LA VIOLENZA DI GENERE: L'ATTUALE SISTEMA DI TUTELA PENALE ALLA LUCE DEI PIÙ RECENTI INTERVENTI LEGISLATIVI

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1 LA VIOLENZA DI GENERE: L'ATTUALE SISTEMA DI TUTELA PENALE ALLA LUCE DEI PIÙ RECENTI INTERVENTI LEGISLATIVI 1. PREMESSA La definizione di violenza contro le donne basata sul genere (gender-based violence) è contenuta nella Convenzione del Consiglio d'europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul il 23 maggio 2011 (1), e, precisamente, all'articolo 3: tale espressione «designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato». La stessa Convenzione, inoltre, nel preambolo riconosce natura strutturale alla violenza contro le donne, in quanto basata sul genere. A partire dalla ratifica di tale Convenzione, avvenuta con la l. 27 giugno 2013, n. 77, nel corso degli anni si sono succeduti in modo mirato numerosi interventi normativi, di iniziativa governativa, tutti finalizzati a rafforzare e rendere più severo il sistema penale nei confronti degli atti di violenza sulle donne e, al contempo, ad assicurare maggiore tutela e sostegno alle vittime di tali intollerabili delitti, tanto da poter oggi ragionevolmente affermare che il quadro vigente presenta un elevato grado di copertura contro la violenza di genere, in conformità con gli impegni internazionali assunti dal nostro Paese (2). La legislazione non prevede una specifica fattispecie avente ad oggetto la violenza di genere ma diverse ipotesi di reato riconducibili a questa tipologia di violenza che danno una risposta unitaria per tutte le vittime, senza fare distinzione in ragione del sesso: ed infatti, nessuna fattispecie incriminatrice (ad eccezione delle norme sull'interruzione della gravidanza e della norma sull'infanticidio) è diversamente strutturata a seconda del sesso del soggetto che commette il reato o del soggetto che lo subisce. Peraltro, l'eventuale previsione di un trattamento punitivo differenziato in base al sesso del soggetto agente oppure della vittima, potrebbe creare problemi di disparità di trattamento, trattandosi di una disciplina finalizzata alla tutela di diritti a titolarità non esclusivamente femminile (la violenza contro le donne è una species del più ampio genus della violenza di genere, suscettibile di colpire anche gli uomini) con conseguente rischio di discriminazione rispetto all'uomo vittima di violenza realizzata dalla donna con lo stesso movente o in analogo contesto, giacché il principio di uguaglianza vieta un trattamento diverso degli uguali senza motivi ragionevoli. Ed ancora, l'idea che ogni atto di violenza commesso sulle donne (omicidio, violenza, privata, maltrattamenti, minaccia, atti persecutori) incorpori un disvalore che va al di là della lesione o della messa in pericolo del bene di natura spiccatamente individuale concretamente tutelato dalle singole fattispecie (integrità fisica, libertà di agire, libertà morale, privacy), integrando l'offesa al genere femminile quale ulteriore bene giuridico di carattere pubblicistico, parrebbe orientare il sistema penale in una prospettiva specialprotezionistica in ragione del genere al quale appartengono le vittime, posizione dalla quale il legislatore ha manifestato di volersi affrancare con scelte esegetiche ben mirate.

