LUCIANA MARCELLINI GADDI-HERCOLANI: LA MIA VITA E LA MIA OLIMPIADE

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1 LUCIANA MARCELLINI GADDI-HERCOLANI: LA MIA VITA E LA MIA OLIMPIADE La contessa Luciana Marcellini Gaddi-Hercolani vanta tra i suoi avi un condottiero che fece prigioniero Francesco I nel E' stata la prima socia donna per meriti sportivi del Circolo Canottieri Aniene. Oggi nella vita è una professionista di successo, con studio ai Parioli. Una vita vissuta intensamente, ma anche all'insegna dell'eleganza e con una collezione di mariti da far invidia a Liz Taylor, comprendendo perfino il figlio di un lord inglese. Ci racconta, più che la sua gara nello Stadio del Nuoto, qualcosa di sé stessa e della maniera in cui ha sentito lo sport. Lei che fu la più giovane atleta della XVII Olimpiade, alla fresca età di dodici anni e sette mesi. Avevo forse otto anni. Ero in fila con i miei compagni di classe per le scale del Lycée Chateaubriand. Era Inverno e rientrando dalla ricreazione trascorsa in giardino indossavo un montgomery con lo scudetto delle Olimpiadi, i classici cinque cerchi, sulla manica sinistra.uno dei sorveglianti incaricato di controllare il nostro rientro in classe mi apostrofò dicendomi in francese: M.lle Marcellini come mai ha questo scudetto sulla manica? Ha forse fatto le Olimpiadi?. Lo disse ovviamente in modo gentile, ma a causa della rigida educazione ricevuta in famiglia, risposi quasi scusandomi e dicendo di aver comperato il montgomery già con lo scudetto attaccato, ben conscia, come si usava in quegli anni, che il logo olimpico e gli indumenti sportivi con la scritta Italia erano di appannaggio di chi se li era realmente conquistati, o facendo le Olimpiadi, o facendo semplicemente parte della Nazionale Italiana. Era già stato segnato il mio destino di atleta olimpica quando, a nove anni, non usando ancora far nuotare i bambini sin quasi dai primi mesi di vita, come si fa oggi e, andando al mare per quattro mesi l anno, la mia famiglia decise di farmi frequentare i corsi di nuoto del CONI al Foro Italico. A livello subliminale qualcosa era scattato dentro di me da quel famoso giorno a scuola. Fui bocciata al primo brevetto, prova durante la quale occorreva andare a prendere la monetina sul fondo della piscina sotto il vigile controllo del Professor Banchelli, nella piscina piccola al secondo piano del Foro Italico. L umiliazione fu grande, ma non mi detti per vinta e rifeci la prova al turno successivo, conseguendo poi un brevetto dietro l altro. A dieci anni entrai nei collegiali di nuoto : camicia verde chiaro, pantaloni a metà polpaccio marroni e scarpe da ginnastica bianche. Dormivamo all Hotel Agip sull Aurelia. Ci portavano tutte assieme a fare allenamento con un pullman e già mi consideravano del gruppo dei migliori. Non vi erano ancora gare vere e proprie fra di noi. L anno successivo a undici anni partecipai al IV Gran Premio Stelle del mare, sotto l egida del CONI e la collaborazione tecnica della Federazione Italiana Nuoto. Si trattava di una gara di 50 stile libero con eliminatorie nazionali. Risultai prima vincendo nella categoria Stelline nelle finali Nazionali. Era il 6 settembre Verso la fine dell anno, pur non avendo ancora terminato tutti i brevetti - l ultimo lo presi dopo le Olimpiadi fu necessario iscriversi ad una Società Sportiva per poter partecipare alle gare di categoria ufficiali, ovvero ai Campionati indetti dalla Federazione. Molti scelsero di andare alla S.S.Lazio o alla A.S. Roma, le due squadre più note della capitale. Con pochi altri scegliemmo la via meno semplice entrando nel gruppo sportivo di un Circolo romano che, per la prima volta, si affacciava alla disciplina del nuoto: il Circolo Canottieri Aniene. Mio padre, Professor Isidoro Marcellini, ginecologo, era già socio del Circolo Canottieri Aniene, uno dei più rinomati circoli della capitale, che, pur non essendo famoso come lo è ora, applicava una rigidissima selezione nell accettare i soci. Le votazioni che davano diritto a divenire socio avvenivano realmente con le palline bianche o nere. Non era una questione di conto in banca.

