantire la possibilità per ogni persona di rifiutare l accanimento terapeutico, la scelta delle cure palliative e decidere per l eutanasia volontaria. Con l eutanasia volontaria si esce dal paradigma autoritario di un terzo che decide e si affida la decisione alla persona. È però necessaria, secondo il Garante, una disciplina normativa, anche per evitare che si affermino forme di eutanasia strisciante, spesso praticate nei confronti di soggetti socialmente deboli, o * avvocato, componente il Comitato Direttivo Centrale AIAF e presidente della Sezione AIAF Lombardia che vengano discriminati quei soggetti che non dipendono da macchinari o farmaci e che per questo non possono scegliere, per esempio, di staccare la spina. Di parere contrario, il presidente dell Unione giuristi cattolici italiani e attuale presidente del Comitato nazionale di Bioetica, Francesco D Agostino, che richiamando il punto di vista della Chiesa cattolica, espressa nell enciclica papale Evangelium Vitae del 1995, ha ribadito la sua opposizione ad ogni azione che procuri la morte e l inaccettabilità morale di procedure di suicidio assistito. Ha inoltre manifestato il suo netto rifiuto all intervento legislativo, affermando che la legge non è adatta a risolvere simili problemi. La legge esiste per governare e regolare situazioni ordinarie, non situazioni di eccezione. La mia preoccupazione, ha concluso D Agostino, è che qualsiasi legge, anche se motivata dalle migliori intenzioni, burocratizzi inevitabilmente il processo del morire, dilati arbitrariamente il potere dei medici, sottragga la morte umana a quel carattere di tragica eccezionalità che ogni morte possiede, riportandola ad una procedura standardizzata. Una netta posizione di chiusura, persino rispetto al dibattito sull eutanasia, quella espressa dall attuale presidente del Comitato nazionale di Bioetica, che si pone in contrasto con l orientamento di apertura all eutanasia volontaria, che si va affermando in altri 17

20 CONTRIBUTI AIAF OSSERVATORIO Paesi europei. L Olanda, con la legge 10 aprile 2001, ha riconosciuto l eutanasia come scelta deliberata da una persona gravemente malata, effettuata da un terzo, necessariamente un medico, che è vincolato ad una serie di prescrizioni. In primo luogo deve essere stata praticata ogni possibile terapia senza ottenere risultati, ed inoltre deve essere esplicita e pressante la richiesta dell assistito di porre fine alla sua vita. Se il paziente ha un età superiore ai 16 anni ed è incapace di intendere e di volere ma in precedenza ha lasciato un testamento scritto nel quale chiede l eutanasia, il medico potrà praticarla. Se il paziente ha tra i 12 e i 16 anni o tra i 16 e i 18 anni di età e manifesta la volontà di porre fine alla sua vita, il medico dovrà consultare i genitori o i parenti che esercitano la patria potestà o il tutore legale. In ogni caso il medico dovrà informare per iscritto dell accaduto l apposita commissione regionale che entro sei settimane dovrà emettere un giudizio sul suo operato. Nei casi in cui la commissione dovesse ritenere errato il comportamento del medico, dovrà immediatamente darne comunicazione all ufficio del Procuratore Generale e all Ispettorato della Salute Pubblica. Le commissioni regionali devono essere presiedute da un esperto di materie legali e devono farne parte un medico e un esperto di materie etiche e filosofiche. I membri effettivi e i supplenti sono nominati dai ministri della Giustizia e della Salute e restano in carica sei anni. Anche in Belgio, Paese in prevalenza di religione cattolica, è stata approvata il 28 maggio 2002 la legge che ammette l eutanasia. Per poter effettuare questa scelta, il paziente deve essere maggiorenne o minorenne emancipato, in grado di intendere e di volere, e deve prestare in forma scritta un consenso volontario, ragionato e reiterato. Il medico deve in primo luogo verificare che il male sia incurabile e che provochi una sofferenza fisica o psichica costante ed insopportabile, e la gravità della patologia deve essere certificata da un secondo medico indipendente, e addirittura da un terzo se l aspettativa di vita del malato non è limitata. Resta salvo, in ogni caso, il diritto di un medico a rifiutarsi di eseguire l eutanasia. La Corte europea dei diritti dell uomo, nella sentenza 29 aprile 2002 sul caso Diane Pretty contro Regno Unito, si è espressa contro l eutanasia attiva - di chi voglia accelerare la propria morte con l aiuto di un terzo - affermando che l art.2 della Convenzione europea dei diritti dell uomo impone allo Stato non solo di astenersi dal dare la morte intenzionalmente e illegalmente, ma anche di adottare le misure necessarie per la protezione della vita delle persone sottoposte alla sua giurisdizione. Ciò non può, secondo la Corte di Strasburgo, essere interpretato in modo distorto ed opposto, come diritto a morire, né può far nascere un diritto all autodeterminazione nella scelta della morte piuttosto che