2 Questa breve nota si propone di ripercorrere le principali riforme legislative in campo penale intervenute nell'ultimo biennio, evidenziando, quale filo conduttore, l'incidenza che hanno avuto sul piano degli strumenti di repressione nei confronti degli autori dei reati, da un lato, e di tutela delle vittime, dall'altro, della violenza di genere; tutto ciò, tuttavia, nella consapevolezza, purtroppo confermata dai drammatici dati di cronaca, che se l'inasprimento del trattamento punitivo riveste un ruolo fondamentale anche in una prospettiva general-preventiva quale doverosa severa stigmatizzazione da parte dello Stato di tali odiosi fatti, la gravità e la complessità del fenomeno criminale sotteso impone, per poter essere efficacemente contrastato, un approccio multidisciplinare che coinvolga anche l'intera società civile. 2. LE FATTISPECIE PRESENTI NEL CODICE PENALE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL DELITTO DI S TALKING Il codice penale contempla numerose fattispecie che perseguono gravemente la c.d. violenza di genere; in particolare, sono previsti i delitti di: violenza sessuale, punita con la reclusione da cinque a dieci anni (art. 609-bis); violenza sessuale aggravata, punita con la reclusione da sei a dodici anni o da sette a quattordici anni (art. 609-ter); atti sessuali con minorenne, puniti con la reclusione da cinque a dieci anni, salvi i casi particolari previsti dalla norma (art. 609-quater); corruzione di minorenne, punita con la reclusione da sei mesi a tre anni (art. 609-quinquies); violenza sessuale di gruppo, punita con la reclusione da sei a dodici anni (art. 609-octies). Inoltre, per il c.d. femminicidio sono applicabili le pene massime previste dall'ordinamento giuridico, ovvero la pena dell'ergastolo sia per l'uxoricidio (artt , ultimo comma c.p.), sia per l'omicidio della vittima del reato di atti persecutori da parte del c.d. stalker (art. 576, comma 1, n. 5.1 c.p.). Oltre ai casi sopraindicati, il c.d. femminicidio rientra nella ipotesi di omicidio volontario (art. 575 c.p.), punito con la pena della reclusione non inferiore a ventuno anni, salvo che ricorra taluna delle circostanze aggravanti previste dall'art. 577 c.p. (in seguito alle quali la pena applicabile è quella dell'ergastolo). Una fattispecie fondamentale nella lotta contro la violenza di genere è il reato di Atti persecutori (c.d. stalking), di cui all'art. 612-bis c.p., introdotto dall'art. 7 del d.l. 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla l. 23 aprile 2009, n. 38. Le pene per tale reato, che negli ultimi anni ha avuto forte e tragica incidenza nel tessuto sociale, sono le più severe tra quelle stabilite per i delitti contro la libertà morale: l'art. 1-bis del d.l. 1 luglio 2013, n. 78, conv. con modif., dalla l. 9 agosto 2013, n. 94, ha innalzato il limite massimo da quattro a cinque anni di reclusione. La ratio di tale inasprimento si riconduce alla volontà di allineare la pena edittale alle condizioni di ammissibilità per l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, circoscritta, appunto, ai delitti consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. La pena base, inoltre, è aumentata (fino a un terzo) se lo stalker è il coniuge legalmente separato (o divorziato) o è stato legato da una relazione affettiva con la vittima. Ed ancora, la pena è aumentata fino alla metà (dunque, sino a nove mesi nel minimo e a sette anni e mezzo nel massimo) quando il fatto è commesso in danno delle c.d. fasce deboli (i minori, le donne in stato di gravidanza, le persone disabili) o con armi. Tale quadro sanzionatorio consente, dunque, non solo l'arresto in flagranza ma anche l'applicazione delle misure cautelari personali, compresa la custodia in carcere. Tuttavia, poiché lo stalking costituisce espressione di una sindrome comportamentale (la cosiddetta sindrome delle molestie assillanti ), connessa ad una patologia della relazione e della comunicazione interpersonale, la dinamica delle relative condotte costitutive si presenta multiforme e complessa (comunicazioni, anche tramite internet, e contatti indesiderati; minacce; violenze) al pari delle diverse tipologie di autori (il soggetto rifiutato; il rancoroso; il molestatore in cerca di intimità; il corteggiatore inadeguato; il predatore, il più pericoloso per i maggiori rischi di natura sessuale e/o di assassinio per la vittima). Conseguentemente, contrastare questo