2 Grandi e ricchi personaggi non furono ammessi. Decisi dunque di entrare in questo nuovo circolo, tutto da scoprire. Se non altro riuscivamo, pur se in pochi, a fare anche le staffette miste per i campionati. Mio padre divenne il primo Presidente della Sezione nuoto e dopo la sua morte nel 1970 gli fu dedicato dal circolo un trofeo che prevedeva delle gare ricorrenti fra i circoli romani per la detenzione del trofeo stesso, che era una scultura di Peikov. L anno successivo, nel 1960, avevo dodici anni e nuotavo stile libero con successo. Vi fu la necessità di rimpiazzare la ranista nella staffetta e, da quel momento, notata dall allenatore federale della nazionale italiana Professor Stefano Hunyadfi, entrai nel gruppo che si allenava con lui. Dopo tre mesi divenni P.O., ovvero Probabile Olimpica per le Olimpiadi a venire. Da allora nuotai solamente con l allenatore federale, pur non avendo terminato i corsi al CONI. Entrai dunque in ritiro collegiale. Questa volta molto più esclusivo di quando avevo dieci anni. La mia prima convocazione nella Nazionale Italiana di Nuoto fu per rappresentare l Italia alle Olimpiadi. Partecipare ad una Olimpiade è un sogno, un evento unico per qualsiasi sportivo. Allora l affrontai come un evento normale: nuotavo, ero brava, mi ero qualificata quale seconda ranista italiana, le seconde erano convocate. Fui convocata ed andai alle Olimpiadi. Non ho mai pestato l acqua delle piscine, come si usa dire, per arrivare alle alte vette natatorie. Fui subito in vetta, seconda in Italia anche se per pochissimo tempo. Avevo cambiato il mio stile per caso. Non erano anni che nuotavo a rana. Spontaneamente nuotavo e lo facevo nel migliore dei modi, ovverosia impegnandomi al massimo. Tutto ciò avvenne in modo naturale. Al momento delle Olimpiadi ero ancora la seconda, come ho già detto. Sarei diventata la prima pochi mesi dopo. Verso la fine dell anno battei Elena Zennaro, mia cara amica, già molto più grande di me come età, la quale accettò di buon grado la sconfitta e si ritirò. Aveva incontrato durante le Olimpiadi Angelo Cozzi, fotografo di grande fama, ed aveva iniziato una seria relazione amorosa, che si concluse ben presto con un matrimonio. Alle Olimpiadi la mia mente era serena. Per me entrare in Nazionale e nuotare per allenarmi prima della gara olimpica era un susseguirsi di normalità. Non mi sentivo affatto un mito od un mostro, come mi qualificavano gli altri. Grazie all'educazione materna mi era stato insegnato che tutto ciò che facevo dovesse essere fatto nel miglior modo possibile. Non stavo facendo nulla di eccezionale. Mia madre faceva di tutto per farmi vivere nella normalità. Venivano fotografi con giornalisti a fare servizi fotografici ed interviste a casa ed anche in piscina mentre mi allenavo. La televisione italiana mi riprendeva e mandava in onda alla fine dei telegiornali serali ogni mia gara. Tutto ciò mi era descritto come normale. Mia madre mi nascondeva i giornali e le riviste, ove erano riportate le interviste. Eppure gli articoli erano tanti, su giornali e riviste di ogni tipo, spesso varie pagine con fotografie. Anche se allora il nuoto non era certo una disciplina conosciuta. Lessi il tutto dopo la fine della mia carriera. Mia madre, la Contessa Livia Hercolani-Gaddi, grande artista menzionata anche sul Bénézit, ne fece dei collages bellissimi, che tengo ora sulle pareti del mio studio. Durante il mio periodo natatorio mi mostrava soltanto degli scarni trafiletti, ove erano riportati i risultati delle gare. Mi mandava a letto quando alla fine del telegiornale si parlava di sport e spesso di me perché dovevo riposare. In poche parole, fece in modo che non mi montassi la testa, che non mi considerassi diversa dalle altre mie coetanee. Mi diceva: in fin dei conti quando arrivi prima è il minimo che tu possa fare. Non ho mai letto Topolino, né ascoltato le favole - se non da qualche signorina di turno e di nascosto. Bensì la mitologia greca poiché non vi è favola più bella di quella. Andando a scuola francese dovevo leggere soltanto i libri classici e non questi sciocchi romanzi che non ti istruiscono. Per un periodo della mia vita non approvai questo metodo educativo. Oggi ringrazio mia madre per la rigida educazione, il senso del dovere e del rispetto che

