Organo ufficiale dell Associazione Nuova Famiglia Addis Beteseb ONLUS. Anno 16 numero 4 (62) Dicembre Trimestrale

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1 Organo ufficiale dell Associazione Nuova Famiglia Addis Beteseb ONLUS Anno 16 numero 4 (62) Dicembre Trimestrale POSTE ITALIANE s.p.a. Sped. in abb. postale D.L. 353/2003 (conv. L.27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB PD

2 Istantanee di progetti sostenuti da Nuova Istantanee di progetti sostenuti da Nuova Famiglia Famiglia Guinea Bissau - Acquisto - Acquisto latte per bambini latte denutriti per bambini denutriti Etiopia - Acquisto di un paio di scarpe Etiopia Scuola materna Santo Stefano di Enemore Etiopia Scuola materna Santo Stefano di Enemore L e n o s t r e c o o r d i n a t e QUOTE ASSOCIATIVE (annuali): Socio Ordinario 55,00. CONTRIBUTI A PROGETTI: specificare sempre la causale. PARLIAMO AFRICA: abbonamento annuale (4 numeri) 12,00. versamenti su: c.c.p. n intestato a: Associazione Nuova Famiglia - Addis Beteseb - ONLUS bonifici su: c.c.p. - coordinate: IT D intestato a: Associazione Nuova Famiglia - Addis Beteseb - ONLUS - vicolo Ceresina 6, Caselle di Selvazzano Dentro (PD) c.c.b. - coordinate: IT J presso la banca Monte Dei Paschi Di Siena filiale 2637 di Caselle di Selvazzano Dentro (PD) c.c.b. n. 2906,46 intestato a: Nuova Famiglia Addis Beteseb (ONLUS) vicolo Ceresina 6, Caselle di Selvazzano Dentro (PD) ADOZIONI A DISTANZA: 130,00 (aiuto ad un minore) 250,00 (aiuto ad una famiglia) versamenti su: c.c.p. n intestato a: Associazione Nuova Famiglia - Addis Beteseb - ONLUS Adozioni a distanza. bonifico su: c.c.p. - coordinate: IT i intestato a: Associazione Nuova Famiglia - Addis Beteseb - ONLUS - Adozioni a distanza - Vicolo Ceresina 6, Caselle di Selvazzano Dentro (PD) in copertina foto di Sara Chinello 2 Anno 16 numero 4 (62) dicembre 2013 Trimestrale Organo ufficiale dell Associazione Nuova Famiglia - Addis Beteseb - ONLUS

3 dicembre 2013 ssommario o m m a r i o 4 Editoriale di Giulia Consonni 5 adozione di Laura Filocamo 7 riflessioni di un papà di Lucio De Rocco 9 miti e leggende d'africa a cura di Elena Coin 8 tariku o mulugheta di Ivo Babolin 10 chi non è suo amico di Dominic J. Mwilwa 12 io, menbro di nuova famiglia... a distanza! di Thomas Rafiki 15 condividere è... di Adriana Benetton 13 ci scrivono... a cura della redazione 16 Concerto summertime di Walter Ferrulli 17 l'atomo di ossigeno di Raquel De Almeida e Isabella Zilio 19 abbiamo letto per voi a cura della redazione 21 Sindrome di ziway di Ivo Babolin 18 kebrat, la ragazza dai ricci neri di Massimo Gramellini 20 una lettura davvero speciale di Adriana Benetton 22 BUON NATALE! a cura della redazione 3

4 editoriale d i t o r i a l e di Giulia Consonni Care lettrici e cari lettori, in questo numero di Parliamo Africa che anticipa le Feste di Natale abbiamo dato ampio spazio a testimonianze e letture relative alla strage di Lampedusa dello scorso 3 ottobre quando, davanti all Isola dei Conigli, un barcone di 500 immigrati è naufragato. Solo 155 si sono salvati. Ancora una volta, uccisi dall acqua. Ancora una volta, morti che non contano. Subito si è scatenato un terremoto di polemiche: Lampedusa ha dato la colpa all Europa perché i migranti provenienti dall Africa assaltano le coste italiane; altri hanno detto che la tragedia va anzitutto attribuita agli stessi disperati che si trovavano sul barcone e che hanno incendiato una coperta sperando che le fiamme, nella notte, si vedessero da terra, ma hanno finito per far andare a fuoco la barca - poiché il ponte era umido di benzina - che s è rovesciata ed è sprofondata. L Italia si lamenta e accusa, ma la quantità di immigrati che accoglie ogni anno è la più bassa d Europa: la Germania ne accoglie 571 mila (dieci volte più di noi) e a seguire ci sono Francia (210 mila), Regno Unito (194mila), Svezia (87 mila) e Olanda (50 mila). Nessuna legge italiana è stata in grado di fronteggiare il problema anzi, con la legge Bossi-Fini del 2002, i 150 sopravvissuti sono stati accusati di immigrazione clandestina. Le nostre pagine non vogliono aumentare la polemica né giudicare, solo far riflettere in silenzio. E se per un istante ci mettessimo nei loro panni? Se per un momento pensassimo alla loro disperazione nel fuggire dalle guerre e dalla violenza? E al coraggio di sfidare la morte affrontando le onde sui gommoni? Noura, Amin, Ahmed, Zahra potrebbero essere alcuni dei nomi delle persone morte giovedì 3 ottobre al largo di Lampedusa. Potrebbero essere sorelle, cugini, zii, amici dei nostri amici, di quelli che hanno ricevuto tante telefonate da chi vuole sapere se i loro cari si trovavano tra i morti o i sopravvissuti e invece ancora una volta sono i grandi numeri dei corpi senza nome a determinare la rilevanza della notizia. Immagini e racconti dei tentativi di salvataggio ci hanno commossi. Ma la commozione di quei giorni è scontata e forse richiederebbe meno parole e più fatti. Siamo arrabbiati, indignati, stanchi. Il nostro augurio è di vivere un Natale più consapevole e meno scontato, pensando e pregando anche per loro. Vi aspettiamo alla Santa Messa dei Popoli il 24 per provarci insieme. Il cambiamento inizia da ciascuno di noi. Buone Feste! "Les desespérés" Si tengono per mano E camminano in silenzio In queste città spente Fatte oscillare dalla pioggia Non risuonano che i loro passi Un passo dopo l altro E camminano in silenzio I disperati E conosco il loro cammino Per averlo percorso Già più di cento volte Cento volte oltre la metà Giovani o vecchi Lo percorreranno fino in fondo E camminano in silenzio I disperati 4 e Hanno bruciato le loro ali Hanno perduto i loro rami Talmente naufragati Che la morte sembra bianca Ritornano dall amore Si sono risvegliati E camminano in silenzio I disperati E conosco il loro cammino Per averlo percorso Già più di cento volte Cento volte oltre la metà Giovani o vecchi Lo percorreranno fino in fondo E camminano in silenzio I disperati L acqua è dolce e profonda Ecco l ospite accogliente Ecco la fine del mondo Piangono i loro nomi Come giovani sposi E fondono in silenzio I disperati Che si alzi colui Che scaglia la prima pietra Non conosce dell amore Che il verbo amare se stesso Sul ponte non c è più nulla Solo una nebbia leggera Si dimenticano in silenzio Quelli che hanno sperato (J. Brel)

