Gli domandarono allora: «Chi è l uomo che ti ha detto: Prendi e cammina?». 13

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1 Esercizi Spirituali alla luce del Vangelo di san Giovanni Carlo Maria Martini Avvento 2013 Terzo incontro VIENI IN MEZZO A NOI Vieni in mezzo a noi, Fonte della vita! Porta libertà, Principe di pace! Dona santità, Seme di giustizia! Nell oscurità, tu Luce del mondo! Nella povertà, tu Dono del Padre! Abita con noi, Signore Gesù! Quinta Meditazione Gesù toglie il peccato dal mondo Questa meditazione corrisponde negli Esercizi al cosiddetto colloquio di misericordia (ES, n. 61), che si fa al termine della Meditazione sui peccati (ES, nn ). Il tema teologico che la anima è il seguente: Gesù toglie il peccato dal mondo. Questo è anche il titolo della nostra meditazione, nella quale ci occuperemo di tre situazioni umane (il paralitico, il cieco nato, la morte di Lazzaro) a cui Gesù si avvicina con la forza della sua amicizia. In un primo progetto avevo aggiunto a questi tre racconti quello del miracolo di Cana, perché così

2 avremmo potuto riprendere in considerazione le quattro parole su cui già abbiamo meditato: tenebre, menzogna, schiavitù, morte. La situazione che Gesù risana a Cana è una situazione di inautenticità, di imbarazzo conviviale e di menzogna pratica (è stata invitata la gente, ma non c è più niente da dare e allora si comincia a trovare delle scuse). Similmente la situazione del paralitico può essere pensata in relazione al tema della schiavitù: il paralitico è colui che è tenuto legato, non si muove, non ha la potenza di fare ciò che vuole. Per quanto riguarda il cieco nato, Giovanni è esplicito nel mettere in rapporto questo episodio con le tenebre. In questo caso, l applicazione cieco nato-luce-tenebre è chiaramente fatta nel Vangelo stesso. Anche per quanto riguarda Lazzaro, il tema morte-vita è chiarissimo in tutta la struttura del capitolo. Quindi vediamo che Gesù risana situazioni di menzogna, di schiavitù, di tenebre, di morte. Tralasceremo, comunque, l episodio di Cana e ci occuperemo degli altri tre episodi evangelici, seguendo l ordine che ci è suggerito dalla stessa narrazione giovannea. Su questi tre passi non intendo dare se non qualche indicazione di lettura spirituale, perché ognuno di essi basterebbe per giorni e giorni di esegesi accurata. In parte il cap. 5, ma soprattutto i capp. 9 e 11 sono costruiti con un arte sopraffina: ciascuno potrà, nel leggere il testo, notare anche questi aspetti. Dal canto mio, mi preme mettere in risalto Gesù che trasforma le situazioni umane con la forza della sua amicizia. 5,1 Dopo questi fatti, ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 2 A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, 3 sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. [ 4 ] 5 Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. 6 Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». 7 Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». 8 Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». 9 E all istante quell uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato. 10 Dissero dunque i Giudei all uomo che era stato guarito: «È sabato e non ti è lecito portare la tua barella». 11 Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi la tua barella e cammina». 12 Gli domandarono allora: «Chi è l uomo che ti ha detto: Prendi e cammina?». 13 Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo. 14 Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio». 15 Quell uomo se ne andò e riferì ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. 16 Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato. 17 Ma Gesù disse loro: «Il Padre mio agisce anche ora e anch io agisco». 