3 mi ha inculcato assieme a varie lingue straniere, francese a partire dei due anni di età, inglese a dieci anni e tedesco dai dodici in poi. Ero considerata, anche dai giornalisti, la poliglotta del nuoto italiano. Durante le Olimpiadi del 1960, mi sembrò molto strano che a Roma, la mia città, dovessi abitare al Villaggio Olimpico, ove si respirava un'atmosfera goliardica di sana competitività fra tutte le squadre, senza altro interesse che il confrontare le proprie forze con gli altri. Il Villaggio Olimpico, oltre il fatto di essere situato alle pendici dei Parioli, non aveva altro pregio di bellezza. Strane palafitte, ove l androne era un quadrato di vetro, attraverso il quale si vedeva girare una scala che portava ai piani superiori. Vivendo poco più in là, in un palazzo con portiere in divisa, non mi appariva affatto bello. Ogni squadra, di ogni disciplina viveva in un singolo appartamento, ove tutte le stanze erano adibite a camere da letto a più letti, secondo la grandezza delle camere stesse, più una cucina, della quale non facevamo grande uso. Avevamo a disposizione una sala mensa che, ai miei occhi di bambina, sembrava immensa. Chissà come saranno le mense olimpiche oggigiorno, con tante più discipline, tanti più atleti, tante più nazioni partecipanti e con un grande rispetto per la cultura di ogni popolo. Suppongo con cucine di varia etnia. Noi mangiavamo cose semplici e all italiana e come noi le squadre di tutti gli altri Paesi. Una notte, mentre dormivo al villaggio, trovai le mie compagne tutte radunate attorno al mio letto. Mi svegliarono dicendo che mi lamentavo nel sonno. Essendosi svegliate si erano preoccupate. Le rassicurai. Stavo bene ma, in fin dei conti, malgrado la mia forza d animo, ero più o meno una bambina, fuori casa da sola, senza la famiglia, con un padre apparentemente distaccato ma molto protettivo e amoroso, una madre severa, sempre per il mio bene, e un fratello, Gianfranco, anche lui nuotatore. Come scordarmi della mia signorina tedesca che si occupava amorosamente di me quando ero a casa? La mia famiglia per potermi incontrare all interno del Villaggio Olimpico ebbe una sola volta il permesso. Dovemmo ricorrere ad una speciale soluzione. Loro si affacciavano in un certo punto del viadotto di Corso Francia ad ore precise per salutarmi quando rientravo nella palazzina. Lo Stadio del Nuoto mi colpì per la sua grandiosità. Talmente attuale che sono state sufficienti poche modifiche per poterlo utilizzare anche quarantanove anni dopo per i Mondiali del I progetti originali prevedevano un sistema antisismico anche applicato alle piscine. Questa tecnologia avrebbe evitato qualsiasi rottura della vasca in caso di terremoto. Non so se questo fu poi inserito nel progetto definitivo. Penso di sì. L'impianto è stato comunque costruito in maniera perfetta, ne è prova la non alterazione nel tempo. Lo Stadio del Nuoto era il nostro regno e mi impressionava il fatto che da lì a poco i migliori nuotatori del mondo sarebbero venuti a gareggiare in quelle acque. Tutti a Roma, da noi. Lo consideravo un grande onore per noi e per Roma. Dopo tanta preparazione, vi fu la sfilata di apertura delle Olimpiadi. Le squadre marciavano ordinate a passo militare. Tutti gli atleti erano molto fieri. In Federazione avevano deciso che, essendo la più giovane dei giochi, avrei portato la bandiera italiana. Ruolo prestigioso. Sarebbe stato un grande onore. Questo compito è oramai affidato ad hostesses appartenenti al Comitato Organizzatore. Peccato! All ultimo momento, Giulio Onesti, allora Presidente del CONI, mi disse che, tenendo conto che la mia gara individuale sarebbe avvenuta il giorno seguente, sarebbe stato più prudente che io non affrontassi la sfilata e non avessi il ruolo di portabandiera. Mi disse Sei così giovane ci sarà certamente un altra occasione!.

