IL CAOS NORMATIVO IN MATERIA DI PROVINCE *

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1 IL CAOS NORMATIVO IN MATERIA DI PROVINCE * di Federica Fabrizzi (Ricercatore di Istituzioni di diritto pubblico Università Telematica Internazionale Uninettuno) 8 gennaio 2014 Servirebbe una relazione di portata assai più vasta di quanto non si possa fare in questa sede per dare anche solo alcuni spunti che aiutino a districarsi nel disordine che ormai regna sovrano in materia di province. La prima banale, forse, ma necessaria - osservazione da fare attiene, infatti, alla constatazione di un vero e proprio caos normativo che si è creato da due anni a questa parte, a partire cioè dagli interventi del governo Monti in materia. Da allora ad oggi per rimettere in fila quanto è accaduto la successione temporale dei fatti è a tutti nota, ma riepilogarla dà già di per se la misura del problema. Dicembre 2011: l art. 23 del decreto Salva Italia (d.l. n. 201/2011) svuota le province, limitando le funzioni a quelle di indirizzo e coordinamento dell attività dei comuni; ne trasforma gli organi di governo, eliminando la giunta e lasciando solamente Presidente e Consiglio provinciale, eletti in secondo grado. Luglio 2012: l art. 17 del decreto Spending Review (d.l. n. 95/2012) riassegna alle province le funzioni tradizionalmente di competenza dell ente di area vasta e contestualmente prevede un piano di riordino territoriale, sulla base dei criteri e dei requisiti minimi definiti dalla deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012 ( abitanti e 2500 Kmq). * Intervento al Seminario di federalismi del 13 dicembre 2013 Il Ddl Delrio e il governo dell area vasta. federalismi.it n. 1/2014

2 All esito della complessa procedura prevista dal d.l. 95/2012 (complessa perché in qualche modo surrogatoria della procedura prevista dall art. 133 Cost., che, come noto, prevede che la modifica delle circoscrizioni provinciali avvenga con legge dello Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la Regione) vengono individuate le nuove province nel D.L. 5 novembre 2012, n. 188, che però non verrà mai convertito in legge dalle Camere. Tra l adozione del d.l. 201/2011 e quella del d.l. 95/2012, il Governo ha intanto presentato alla Camera un disegno di legge che disciplina le modalità di elezione, di secondo grado, degli organi provinciali. L esame di questo disegno di legge, presentato il 16 maggio 2012, non si è mai concluso. E tuttavia, la macchina è ormai avviata e diverse province, invece di andare ad elezioni, cominciano ad essere commissariate, secondo quanto previsto proprio dal decreto Salva Italia. La legge di stabilità 2013, n. 228/2012 (all art. 1, comma 115) si preoccupa di prorogare il termine per il riordino, inizialmente fissato al 31 dicembre 2012, al 31 dicembre Nel frattempo, però, a luglio 2013 arriva la sentenza della Corte costituzionale, la n. 220/2013, che dichiara l illegittimità costituzionale dell art. 23 e dell art. 17, in quanto sono parole della Corte - la trasformazione per decreto-legge dell intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione, è incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una trasformazione radicale dell intero sistema, su cui da tempo è aperto un ampio dibattito nelle sedi politiche e dottrinali, e che certo non nasce, nella sua interezza e complessità, da un «caso straordinario di necessità e d urgenza». La Corte, nella pronuncia, si premura anche di dire che non si deve giungere necessariamente alla conclusione che sull ordinamento degli enti locali si possa intervenire solo con legge costituzionale giacché questa è indispensabile solo se si intenda sopprimere uno degli enti previsti dall art. 114 Cost., o comunque gli si voglia togliere la garanzia costituzionale. Ma aggiunge anche, ad ogni buon conto, che esiste una incompatibilità logica e giuridica tra il decreto-legge e la necessaria iniziativa dei Comuni, prevista dall art. 133 Cost., della cui indefettibilità non si può dubitare. In conseguenza di questa pronuncia della Corte, ad agosto, il decreto legge recante Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere (proprio quello contro il c.d. femminicidio, che incidentalmente contiene anche norme in tema di protezione civile e di commissariamento delle province) fa salvi gli effetti dei provvedimenti di scioglimento delle province e dei conseguenti atti di nomina dei commissari, nonché degli atti da questi posti in essere (e non è mancato chi ha sollevato dubbi 2