18 Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio. Prendo dunque il cap. 5 e vi do qualche indicazione di lettura: la guarigione di un paralitico alla piscina di Betzeta. Il contesto è dato da una festa dei Giudei (5, 1); quindi siamo in uno dei grandi momenti della manifestazione di Gesù, che come già abbiamo detto in Giovanni sono sempre legati a delle feste. Gesù sale a Gerusalemme, che è di nuovo il centro della sua pubblica attività. Che cosa trova Gesù in questa sua andata a Gerusalemme? Un paralitico incurabile. Il testo sottolinea questo aspetto (v. 5): un uomo che da 38 anni era malato, cioè un uomo che non ha più nessuna speranza; mentre nei primi anni di malattia uno può ancora sperare e desiderare ansiosamente di guarire, a un certo punto viene abbandonato: dagli uomini e anche da se stesso. Che cosa fa Gesù di fronte a questo malato senza speranza? Gesù, vedendolo disteso e sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: Vuoi guarire? (5, 6). Qui possiamo contemplare Gesù che prende l iniziativa, si avvicina. In mezzo a quella folla immensa, gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici (5; 3), Gesù individua colui che gli sembra forse il più bisognoso: mentre gli altri sanno darsi da fare, questi è talmente malato che ha ormai rinunciato ad aiutarsi. Gesù comincia col fargli rinascere una fiammella di speranza: Vuoi guarire?. Il malato gli risponde: Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualcun altro scende prima di me (5, 7). La situazione di quest uomo è quella di chi, non potendo aiutarsi è condannato a restare schiavo della sua malattia, cioè non può fare l unica cosa che potrebbe salvarlo. Si tratta davvero di una situazione paradossale: di per sé egli è materialmente vicino alla salvezza rappresentata dalla virtù miracolosamente guaritiva dell acqua, ma è 2

3 talmente malato che non può superare quel passo che ancora mancherebbe; è questa una situazione di assoluta privazione di iniziativa. Che cosa fa Gesù? Gesù gli viene incontro amorevolmente, gli fa riconoscere la sua situazione di impotenza, gliela fa confessare, e poi sovranamente lo guarisce, dicendogli: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina. E sull istante quell uomo guarì, prese il suo lettuccio e cominciò a camminare (5, 8s.). Perché ho detto Gesù sovranamente lo guarisce? Perché e qui Giovanni gioca come sempre con queste sue raffigurazioni simboliche chi non era capace neppure di portare se stesso, adesso porta il suo letto: avrebbe desiderato trascinarsi sull orlo della piscina, e Gesù gli dà molto di più di ciò che pensava; egli porta non solo se stesso, ma il suo letto: è dunque un uomo che può vivere, può lavorare, può operare pienamente. Gesù lo risana con la forza della sua amicizia: lo dimostra quel suo avvicinarsi cordiale, discreto, quella scelta dell uomo più bisognoso, e quel fargli venir fuori gradualmente la sua sofferenza, in maniera che il suo desiderio si chiarisca, e poi infine quel dono regale che Gesù compie. Comunque Gesù fa tutto questo tendendo al risanamento del cuore. E questo avverrà più tardi: Poco dopo Gesù lo trovò nel Tempio e gli disse: Ecco se sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio (5, 14). Chiaramente Gesù ha voluto andare fino in fondo con quest uomo, guarirlo interamente. E Gesù stesso pagherà di persona questa guarigione, perché proprio a partire da quel giorno (la guarigione avviene in un sabato e quell uomo porta il letto di sabato) comincia l ostilità dei Giudei, che lo porterà alla morte. Difatti, la prima menzione della volontà di ucciderlo si trova qui: Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo (5, 18). C è comunque in questo risanamento una nota triste che riguarda la situazione interiore e profonda di questo malato: è egli guarito veramente? Sembra guarito; ma sembra anche che Giovanni voglia dirle che in realtà non lo è, perché non ha capito il significato profondo del segno. Difatti, subito dopo l evangelista rimette in scena quel paralitico, ed egli non sa come rispondere ai Giudei che gli chiedono: Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina?. Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse (5, 12s.). Egli non conosce Gesù allo stesso modo non conosce il suo peccato, che poco dopo Gesù dovrà manifestargli con parole ammonitrici e gravi (v. 14). Il malato dunque se ne va sano, ma per nulla liberato della sua mancanza di salvezza: propriamente non viene alla luce. L uomo non sa chi è stato colui che lo ha fatto sano; e senza sapere ciò, senza questa conoscenza di Gesù, non c è vera salvezza, non c é vita eterna. Questa è la vera mancanza di salvezza: non conoscerlo. Tutti i doni terreni sono soltanto segni della salvezza promessa. Se qualcuno conoscesse chi è Gesù, sarebbe non soltanto sano, ma avrebbe la salvezza: infatti conoscerlo è avere la vita eterna. Quell uomo, dunque, non ha capito il segno; anzi, in un certo