3 fenomeno di molestia compulsiva è estremamente complesso poiché richiede necessariamente interventi di carattere interdisciplinare, e cioè oltre a quelli di natura strettamente giuridica, cautelare e sanzionatoria, anche di valenza strettamente clinica e psicologica, attraverso l'attività dei servizi pubblici e delle associazioni civili di osservazione, monitoraggio, studio, formazione culturale ed educazione personale da un lato, e di informazione, sostegno e assistenza alle vittime oppresse da tali condotte persecutorie, dall'altro. Ed infatti, proprio perché la segregazione in carcere non è spesso da sola sufficiente a recuperare alla società soggetti disturbati e violenti responsabili di tali attività criminose, risulta essere oltremodo importante anche una contestuale azione di prevenzione, di valutazione e gestione del rischio, di predisposizione di adeguate misure di sostegno psicologico ed economico per garantire l'efficacia di questa norma che ha tipizzato un fatto-reato da tempo auspicato quale significativo baluardo e presidio per la tutela delle vittime oggetto di persecuzione e costrette a vivere in costante stato di ansia e di paura. È importante sottolineare come il legislatore, creando la fattispecie di cui all'art. 612-bis c.p. quale reato a forma libera, abbia inteso tutelare nel modo più completo possibile la vittima, focalizzando l'interesse non tanto sulla condotta quanto sull'evento lesivo prodotto, sul presupposto che, essendo molteplici le manifestazioni delle condotte invasive della sfera della libertà morale, tranquillità e privacy di chi le subisce, tipizzarne a priori in modo dettagliato le possibili forme di manifestazione avrebbe escluso dal penalmente rilevante molti comportamenti gravemente offensivi. La scelta di tale tecnica di tutela, difatti, in linea con gli insegnamenti della dottrina tradizionale (3), è strettamente condizionata dalla natura e dall'importanza e, conseguentemente, dal grado di intangibilità del bene giuridico protetto: per tale ragione, appunto, sono a condotta libera innanzitutto i reati contro i beni personalissimi (vita, incolumità, libertà, onore), essendo massima la loro inviolabilità e non sempre significativa o possibile la tipizzazione delle aggressioni. Nell'ambito delle misure contro la violenza nelle relazioni familiari sono da ricordare le previsioni di specifici provvedimenti cautelari: da un lato, in sede penale, l'ordine di allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.); dall'altro, in sede civile, l'ordine di protezione contro gli abusi familiari (art. 342-bis c.c.). A tale schermo protettivo con la legge n. 38 del 2009 si sono aggiunti gli artt. 282-ter c.p.p. (Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa) e 282-quater c.p.p. (Obblighi di comunicazione dei provvedimenti dell'ordine di allontanamento dalla casa familiare e di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa alla autorità di pubblica sicurezza, per l'eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni, ed alla persona offesa e servizi socio - assistenziali del territorio). La legge sullo stalking ha, poi, previsto anche una serie di competenze in capo ad organi diversi dalle parti processuali, in modo da distribuire la richiesta di protezione fra centri di diversa natura e competenze e modulare la risposta dell'autorità a seconda del grado di protezione richiesto dalla vittima dello stalker: l'ammonimento del Questore; le c.d. misure a sostegno della vittima di cui agli artt. 11, 12, 13 del d.l. n. 11 del 2009 (informazioni da parte delle forze dell'ordine, dei presidi sanitari e delle istituzioni pubbliche circa i centri antiviolenza; istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri Dipartimento delle Pari opportunità di un numero verde nazionale a favore delle vittime degli atti persecutori per un servizio di pronta e prima assistenza psicologica e giuridica); l'istituzione presso l'arma dei carabinieri di una sezione Atti Persecutori con competenze specifiche per evitare fenomeni di vittimizzazione secondaria connessi talora ad atteggiamenti di minimizzazione dei problemi e/o di colpevolizzazione; la creazione di fondi di solidarietà a livello territoriale (ad esempio, per la tutela legale) e di sportelli di tutela. Tale avanzato sistema di salvaguardia non appare indebolito dalla pronuncia della Corte costituzionale (sentenza n. 265 del 2010) che è intervenuta sulla costituzionalità dell'art. 275, comma 3, c.p.p., come modificato dall'art. 2 del d.l. 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in