4 La divisa olimpica era composta da una giacca azzurro acceso con stemma del Coni Nazionale sulla manica sinistra, per le donne, e sul taschino anteriore, per gli uomini, una gonna bianca ed una grigia, camicia bianca, cravatta a righe bianche e azzurre, scarpe a mocassino blu e bianche, panama con nastro azzurro. Ho indossato la stessa divisa recentemente, il 14 luglio del 2010, nel Salone d Onore del CONI, durante la celebrazione dei cinquanta anni di Roma Olimpica. Ed era la stessa di 50 anni fa! Assistetti alla sfilata dagli spalti ove mi stancai certamente di più, tenendo conto dell attesa sotto il solo cocente e della lunga manifestazione che dovetti vedere tutta. Sfilando avrei percorso soltanto la distanza dovuta e, poi, sarei potuta andare a riposarmi. Non si sa come, ma questa altra occasione, per una ragione o per l altra, non venne mai durante tutte le mie stagioni nella Nazionale. Dopo tanti anni non considero ancora questo gesto rispettoso nei miei confronti. Ero soltanto dodicenne. Ero troppo piccola e debole per portare la bandiera italiana, ma non lo ero più tutto ad un tratto ad ogni incontro internazionale al quale ho partecipato negli anni successivi. Poco prima della mia gara gli allenatori, i dirigenti, gli accompagnatori e quelli che mi avevano considerata non atta a portare la bandiera venivano da me dicendomi che la posizione della squadra italiana dipendeva dalla mia gara, per cui tutto dipendeva da me. Nel 1961 il giorno che battei il record italiano, feci il quinto tempo mondiale sui 200 rana. Nessun altro nuotatore italiano era mai stato nella novera dei primi dieci al mondo fino ad allora. Forse solo in Europa. Soltanto due o tre giornali lo evidenziarono alla fine dell anno. Chissà perché? Gli altri si posizionavano al cinquantesimo posto o al cinquecentesimo posto nel mondo. E parlo di gente reclamizzata, come Fritz Dennerlein o la Saini. Perché non andavano da loro a dirgli di impegnarsi, invece di rendere me sempre la responsabile? Tra il senso del dovere, come stile di vita, inculcatomi da mia madre e le responsabilità che mi erano date dagli adulti non mi meraviglio del carattere che ho. Sono Capricorno. Le sfide le amo. Qualcuno mi ha detto, tuttavia, che il mio ascendente Acquario mi rende un po flessibile ed imprevedibile, il che è una buona combinazione, altrimenti la vita sarebbe una noia! Oltre a nuotare mi sono sposata alcune volte, ho una bellissima figlia ed una nipote altrettanto bella. Sono stata eletta nel 1992 una delle dieci donne più eleganti del mondo! Per cui la mia vita non è soltanto dovere! La frase: dipende tutto da te, mi è rimasta attaccata. In qualsiasi situazione della vita presto o tardi me la sento ripetere e, a volte, malgrado il senso del dovere che mi fa impegnare anche in cose che non mi spettano, mi verrebbe quasi di dire: Purtroppo non sono capace di fare questa cosa che tu mi chiedi, altrimenti la farei volentieri!. Così rispose la mamma di un atleta a mia madre durante una trasferta per gare di nuoto, allorché mia madre di chiese di leccare i francobolli da attaccare sulle cartoline che allora si usava inviare. Alla quale mia madre rispose Evelina me lo hai detto con una voce così gentile che ti perdono! Comunque il giorno della gara arrivò. Ero molto giovane. Ero sì la seconda ranista italiana, ma di fronte a me avevo dei colossi mondiali. Non ottenni un buon piazzamento. L emozione era indescrivibile. Mi rifeci l anno dopo, come già scritto. Mike Troy, medaglia d oro dei 200 farfalla uomini, mi regalò una tavoletta in polistirolo rosso. Ogni atleta americano ne aveva una con sé. Sopra disegnato un delfino bianco su un onda e mi scrisse una dedica. Best wishes to you. La scrisse con pennarello nero. Non so quante volte ho ripassato la scritta da allora. Tutti utilizzavano tavolette di legno normale. Tutti erano invidiosi della mia bellissima ed unica tavoletta in polistirolo rosso. Cercavano in qualsiasi maniera di rompermela. Fui la sola ad averla in Italia e me