senso egli diventa il primo traditore di Gesù, perché in realtà, se comincia la persecuzione dei Giudei contro Gesù, è proprio perché quel tale lo indica loro: Ecco l uomo che mi ha fatto camminare di sabato (5, 15s.). Di qui tutta l opposizione... Effettivamente Giovanni presenta sempre le cose in maniera molto sfumata: ci presenta un aspetto, ma non tutto va avanti gloriosamente; anzi, si verificano sovente delle situazioni contrastanti, che ci mostrano tutta la complessità della opera di salvezza. II 9,1 Passando, vide un uomo cieco dalla nascita 2 e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3 Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4 Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5 Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 6 Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7 e gli disse: «Va a lavarti nella piscina di Sìloe» che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. 8 Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11 Egli rispose: «L uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Va a Sìloe e làvati!. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12 Gli dissero: «Dov è costui?». Rispose: «Non lo so». 13 Condussero dai farisei quello che era stato cieco: e gli dissero: «Da gloria a Dio! Noi sappiamo che quest uomo è un peccatore». 25 Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». 31 Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32 Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33 Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far 3

4 nulla». 34 Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. 35 Gesù seppe che l avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell uomo?». 36 Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». 37 Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». 38 Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Vi do brevemente alcune indicazioni circa l episodio del cieco nato nel cap. 9. Anche qui abbiamo una indicazione iniziale sullo stato disperato di un uomo che si trova nelle tenebre: un cieco dalla nascita. Situazione senza speranza, a cui lui stesso e gli altri si sono accomodati. Dopo un discorso sul peccato (i discepoli chiedono: Ha peccato lui? Hanno peccato gli altri? ), Gesù, superando tutta questa casistica, prende l iniziativa. Di nuovo è lui che inizia l opera, non è il cieco che chiede. Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: Va e lavati nella piscina di Siloe» (9, 6s.). Gesù prende l iniziativa, ma gli fa fare qualcosa. È il suo modo tipico di venire incontro, non regalando, non buttando dall alto le cose, ma smuovendo. Come col paralitico, che non poteva muoversi, ed egli cerca di muoverlo dall interno, stimolandolo con domande e favorendo un analisi dei suoi desideri profondi, così col cieco nato: gli dà da fare qualcosa, in maniera da dargli una speranza graduale, che riesca a smuoverlo. E poi, attraverso questo gesto, lo guarisce. Infatti, quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. A partire da questo v. 7 si scatena una nuova ondata di polemiche, che si sviluppa per l intero arco del cap. 9. Di nuovo, come nel cap. 5, Gesù, che si avvicina con benignità e compie un opera di salvezza, si espone a una nuova serie di guai, incontrando la reazione naturale dell uomo che non vuole aprirsi alla fede e cerca continuamente nuove scappatoie, nuovi rifugi per non aprirsi all azione di Dio. Ciò che soprattutto ci interessa è vedere come alla fine del capitolo, analogamente a quanto è avvenuto per il paralitico, Gesù si rivela a quest uomo. Egli però, a differenza del paralitico, confessa con semplicità e con umiltà le opere di Cristo, riconoscendo che è un profeta; e con la sua dabbenaggine (qui Giovanni lo coinvolge in un confronto ironico) quest uomo, che non sa quasi niente, che usa parole semplicissime e dice le cose più evidenti, riesce a confondere i ragionamenti degli altri: Non ho mai sentito che Dio ascolti un peccatore (9, 31). Con frasi di evidenza immediata, quasi popolare e banale, egli confonde tutte le osservazioni dei dotti, di coloro che invece vogliono sostenere che non è successo nulla, che non può esser così. Quell uomo fa davvero del suo meglio, anche se non conosce ancora a fondo Gesù. E Gesù, alla fine (v. 35) gli si rivela: Gesù seppe che l