4 materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla l. 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui non consente di applicare misure cautelari diverse e meno afflittive della custodia in carcere, «alla luce di specifici elementi acquisiti», alla persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza in ordine a taluni reati di violenza sessuale, atti sessuali con minorenne, induzione o sfruttamento della prostituzione minorile. Tale pronuncia, respingendo ogni automatismo e presunzione assoluta, ribadisce la necessità che il giudice penale, in virtù dei fondamentali ed irrinunciabili principi di proporzionalità ed adeguatezza, parametri e scelga comunque la misura meno afflittiva tra quelle astrattamente idonee a tutelare le esigenze cautelari nel caso concreto, entro il ventaglio di quelle contemplate dalla legge, in modo da ridurre al minimo indispensabile il sacrificio di libertà determinato dalla coercizione, e così realizzare una piena individualizzazione della misura cautelare medesima. 3. LA NOVELLA DEL D.L. 14 AGOSTO 2013, N. 93 Il d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv., con modif., dalla l. 15 ottobre 2013 n. 119, recante Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province, realizza un articolato intervento normativo teso «ad inasprire, per finalità dissuasive, il trattamento punitivo degli autori di tali fatti, introducendo, in determinati casi, misure di prevenzione finalizzate alla anticipata tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica» (4)e, difatti, la novella è rivolta sia alla disciplina delle fattispecie di maltrattamenti in famiglia, atti persecutori e violenza sessuale, inasprendo le pene edittali e configurando nuove circostanze aggravanti, che alla legge processuale, prevedendo misure precautelari e meccanismi di tutela della persona offesa in occasione della revoca o sostituzione di quelle cautelari. A quattro anni dall'introduzione nel codice penale della fattispecie di atti persecutori e a pochi mesi dalle modifiche apportate a quella di maltrattamenti in famiglia, di cui all'art. 572 c.p., dalla legge di attuazione della Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale (5), si è, dunque, ritenuto necessario un nuovo potenziamento degli strumenti per la prevenzione e la repressione della violenza di genere, soprattutto nella sua ambientazione domestica, intercettando il crescente allarme sociale determinato dall'inarrestabile aumento in Italia dei reati che riconducibili alla categoria criminologica della violenza perpetrata ai danni delle donne. Per quanto attiene alle nuove circostanze aggravanti ad effetto comune tra le più rilevanti in tema di violenza contro le donne, è da menzionare quella prevista dall'art. 61, n. 11-quinquies, c.p., per il delitto di maltrattamenti in famiglia, ovvero quella dell'aver commesso del fatto commesso in presenza di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza. Sotto il primo profilo, il legislatore ha inteso attribuire specifica valenza giuridica alla c.d. violenza assistita, intesa come il complesso di ricadute di tipo comportamentale, psicologico, fisico, sociale e cognitivo, nel breve e lungo termine, sui minori costretti ad assistere ad episodi di violenza domestica e soprattutto a quelli di cui è vittima la madre. Invero, la giurisprudenza già da tempo aveva riconosciuto come integrasse il delitto di cui all'art. 572 c.p. anche l'esposizione del minore alla percezione di atti di violenza condotti nei confronti di altri componenti del nucleo familiare (v., ad es., Sez. V, n del 22 ottobre 2010 e Sez. VI, n. 8592/10 del 21 dicembre 2009): orientamento, pertanto, che trova ora riconoscimento normativo nella configurazione di tale aggravante, la cui previsione, tra l'altro, soddisfa la specifica indicazione contenuta in tal senso nell'art. 46 d) della citata Convenzione di Istanbul. Le circostanze aggravanti aggiunte all'art. 609-ter c.p. (6)riferite alla fattispecie di violenza sessuale che consentono l'applicazione di una pena da sei a dodici anni di reclusione attengono a condotte commesse nei confronti di: chi non abbia compiuto 18 anni, quando il colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore; donna in stato di gravidanza; persona della quale il colpevole sia il coniuge, anche separato, o divorziato, ovvero colui che alla stessa persona è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza. La rilevanza di