5 adozione di Laura Filocamo Salve, sono una semplice studentessa del liceo Maria Ausiliatrice. Il mio nome è Laura-Daniela, ho diciannove anni e una vita fatta di sorrisi e ferite. Sono una ragazza solare, timida e troppo sensibile. Mi piace molto lo sport: ho fatto sette anni di nuoto, tre di calcio a cinque, uno di pallavolo, quattro di Hip Hop e ora ho ripreso a fare nuoto. Oltre allo sport, un altra mia grande passione o hobby, se vogliamo, è la musica. La musica ha sempre giocato un ruolo fondamentale nella mia vita, in particolar modo in questi ultimi anni di pura e faticosa adolescenza. Non posso uscire di casa se non ho i-pod e cuffiette in tasca, mi sentirei un po vuota e meno sicura. Qualcuno di voi penserà che sono una pazza, ma è così. La musica è importante, per tutti, anche per voi grandi. Nessuno può scapparle, è dappertutto: in macchina, in tv, nei supermercati, nei vostri telefoni. Spesso magari non vi accorgete nemmeno che c è. Ma per noi giovani è diverso. La musica per molti è discoteca, è sballo, è relax e niente stress. Per altri come me, invece, la musica può rappresentare l unica salvezza, l unico vero scudo, o l unico rifugio sicuro dove nessuno ci può raggiungere, soprattutto voi adulti. La musica mi ha salvata molte volte dalla depressione e dal perdere del tutto me stessa. E stata in grado di supportarmi e ascoltarmi molto più di quanto non abbiano potuto fare le persone che mi erano accanto. Si, è vero che ci sono i genitori, e ci saranno sempre, non ci sono dubbi su questo, ma non sempre noi giovani abbiamo voglia di parlare con i grandi. Spesso e volentieri ci trasformiamo in un Peter Pan che ha paura di crescere e di non essere capito. Allora ci rifugiamo nella nostra musica. Sì, lei! E l unica che ascolta tutto ciò che provo, che ho dentro, senza che dica niente, lei non mi critica e io non mi vergogno a parlarle col cuore! E come se lei sapesse già quello che ho dentro ed è in grado di farmi buttar fuori tutto il dolore che ho dentro con una lacrima, con una canzone, una melodia. Essere figli non è mai stato facile, né tanto meno essere genitori immagino. Io sono figlia unica di una casalinga e di un ingegnere. Due splendide persone a cui devo tutto. E solo grazie a loro se io ora sono qui. Certo, ci sono voluti ben cinque lunghissimi e faticosi anni, ma alla fine sono nata! Devo ammettere che non pensavo fosse così difficile essere una figlia speciale. E bellissimo, sia chiaro, essere figlia adottiva mi ha totalmente cambiato la vita. Non so dove sarei adesso se quel 20 maggio di sedici anni fa non avessi incontrato questi due angeli custodi o questi semplici genitori. Perché quando una coppia desidera intensamente avere dei figli e lotta con il cuore per averli, sono già genitori ancora prima di tenerli tra le loro braccia. Essere figlia adottiva è un bell impegno, ma sapere che un uomo e una donna in questo mondo hanno iniziato a pensarmi, a immaginarmi e a desiderarmi ancora prima che altri due, dall altra parte del mondo mi concepissero, ancora prima che io fossi un minuscolo seme, è semplicemente meraviglioso. Quando penso alla fatica e alla forza che ci hanno messo per avermi, mi rendo conto di quanto siano importante in questi casi l unione e la passione. Si, perché per desiderare un figlio dato al mondo da un altra donna, ci vuole una passione smisurata. Non bisogna sottovalutare questa cosa, perché nella mente di tante persone è ancora inconcepibile crescere ed educare il figlio di qualcun altro. Questo l ho capito a mie spese. Da quando ho messo piede nel mondo della scuola, ho sempre subito atti di razzismo oltre a quelli di bullismo. Io sono sempre stata fiera della mia storia, e fieramente la raccontavo ai miei compagni, ma pochi ne capivano il vero significato. Smontavano tutta la mia fierezza con domande stupide e a dir poco ignoranti del tipo: Hai mai conosciuto la tua vera mamma? - da sottolineare che sono stata adottata all età di quattro anni e che avevo appena raccontato di averne vissuti tre in una famiglia che ospitava bambini in attesa di essere poi adottati-. Non è mai facile essere diversi dalla massa. Solo perché hai la carnagione più olivastra, o lineamenti diversi, o i genitori che hai non ti hanno avuta in modo diretto e nei parametri della normalità. No, è vero, non rientrano nei classici parametri, infatti mi hanno desiderata molto più intensamente e profondamente di tanti altri genitori naturali, che magari neanche li volevano dei figli! Io, sinceramente, quando penso all adozione, penso ad un emozione grande, non ad una disgrazia! Penso a un emozione potente allo stomaco (che ho avuto la fortuna di provare) che unisce per sempre un bambino ai suoi VERI genitori, genitori che al contrario di chi l ha messo al mondo, l hanno voluto con tutte le loro forze e l amore che si può donare! Quando penso all adozione, mi viene naturale sorridere e non stupirmi! Per me è famiglia anche due genitori bianchi e un bambino nero, o viceversa. Famiglia è la dove c è un amore profondo, tutto il resto è una casualità. Dove non c è amore per una creatura indifesa, che non sa nemmeno che dovrà essere affidato a degli assistenti sociali per poi aspettare (magari anche anni) che una coppia decida di diventare genitori e s impegni a dargli l amore che ingiustamente gli è stato negato da chi l ha messo al mondo, non c è senso di umanità. Quando penso all adozione, respiro quell aria di terra d origine dove comunque ho lasciato una parte del mio cuore. Anche se vivo qui in Italia quasi da sempre, la mia terra d origine mi chiama. Sempre. E io non la posso ignorare, sarebbe come ignorare una parte di me. Colombia! Quella è la mia vera terra. Il mio cuore batte forte, lo stomaco balla e anche la pelle si anima in presenza di quel ritmo che solo la musica latino-americana mi sa dare, perché è mia! Quando l ascolto, se chiudo gli occhi, posso respirare la mia Terra, e affiorano i mille ricordi di quei pochi anni vissuti lì, l incontro con i miei genitori, la gente, i volti, le strade, la lingua, i profumi, i gusti, i luoghi tipici della mia Terra d origine. E proprio perché da lì è nato tutto (io, la mia nuova vita, l amore per i miei genitori, quel lungo e interminabile viaggio di dodici ore che mi catapultò in un altra dimensione, in un altro mondo), che sento di doverci tornare. Ma non perché qui in Italia io non stia bene. Questa rimane sempre e comunque la terra dove sono cresciuta. Ma la Colombia...quella terra è un pezzo del mio cuore, della mia vita che io non potrò cancellare mai e poi mai. I quattro anni vissuti lì, forse vi sembrerà strano, ma io li ricordo benissimo. Ero piccola, è vero, ma ricordo 5

6 chiaramente molti dei momenti che ho vissuto con la famiglia che mi ospitava, fino all anno della mia adozione. Ricordo perfettamente quel giorno. Era il 20 maggio del 1998, data che segnò per sempre la mia vita. Da una parte fu un giorno importante, ricco di emozioni e simbolo di un inizio e di una fine. Dall altra, però, quel giorno in cui avrei incontrato per la prima volta di persona i miei nuovi genitori, fu straziante e doloroso: quella mattina Ampàro, questo il nome della donna che mi accudì fino a quel momento, donna che credevo ormai essere mia madre, mi diede la delusione più grande della mia vita e l abbandono più doloroso che potessi vivere. Quel giorno mi svegliò prima del solito, mi fece andare fuori a giocare, come ogni giorno del resto, ma avevo come una strana sensazione. Io però non ci diedi peso, ero solo una bambina, come potevo immaginare che lei era dentro casa a preparare tutta la mia roba e che da lì ad un oretta - credo - si sarebbero fiondati in casa due assistenti sociali pronti a portarmi via per sempre, lontano da lei?! Che ne sapevo io che lei mi aveva tenuta all oscuro di tutto fino a fatto compiuto, solo per il mio bene, perché sapeva che io, altrimenti, avrei fatto di tutto pur di restare lì con lei? Ormai era lei mia madre! Che volevano quelle persone da me? E perché avevano quell insopportabile sorriso stampato in faccia con il quale mi avrebbero trascinata fino all ufficio dove poi sarebbe avvenuto l incontro con i miei genitori, che mi strappò per sempre dalle sue braccia? Perché Ampàro era così triste e aiutava quei due psicopatici con l aria da snob a vestirmi e a convincermi ad andare via con loro? Chi li conosceva? Chi li aveva chiamati? Chi li voleva?? Non eravamo felici così io e lei? Sole contro il mondo intero e contro le cavolate che faceva suo marito Arnulfo, il quale pensava che ogni giorno era buono per fare feste e festine con gli amici e per fare casino, bere e fumare, tanto poi toccava a noi bambini pulire casa e a me anche consolare Ampàro che piangeva dopo ogni festa. Che ne potevo sapere io, bimba ingenua di soli quattro anni, che quelli sarebbero stati gli ultimi istanti che avrei passato con lei e che dopo qualche giorno sarei partita per un lungo viaggio che mi avrebbe portata fino in Italia? Puh, l Italia. E chi la conosceva? Non sapevo nemmeno se esistesse questa parola! Pensavo a tutte queste cose e a tante altre mille, mentre lei, piangendo, trovò non so dove la forza di farmi un sorriso, tirato, ma un sorriso bello, di quelli che raramente faceva, ma che in quel momento ho odiato con tutta me stessa, perché sapevo che mentiva, che dentro moriva tanto quanto me e che in qualche modo mi stava chiedendo scusa. Due, o forse anche tre anni vissuti insieme, giorno e notte, sempre insieme, a raccontarci tutto (anche se alla fine era lei a raccontare le cose a me perché io a quattro anni che volete che le potessi raccontare?). Non potrò mai cancellare il suo sguardo sfuggente mentre, disperatamente, cercavo i suoi occhi. Volevo una spiegazione per tutto quello che stava accadendo, che in realtà avevo già compreso benissimo. Mi fu tutto chiaro nell istante in cui lei mi richiamò in casa e io, rientrando felice dal cortile, vidi quei due voltarsi verso di me con aria troppo felice che, invece di darle un senso, contrastava tutta la tristezza del suo volto. Tristezza che in un attimo mi travolse come una uragano in piena estate. E io, piangendo disperatamente e supplicando Ampàro di non lasciarmi andare via, per quanto io mi dimenassi dalle grandi mani di quei due impostori, assistevo impotente all abbandono e alla delusione più grande che quella donna, la mia donna, l unica donna che fino a quel giorno avevo considerato mia madre, mi stava dando, se pur col cuore a pezzi e lacrime che sapevano di mille, infinite, dolcissime e amare scuse per quel gesto che, anche lei impotentemente ha dovuto vivere. Solo dopo qualche ora capii che tutto quel dolore, per quanto facesse ancora tanto male, a qualcosa in fondo era servito. Quando vidi i miei per la prima volta, mi batteva forte il cuore, anche se ancora soffrivo per tutto ciò che era accaduto qualche ora prima. Non avevo più aperto bocca da quando uscii per sempre dalla casa di Ampàro, fino a quel momento. L unica cosa che chiesi all assistente sociale, che nel frattempo mi intratteneva con qualche gioco, fu: Sono loro?. Ovviamente lo chiedevo in spagnolo. Fu solo a quel punto, quando ebbi la conforma che erano davvero quell uomo e quella donna che avevo visto solo in foto molti mesi prima, che iniziò a battermi forte il cuore. Almeno ora ero sicura che non era tutto un brutto scherzo e che, in fondo, quei due assistenti sociali stavano solo facendo il loro lavoro (che non era quello di sfascia famiglie ). Quando la ragazza mi prese per mano e mi portò nell ufficio dove mi aspettavano i miei genitori, non so che mi prese. Ero appena stata delusa e abbandonata per la seconda volta, eppure dentro sentivo un enorme bisogno di affetto. Non potevo più fidarmi di nessuno, ma c erano loro due adesso, lì, solo per me. Guardai negli occhi quella donna, le corsi incontro e mi buttai fra le sue braccia, e in quel momento capii che era lei mia madre, e lui mio padre, e che questa volta sarebbe stato per sempre. La strinsi forte forte e non la lasciai più finche non arrivammo alla macchina. Avevo finalmente la mia nuova famiglia. E avevo appena affidato tutta la mia vita nelle loro mani. Ora erano loro le due uniche persone di cui mi sarei potuta fidare per tutta la vita! 6 Non riuscirei mai a descrivervi perfettamente il dolore che mi procurò quel traumatico distacco da Ampàro, solo io lo so. Solo chi ha vissuto un abbandono simile al mio può comprendere fino in fondo il dolore che ho provato in quel momento. E che peraltro mi trascino ancora dietro. Sì perché un trauma così ti sconvolge per sempre la vita. Sì, anche se la tua vita ha la minuscola durata di quattro anni. Te la porti dentro come un ombra, da cui non potrai più staccarti. Oggi, infatti, che vivo felice con i miei genitori, che finalmente ho trovato la scuola giusta per me, qualche amico di cui fidarmi un po di più, oggi che ho dei progetti, dei sogni, qualunque perdita, mia, diretta, di qualsiasi tipo, la vivo con un dolore tre volte superiore alla normalità. Nel senso che se perdo una persona cara, con cui avevo un certo legame, magari forte, solido, duraturo, una volta rotto il rapporto, specialmente se quella persona mi ha delusa profondamente, io la perdita la vivo come un abbandono, anche se poi magari di fatto non lo è. Ma anche un gesto mancato, un sorriso o un saluto negato dalle persone che conosco o che mi sono vicine, per me è un dispiacere troppo grande, che vivo, non dico come un abbandono, ma quasi. Come una specie di delusione, di tradimento. Certo, vi starete chiedendo