avevano cacciato fuori (quindi quest uomo ha sofferto per Gesù), e incontrandolo gli disse: Tu credi nel Figlio dell uomo?. Egli rispose: Chi è, Signore, perché io creda in lui?. Gli disse Gesù: Tu l hai visto: colui che parla con te è propri lui. Ed egli disse: Io credo Signore. E gli si prostrò innanzi. Gesù allora disse: Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi (9, 35-39). Qui sta tutto il senso dell opposizione tra i farisei e Gesù; ma questo è anche il senso che interessa noi: c è un segno del Signore, che si conclude con un incontro di fede, che è il termine dell azione di Gesù. Gesù attraverso il segno di salvezza voleva portare quel tale fino a questo punto, e al momento giusto ve lo porta. E quella persona, avendo capito che non aveva soltanto ricevuto un beneficio per goderselo, ma lo aveva ricevuto da una bontà profetica, ascolta l invito e si apre a Gesù nella fede, mentre contro Gesù si addensa ormai tutta l ostilità dei farisei. Infine, la conclusione ( Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi ) costituisce l applicazione a noi di tutto questo episodio. In quanto noi crediamo di vedere, o presumiamo di vedere, ci illudiamo e siamo ciechi; in quanto sappiamo di non vedere e chiediamo luce, ci lasciamo avvicinare dalla potenza del Verbo incarnato e ci lasciamo illuminare da lui. III Prendiamo ora l episodio di Lazzaro Anche in questo caso si tratta di un episodio molto ampio, tutto fondato sul tema morte-vita. Come negli altri casi, anche qui, essendo morto Lazzaro da quattro giorni, ormai ci si comincia ad abituare: non c è più speranza, ci si adatta alla situazione. Gesù si reca da lui di sua iniziativa, con un atto di amicizia personale, che lo spinge ad affrontare un pericolo (cfr. 11, 8), che i discepoli gli dicono grave. Gesù poi compirà il miracolo in un clima di forte emozione: 11,32 Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». 33 Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse 4

5 profondamente e, molto turbato, 34 domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». 35 Gesù scoppiò in pianto. 36 Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». 37 Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». 38 Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. 39 Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». 40 Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». 41 Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42 Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». (11, 32-42). Più che in tutti gli altri miracoli qui è sottolineata una profonda tensione degli animi, e una viva commozione nello stesso Gesù. Perché questa sottolineatura, che non notiamo altrove nei Vangeli? Gesù è di fronte al segno fondamentale della sua missione: la morte da restituire a vita attraverso la propria morte. Il suo gesto realizza la pienezza della sua opera, che egli affronta con una compassione ed un aderenza umana, tremendamente incisive: Lazzaro era suo amico, Lazzaro è morto. Nella descrizione giovannea risulta davvero mirabile la perfetta fusione tra aderenza alla vita di tutti i giorni la tragedia di un amico morto e la percezione che in questa tragedia è presente il mistero di Dio e il mistero della salvezza. Ed è proprio in forza di questa fusione che Gesù ci chiama ad avvicinarci a lui, in quanto egli trasforma non il peccato o le situazioni sbagliate in generale, ma le situazioni umane concrete. È la forza della sua amicizia che qui si rivela in maniera veramente impressionante: nessun altro evangelista ha osato descrivere Gesù così profondamente legato a qualcuno, da rimanere intimamente scosso di fronte alla morte dell amico, al punto di non poter trattenere le lacrime. Di fronte a questa immagine così grave, così solenne e insieme drammatica di Gesù, lasciamo scorrere in noi il flusso della preghiera. Potremmo riassumere così ciò che ci dicono questi brani: le situazioni in cui si trovano gli uomini, in cui si trova l uomo, in cui talora ci troviamo noi menzogna, schiavitù, condizionamenti, inautenticità, disorientamento, morte che sempre ci minaccia, come paura della morte e come possibilità di ribellarci alla morte sono di per sé situazioni insuperabili. Uno solo ci viene incontro, insperatamente e gratuitamente, come amico, prendendo l iniziativa: è il Verbo di Dio