5 tali ipotesi attiene al fatto che rappresentano una netta inversione di tendenza rispetto alle scelte operate in passato dal legislatore, il quale si era sempre dimostrato restio a considerare esplicitamente la violenza sessuale come strumento di violenza domestica ed a riconnettervi una intrinseca maggiore gravità. Del resto lo stesso riconoscimento definitivo da parte della giurisprudenza della rilevanza penale dei rapporti sessuali imposti da un coniuge all'altro in costanza di matrimonio ha storicamente faticato ad affermarsi anche dopo la riforma del diritto di famiglia del 1975 a causa di resistenze culturali tanto diffuse da costringere la stessa Corte di cassazione a dover precisare ancora nel recente passato come l'esistenza di un rapporto di coniugio accompagnato da effettiva convivenza non escluda, di per sé, la configurabilità del reato, dovendo ritenersi, alla luce di quanto stabilito dall'art. 143 c.c. in materia di diritti e doveri dei coniugi, che non sussista un diritto assoluto del coniuge al compimento di atti sessuali come mero sfogo dell'istinto sessuale anche contro la volontà dell'altro coniuge (7). Ebbene, con il d.l. n. 93 del 2013 si è chiaramente affermata la specifica gravità della violenza sessuale perpetrata come manifestazione di dominio all'interno di un rapporto di coniugio o affettivo ovvero come strumento di persecuzione successivo alla rottura di tali rapporti. E particolarmente significativa in tale ottica risulta l'equiparazione dei fatti commessi in costanza di rapporto a quelli consumati successivamente al loro scioglimento (art. 609-ter, comma 5- quater, c.p.). Con riguardo al delitto di violenza sessuale, inoltre, il legislatore del 2013, ha eliminato il riferimento al carattere legale della separazione, prevedendo l'aumento di pena «se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, ovvero da persona che è legata o è stata legata in passato da relazione affettiva alla persona offesa», a prescindere da uno stato di convivenza (art. 612-bis, comma 2, c.p.). Si è anche aggiunta una ulteriore fattispecie aggravante per il caso in cui gli atti persecutori vengano commessi attraverso strumenti informatici o telematici, all'evidente fine di sanzionare adeguatamente una condotta maggiormente lesiva a causa della particolare diffusività del mezzo utilizzato. Si può ritenere che la più rilevante novità contenuta nel d.l. n. 93 del 2013 con riferimento al delitto di atti persecutori attenga alla procedibilità del reato, essendo preordinata ad evitare che la vittima sia esposta ad ulteriori minacce e violenze per indurla a rimettere la querela. Per scongiurare il rischio di tali inaccettabili pressioni il d.l. n. 93 ha, dunque, disposto che la remissione della querela possa essere soltanto processuale e che comunque la querela sia irrevocabile quando gli atti persecutori siano stati compiuti attraverso la reiterazione di minacce gravi (art. 612-bis, comma 4, c.p.). È stata modificata anche la procedura di ammonimento dello stalker prevista dall'art. 8 del d.l. n. 11 del 2009, rendendo opportunamente cogente l'adozione da parte del Questore dei provvedimenti in materia di armi conseguenti all'emanazione del provvedimento, in precedenza rimessa alla sua valutazione discrezionale. A corredo degli interventi normativi sostanziali sopra illustrati il legislatore dell'urgenza ha introdotto anche una serie di modifiche mirate al codice di rito. Tali modifiche toccano diverse fasi e attività del procedimento, dalle misure cautelari personali, all'incidente probatorio, dalla chiusura delle indagini preliminari al sub-procedimento di proroga della durata delle medesime, dalla richiesta di archiviazione al dibattimento. In particolare, si è resa obbligatoria l'informazione alla persona offesa della possibilità di accedere al patrocinio a spese dello Stato (artt. 101 c.p.p; 76 d.p.r. n. 115 del 2002); il delitto di atti persecutori è stato inserito tra i reati per i quali sono consentite le intercettazioni di conversazione e comunicazione (art. 266, comma 1, lett. f-ter); vengono estese le ipotesi di reato in cui si può ricorrere alla misura coercitiva dell'allontanamento dalla casa familiare (lesioni personali volontarie e minaccia grave) per l'esecuzione della quale, inoltre, è consentita l'adozione di modalità di controllo a distanza con strumenti elettronici o tecnici (art. 282-bis,