7 che c entra ora questo con l adozione, beh, c entra! C entra, perché dietro al nostro sorriso felice, spesso si nascondono dolori che voi magari neanche vi immaginate, ma che solo noi, bambini ingenui e bisognosi d amore, sappiamo. E voi genitori, grazie alla vostra adozione, grazie al vostro amore che siete in grado di donarci ogni giorno come se fosse quel primo famosissimo ed emozionante giorno, ci date la forza e il coraggio per mostrare a tutti quel sorriso che gli altri quasi ci invidiano e che spesso nemmeno comprendono. Adottare credo sia il gesto più profondo, il sorriso più sincero, la carezza più dolce che due genitori possano dare a un figlio, che altri non hanno saputo dargli e che, per questo, anche se non a parole, ve ne saranno sempre grati. Per sempre! L adozione, io la vedo e l ho vissuta sempre come un dono. Un dono che dei genitori e un figlio si fanno a vicenda. Un figlio dona a un uomo e a una donna la gioia e l amore che li unirà per tutta la vita, in quanto padre e madre di un figlio pensato, desiderato e fatto con tutto l amore, non fisico, piuttosto emotivo, che li ha spinti fino all altro capo del mondo per poter coltivare insieme il frutto del loro amore. Il figlio dona loro quel frutto. Cosa direi a due genitori che stanno pensando di intraprendere un percorso di adozione? Beh, non è certamente un percorso semplice, anzi, vi accorgerete di quanto sia difficile e quasi stupido pensare di dover fare tremila carte, visite, firme, attese e accertamenti per poi essere riconosciuti come genitori prima di poter tenere tra le vostre braccia il figlio o la figlia che tanto avrete desiderato. Certo, non sarà un parto veloce e con le stesse procedure di uno normale, ma farà meno male fisicamente; non avrete medici ad assistervi, bensì psicologi, avvocati e assistenti sociali. Ma alla fine il risultato è lo stesso: un bambino/a, per quanto possa avere i tratti somatici e il colore della pelle diversi dai vostri, sarà sempre e solo figlio vostro, e col tempo vi renderete conto di quanto in realtà vi siete desiderati e cercati a vicenda. Se state pensando davvero di intraprendere questo lungo ma meraviglioso percorso, vi posso allora incitare a percorrerlo tutto fino alla fine, perché lì, alla fine, quando a un certo punto della vostra vita vi volterete indietro, rivedrete che, anche nei momenti difficili, qualcosa vi avrà insegnato anche lui, e vi renderete probabilmente conto che in fin dei conti avete imparato a crescere insieme, con tutte le emozioni, le difficoltà, le incomprensioni e gli imbarazzi iniziali, le delusioni e le gioie che saranno vostre tanto quanto sue. Io credo che la soddisfazione più grande che un adozione vi possa dare è quella di guardare vostro figlio felice e sapere che quella felicità gliela avete saputa e potuta dare voi, e a quel punto vi verrà quasi naturale, come è venuto naturale ai miei genitori, dirgli loro: Siamo andati fino in capo al mondo per averti!. E in qualunque modo, poi, continuerete quella frase (anche se con un rimprovero), anche se magari in quel momento nella sua testa vi starà insultando in tutte le lingue del mondo, lui vi guarderà ugualmente negli occhi e vi sarà comunque grato per tutta la vita di ver fatto tanta strada per poi rompergli le scatole con i vostri mille rimproveri e punizioni. Un giorno capirà che non erano solo rimproveri, ma grandi insegnamenti che a quel punto conserverà con gelosia e fierezza. E sarà per lui e per voi la forma di insegnamento più profonda e sincera con cui l avrete amato! In bocca al lupo riflessioni di un papà di Lucio De Rocco Giorno dopo giorno la nostra società sta regredendo in preda alla CONFUSIONE. Tale stato è dovuto all incapacità di conciliare il modernismo con i valori propri di una civiltà costruita con importanti sacrifici. Il principale obiettivo dei genitori, per quanto riguarda il progetto educativo dei figli, è di metterli nelle condizioni di orientarsi di più e meglio, in modo tale che possano costruire un loro progetto di vita che, pur dovendosi confrontare con una difficile situazione, sia solido, concreto e basato su prospettive di lungo termine. Un tempo si pensava che scuola e famiglia potessero essere una forgia ideale per la formazione di un giovane. Ora non più così, perché anche la scuola è stata dilaniata nella propria progettualità da continui e repentini cambiamenti, e si è allontanata progressivamente dalla società reale. E rimasta la famiglia, che difficilmente però può fare sistema dovendo galleggiare in un mondo connotato dall individualismo. Inoltre, la comunicazione digitale sta consumando gran parte del tempo dei nostri giovani che non trovano tempo per la solidarietà, per gli ultimi, per gli anziani e per le parti del pianeta dove povertà e indigenza minacciano la vita quotidiana. Tali situazioni sembrano passare inosservate di fronte alla marea di consumismo e alla velocità con cui le autostrade multimediali riescono ad attrarre, con palesi frivolezze, l attenzione di tutti. Viviamo di cronaca nera e non di attenzioni per un mondo che comunque esiste e che si chiama VOLONTARIATO DELLE AZIONI POSITIVE. Per questo il desiderio crescente di un genitore è di trovare un modo, un mezzo affinché i propri figli possano fare un esperienza di vita forte, che sia capace di sconfiggere l egoismo, il superfluo, lo spreco, la superficialità, e che permetta loro di conoscere una parte di mondo che vive in condizioni di vita diverse rispetto alle nostre ma radicate in valori SANI e SEMPLICI. Un esperienza nelle missioni africane dell Etiopia e Tanzania rappresenta sicuramenteil più bell investimento che una famiglia possa fare a favore di un proprio figlio. Io e mia moglie eravamo stati in missione in Tanzania nel lontano Eravamo sposati da un anno e già allora eravamo rimasti colpiti da quel mondo povero ma ricco di semplicità nelle poche cose, e in grado di sorridere anche poco prima della morte. Non esitiamo a dire che le nostre aspettative al ritorno del viaggio di nostra figlia Alessia sono state tutte confermate. Sembra quasi che sia tornata con un raggio di sole che continua ad assisterla in ogni sua parola, movimento, gestualità. E tornata con la consapevolezza che esiste un altro mondo che non è quello di internet o della televisione, un mondo che sa AMARE CON LO SGUARDO che, spesso, è l unica cosa che possiede. E facile percepire come la sua vita si sia improvvisamente riempita di qualcosa che mancava e che ora sia tornata a confrontarsi con il nostro quotidiano abbassando il grado di nevrosi, abbassando il grado di competitività dannosa. Siamo veramente contenti del significato che è riuscita a dare a questa esperienza che ha RIGENERATO e reso ancora più intenso il nostro coinvolgimento nel progetto di solidarietà che ci vede attivi da anni nel sostegno delle missioni in Tanzania. 7

8 tariku o mulugheta? di Ivo Babolin Tariku in zona San Marco-Nadene (vedi Parliamo Africa n. 60 Giugno 2013 pag. 10, ndr) e Mulugheta in territorio di Gighessa sono la stessa persona vissuta fino ai 12/13 anni in Nadene con la nonna (solo ora abbiamo conosciuto bene la sua storia) in quanto il papà vive ad Addis Abeba con un altra donna e si è formato un altra famiglia, mentre la mamma vive lavorando in giro per le città del Guraghe e non torna quasi mai a casa. Tariku, avendo dei problemi cerebrali, non ha un uso normale delle gambe e la mancanza di stimoli esterni l ha portato a camminare con le mani (come una scimmia) con le gambe sempre in posizione rannicchiata. L arrivo a Gighessa è stato la sua salvezza. Pulito, cambiato dai vestiti color terra che non so da quanto tempo indossava, è stato rimesso in piedi con l applicazione di due tutori alle gambe. Con l aiuto delle stampelle ha iniziato a muoversi in modo eretto. Purtroppo non riesce a capire l importanza dei tutori e non sopporta di sentire le gambe rigide. Ora che ha gioito nel muoversi in modo eretto preferisce appoggiarsi ad un girellino, che sposta con l uso delle mani, e le gambe, pur non toniche, riescono a sostenerlo anche se in modo un po ballerino. Il problema è che non ha un equilibrio totale ed ha la tendenza di cadere all indietro. Esegue dei capitomboli fenomenali (dovremo acquistargli un caschetto protettivo da ciclisti) oppure ha degli sbandamenti prolungati in cerca della stabilità perduta. Ha una volontà grandissima e, se stimolato, dà dei risultati eccezionali. Ripete tutte le parole che gli si dicono e ha il bisogno continuo di avere in mano un pennarello rosso (rigorosamente pennarello e rigorosamente rosso) ed un blocco di fogli. Lui esegue delle forme strane con l uso esclusivo della punteggiatura. A volte, senza tanta fatica, riesce a fare qualche buco nel foglio per l uso prolungato del pennarello sullo stesso punto. Ha trovato in Gighessa il luogo ideale dove vivere e dove accrescere la sua sicurezza, anche se a volte manifesta la sua nostalgia per una persona di famiglia. Abbiamo chiesto al papà di fare qualche visita a Tariku. Speriamo che si ricordi di avere un figlio. A Gighessa, per lunghi periodi durante l anno vive il suo amico Francesco (lui lo chiama Franesco), un monsignore di 70 anni che dall alto della sua intelligenza, ma soprattutto della sua sensibilità, ha saputo capirlo e seguirlo come nessun altro sarebbe stato capace. E riuscito ad interloquire con la sua mente non limpidissima ed ha instaurato con lui un rapporto fatto di piccolissimi gesti, di azioni semplici, di parole facili che rendono Tariku/Mulugheta un ragazzino felice. Non potrà tornare al suo villaggio natio fra i monti del Guraghe e non è neppure proponibile trasferirlo presso il papà ad Addis Abeba. Finirebbe, come già fatto in passato, a chiedere la carità alle fiere, ai mercati e lungo la strada. In Associazione si è creato per lui un vitalizio annuale pari ad 1.090,00 (circa birr eth). Con questa cifra potremo garantirgli vitto ed alloggio a Gighessa e la presenza giornaliera di una donna che lo segua e lo stimoli in continuazione. Grazie Mulugheta, riesci a farci sentire importanti. Vederti tirare quattro calci al pallone, vederti fare le passeggiate dalla clinica alla casa del Parroco lungo la discesa che tante volte hanno percorso Marisa e Padre Domenico, ci riempie il cuore. Quante persone hai mobilitato, hai creato una catena umana lunghissima che, anche se fosse servita per fare camminare solo te, ne sarebbe valsa la pena. Proviamo a ricordarle un po tutte: Ivo, Michele, Francesca, Mauro, Lorella e Federica che ti hanno visto per la prima volta in mezzo alla polvere di San Marco; Daniela che non si è data pace finché i medici non han potuto visitarti; Abba Teshome che ha avallato tutte le nostre richieste, trascurando magari i suoi impegni; Plinio e Nicola, gli ortopedici di Mantova che hanno capito subito la tua patologia ed in poche ore ti hanno messo in posizione eretta; l Associazione Volontari Gighessa per aver messo le proprie strutture a nostra disposizione; Francesco alias Franesco per la sensibilità avuta nei tuoi confronti; il Gruppo di Porto Santo Stefano (GR) con Lorella e Mauro che insieme ad Elena danno modo di garantire il vitalizio sopra citato; Sister Abrehet e Sister Lettegabriel che, a titoli diversi, gestiscono la Clinica di Gighessa. Il tuo viso triste a San Marco in quella giornata di gennaio 2012 è un lontano ricordo. Ora esisti sorridente e vociante in uno slang dialettale amarico/mantovano ideato da te e Franesco. Stai iniziando una nuova vita. Boeacar, (arrivederci) Tariku/Mulugheta, 8 dalla tua Nuova Famiglia!