fatto uomo, il quale, amichevolmente, si muove verso di noi per soccorrerci, per elevarci, per purificarci; egli ci prende là dove siamo e con noi quel poco che possiamo dargli in quel momento e sovrabbondantemente, regalmente, ci trasforma. Ci è chiesto in questa meditazione di affidarci alla sua potenza e di lasciarci interpellare, richiamare e trasformare da lui in ciò che egli vuol dirci. Sesta Meditazione L opera di Gesù, la messe, i discepoli Ho intitolato questa meditazione l opera di Gesù, la messe, i discepoli: sono questi alcuni temi che appaiono in un brano di Giovanni (4, 31-38), che segue il racconto dell incontro di Gesù con la Samaritana. Esso si inserisce tra la fine del dialogo con la Samaritana, quando la donna va a chiamare quelli del suo paese e questi stanno venendo, e il loro arrivo. Tra questi due momenti c è un altro dialogo, tra Gesù e i suoi, i Dodici; è su di esso che vorrei proporvi di meditare, nello spirito della meditazione sulla Chiamata del Re, che apre la seconda settimana degli Esercizi (ES, nn ). La Chiamata del Re così come Ignazio la presenta, trova risonanze molto più immediate nelle scene di chiamata dei Dodici che troviamo in Mc. 3, e testi paralleli, e poi ancora nella scena della missione ai Dodici (Mc. 6, 7-13). Nei Vangeli sinottici, in particolare in Marco, la chiamata dei Dodici costituisce uno dei momenti fondamentali dell azione di Gesù. Giovanni invece non ha una chiamata dei Dodici altrettanto solenne; soltanto all inizio, nel cap. 1, ci fa vedere il modo in cui Gesù fa le prime conoscenze, le prime amicizie. Prevale quindi il senso dell unica ed insostituibile responsabilità di Gesù nei confronti della missione ricevuta dal Padre verso il mondo. Gesù è all opera; e i discepoli appaiono senz altro associati a lui nella sua opera. 4,31 Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». 32 Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». 33 E i discepoli si domandavano l un l altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». 34 Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35 Voi non dite forse: Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la 5

6 mietitura. 36 Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. 37 In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l altro miete. 38 Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». Questo brano è molto breve (solo 7 versetti) ed è composto, secondo lo stile di Giovanni, tenendo conto di differenti livelli di discorso. Mi pare, infatti, che si possano individuare tre livelli: il primo è il livello della situazione immediata, che si inquadra mediante una serie di domande e risposte circa il cibo. Ad esse se ne intersecano altre, che alludono ad un livello enigmatico, perché possono essere intese sia in senso laterale, sia in senso spirituale. Alcune affermazioni, poi, raggiungono direttamente il livello superiore. Possiamo fare una pre-lettura del testo, per cogliere sommariamente questi aspetti e intanto renderci sensibili a ciò che il testo contiene: I discepoli lo pregavano: Rabbì, mangia (qui siamo al livello dell immediata necessità quotidiana). Ma egli rispose: Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete (la risposta è enigmatica, potrebbe valere del cibo come pure di altra cosa che il cibo significa; ma i discepoli ritornano di nuovo al livello precedente). E i discepoli si domandavano l un l altro: Qualcuno forse gli ha portato da mangiare? (Siamo di fronte ad un malinteso: essi parlano di una cosa, Gesù parla di un altra). Gesù disse loro (qui viene un affermazione di valore spirituale): Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e di compiere la sua opera (4, 31-34). Finisce così la prima parte del dialogo. La seconda (4, 35-38) comincia con un nuovo enigma: Non dite voi ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? (può trattarsi di un proverbio oppure di un modo di dire, che di fatto riguarda la mietitura, cioè la situazione presente, o forse anche il periodo dell anno; ma subito si passa al livello enigmatico). Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura (il problema è: quali campi? di che sta parlando? Sembra che parli di ciò che ha detto prima, ma in realtà è già un altro discorso). E chi miete riceve salario e raccoglie frutto (fin qui il discorso può apparire ambivalente) per la vita eterna (siamo già nel nuovo tipo di discorso), perché ne goda insieme chi semina e chi miete. Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete (qui siamo di nuovo nel campo del proverbio, dell enigma a molti significati). Ecco allora la specificazione al livello superiore: Vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato: altri hanno lavorato, voi siete subentrati nel frutto del loro lavoro. Qui, benché siamo già al livello del discorso spirituale, tuttavia si gioca ancora con enigmi, perché in fondo l applicazione potrebbe anche riguardare la situazione immediata, quella dei Samaritani. Chi legge il discorso potrebbe pensare: Gesù sta prevenendo i discepoli circa l arrivo di una turba di gente, i Samaritani, che essi accoglieranno senza aver fatto nulla per attirarli. Però il discorso, come vedremo, è molto più ampio: esso è una visione profetica, in cui Gesù prevede tutto il futuro. Questo dunque il testo, sul quale possiamo ora riflettere. I pensieri che vi propongo seguono appunto le varie fasi del testo. Prima di tutto l enigma (cioè i vv ), poi il v. 34 (Gesù rivela il segreto della sua vita) e infine i vv , un nuovo enigma sul tema degli apostoli e della messe. Il primo enigma si innesta su un malinteso; una domanda in merito al cibo quotidiano riceve da Gesù una risposta enigmatica. Gesù dice: Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete ; ma i discepoli rimangono al livello della comprensione immediata: Forse qualcuno gli ha portato da mangiare? C è, dunque, una situazione di distanza e di incomprensione tra Gesù e i suoi: Gesù non è capito. Questo aspetto è assai sottolineato nel Vangelo di Marco. E credo contenga un insegnamento importante per noi, che non capiamo mai abbastanza il Signore, né riusciamo mai a renderci conto di ciò che in fondo veramente gli importa. Anche i presbiteri, anche coloro che gli sono vicini, spesso non capiscono ciò che a lui veramente interessa e gli mettono davanti una cosa mentre egli ne vuole un altra. Facciamo come Marta, che invita Gesù a casa e si affanna per preparargli molte cose, ma Gesù a quelle cose non è interessato, mentre è interessato ad altre; e quindi, pur animati da buona volontà, ci si sbaglia nel modo di trattarlo: non conosciamo il mistero di Gesù, che ci sfugge, perché egli ci chiama più in alto. Credo che questo ci debba far riflettere sulla nostra stessa vita spirituale: facciamo noi veramente ciò che Gesù chiede da noi? Già riflettevamo, trattando il tema delle tenebre, sul disorientamento: che cosa compiamo veramente di valido, che piaccia a lui? Ciò che facciamo è veramente ciò che egli ci chiede, oppure è un altra cosa? Gesù risponde con una parola enigmatica, che però già comincia a spiegare il suo mistero. Gesù afferma che qualcuno lo nutre segretamente. In realtà la parola dei discepoli implicitamente allude ad un altra domanda: perché stai parlando con questa donna? Che cosa le stai dicendo?. I discepoli, cioè, si 6

7 meravigliano del fatto che Gesù stia parlando con una donna in quella situazione e che le stia spiegando i segreti del regno; pensano, anzi, che le abbia detto qualcosa che non ha detto loro. Ma Gesù orienta gradualmente e pazientemente il loro disappunto verso il segreto della sua vita, che qui viene comunicato per la prima volta in qualche maniera nel v. 34 (anche se poi ritornerà molto ampiamente in tutto il Vangelo). Dice loro Gesù: Il mio cibo è di fare la volontà di colui che mi ha mandato, e che io compia l opera sua. Dobbiamo ora esaminare un po attentamente questo versetto, perché esso è molto importante. II Abbiamo qui la menzione di qualcuno che manda e della sua volontà: e questa volontà è il cibo di Gesù. Chi è che manda? È il Padre. E qui compare per la prima volta in Giovanni il verbo mandare. Da qui in avanti troveremo tutta una serie di passi ne ho contati 29, in cui il Padre ha come suo attributo specifico quello di Colui che manda. In altre parole, Gesù rivela qui il segréto della sua missione, che consiste nel suo essere tra noi come mandato dal Padre. Espressioni analoghe le troviamo di nuovo in 5, 23ss., e via via fino a 20, 21: Come il padre ha mandato me così io mando voi. In tutta la sua vita, dunque, Gesù presenterà se stesso come colui che è mandato dal Padre. È mandato dal Padre; ma per che cosa? Perché