6 comma 6); viene disposto che i provvedimenti relativi alle misure dell'allontanamento dalla casa familiare, del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-ter), del divieto e obbligo di dimora (art. 283), degli arresti domiciliari (art. 284), della custodia cautelare in carcere (art. 285), della custodia cautelare in luogo di cura (art. 286) debbano essere immediatamente comunicati al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa stessa ed ai servizi socio-assistenziali del territorio (art. 299, comma 2-bis); viene previsto che la richiesta di revoca o di sostituzione dei provvedimenti sopra indicati vada, a pena di inammissibilità, contestualmente notificata, a cura del richiedente (indagato/imputato o pubblico ministero), al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa per consentirle di predisporre eventuali cautele in vista della possibile revoca o modificazione delle misure stesse (8) (art. 299, commi 3 e 4-bis); delitti di maltrattamenti in famiglia e di atti persecutori sono stati aggiunti tra le ipotesi di arresto obbligatorio in flagranza (art. 380, comma 2, lett. l-ter). Con l'art. 384-bis c.p.p., viene conferito alla polizia giudiziaria il potere di disporre, previa autorizzazione del pubblico ministero, nei confronti di chi è colto in flagranza dei delitti di cui all'art. 282-bis, comma 6, c.p.p., la misura precautelare dell'allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa. Tale intervento è, in ogni caso, giustificato ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l'integrità fisica della persona offesa. Significativa è pure la modifica all'art. 282-quater c.p.p. finalizzata a valorizzare, in una prospettiva di rieducazione e recupero sociale dell'autore di reati contro le donne, la positiva partecipazione ad un programma di prevenzione della violenza organizzato dai servizi socioassistenziali del territorio: tale adesione sarà valutata dall'autorità giudiziaria per accertare l'attualità della gravità delle esigenze cautelari e l'adeguatezza della misura cautelare in esecuzione per una eventuale sua revoca o sostituzione con una meno afflittiva. È da evidenziare come tale previsione si affianchi a quella contenuta nell'art. 13-bis della legge sull'ordinamento penitenziario, introdotto dalla legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote (9), in base alla quale, appunto, l'eventuale partecipazione ad un trattamento psicologico con finalità di recupero e di sostegno da parte delle persone condannate per i delitti a sfondo sessuale commessi danno di persona minorenne, viene valutata positivamente ai fini della concessione dei benefici penitenziari (10). Al fine di accelerare i processi per reati di violenza domestica (11), di cui agli artt. 572 e 612-bis c.p., il d.l. n. 93 dispone che la proroga per giusta causa del termine di durata delle indagini preliminari possa essere richiesta una sola volta, al pari di quanto già previsto per i delitti di omicidio e lesioni colpose commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 406, comma 2-ter c.p.p.). In tema di archiviazione è stato aggiunto che, nel caso in cui si proceda per il delitto di maltrattamenti in famiglia, la richiesta del pubblico ministero debba comunque essere notificata alla persona offesa e che il termine per presentare l'eventuale opposizione sia elevato a venti giorni (art. 408, comma 3-bis, c.p.p.). La novella ha stabilito anche che, sempre e solo nel caso in cui si proceda per i reati di maltrattamenti in famiglia e di atti persecutori, l'avviso della conclusione delle indagini preliminari debba essere notificato, oltre che all'indagato ed al suo difensore, anche al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa stessa (art. 415-bis, comma 1, c.p.p.). Sul fronte della tutela della vittima, al fine di scongiurare il fenomeno della c.d. vittimizzazione secondaria conseguente alla esperienza giudiziaria, spesso ulteriormente traumatica per coloro che abbiano subito atti di violenza di genere, inoltre, sono da ricordare: l'estensione dei casi di incidente probatorio atipico alle indagini anche per il delitto di maltrattamenti in famiglia (art.