3 di costituzionalità su di una norma che, così congeniata, aggirerebbe gli effetti retroattivi della sentenza della Corte). L ultimo atto è di questi giorni: la legge di stabilità appena approvata dal Parlamento, all art. 1 comma 205, prevede che le disposizioni relative al commissariamento delle amministrazioni provinciali si applicano ai casi di scadenza naturale del mandato nonché di cessazione anticipata degli organi provinciali che intervengono in una data compresa tra il 1º gennaio e il 30 giugno E dunque in questo quadro di caos totale, con quasi un terzo delle province ormai commissariate, che si colloca la discussione sul ddl Delrio, sul cui esame, appena conclusosi in Aula alla Camera e che ora passerà al Senato, già montano le polemiche. La confusione investe da un lato evidentemente il profilo del merito, ossia del contenuto della riforma (abbiamo visto sotto questo aspetto succedersi a stretto giro prima ipotesi di svuotamento completo delle funzioni, con contestuale riforma degli organi e delle modalità di elezione, poi restituzione di funzioni, ma senza ripensamento sul fronte degli organi e con riduzione del numero degli enti per accorpamento territoriale, quasi che non si abbia ben chiaro dove andare a parare ). La confusione attiene anche, come è evidente, alla fonte normativa da utilizzare. E mi riferisco non solo all uso improprio del decreto legge, su cui mi limito ad osservare che, sotto questo profilo, la vicenda ha visto tutte le fattispecie patologiche possibili: non convertito, incostituzionale perché privo del presupposto della necessità ed urgenza, non omogeneo Oltre all AC 1542, non si può infatti non tenere in debito conto il fatto che vi è anche un altro Atto Camera, il n. 1543, che contiene un disegno di legge costituzionale presentato dal Governo Letta, immediatamente all indomani della pronuncia della Corte, anzi dopo aver letto il solo comunicato stampa del Palazzo della Consulta, volto ad eliminare la provincia dal testo costituzionale. Che ci sia un problema di coordinamento tra queste due iniziative legislative è evidente, ed è d altra parte dimostrato dal fatto che nel testo del Ddl Delrio nella sua versione originaria all art. 1, comma 3, si sentiva la necessità di specificare che Le province, fino alla data di entrata in vigore della riforma costituzionale ad esse relativa, sono enti territoriali di secondo livello etc etc. Nel testo uscito dalla commissione e approvato dalla Camera, il riferimento alla eventuale riforma costituzionale è stato espunto, ma è evidente che pur non scritto esso aleggia in tutto il Capo III del ddl, quello dedicato appunto alle Province, e ad esso hanno fatto riferimento tutti gli interventi che si sono avuti in Aula. 3

4 Negli articoli da 11 a 15 ter, del testo discusso dalla Camera, le previsioni per quanto attiene la provincia sono sostanzialmente le seguenti. Gli organi della provincia sono il presidente della provincia, il consiglio provinciale e l assemblea dei sindaci; presidente e consiglio provinciale sono organi elettivi di secondo grado, il primo in carica per 4 anni, il secondo per 2. Le funzioni assegnate alle province sono quelle tipicamente di area vasta: pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, tutela e valorizzazione dell ambiente, pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, programmazione provinciale della rete scolastica. L iter attraverso il quale dovrebbe procedersi al riordino delle funzioni attualmente esercitate dalla province è contenuto nell art. 15 del ddl ed è particolarmente complesso. Su questa procedura volutamente non entro nel dettaglio, così come volutamente non mi soffermo su alcuni passaggi fantasiosi del disegno di legge, quali ad esempio la previsione contenuta nell art. 12 ter comma 5 ( Nelle liste nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore a due terzi. Qualora il numero dei candidati del sesso meno rappresentato contenga una cifra decimale inferiore a 50 centesimi, esso è arrotondato all unità superiore. In caso contrario, l ufficio elettorale riduce la lista, cancellando i nomi dei candidati appartenenti al genere più rappresentato, procedendo dall ultimo della lista, in modo da assicurare il rispetto della disposizione di cui al primo periodo. La lista che, all esito della cancellazione delle candidature eccedenti, contenga un numero di candidati inferiore a quello minimo prescritto dal comma 4, è inammissibile ). Non entro nel dettaglio per due ordini di motivi. Il primo è che lo stato della discussione è ancora talmente fluido che le soluzioni normative previste oggi potrebbero essere stravolte domani e ricambiate dopodomani. Il secondo è che anche ammesso che il testo non subisca variazioni e modifiche in ogni caso sembra privo di un disegno complessivo organico e ragionato, per cui anche l analisi delle procedure e dei dettagli è resa complicatissima dalla mancanza di una chiave di lettura complessiva. Dato il quadro prima ripercorso, sarebbe forse necessario fermarsi un attimo, fare un passo indietro e domandarsi, in via preliminare, cosa si vuole fare dell area vasta, verso che direzione si vuole andare per la gestione delle funzioni di area vasta e, conseguentemente, che tipo di soluzione istituzionale pensare. Perché il problema di fondo è innanzitutto quello di capire se esiste l optimal size, la dimensione tendenzialmente ottimale dell area vasta per l amministrazione delle funzioni e se su questa ipotetica optimal size si debbano disegnare confini per l istituzione di enti. 4

5 Nessuna delle soluzioni giuridico-istituzionali che nei tempi recenti hanno riguardato la provincia, la città metropolitana, l unione di comuni pare essersi posto questa domanda preliminare. Nessuno pare essersi posto il problema dell eventuale corrispondenza delle province esistenti con una dimensione mediamente ottimale per la gestione delle funzioni - da conservare e valorizzare, dunque, non da eliminare - perché la priorità ed il messaggio che si intendeva passare era un altro. Solo resistendo alla tentazione di soluzioni rattoppate - a Costituzione più o meno invariata - e non cedendo a facili slogan, solo cercando di avere una visione di sistema, che inevitabilmente comporterebbe una revisione anche del livello comunale e regionale, oltre che del livello provinciale, solo avendo un obiettivo chiaro e complessivo di riforma si può sperare di uscire da questo pantano. 5

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