faccia la sua volontà. Che cosa è questa volontà di Dio, che Gesù è mandato a fare da parte del Padre? La parola volontà è importante; la ritroviamo più avanti in un passo quasi identico (6, 38-40) e ritorna poi in 7, 17. Leggendo questi versetti potremo chiederci: che cosa è la volontà di Dio che Gesù viene a compiere? Essa è concretamente il disegno di salvezza. Come viene specificato in seguito ancora più chiaramente, l opera da compiere è il disegno di Dio per la salvezza del mondo. Questa è la volontà di Dio, che è designata come opera da compiere ; un opera faticosa e difficile, che comporta una gradualità di momenti e che dev essere portata fino alla fine. Questa è la volontà di Dio. E da questa volontà di Dio ciascuno di noi è chiamato a inserirsi in Gesù. Che cosa vuoi dire, dunque, per noi compiere la volontà di Dio? Vuoi dire entrare nel disegno di salvezza che Gesù compie, accettando la sua presenza fra noi con tutte le implicazioni che essa comporta. La volontà di Dio, che Gesù compie come mandato dal Padre, è il cibo della sua vita. Che cosa vuoi dire? Certamente qui Gesù si richiama a tutta la tradizione giudaica, che indica come cibo l ascolto della parola di Dio (Dt. 8, 3 e molti altri passi analoghi. Questa è l essenza della sua vita, è ciò che ne costituisce l anima, che lo definisce: Gesù si presenta a noi come obbediente al Padre, cosicché qui sta la definizione stessa del suo essere fra noi. Dovremo vedere poi più chiaramente che cosa implica questo concetto di incarnazione, ma già fin d ora possiamo intendere come la presenza di Dio fra noi sia posta da Gesù proprio attraverso questo atto di obbedienza che egli realizza nel mondo. Qui c è qualcosa che ci deve far pensare, perché certamente noi non avremmo mai insistito tanto sul fatto che Gesù sia stato mandato dal Padre : una tale verità può derivare soltanto da una rivelazione circa l essenza stessa del mistero di Dio. Oltre al verbo pémpo, che appunto troviamo in questi passi e in altri (il Padre è ho pémpsas, colui che manda ), ci sono ancora più di 20 passi, in cui compare il verbo apostello. Questo uso si inizia in 3, 17 ( Il Padre ha mandato, apésteilen, il Figlio ) e continua fino al termine del Vangelo. Abbiamo così quasi una cinquantina di luoghi, in cui con insistenza l opera di Gesù viene definita come il ricevere un mandato. Che cosa significa questo per noi? Dobbiamo rifletterci su attentamente, contemplando nella meditazione la persona di Gesù. III Il terzo momento del brano va dal v. 35 al v. 38: gli apostoli e la messe. Qui ritorna un nuovo enigma: Non dite voi forse: già sono quattro mesi e viene la mietitura? Ecco io vi dico: alzate gli occhi, vedete i campi che sono bianchi per la mietitura (vedete le regioni davanti a voi che sono bianche, che sono ormai pronte per la mietitura) (v. 35). Che cosa avviene qui? Ci troviamo di fronte a qualcosa che dal punto di vista logico non va, perché, se sono quattro mesi, siamo nel mese di febbraio-marzo; dato che la mietitura avviene verso giugno, siamo ancora molto indietro, anzi in Palestina può ancora fare molto freddo, e quindi non c è alcuna imminenza da contemplare. La cosa si spiega piuttosto come una visione profetica di Gesù. Posto di fronte a questo primo episodio del suo apostolato (la Samaritana è appena venuta, e stanno per venire altri dal villaggio), che è forse un episodio modesto e un po banale, egli intravede la sua missione e quella dei discepoli: la messe quindi è grande, immensa, e i campi sono pronti (probabilmente Gesù pensa alla raccolta messianica, 7

8 come è descritta nei Profeti, per esempio in Amos 9, 13). Credo che qui noi potremo riflettere sul modo in cui Ignazio descrive il mondo nella contemplazione dell incarnazione : Vedere l immensità del mondo, con tutte le persone nelle loro diverse situazioni: chi piange, chi ride, chi soffre, chi muore, chi va all inferno... (cfr. ES, nn ). Ecco una visione analoga a quella che Gesù ci presenta: uno sguardo sull immensità dell opera del Padre, alla quale Gesù vuole cominciare ad associare i discepoli. Fino ad ora era in scena lui soltanto; da questo momento egli cerca di fare entrare in qualche maniera anche nell animo dei discepoli quel senso di ansietà e di responsabilità, che incombe su di lui per la missione ricevuta dal Padre. E quindi Gesù già vede