7 398, comma 5-bis, c.p.p.); la previsione che consente l'esame dibattimentale in forma protetta dei testimoni vittime dei reati di cui all'art. 498, comma 4-ter, c.p.p. (tra i quali, figurano tutti più gravi delitti di violenza di genere) nel caso di soggetto maggiore di età in condizione di particolare vulnerabilità, anche se non infermo di mente (art. 498, comma 4-quater, c.p.p.). Per quanto attiene all'esecuzione della pena, l'art. 656, comma 9, c.p.p., novellato dal d.l. n. 78 del 2013, esclude la sospensione del titolo esecutivo una volta divenuta definitiva la condanna nei confronti dei condannati per i delitti di maltrattamento e di atti persecutori aggravati, salvo il caso di soggetti che già si trovino agli arresti domiciliari ai sensi dell'art. 89 del d.p.r. n. 309 del 1990 in quanto tossicodipendenti o alcoldipendenti che abbiano in corso un programma terapeutico di recupero. Il d.l. n. 93 del 2013 incide, altresì, sui criteri di priorità nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi, attribuendo una posizione primaria al delitto di maltrattamenti in famiglia, ai delitti contro la libertà sessuale (articoli da 609-bis a 609-octies c.p.) e al delitto di atti persecutori (art. 132-bis disp. att. c.p.p.). Sono, infine, contemplate e disciplinate a riprova di un sistema giuridico che dispone di una tutela avanzata in materia di violenza nei confronti delle donne misure di prevenzione per condotte di violenza domestica (art. 3 del d.l. n. 93); tutela per gli stranieri vittime di violenza domestica (art. 4 del d.l. n. 93); un piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere; azioni per i centri anti-violenza e le case rifugio (art. 5 del d.l. n. 93). 4. IL DECRETO-LEGGE 26 GIUGNO 2014, N. 92 Successivamente, con il d.l. 26 giugno 2014, n. 92, conv., con modif. dalla l. 11 agosto 2014, n. 117 recante Disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nonché di modifiche al codice di procedura penale e alle disposizioni di attuazione, all'ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria e all'ordinamento penitenziario, anche minorile, si è novellata la disposizione dell'art. 275 c.p.p. nel senso di escludere dalla disciplina ordinaria che non consente l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere quando il giudice ritiene che, all'esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni, i delitti di maltrattamento in famiglia e di atti persecutori, oltre a tutti quelli previsti dall'art. 4-bis della l. 26 luglio 1975, n. 354, e ciò, appunto, al fine di predisporre una disciplina cautelare più severa per gli indagati di tali delitti. 5. IL D.LG. 4 MARZO 2014, N. 24 Il d.lg. 4 marzo 2014, n. 24, ha dato attuazione alla direttiva 2011/36/UE (12), relativa alla prevenzione e alla repressione della tratta degli esseri umani e alla protezione delle vittime. È significativo ricordare la novella apportata all'art. 398 c.p.p. che estende in sede di esame durante l'incidente probatorio la tutela prevista per le vittime minori di età o maggiori di età, ma inferme di mente, a tutte le vittime maggiorenni in condizione di particolare vulnerabilità, richiamando la disposizione precedentemente introdotta con il sopra citato d.l. 14 agosto 2013, n. 93. Nella specie, all'art. 398 c.p.p. è stato aggiunto il comma 5-ter che prevede che l'esame venga condotto anche tenendo conto della particolare vulnerabilità della persona offesa, desunta anche dal tipo di reato per cui si procede, e che, il giudice, ove ritenuto opportuno, disponga, a richiesta della persona offesa o del suo difensore, l'adozione di modalità protette (a titolo