9 FA VOLARE L AFRICA a cura di Elena Coin Il bambino ed il mago C era una volta un enorme albero di mango. Un bambino di nome Rafiki amava andare a giocare lì sotto, così ogni giorno ci si arrampicava, ne mangiava i frutti e faceva dei bei pisolini all ombra della sua folta chioma. Il bimbo amava l albero e l albero amava giocare con lui. Un po alla volta il tempo trascorse, il bambino crebbe e non giocò più intorno all albero come usava fare da piccolo. Un giorno, Rafiki tornò verso l albero e sembrava triste, così il mango gli domandò: Vieni a giocare con me?, e lui rispose: Non sono più un ragazzino, io non gioco più ad arrampicarmi sugli alberi, ed aggiunse: Io voglio i giocattoli, ma ho bisogno di soldi per comprarli. L albero gli disse: Mi dispiace, io non ho soldi, ma se vuoi tu puoi cogliere i miei frutti e venderli così otterrai il denaro che ti serve. Rafiki ne fu molto felice, staccò i frutti di mango dall albero e se andò, tutto soddisfatto. Da quel giorno Rafiki non fece più ritorno a trovare l albero, il quale ne rimase molto deluso. Dopo molto tempo Rafiki passò di nuovo vicino all albero, che fu tutto contento di vederlo e gli disse: Vieni a giocare con me!, ma l ormai ragazzo rispose: Non ho tempo per giocare. Io devo lavorare per la mia famiglia, abbiamo bisogno di una casa per rifugiarci, potresti aiutarmi?, ed il mango replicò: Mi dispiace, ma io non ho una casa da poterti offrire, però se vuoi puoi tagliare i miei rami e costruire la tua abitazione. Così il ragazzo tagliò tutti i rami dell albero ed ancora una volta se ne andò felice. Il mango era soddisfatto di vederlo così contento ma Rafiki per molto tempo non si fece più vivo, lasciando l albero ancora una volta solo e triste. Molto tempo dopo, in una calda giornata estiva, Rafiki tornò ancora dall albero che rimase stupito e felice, e pieno di speranza gli chiese: Giochi con me?. La risposta fu: Io sono triste e sto invecchiando, vorrei navigare per rilassarmi un po. Potresti darmi una barca?. Usa il mio tronco per costruire la tua barca. Tu puoi navigare in acque lontane ed essere felice. Così Rafiki abbatté il tronco del mango e costruì l imbarcazione. Navigò per lunghi anni senza presentarsi più da lui. Infine tornò dopo essere stato lontano per tanti anni. Mi dispiace ragazzo mio, ma non ho niente per te. Niente più manghi per te... disse l albero. Non ho denti per mordere rispose Rafiki. Non ho più rami per farti arrampicare, e Rafiki rispose: Sono troppo vecchio per salire sui tuoi rami. Il mango aggiunse tra le lacrime: Io davvero non posso darti nulla... l unica cosa rimasta sono le mie radici morenti, ed ancora una volta Rafiki replicò: Non ho bisogno di molto ora, solo un posto per riposare. Io sono stanco dopo tutti questi anni. L albero finalmente contento gli disse: Bene! Le radici di un vecchio albero sono il posto migliore per appoggiarsi e riposare. Vieni, vieni a sederti con me. Rafiki allora si sedette e l albero era nuovamente felice e sorrideva commosso tra le lacrime. IL MESSAGGIO Questa è la storia di ognuno di noi. L albero sono i nostri genitori. Quando noi siamo piccoli amiamo giocare con mamma e papà, quando poi cresciamo li lasciamo, torniamo da loro quando ne abbiamo bisogno o abbiamo dei problemi. Non importa perché ma i genitori saranno sempre lì e daranno sempre a noi figli tutto ciò che ci renderà felici. Tu potresti pensare che Rafiki sia crudele con l albero, ma questa è la vita e quello raccontato è il modo di relazionarci con i nostri genitori. Ricorda: i genitori danno tutto ai loro figli, noi figli dovremmo dare loro in cambio tutto il nostro amore. Quando vai a casa la prossima volta pensa a questa storia e dì ai tuoi genitori quanto sei loro grato per tutto! 9

10 chi non è suo amico? a cura della redazione 10 A un anno dalla sua morte, avvenuta il 25 Ottobre 2012, vogliamo ricordare con questa testimonianza la storia del nostro amico e fratello Abba Salutaris, che ci ha lasciato prematuramente, portato via dalle onde dell Oceano. Padre Salutaris Massawe è tornato a Dio. L apostolo Paolo ha scritto: Io vivo in Cristo e morire è un guadagno, sono parole che sono difficili da capire in seguito alla morte di Padre Salutaris. Abbiamo ricevuto un invito per tutti noi ad essere sempre pronti a tornare a Dio Padre. La sua vita Lello Salutaris Massawe è nato l 8 luglio 1962, nel villaggio di Moshi, da Maria Illuminata madre e Victor Lucas Massawe. E nato in una famiglia di nove figli, tra cui due sacerdoti e una suora. Dopo le scuole primarie e secondarie, Salutaris ha aderito all Organizzazione missionaria della Consolata: è andato a studiare filosofia a Nairobi, Kenya (Consolata). A Nairobi, nel 1989 ha segnato i voti di povertà, castità e obbedienza e nello stesso anno ha iniziato a studiare teologia. Come missionario della Consolata, sacerdote Salutaris annunciato la fede in Dio in Etiopia ( ) e in Italia ( ). Durante il periodo , in Tanzania, gli è stato dato un incarico diverso ed è stato anche direttore della rivista Vai e il capo dei Missionari di Consolata della Tanzania. Padre Salutaris L. Massawe è morto il 25 ottobre E stato sepolto nel cimitero dei Missionari della Consolata in Tosamaganga, nella provincia di Iringa, dove i missionari hanno iniziato a lavorare nel Incarichi Sono un missionario cristiano nel paese che è stato disposto a lasciare la sua famiglia e a servire persone in tutto il mondo per tutti i loro bisogni dell anima e del corpo: questo ha detto padre Salutaris Massawe durante la sua intervista pubblicata nella rivista Vai nel dicembre Come sacerdote missionario ha lasciato familiari e persone della Tanzania e per seguire il suo ministero apostolico in Ethiopia ed in Italia. Qui in Tanzania, tra il 2005 e il 2012: * ha realizzato corsi di giornalismo presso l Università S. Agostino di Mwanza, portando Vai, la rivista missionaria che seguiva con grande competenza. Oltre a questo, il sacerdote Massawe ha collaborato con altri mass media, come Radio speranza e la televisione. * nel 2011 è stato eletto dai suoi colleghi capo dei Missionari della Consolata in Tanzania. Questo incarico è stato assunto e condotto ragionevolmente e con fiducia. Nonostante la sua direzione sia durata poco, ha fatto del suo meglio per garantire una visione nuova e la direzione migliore per l organizzazione. Ha cercato di rafforzare lo spirito di famiglia tra di noi, ci ha incoraggiato e ci ha fortificati. Questo missionario è stato capace di essere un uomo che ha visto oltre mentalmente e spiritualmente nelle sue decisioni e nella performance della sua carriera. Uomo del popolo Di Padre Salus Massawe tutti parlano. Ma, cari lettori, lasciatemi dire almeno un paio di cose, anche se non saranno mai abbastanza per onorare questo nostro fratello. Padre Massawe era un amico di tutti: è stato l uomo del popolo. Un numero cospicuo di persone ha partecipato al funerale e questo dimostra quanto detto. Sono venuti anche tre giovani dall Italia. Il nostro sacerdote era un uomo che sapeva guardare oltre, il suo era un sorriso sincero, benedetto da Dio. Ciò era dovuto al suo cuore generoso ed al suo senso dell umorismo. La domanda ora è: chi non era amico di padre Massawe? Abba Salutaris era il padre di tutti. Ovunque egli andasse, tra i parrocchiani o tra le società pastorali dei giovani, il personale, ecc., questo prete non aveva mai appuntamento, ma si faceva parte del loro servizio e con grande umiltà. Non ci si sentiva mai troppo piccolo di fronte a lui. Come missionario, padre Massawe ha lottato per imparare le lingue, le usanze e le tradizioni dei vari popoli. Ciò era dovuto al grande zelo missionario che aveva, pensava che la comunicazione della buona novella dovesse toccare la vita delle persone e le loro usanze. La famiglia di Abba Massawe, ma anche i missionari della Consolata hanno perso un operaio coraggioso, con particolare attenzione e fiducia. Padre Massawe era un uomo che impiegava serio impegno nello svolgimento