5 la portavo avanti e indietro per gli allenamenti giornalieri. Dopo tantissimi anni ora è diffusa in tutte le piscine. La mia tavoletta rossa campeggia ancora in bella mostra nel mio studio di Relazioni Istituzionali, libera professione che esercito soprattutto nel campo della Ricerca, dell Aeronautica e della Manutenzione. Seguii tutte le gare dei miei compagni di squadra. Lasciammo il Villaggio Olimpico alla fine delle gare di nuoto. Venne il giorno della chiusura dei Giochi e non ricordo se poco prima della fine delle competizioni, o qualche giorno dopo, chiesero a pochi di noi di indossare di nuovo la divisa olimpica per presiedere alla posa della prima pietra dell Hotel Hilton a Monte Mario. Ebbi, quale più giovane, dei Giochi, l onore della posa della prima pietra. Finite le olimpiadi, cominciò la mia vera vita natatoria. Mi allenavo sotto il controllo di Hunyadfi, nuotando un ora la mattina, prima di andare a scuola. Arrivavo regolarmente in classe con i capelli corti, semi-bagnati, sotto un cappuccio di lana in inverno. L allenamento si ripeteva dopo le lezioni scolastiche del pomeriggio, poiché al contrario delle scuole italiane di allora, il Lycée Chateaubriand aveva lezioni anche nel pomeriggio e il sabato. Vinsi tutto ciò che si poteva vincere a rana. Essendo giovane, le vittorie e i record che facevo erano automaticamente relativi alle categorie ragazze, juniores, seniores ed assoluti. Vinsi anche nei 400 misti una volta e. mi fermarono. Mi rimisero a fare soltanto rana! Non potevo invadere altri campi! Quando cominciarono a criticare il mio stile, dicendo che con la mia bracciata sussultavo e tendevo ad abbassare la testa e che se continuavo così mi avrebbero squalificata, smisi di nuotare senza rimpianti. Non era una professione! Bisognava studiare ed avere una vita propria. Chissà com è che ora tutti i ranisti al mondo hanno questo strano sussulto e abbassano la testa proprio come, io, avevo iniziato a fare, in modo spontaneo. Avevo osservato delle piccole rane che mio padre mise nella vasca da bagno perché potessi capire il ritmo con il quale nuotavano. Eppure, oggi, non vengono squalificati! Forse avevo anticipato troppo i tempi? Chissà? I giornalisti, quando gareggiavo, non si chiedevano più chi sarebbe arrivata prima, discutevano sulla probabile seconda. Sembra vanità personale, non lo è. E pura e semplice realtà E sufficiente chiederlo a giornalisti come Fumarola, Anghileri ed altri, che spero vivano ancora. Dopo l allenamento correvo a fare i compiti. Non vi erano né cinema, né altri divertimenti, eccetto qualche festa tra i compagni di scuola. Feste pomeridiane, alle quali arrivavo sempre in ritardo, non potendo saltare l allenamento. Mi presentavo con abiti femminili di cadì di seta a colori tenui, con ricami fatti a mano da sartoria, adorati da mia madre. Amerei avere oggi quei vestiti, mentre allora, con due spalle da lottatore, dovute agli allenamenti, abbastanza anomali per l epoca, in cui i muscoli erano visti come qualcosa di poco elegante, me ne vergognavo un po. Ho avuto il mio riscatto personale di donna dopo aver smesso di nuotare, dimagrendo e facendo scomparire quei muscoli sino a fare servizi fotografici per Vogue. Chi non conosce i miei trascorsi sportivi, che non esibisco ad ogni dove, vedendo che ora mi sono dedicata al canottaggio sempre al Circolo Canottieri Aniene, mi ha detto ma così snella come puoi fare canottaggio?. Per chi ha avuto il complesso del corpo troppo muscoloso, è una grande soddisfazione sentirselo dire alla mia età. Lo sport e soprattutto il nuoto, sport non di squadra, mi ha insegnato a contare soltanto su me stessa, a non fidarmi del: ci sarà un altra volta, non ti preoccupare. Ho appreso che è essenziale essere leali e onesti, con tutti e anche con se stessi. Impegnarsi, anche se non sempre si riesce a fare tutto nel migliore dei modi. La più grande lezione è quella dell'umiltà o del rifiuto della superbia. Si può sempre migliorare ed imparare dal prossimo. Quest'ultima aspirazione è poco recepita oggigiorno.

6 Un mondo ove conta molto l apparire. Ma i veri grandi campioni di ieri e di oggi sono umili e per questo sono grandi.

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