esemplificativo, l'utilizzo del vetro divisorio). Gli artt. 4, 5 e 10, comma 2, rispondono all'esigenza di rafforzamento della tutela delle vittime, anche attraverso la previsione di una adeguata informazione sui loro diritti nonché attraverso percorsi formativi nei confronti degli operatori che entrano in contatto con le stesse. In particolare, l'art. 4 è dedicato ai minori stranieri non accompagnati, vittime di tratta, e definisce una serie di disposizioni affinché sia assicurata, nei loro confronti, una particolare protezione: si segnala, ad esempio, l'obbligo di informazione del minore sui diritti di cui gode, incluso

8 l'eventuale accesso alla procedura di determinazione della protezione internazionale. Gli artt. 5 e 10 fanno riferimento agli obblighi di formazione che debbono essere adempiuti dalle pubbliche amministrazioni, nell'ambito della propria autonomia organizzativa, nello svolgimento dei compiti di assistenza e sostegno alle vittime. 6. IL D.LG. 16 MARZO 2015, N. 28 Da ultimo, è importante menzionare il d.lg. 16 marzo 2015, n. 28 (13)che, in attuazione della l. 28 aprile 2014, n. 67, ha aggiunto al codice penale l'art. 131-bis. Tale norma introduce una causa di non punibilità, all'evidente fine di deflazionare il carico penale a fronte di fatti, puniti con la pena non superiore nel massimo a cinque anni di reclusione, ritenuti dall'autorità giudiziaria di scarso allarme sociale, poiché, «per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'art. 133, comma 1, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale». Ebbene, tra i delitti di violenza di genere quello di atti persecutori potrebbe essere, sulla base della pena edittale prevista, astrattamente interessato dalla suddetta riforma; tuttavia, è importante evidenziare come l'art. 131-bis specifichi, al secondo comma, una serie di casi nei quali l'offesa non è di particolare tenuità e che, dunque, esulano dall'ambito applicativo della causa di non punibilità del primo comma. E ciò ricorre «quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona». Il terzo comma, inoltre, definisce la nozione di comportamento abituale, statuendo che il requisito dell'abitualità è integrato «nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate». Alla luce di tali precisazioni, pertanto, si può ritenere esclusa l'applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto al delitto di atti persecutori, che, seppur punito con una pena edittale massima rientrante nella previsione dell'art. 131-bis, è comunque caratterizzato dalla reiterazione di condotte moleste ed aggressive e dalla causazione alla persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura (14), elementi, pertanto, assolutamente estranei al contenuto della nuova disposizione. È da citare, infine, l'art. 4 del citato decreto n. 28 che introduce una serie di modifiche alle vigenti disposizioni in materia di casellario giudiziale e anagrafe delle sanzioni amministrative, disponendo, in sostanza, l'iscrizione dei provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi del nuovo art. 131-bis c.p. Poiché il giudizio di particolare tenuità del fatto si incardina su due indici-criteri che devono coesistere, ovvero la particolare tenuità dell'offesa causata e la non abitualità del comportamento tenuto dall'agente, è fondamentale predisporre un sistema di registrazione delle decisioni che accertino fatti di particolarità tenuità e che, appunto, comprenda i provvedimenti, anche di archiviazione, adottati per tale causa per ricostruire l'eventuale non abitualità della condotta.

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