11 delle sue responsabilità di leader dei padri della Consolata. Come superiore, a lui premeva che ciascuno di noi abbracciasse gli obiettivi dell organizzazione, affinché si servisse la comunità come fratelli della stessa famiglia. Anche se non possiamo comprendere, ricordiamo che la nostra forza verrà dal Cristo risorto. E finché viviamo e amiamo padre Massawe continuerà a vivere. Noi crediamo che il nostro sacerdote continuerà a vivere dentro di noi. Questo rimarrà come una consolazione. Mark Twain, lo specialista americano, ha scritto: La paura della morte è attribuita alla paura della vita. Una persona che vive la sua vita correttamente e in modo dettagliato, deve essere pronto a morire in qualsiasi momento. Padre Massawe amava la vita, ed è per questo che ha accettato tutti i misteri della redenzione di Gesù Cristo, la nascita, la morte. L apostolo Paolo salutò i fedeli filippesi: Per me il vivere è Cristo e il morire è un guadagno (Filippesi 1:21). Le parole sono difficili da capire nel dolore, ma abbiamo ricevuto un invito tutti noi a cui dobbiamo essere preparati. Il suo coraggio 50 anni di indipendenza Il 9/12/2011 la Tanzania ha celebrato la festa di 50 anni di indipendenza. Ogni giorno, per molti mesi, si è detto: Abbiamo il coraggio, possiamo e dobbiamo andare avanti. Missione è politica. Trovo verità. Non abbiamo il coraggio di fare? Vedo che abbiamo avuto il coraggio di sfruttare le persone e rapinare i poveri. E vero, perché abbiamo osato disprezzare l uomo e si è infranto il suo diritto. I padroni politici hanno nascosto, ma per dirla chiara: io stesso sono stato in grado di derubare il pubblico della Tanzania. Padre Massawe ha continuato a chiedere: Ci stiamo muovendo in avanti, come dopo aver lasciato alle spalle il povero che piangeva e la gente di cuore, i ricchi fanno solo poche mosse avanti e molti hanno lasciato... leader chiedetevi: è il pubblico il numero di persone che si muovono in avanti rispetto a quelli che sono tornati indietro o in piedi con costernazione?. Sei ancora missionario? Sulla necessità di missionari, sacerdote Massawe ha detto: E ancora importante tanzaniani non dire di aver adempiuto il vangelo di Gesù Dove! I maghi sono ancora molti, sono assassini di albini, ci sono molti che praticano una strana dottrina indipendentemente dagli interessi degli altri, pronti a causare un danno ad altri. Non tutti vivono da umani, ma da animali, ma questo comportamento è in contrasto con il Vangelo... Tutti ammettono che Dio esiste, ma non temono né ascoltano la sua voce, compresa l istruzione nelle scuole e nelle università per recuperare il ritardo, la gente ancora non riesce a sentire il desiderio di dare una possibilità di vita a se stessi, alle loro famiglie secondo Dio. I cattolici, che sono in politica e in vari settori pubblici, prendono l iniziativa nella corruzione. Questo è un chiaro segno che il Vangelo non è penetrato nei cuori della gente. C è ancora tanto lavoro da fare!. Preti ipocriti Prima di morire in acqua il 25 ottobre 2012, Padre Massawe ha celebrato la sua ultima Messa con altri sacerdoti. Nella predica ha detto: Dobbiamo essere persone affidabili noi sacerdoti, i nostri discorsi e le nostre preghiere devono essere non ipocriti, altrimenti perdiamo credibilità. Il Vangelo ci insegna che le nostre preghiere sono buone e solo ipocrisia. Queste sono le ultime parole del Massawe Salutaris sacerdote. Missionari, polline Io sono una delle tante persone che ha ricevuto come una scossa la triste notizia della morte del sacerdote Massawe Salutaris, ex capo dei Missionari della Consolata Tanzania. Dopo essere stato eletto parroco di Sanza, ho visto spesso Abba Salutaris, ho familiarità con lui e ci capiamo, anche perché quasi ogni mese è venuto a Sanza. Aveva un senso dell umorismo per tutti e lentamente ha cominciato a imparare la lingua locale. Ho avuto la possibilità di parlare con lui circa la missione dei laici, ogni volta che è venuto da noi. Abba Massawe ci ha incoraggiato e ci ha dato la speranza dicendo che nella nostra missione i padri spirituali (i sacerdoti) devono stare insieme ai fedeli a condividere, costruire e sviluppare la chiesa locale e nazionale dove Dio è venuto. Mi piaceva la sua visita, ha portato i cristiani a incontrarsi, a pregare e a ricevere i sacramenti. Tutti noi della Consolata abbiamo perso una grande guida che è stata molto utile alla comunità cristiana e alla comunità dei tanzaniani. Sono come polline i missionari della Consolata! Io porgo le condoglianze a sua madre, fratelli, amici e parenti. Chiedo a Dio lo spirito di tolleranza in questo periodo e l uso del mese intero di novembre per pregare per i defunti. Dominic J. Mwilwa, Sanza 11

12 io, membro di nuova famiglia... a distanza di Thomas Rafiki Mi chiamo Thomas, sono figlio di Leon ed Anna, sono un seminarista della congregazione dei missionari della Consolata. Sono tanzaniano, nativo di Moshi, nella regione del Kilimanjaro. Il mio villaggio è proprio ai piedi della montagna più alta dell Africa: il Kilimanjaro appunto. Ho iniziato a far parte dei missionari della Consolata nell ottobre del 2004, dopo un anno propedeutico ho iniziato i miei studi di Filosofia all università Jordan di Morogoro e mi sono laureato nel A quel punto sono stato inviato a Maputo, in Mozambico per il noviziato e sono stato lì da luglio 2008 a dicembre 2009, dove ho preso i voti temporanei. Poi i miei superiori mi hanno mandato a Roma per gli studi teologali all università Urbaniana e a giugno di quest anno ho concluso gli studi. Ora sto per iniziare un anno di servizio come missionario in Portogallo. Dopo la fine dei miei studi teologali sono tornato a casa, nel mio Paese, per le vacanze, ma prima di partire per la Tanzania sono entrato in contatto con Daniela (Giacomin, ndr) ed Elena (Coin, ndr), due membri di Nuova Famiglia, grazie a Facebook ed il tramite tra noi è stato il profilo di Baba Salus. Loro mi hanno raccontato del loro progetto di andare in Tanzania a continuare quanto iniziato con il superiore che c era l anno scorso, mio fratello e confratello il Rev. Fr. Salutaris Lello Massawe Baba Salus e mi hanno chiesto se fossi interessato ad accompagnarle durante il loro viaggio estivo laggiù. Io ho accettato con tutto il mio cuore. Ho vissuto una meravigliosa esperienza con il gruppo di Nuova Famiglia, non ero un membro dell Associazione all inizio, ero una povera guida ed un traduttore, ma alla fine sono diventato un membro a distanza di questa mia Nuova Famiglia. Potrei raccontare i felici momenti trascorsi in tutte le attività che abbiamo fatto insieme nella missione di Manda e le visite che abbiamo fatto all orfanotrofio di Iringa che hanno ispirato me, giovane missionario, ma sono sicuro che avrete già sentito i racconti del gruppo che è stato in Tanzania. Ringrazio Dio per l opportunità che mi ha dato, ho conosciuto l associazione da vicino, come essa lavora con tanto impegno e soprattutto i suoi membri, che sono speciali e molto d aiuto alle nostre missioni prima in Etiopia ed ora anche in Tanzania. Noi ora non siamo solo amici, ma fratelli nella missione di Cristo. Possa Dio benedire, proteggere e rispondere alle preghiere di ognuno di voi che lavorate per ottenere così tanti successi e per aiutare i poveri, i bisognosi e gli emarginati, in Italia ed in Africa. 12 Due nostri amici, Linda e Michele, hanno raccolto dei soldi in occasione del battesimo del loro figlio Giacomo e li hanno fatti avere a Nuova Famiglia per uno dei nostri progetti in aiuto all infanzia. Vorremmo ringraziarli per il generoso gesto e dare un affettuoso benvenuto a Giacomo!

13 ci scrivono... a cura della redazione IRMA, NHA FIDJU TENE FOME! Sono le 21,30 e, come tutte le sere, mi trovo in cappella per la preghiera della notte. Di lì a poco sentiamo battere ripetutamente il cancello, assieme ad una consorella andiamo a vedere chi sta bussando a quell ora. Ci troviamo davanti a tre uomini - uno dei quali è il Regolo della Tabanca (il capo villaggio) - che, con parole asciutte, ci chiedono di prestare la Toyota per trasportare all ospedale (una casetta diroccata con 4 stanze e 2 posti letto) una donna gravissima. La disponibilità da parte nostra c era tutta, ma la strada, a causa delle piogge, non permetteva di passare. Tornati a casa per tentare di trasportarla a spalle formando una specie di lettiga, la trovarono già morta (un infarto ha ucciso Bebè, così si chiamava quella mamma di 9 figli, l ultimo di neanche 2 mesi!). Il giorno seguente partecipando alla sepoltura, senza parole gli uomini anziani si avvicinano e ci indicano i 4 figli più piccoli. Il giorno dopo è venuto alla Missione il papà con un bimbetto in braccio ad una donna, piccolissimo, pareva un fagottino di 2 Kg. Irma, nha fidju tene fome! - Sorella, il mio piccolo ha fame! Sono scene che toccano il cuore. Subito abbiamo offerto 2 barattoli di latte, e nel riceverli la donna ha espresso con il suo volto tutta la gioia e la riconoscenza per avere di che alimentare il bambino. Deus na pagan!, disse con un filo di voce. Il nostro pensiero è andato subito a Teresa (Miante, la nostra nonna Teresa, ndr) ed ai suoi amici, strumenti sensibili e solidali che collaborano, sacrificando tempo ed energie, perché tanti bimbi abbiano vita. Gesù ci dice: Avevo fame e mi avete dato da mangiare!. Questo è Vangelo vissuto, è la vera gioia. Suor Lidia Ferraro Francescana di Cristo Re Missione di Bedanda- Guinea Bissau Ne approfittiamo per ringraziare Nonna Teresa (Miante) per il suo continuo e prezioso impegno rivolto, senza distinzioni, all Etiopia e alla Guinea Bissau. 18/11/2013 Carissimi Ivo e Daniela, un sincero grazie per le notizie e per quanto mi avete mandato per mezzo degli amici Buccolieri. Vi fate sentire vicini con l abbondanza dello spirito missionario che vi anima e vi entusiasma. Siete parte viva della nostra Missione che siamo chiamate a svolgere insieme, anche se lontani fisicamente. Tutto ci dà l'occasione di aprirci al dialogo, di essere disponibili a conoscere la bontà dell'altro.ancora una volta vi dico mille volte grazie, anche a nome della consorella che lavora nel nostro dispensario medico, della vostra disponibilità, di quanto di bello e di utile ci avete mandato.tutto significa ed esprime la bellezza dello scambio, del dono gratuito, della reciprocità ed è quanto caratterizza la vostra relazione dell'amore verso i poveri. Abbiamo concluso la recinzione della mura della nostra Unità Educativa, che ha anche il profumo dell Associazione Nuova Famiglia. Rimanete presenti nel mio ricordo, come rimangono quelle pietre che sanno del sacrificio e dell offerta dei vostri sostenitori e di voi stessi. Per questo un Grazie grande per tutti. Vi auguro di cuore ogni bene, vi ricordo nella preghiera: che per tutti voi si faccia realtà la promessa di Gesú di avere il cento per uno. Vi saluto caramente e per mezzo vostro saluto i vostri amici. Suor Sandra Fedeli - Ecuador 13