profeticamente il raccolto, già si raccoglie il frutto della messe, lo si porta in casa e ci si rallegra. Ed è questa sua gioia interiore, nella quale egli anticipa la più grande visione messianica del raccolto finale, che egli cerca di comunicare ai suoi, rendendoli partecipi dell opera che il Padre ha affidato alla sua responsabilità. A questo punto incontriamo un salto tipico nel modo di parlare di Giovanni, che del resto ha una sua rispondenza immediata anche nell analogo brano di Mt. 3: La messe è molta.... Dopo che Gesù ha cercato di partecipare ai suoi le sue ansie, la sua responsabilità e anche la sua gioia per l immenso lavoro che il Padre gli ha dato da compiere, Gesù ricorda che questo lavoro non è unicamente l affare degli apostoli. Sembra, cioè, che egli voglia compensare con le parole seguenti quel senso di paura che può prendere chiunque di fronte a questa opera immensa: In ciò si avvera la parola che uno è colui che semina e l altro é colui che miete. Io vi ho mandato a mietere ciò che voi non avete lavorato: altri hanno lavorato, e voi siete entrati nel frutto del loro lavoro (vv. 37s.). Che cosa vuoi dire Gesù con questo linguaggio parabolico, che tra l altro sembra riferirsi a un brano del profeta Michea, che di per sé è un brano di tristezza: Colui che semina non mieterà (cfr. Mi. 6, 15)? Gesù prende la parola in un altro senso: uno semina e un altro miete; voi raccogliete ciò che altri hanno seminato. Mi pare che qui Gesù stia introducendo gli apostoli a un aspetto molto importante della sua opera. C è, infatti, l opera del Padre, che Gesù deve compiere ed alla quale egli associa i suoi gradualmente, a mano a mano che questi divengono capaci di portarla per la crescente maturità del loro cuore, senza però mai scaricarla addosso a loro, come se ne fossero gli unici responsabili. Gesù vuol indicare loro (e Giovanni vuole indicarlo alla sua comunità dei presbiteri) che si tratta di un opera situata nell ambito di una lunga tradizione viva, di cui essi non sono né l inizio né la fine, di cui non sono quindi gli unici gestori o responsabili; anzi, come si riceve la missione, così anche si riceve la collocazione in questa ampia tradizione, di cui ciascuno di noi è una parte e in cui fa qualcosa, senza che nessuno sia il responsabile, il gestore o il dominatore assoluto. Notiamo lo stesso concetto nel passo di Matteo: La messe è molta, gli operai sono pochi, che è un grido di gioia e di angoscia insieme; infatti, mentre a prima vista si sarebbe portati a concludere: Dunque, andate presto a mietere, la conclusione è: Pregate il padrone della messe. Quasi a dire: Non siete voi i responsabili finali dell opera di Dio! Questa l opera è di Dio, Dio l ha affidata al Figlio e il Figlio la partecipa a noi, ma essa rimane opera lunga, ampia e di molti. Cominciamo così a intravedere una delle tipiche linee ecclesiali del Vangelo di Giovanni, che è quella di aiutare il discepolo, il presbitero, a comprendere la presenza di Gesù nella tradizione viva della Chiesa e a inserirsi in essa, accettando che l opera di Dio venga e si compia in questa maniera; quindi togliendo dal cuore dei discepoli, dei presbiteri, quel senso di angoscia secondo cui tutto dovremmo far noi, quasi che tutto nasca con noi e con noi muoia. Noi entriamo sempre in un lavoro che altri hanno già fatto, raccogliamo l eredità di altri e prepariamo la via per altri che vengono. E questo, anche umanamente, ci tranquillizza e rende più semplice, più concreta, più umile la nostra azione. È da stupirsi che Gesù vi faccia un accenno specifico là dove comincia la formazione ecclesiale dei suoi discepoli? Possiamo concludere la nostra meditazione, facendo attenzione al passo con cui termina il racconto della Samaritana: Noi abbiamo visto che costui è veramente il Salvatore del mondo (4, 42). Questo è l unico luogo del Nuovo Testamento in cui Gesù sia chiamato Salvatore del mondo. Ed è chiamato così alla conclusione dei due episodi di Nicodemo e della Samaritana, come sintesi di ciò che è avvenuto. Gesù ha parlato sia a Giudei che a Samaritani; da ciò si vede la sua destinazione universale. Gesù, Salvatore del mondo, è dunque colui che ci fa comprendere le necessità del mondo intero e il modo in cui dobbiamo comportarci in quanto mandati al mondo. 8

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