della vita. La Corte ha però riconosciuto, ai sensi dell art. 8 della Convenzione, il diritto di ogni persona ad autodeterminarsi anche in relazione a scelte che siano auto-lesive e pericolose sia fisicamente che moralmente - diritto che non è comprimibile dallo Stato anche se il rifiuto di una terapia può comportare la morte - legittimando così l eutanasia passiva. In Italia il dibattito si è appena aperto, sulla scia dell interesse suscitato dai casi giudiziari inglesi e dalle leggi approvate in Olanda e in Belgio, e ciò nonostante che questo drammatico problema riguardi anche tanti malati terminali nel nostro Paese. Nella legislazione italiana l eutanasia non è contemplata. Se qualcuno sopprime una persona che ne ha fatto richiesta esplicita, incorre nelle conseguenze previste dall articolo 579 del codice penale (omicidio del consenziente) a patto che la vittima abbia almeno 18 anni, non sia inferma di mente, non si trovi in condizioni di deficienza psichica, non sia stata suggestionata o indotta con la minaccia o con l inganno a domandare la morte. In assenza di questi presupposti e di qualsiasi richiesta, e dunque nel caso di eutanasia, il fatto costituisce omicidio volontario ai sensi dell art. 575 c.p.. In senso positivo, quanto all affermazione del principio di autodeterminazione della persona nella scelta delle cure mediche, sia nel senso di accettare che di rifiutare l intervento medico, si deve rilevare che l art. 32 Cost. afferma che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge ; la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio di Europa il 19 novembre 1996, e recepita dal Governo Italiano, prevede che qualsiasi intervento medico effettuato senza il consenso della persona sia da ritenersi illecito; il nuovo Codice di deontologia medica, afferma all art. 32 che in ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace di intendere e di volere, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona... ; anche le indicazioni legislative sulle trasfusioni di emocomponenti e sui test per sieropositività HIV e alcune sentenze (Corte di Assise di Firenze n. 13/90, Corte di Cassazione n. 364/97 e della Pretura Circondariale di Roma del 9/4/1997) valorizzano l autonomia decisionale del paziente. Affinché una persona possa assumere in modo libero e consapevole una decisione in merito alla propria salute, esprimendo un consenso o un rifiuto rispetto ad un trattamento, diagnostico o terapeutico, è necessario che la stessa riceva un adeguata, corretta e completa informazione. Ma qualora la persona non sia più in grado di valutare queste informazioni ai fini di esprimere o meno il suo consenso, e cioè se la persona non ha o perde la sua capacità di intendere e di volere, si rende necessario prevedere altre forme di manifestazione della volontà. In molti Paesi, quali ad esempio gli Stati Uniti ed altri di cultura anglosassone, in questi casi si dà rilevanza alle disposizioni scritte, date dalla persona interessata in un periodo precedente, quando aveva piena capacità di intendere e di volere, in merito ai trattamenti medici da attuare in caso di sua perdita della capacità decisionale. Tale prassi è consentita anche dall art. 9 della citata Convenzione sui diritti umani e la biomedicina, laddove si afferma che i desideri precedentemente espressi riguardo a un intervento medico da parte di un paziente che al momento dell intervento non è in grado di esprimere la sua volontà saranno determinanti. Anche il Comitato Nazionale per la Bioetica, in un suo documento del 1996 (Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana) si è espresso a favore del testamento di vita affermando che la legge e i codici deontologici possono certamente aiutare a definire una prassi accettabile per le condizioni di incompetenza decisionale attraverso l invito a suscitare una decisione anticipata da parte del malato nei casi che si prospettano particolarmente dilemmatici. Seguendo questo orientamento, la Consulta di Bioetica di Milano, associazione fondata nel 1989 dal neurologo Renato Boeri, che si propone di diffondere un atteggiamento aperto e libero da pregiudiziali dogmatiche nella ricerca di soluzioni ai problemi morali posti dallo sviluppo della medicina e delle scienze biologiche, ha elaborato una proposta di legge per il riconoscimento delle direttive anticipate, con la finalità di dare rilevanza alla dichiarazione di volontà quale strumento valido anche per il tempo successivo alla perdita della capacità naturale. La proposta prevede la possibilità, per la persona capace, di indicare, fornendo indicazioni vincolanti in merito ai trattamenti sanitari, una persona di fiducia che, nel caso sopravvenga uno stato di incapacità naturale valutato irreversibile allo stato delle conoscenze scientifiche diviene titolare, in vece sua, del diritto all informazione, al consenso o al rifiuto dei trattamenti proposti. 18

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