14 NUOVO INTERVENTO DI MADRE TERESA Addis Abeba fine agosto 2013 Carissimi, questa volta ho proprio esagerato nel lasciarvi senza notizie per tanti mesi: è stata per me una necessità autenticare certi eventi fuori dell ordinario prima di metterli in pubblico. Nell estate del 2011, mentre ero al mio paese per il 50 di Sacerdozio e per visite mediche, un giorno saltai un appuntamento col neurologo per andare invece a Reggio Emilia al funerale di Gianni Iotti, grande benefattore delle nostre missioni in Etiopia. Avevo un problema alla gamba sinistra che trascurai di curare. Un anno dopo ebbi il sogno di Madre Teresa di Calcutta descritto solo in parte nella mia lettera di Primavera 2012 (Parliamo Africa n.58, Dicembre 2012, pag.21, ndr). La Santa mi disse di non preoccuparmi degli acciacchi della mia età e mi sorprese con consigli molto pratici per realizzare più speditamente quello che si aspettava da me. Fatto sta che al mattino mi svegliai rinvigorito e senza più male alla gamba sinistra. Da allora mi ha fatto incontrare altri giovani e ragazze da avviare all apprendimento del disegno seguito dalla pittura con successo: una sorpresa anche per loro che non sapevano di avere tanto talento. In ringraziamento a Dio e a Madre Teresa, da un anno e mezzo abbiamo preso l impegno di concludere il lavoro del giovedì con un ora di Adorazione per le Vocazioni. Solo che il giovedì del ferragosto 2012 mi è capitata una variante inaspettata. Mi trovavo al centro di Addis Abeba con Sahle e Kalkidan, mie aiutanti, quando mi arriva una telefonata al cellulare dalle Marche: Avverti subito le Suore di Madre Teresa che il volontario Marco non verrà giù a settembre come era previsto è in coma è stato investito da una macchina. Corriamo a Sidist Kilo. Avvertiamo subito la Superiora e i volontari italiani scioccati da questo infortunio. Entriamo tutti in cappella emozionati dalla visione di tante Suore vestite di bianco con strisce azzurre, sedute all indiana sul pavimento per la consueta Adorazione del Santissimo esposto sull altare. Il silenzio impregnato di profumo d incenso ci aiuta a unirci a loro per supplicare Colui che tutto vede e tutto può. Vicino alla Croce sta scritto Ho sete. Facciamo ora un lungo salto in avanti nel tempo. All inizio del 2013 sono di nuovo in mezzo alle stesse Missionarie della Carità per accompagnare Lucia e Beppi Tola, nostri promotori da Cagliari, e Maria dalla mia Diocesi di Fano. Cominciamo il giro dell ospedale camminando nel lungo corridoio che porta ai diversi reparti. Sotto una delle verande li introduco ad una volontaria chinata a terra per curare i piedi dei lebbrosi. Di Cagliari? ci dice con sorpresa Anch io vengo da Cagliari.Interrotta da una chiamata, risponde forte al cellulare: Marcoooo!... Vieni subitoooo!.... Ci voltiamo indietro e vediamo proprio lui, Marco, con un collare di supporto che si affretta a venirci incontro, felicissimo di offrire ancora una volta, come sempre, il suo servizio annuale al posto delle vacanze. In concomitanza a questo evento che ci fa sobbalzare il cuore c è qualcosa di più grande che mi impegnerà a fondo fino alla fine dei miei giorni. Nella nostra Casa Regionale di Addis Abeba (in cui fra l altro mi occupo dell accoglienza agli ospiti nella pensione del terzo piano riservato a loro), assieme ai miei sopracitati ospiti c erano tre catechisti itineranti del Cammino Neocatecumenale guidati da don Paolo di Roma che incontravo attorno alle lunghe tavole del refettorio. Fatto sta che al primo incontro di catechesi mi sento attirato a partecipare anch io. All ora stabilita di quel primo martedì sera nessuno si presenta, nemmeno il parroco. Mi ritiro da solo nel punto più elevato a supplicare Dio: Benedici questa nuova iniziativa. Tocca a Te attirare chi ne ha bisogno. Da parte mia rinuncio al costosissimo viaggio in Italia per le visite mediche, le farò in questa metropoli dove ormai c è tutto. Gesù confido in te!. Pazienza ancora un po e finalmente vedo arrivare per primi i miei orfani ragazzi e ragazze di strada dei quali mi occupo, e tanti altri più normali forse attirati dalla novità che ci portano questi stranieri venuti da terre lontane. La sala si riempie. Don Paolo invoca lo Spirito Santo. Ci sediamo in silenzio. La coppia di Salerno viene introdotta. Per primo lui: Dottor Leonardo, Neurologo. Caspita!, grido dentro di me, che fortuna! Ce l ho proprio in casa mia. I dettagli del Cammino Neocatecumenale che sto facendo li riservo alla prossima lettera ancor più ricca di questa per il suo contenuto eccezionale che porterà molti frutti duraturi. Per tranquillizzarvi sul mio stato di salute vi dico che il dottor Leonardo, dopo un accurata visita medica, mi ha assicurato che, grazie a Dio, non ho nessun problema neurologico. Riposo serenamente sette ore la notte. Mi alzo prestissimo. Faccio stretching e ginnastica mentre ascolto Radio Maria. Bevo subito mezzo litro d acqua come suggerito per evitare calcoli ai reni. Mangio molta verdura e frutta. Evito la carne che preferisco dare ai bambini affamati. Tutto il giorno sono in movimento. Dopo pranzo faccio una breve siesta prima di immergermi di nuovo nei numerosi impegni quotidiani. Mezz ora prima dei tre pasti prendo un cucchiaio di medicina che faccio in casa con 300 grammi di aloe vera frullata assieme a mezzo chilo di miele e cinque cucchiai di alcool puro per purificare gli organi interni, per prevenire il cancro e per tanti altri benefici. Io la chiamo medicina dei poveri e ho spinto uno dei miei orfani a fare uno studio approfondito proprio su questa aloe che noi coltiviamo nel nostro giardino, e ne è venuta fuori la sua tesi di laurea in farmacia. Oggi lui, Derege Yemane, uomo maturo e nostro cattolico praticante, occupa un posto importante alla dogana dell aeroporto di Addis Abeba per il controllo dei medicinali. I miei poveri mi augurano lunga vita e mi stimolano a mantenermi in forma per seguirli. E un fatto che noi missionari spesso trascuriamo la salute. Io stesso solo dopo i sessant anni ho cominciato i controlli medici, spaventato quando la morte ci ha tolto Aldo, l ultimo di nove figli e poi il penultimo, Piero; due gioielli preziosi di bontà e operosità che ci hanno lasciato un gran vuoto. Ora tocca a me che sono il terz ultimo, pensavo, ma grazie al mio carissimo cardiologo di Fano sono ancora qui. Ogni tre anni vado a casa e cinque anni fa lo stesso cardiologo non mi ha permesso di tornare in Etiopia senza prima farmi pulire una carotide quasi completamente chiusa. Questo è stato il più bel regalo che mi ha prolungato la vita. Posso di nuovo salire le scale di corsa, a due scalini alla volta senza nessun malessere. Perfino i miei orfani fanno fatica a starmi dietro e mi considerano loro allenatore grazie a quello che ho imparato a praticare ogni giorno dal professor Alceo Sbrozzi nelle scuole medie del mio paesetto marchigiano dove, il prossimo anno, spero di poter celebrare il mio ottantesimo compleanno. Ringrazio Dio dei suoi doni e tutti voi che mi incoraggiate dall Italia. Dal vostro missionario, Padre Renato Saudelli

15 "condividere è..." di Adriana Benetton Rieccoci qua! Dopo aver pubblicato le testimonianze dei ragazzi aderenti al progetto (vedi numero precedente di Parliamo Africa), l Associazione Nuova Famiglia di Paese anche quest anno desidera inviare il resoconto di Condividere è, che ha continuato ad avere buoni risultati. La novità di quest anno è che, oltre a aver operato nelle scuole elementari e nelle scuole medie, abbiamo potuto intervenire anche in una scuola superiore dei servizi sociali, l Istituto F.Besta Sono state coinvolte le classi prime mettendole a conoscenza di realtà diverse e allo stesso tempo insegnando loro nuove tecniche di laboratorio che potranno essere utili nel futuro del loro lavoro. I lavoretti realizzati aspetteranno l occasione del Natale per essere venduti nella bancarella in cui saranno protagonisti. Colgo l occasione per ringraziare il preside, le insegnanti e gli studenti che hanno aderito a questo nuovo progetto all interno della propria scuola. Le sette scuole sotto indicate hanno continuato a sostenerci in questa iniziativa e ancora una volta ci tengo a ringraziare tutti coloro che mi hanno sostenuto. Soldi raccolti in occasione delle Festività: Scuole media C.Casteller di Paese ha raccolto e inviato 1.500,00 Scuola media C. Casteller di Postioma ha sostenuto le adozioni a distanza Scuola elementare di Porcellengo ha raccolto e inviato 469,00 Scuola elementare di Pravato (prima parte) ha raccolto e inviato 1.387,24 + l integrazione dell anno precedente 53,54 Scuola elementare di Venegazzù ha raccolto e inviato 500,00 Soldi raccolti con il mercatino di fine anno: Scuola elementare di Castagnole ha raccolto e inviato 799,50 Scuola elementare di Treforni ha raccolto e inviato 598,50 Soldi naturalmente già inviati per il progetto che abbiamo iniziato Scuole in aiuto di un altra scuola. Ad usufruirne saranno nuovamente i bambini del villaggio di Nadene, e precisamente la scuola di San Marco. Come avranno potuto vedere molti dei nostri ragazzi, questa scuola è fatta di cicca (fango e paglia sostenuta da pali di legno) che si sta sgretolando. E cosi iniziata la costruzione della prima scuola in muratura, e io credo che tutti noi dovremmo sentirci umilmente orgogliosi di quello che abbiamo fatto, anzi, raccontarlo a tutti in modo tale che non ci sono solo notizie brutte ma che c è quella parte di persone spesso silenziose che in un modo o nell altro provano a rendere la vita un po meno dura a chi davvero, ogni giorno, deve lottare per far sì che il giorno dopo possa vedere spuntare il sole. Gandhi disse: La vita e come un grande albero, più si coltiva più da frutti. Spero con il tutto il cuore che si possa continuare davvero a coltivare insieme questo nostro meraviglioso albero. Rinnovo il mio infinito grazie a tutti coloro che in qualche modo ci hanno aiutato, sostenuto e creduto a questa iniziativa. Pubblichiamo un breve articolo raccolto dalla nostra amica Adriana, scritto da una mamma aiutante ad una festa organizzata la scorsa estate a Paese, con i ragazzi della scuola media. Il 7 e l 8 giugno a Porcellengo, nella sala Polivalente della Parrocchia, l Associazione Nuova Famiglia ha organizzato la festa di fine anno scolastico per le terze (il 7) e per le prime e le seconde (l 8). Sono stati due incredibili momenti di pura gioia: i ragazzi liberi dai genitori, solo fra di loro con la musica e il buffet a fare da contorno si sono rivelati per quello che sono: delle fonti di energia! Hanno ballato, riso, corso, si sono esibiti nella break dance sempre con il sorriso: per gli adulti presenti è stato un iniezione di fiducia nel futuro! Così, senza inibizione hanno eletto il più simpatico e la più simpatica e hanno scritto sulla parete, vicino al titolo Condivisione è delle frasi grandi, da ricordare, nessuna battuta ma dei pensieri forti e sinceri che hanno ripagato lo sforzo di tanti volontari. I fondi raccolti andranno ai progetti dell Associazione, e l idea si è rivelata così vincente da poter essere l inizio di una tradizione particolare della Scuola Casteller, un momento che mette insieme gioia e CONDIVISIONE: l appoggio del Preside, il Professor Baccarini, è stato determinante, ma non dubitiamo che anche la nuova dirigente scolastica ci appoggerà, e allora pronti per un nuovo anno scolastico, per i laboratori, per i mercatini e per la festa conclusiva, buon lavoro a tutti e un grazie ancora ai volontari sempre disponibili! 15

16 concerto summertime di Walter Ferrulli...Vi racconteremo una storia... sarà un racconto che parte da una dedica scritta su un muro di una clinica a Gighessa in Etiopia. Vi racconteremo con immagini e musica di un viaggio, di persone straordinarie, di gioie e di sofferenze, di sorrisi e di sguardi indimenticabili...seguiteci e cercheremo di rendervi parte di questo viaggio straordinario! Walter Ferrulli, Direttore Summertime Choir 16

17 l'atomo di ossigeno di Raquel De Almeida e Isabella Zilio Ci stiamo chiedendo se il linguaggio che abbiamo adottato ed il significato delle parole stia cambiando. Per una società come la nostra, cosa significano le parole, democrazia e libertà? Chi viene riconosciuto come individuo e quando? Quando si diventa clandestini? Quando di diventa rifugiati? Sembrava che la globalizzazione ci trasformasse in cittadini del mondo. Invece, come sempre, siamo riusciti ad estrarre, selezionare e coltivare il peggio anche di questo. I confini sono rimasti, le razze sono rimaste. La globalizzazione non ci ha trasformati in cittadini del mondo ma ci ha messi davanti alla miseria, spaventandoci e mettendoci uno contro l altro. La globalizzazione ha marcato maggiormente i confini e le razze. Anni fa eravamo ricchi e ci permettevamo di guardare con finta indulgenza e vera ipocrisia il povero extracomunitario. Ci hanno convinto che nel mondo non ci sia cibo, lavoro e spazio a sufficienza per soddisfare le esigenze di quasi sette miliardi di persone. Ma allora la Natura sarebbe stata così stupida da creare una cosa infinitamente bella come la vita, organizzando perfettamente tutto, per poi farci morire per soffocamento nel nostro pianeta? Anche se non sappiamo in quale modo ci potrà essere garantita la vita (sono moltissime le cose che non conosciamo), l unica cosa che possiamo fare è fidarci della Vita e non spaventarci. Sicuramente non potrà essere garantito a sette miliardi di persone di sprecare ed inquinare. Ma questo è un altro discorso. Perché abbiamo paura del diverso? Perché ci viene vietato di accogliere un clandestino che ha messo a rischio la propria vita e quella della propria famiglia per cercare la sopravvivenza? La nostra vita non vale quanto la sua? La sua libertà non vale quanto la nostra? E noi siamo libere se non possiamo aiutare una creatura in difficoltà? Ci vietano di fare il bene offrendo aiuto ad un clandestino. Ci dicono che la Parabola del Buon Samaritano è sbagliata. Ci fanno piangere davanti alle immagini di centinaia di morti e davanti al coraggio degli abitanti di Lampedusa, proponendo di candidare Lampedusa al Nobel per la Pace, ma ci negano il diritto di intervenire là dove chi di dovere sta mancando e si sta negando. I cittadini di Lampedusa non hanno bisogno del Nobel - hanno già il Nobel della nostra gratitudine - bensì hanno bisogno di rispetto e di non essere lasciati soli e di non essere obbligati a compiere atti contro natura. La sopravvivenza ed ancora di più il benessere potranno essere garantiti solo dalla consapevolezza che un uomo è un uomo, qualunque sia il suo luogo di nascita, il suo colore ed il suo passato. Che la libertà è il diritto che ha ogni creatura vivente di vivere completamente la propria vita, nel rispetto della Vita, cercando di realizzare i propri desideri senza mai calpestare il prossimo. Ogni uno di noi ha il dovere di chiedersi quale sia il ruolo che occupa in tutto quanto sta accadendo. Ogni uno di noi deve chiedersi quanto può mettersi in gioco e soprattutto in discussione. Non è sufficiente adottare a distanza un bambino e neanche finanziare un progetto o organizzare una raccolta fondi. E giunta l ora di spogliarci, di tutto: paure, ambizioni, buoni propositi e chiederci con serietà e convinzione cosa vorremmo fare da grandi e quale sarà il mondo nel quale vorremmo vivere. Un atomo di ossigeno da solo può sembrare poca cosa, ma se l atomo è consapevole della propria forza saprà che, unendosi all idrogeno, formerà l acqua, saprà che, unendosi al carbonio, formerà tutta la chimica organica che si trova alla base della nostra vita sulla Terra. Non servono decreti o leggi all atomo di ossigeno. Lui conosce perfettamente e riconosce solo le Leggi della Natura. Noi siamo composti in prevalenza da Ossigeno, Idrogeno e Carbonio: ora dobbiamo solo chiederci se siamo consapevoli della nostra forza. Se daremo per scontato che la Parabola del Buon Samaritano sia sbagliata, accettando che sia illegale aiutare un rifugiato e che chi è diverso vada ghettizzato o cacciato, avremo consegnato la nostra vita e la nostra libertà nelle mani sbagliate. Chi ha paura muore ogni giorno. Chi non ha paura muore una volta sola P. Borsellino 17

18 kebrat, la ragazza dai ricci neri di Massimo Gramellini Pubblichiamo il testo della Buonanotte data da Massimo Gramellini ai telespettatori di Che tempo che fa su RaiTre, Domenica 6 Ottobre 2013, pochi giorni dopo la strage di Lampedusa. Questa sera vi racconterò la storia di Kebrat, una ragazza di 24 anni con i capelli ricci, di un nero che tende al rosso. Giovedì mattina, credendola senza vita, l hanno adagiata sulla banchina del porto di Lampedusa accanto ai cadaveri, avvolta come un pacco regalo in un foglio di alluminio dorato da cui spuntavano solo le braccia unte di nafta. Aveva la pancia talmente gonfia di acqua e gasolio che, oltre che morta, sembrava incinta. Poi all improvviso Kebrat ha aperto gli occhi e dopo una corsa in elicottero è approdata in un ospedale di Palermo. Tutta tremante, con un filo di voce dietro la mascherina dell ossigeno, ha raccontato a un infermiera la sua avventura. Kebrat è scappata dall Eritrea con un gruppo di amici. È scappata da un dittatore sanguinario che spedisce i dissidenti a lavorare in miniera come schiavi e ha trasformato l antica colonia italiana in un carcere dove le guardie di frontiera sono autorizzate a sparare addosso ai fuggiaschi. Eppure Kebrat ce l ha fatta. Ha attraversato il deserto del Sudan, prima a piedi e poi su un camion, e dopo due mesi inenarrabili ha raggiunto il porto libico di Misurata. Ha guardato il mare e la bagnarola che stava per salpare, senza neanche sapere dove l avrebbero portata. L importante era andare via. Ha consegnato i risparmi familiari di una vita allo scafista tunisino che si faceva chiamare The Doctor. E prima di partire ha indossato il vestito della festa. Durante il viaggio non ha mangiato nulla. Ha bevuto acqua di mare perché c era il sole e aveva tanta sete. Ogni tanto ha pregato Dio con gli altri profughi in tutte le religioni possibili. Alle tre di notte di giovedì il mare era grosso, e appena in lontananza è apparsa la terra e a Kebrat è scappato da ridere. I suoi brothers (fratelli), come i profughi eritrei si chiamano tra loro, sventolavano le magliette in segno di giubilo. Ma a mezzo miglio dalla costa il motore si è rotto. Kebrat non ha avuto paura: vedeva le luci dell isola e delle altre barche. Un peschereccio si è avvicinato, poi è andato via. La ragazza ha urlato, ma quelli non sentivano o non volevano sentire. (Kebrat non sa che in Italia chi aiuta un profugo rischia l avviso di garanzia per favoreggiamento. E non sa nemmeno che il Frontex, l organismo europeo di pattugliamento che ci costa 87 milioni l anno, è talmente sofisticato da non vedere un barcone di legno a mezzo miglio dalla costa). È stato allora che qualcuno, per attirare l attenzione, ha dato fuoco a una coperta. Hanno provato a spegnere le fiamme con altre coperte e con l acqua di mare, ma è stato inutile. Così è arrivata la paura, tutti gridavano, si stringevano, si spostavano dall altra parte del barcone, che ha cominciato a ondeggiare. Quando ha visto un suo amico ridotto a torcia umana, Kebrat ha trovato il coraggio di gettarsi nell acqua gelida. Ha visto donne che cercavano di tenere a galla i loro bambini, le ha viste affondare nel buio. Sembrava che salutassero, finché le braccia andavano giù. Poi non ha visto più niente. Con in bocca il sapore del gasolio e del sale, riusciva solo a sentire le urla: come di gabbiani, ma erano persone. Ha nuotato, prendendo a schiaffi l acqua per ore. Quando era allo stremo, a malincuore si è tolta l abito inzuppato, pensando che il suo peso l avrebbe portata a fondo. A quel punto è svenuta. Ora è qui, nell ospedale di Palermo, in prognosi riservata per lesioni gravi ai polmoni. Del vestito della festa le è rimasta solo la parte superiore del reggiseno, sulle cui coppe aveva scritto i numeri di telefono dei familiari. Ma l infermiera che ha ascoltato la sua storia non sopporta che Kebrat rimanga nuda. Raggiunge il suo armadietto, afferra una maglia bianca, la taglia e la adagia sopra di lei. Prendila tu, a me non serve. Stasera andrò a letto chiedendomi come fa il mio Paese a ritenere giusta una legge che considera Kebrat una criminale, colpevole del reato di immigrazione clandestina, punibile con l espulsione immediata e la multa fino a 5mila euro. 18 Buonanotte.

19 abbiamo letto per voi a cura della redazione Nel mare ci sono i coccodrilli Storia vera di Enaiatollah Akbari Fabio Geda, Dalai Editore 8,90 consigliato da Isabella Zilio ed Elena Coin 3 ottobre 2013: quando la tv ha trasmesso la notizia del naufragio di Lampedusa mi è tornato subito alla mente un libro letto qualche anno prima e ho ripercorso, mentalmente e sfogliando le sue pagine, il viaggio di Enaiatollah Akbari vorrei condividere con voi lettori questa storia, breve ma intensa che dà una chiara idea dei motivi che spingono una persona a lasciare il suo paese, la sua casa e la sua famiglia, ma soprattutto dà una chiara idea dei più profondi sentimenti di disperazione ed angoscia che muovono una persona ad intraprendere un viaggio che lascia poca speranza di arrivare a destinazione sulle proprie gambe. Nel mare ci sono i coccodrilli, e potrebbe esserci qualunque cosa, in quel buio scuro è questa la convinzione di Hussein Alì, compagno di viaggio di Enaiatollah Akbari, il protagonista della storia vera raccontata da Fabio Geda. Hussein ha paura del mare, non lo conosce, e teme soprattutto di essere divorato dai coccodrilli. Nel mare ci sono i coccodrilli è la storia vera di Enaiatollah Akbari, un bambino di dieci anni di etnia hazara che intraprende un lungo e avventuroso viaggio dal suo paese, Nava, in Afghanistan, per sfuggire ai pashtun che reclamano la sua vita come risarcimento per un carico perso dal padre durante un trasporto. È sua madre a spingerlo ad allontanarsi dalla sua casa per sottrarlo alle minacce dei pashtun, dai quali lo divide l appartenenza al gruppo religioso: loro, i pashtun, sunniti, Enaiatollah e la sua famiglia, sciiti. La speranza di una vita migliore è più forte di qualunque sentimento, dice Enaiatollah, cercando di spiegare a noi europei, lontanissimi nelle nostre esperienze quotidiane da tutto ciò che egli va raccontando, quanto possa essere dolorosa la scelta di una madre che, pur di offrire a suo figlio la speranza di un futuro differente, non esita ad affidarlo ai trafficanti di uomini. Pakistan, Iran (con due ritorni forzati in Afghanistan), Turchia, Grecia, e infine Italia: queste le tappe del suo cammino. Tra lunghe soste in vari paesi, durante le quali il ragazzo si guadagna da vivere lavorando duramente, e pericolose traversate a bordo di vari mezzi di trasporto, Enaiatollah incontra una varia umanità: silenziosi ma risoluti trafficanti che speculano sulla pelle dei ragazzi e degli uomini in fuga, in preda alla solitudine e alla disperazione; uomini che si fanno partecipi delle sofferenze altrui, ma che non hanno la possibilità di aiutare concretamente tutti coloro che ne avrebbero bisogno; compagni di viaggio più o meno solidali, ognuno con la propria vicenda di sofferenza alle spalle. Tra le tante avventure narrate, ce n è una che colpisce in maniera duratura la sensibilità del lettore: la lunga traversata a piedi delle montagne tra Iran e Turchia, in compagnia di curdi, pachistani, iracheni, bengalesi; ventisette giorni di cammino, dodici persone su settantasette che perdono la vita lungo il tragitto, vittime della fame, della stanchezza, del freddo. Enaiatollah ce l ha fatta, e oggi, nel fiore dei suoi 21 anni, sente la necessità di raccontare il suo passato; noi allo stesso tempo proviamo il desiderio di ascoltare le sue parole. Il suo racconto ci mostra, da un lato, ciò che l uomo è in grado di provocare quando perde di vista la sua umanità, quando persegue esclusivamente l interesse; d altra parte, la presenza di Enaiatollah tra di noi, al sicuro, accolto da una famiglia italiana e finalmente libero di studiare, è anche il segno dell esistenza di uomini e donne che non si sottraggono alla richiesta d aiuto di chi si trova in difficoltà. Enaiatollah ha vinto: i talebani che, una mattina d autunno, hanno chiuso la sua scuola e ucciso il suo maestro Il mullah Omar ha deciso di chiudere le scuole hazara, dicono nulla hanno potuto contro la sua voglia di vivere e il suo desiderio di avere un futuro migliore, di imparare. I talebani, ci spiega Enaiatollah, non sono solo afghani: tra di loro ci sono pachistani, marocchini, egiziani, senegalesi, tutti ignoranti che impediscono ai bambini di studiare affinché non capiscano che non fanno ciò che fanno in nome di Dio, ma per i loro sporchi interessi. Dalla voce di Enaiatollah Akbari giunge fino a noi una lucidissima e semplicissima analisi del senso dell essere umani. In questa storia riconosciamo la storia di tutti coloro che sono costretti a lasciare la loro casa per andare in cerca di un futuro migliore, e che, da quel momento, orfani delle loro radici, si perdono nel grande mare dell umanità: se riusciranno a raggiungere la loro mèta, non sarà solo grazie alla fortuna, alla tenacia e al coraggio, ma anche alla mano tesa di chi avrà visto in loro il proprio fratello. Elena Giorni fa un signore mi ha detto a proposito dei migranti: A me non fanno pena. Hanno scelto loro di affrontare quel viaggio nei barconi. Non ci credo che non sappiano cosa troveranno qui. Alla mia osservazione che le possibilità sono due: - Sanno cosa troveranno qui e quindi stanno scappando da una situazione di disperazione, poiché una donna incinta con bambini piccoli non affronta un viaggio tanto rischioso solo per poter andare 19

20 a fare shopping, quindi dobbiamo rispettare il suo dolore e la sua dignità; - Non sanno cosa troveranno qui e sono stati illusi e truffati, quindi dobbiamo rispettare il loro dolore e la loro dignità. La sua risposta è stata : Non ci credo che non sappiano e non mi fanno pena. In Nel mare ci sono i coccodrilli Enaiatollah racconta la sua impresa per arrivare in Italia dall Afganistan con tanta delicatezza e serenità da commuovere. Consiglio di leggerlo tutti, adulti e ragazzi e prendere consapevolezza che nel mondo ci sono tante creature favolose che, indipendentemente dalla loro storia e nazionalità sarà un privilegio incontrare ed aiutare anche solo con un biglietto del treno, una doccia ed un piatto di pasta. Da proporre nelle scuole per creare motivo di riflessione. Isabella UNA LETTURA DAVVERO SPECIALE di Adriana Benetton Qualche anno fa, uno dei miei sogni nel cassetto si è realizzato, perché da Paese un nuovo progetto abbiamo ideato: Sensibilizzare le scuole per poi rendere protagonisti i bambini. Ad accogliere questa iniziativa anche la scuola di Venegazzù, che da diversi anni aderisce con entusiasmo. In occasione dello scorso Natale abbiamo avuto l invito ad assistere a una lettura animata, con i bambini di quarta elementare. Si trattava di : Nel mare ci sono i coccodrilli. E stata una storia che con questa classe, guidata naturalmente con attenzione dalle proprie insegnanti, ci ha permesso di vivere momenti di riflessione e non solo. Io di questo libro avevo solo sentito parlare vagamente, ma loro me l hanno fatto vivere in profondità All inizio mi sono chiesta cosa c entrasse con il Natale Certo che c entrava! Sono stati così attenti che proprio a Natale hanno voluto ricordare in modo diverso i tanti bambini, forse troppi che vivono nel mondo un infanzia difficile. Così, alla fine di questa recita, con gli occhi arrossati e molto emozionati si era pensato di condividere l esperienza con altre scuole. La cosa sembrava semplice: mezzi di trasporto, luogo, giorni, orari, permessi. Ma così non è stato. Alla fine il nostro super preside Baccarini ha dato una soluzione a tutte le nostre problematiche. E a Marzo, le due classi interessate di Venegazzù sono arrivate a Paese accompagnate dalla loro preside e dalle insegnanti. Quella mattina la sala polivalente si è riempita di tanti bambini provenienti sia dalla scuola di Treforni, sia di Pravato, unite ai ragazzi della Cascina. Con la ampia attrezzatura offertaci i protagonisti sono stati stupefatti sia del palco, sia della sala. Che dire: quanta emozione! Le numerosi insegnanti presenti e i bambini attenti ci hanno resi coscienti di quanto siano importanti questi avvenimenti. Le domande, le riflessioni e i saluti dei rispettivi presidi hanno contornato questa mattinata. I bambini ospiti, alla fine hanno della rappresentazione, hanno consegnato a tutti i presenti un segnalibro fatto da loro che riportava i personaggi della storia. Noi, invece, una golosa merenda. Poi tutti nel piazzale adiacente alla sala, per divertirci e condividere qualche gioco. Ora un insegnante di Venegazzù si è messa in contatto con l autore di questo libro. Chissà che cosa nascerà. Per ora siamo certi di aver avuto questa occasione, di aver regalato ai nostri ragazzi un altra nuova esperienza, nella speranza di averli arricchiti dentro. Grazie davvero a tutti! 20

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