Una famiglia contadina racconta. San Marino, 6 settembre 1978
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- Angela Fadda
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1 San Marino, 6 settembre 1978 Ghisleri - Parliamo dei lavori di casa della donna nella giornata, da quando si alza al mattino a quando va a letto alla sera. Belardi - Maria, venite qua anche voi, siete più anziana di me e li sapete meglio di me. Il primo lavoro, appena alzata, era pulire il paiuolo della polenta. Chiari L. - Il primo era proprio quello di pulire il paiuolo? Belardi - Sì, prima di preparare la colazione all uomo si puliva il paiuolo. Vicardi - Pulire il paiuolo e fare la sfoglia senza uova. Ghisleri - A che ore vi alzavate? Chiari M. - Alle cinque erano già alzate. Vicardi - Quando il mio uomo, Bigio, si alzava per accudire ai cavalli, io mi alzavo a fare la sfoglia e pulire il paiuolo per portarmi avanti. Belardi - Ci alzavamo alle cinque. Chiari L. - Alle cinque d inverno, ma d estate vi alzavate anche prima forse. Belardi - Sì. Dunque: pulivamo il paiuolo, facevamo la sfoglia, bisognava accendere il fuoco, facevamo scaldare la polenta all uomo e dopo preparavamo i bambini per andare a scuola. Chiari L. - Vai piano. A pulire il paiuolo e fare la sfoglia venivano le sei. E dalle sei alle sette per fare la colazione all uomo? Belardi - Sì. Dopo pulivamo in casa e si faceva qualche lavoretto e poi andavamo a prendere i bambini dal letto, li preparavamo per la scuola, facevano colazione e poi li mandavamo a scuola. Chiari L. - In quei tempi, quando dovevate portare la colazione agli uomini al campo, a che ora la portavate? Belardi - Delle volte andavamo alle sette, delle volte alle sette e mezza. Chiari M. - Nei campi facevamo questo orario: dalle cinque alle sette; alle sette, sette e dieci portavano la colazione. Chiari L. - Allora la donna doveva partire da casa almeno un quarto d ora prima delle sette con la colazione già pronta: la polenta e le uova. Vicardi - Delle volte ci alzavamo alle quattro perché bisognava andare a zappare; poi venivamo a casa a preparare la colazione all uomo e dopo tornavamo al campo a portare la colazione, se non c era qualche ragazzo che ci andava. Chiari M. - E intanto che camminava dava i calci nella sporta e si rovesciavano i radicchi e anche l aceto. Chiari L. - Era tradizione che la donna doveva alzarsi a preparare la colazione all uomo prima di andare al lavoro. Chiari M. - Io mi alzavo alle tre e mezza per accudire alle bestie; quando torno voglio trovare pronto da mangiare se no come faccio ad andare al campo? Alle cinque andavo al campo. Dopo ci portavano la colazione. Chiari L. - Allora la donna era anche obbligata a fare quel lavoro per la colazione; non è come adesso che l uomo può alzarsi e se vuole mangiare o se vuole bere si prende quello che vuole perché c è già tutto pronto. Belardi - Io mi sono sempre alzata; intanto che lui andava a fare i mestieri nello stalletto io preparavo la polenta e quello che c era, e quando tornava era tutto pronto. Ghisleri - Quando la donna aveva portato la colazione al campo faceva alzare i bambini? 34
2 Belardi - Sì, verso le sette e mezza, anche prima. Delle volte si alzavano prima del tempo e noi non potevamo curarli. Ghisleri - Quando i ragazzi erano andati a scuola quali lavori c erano da fare? Belardi - Se c era bisogno dopo andavamo al campo. Chiari M. - Lascia stare i lavori del campo, quelli li abbiamo già visti; dopo c erano i polli. Belardi - C erano i letti: andavamo di sopra a rifare i letti, si scopava un po se c era bisogno e poi bisognava portare da mangiare ai polli e al maiale. Dopo se c era da rammendare qualche abito ci sedevamo fino alle dieci e trenta a cucire e dopo mettevamo su la pentola per preparare da mangiare. Chiari M. - Delle volte vedevano arrivare gli uomini dai campi e dicevano: Vengono già a casa le bestie e dobbiamo ancora fare da mangiare. Ghisleri - Che cosa preparavate da mangiare? Belardi - La minestra. Chiari M. - Le tagliatelle senza uova; non le mangiavano neanche i polli. Belardi - Finito di mangiare, quando gli uomini erano già andati al campo, incominciavamo a lavare i piatti. Vicardi - Se non ci comandavano degli altri lavori. Belardi - Sì, perché delle volte i piatti bisognava lasciarli nella camera e andare a fare degli altri lavori. Ci mandavano al fieno. Chiari M. - Lascia stare il fieno, parliamo dei lavori di casa. Dopo c è un altro lavoro, mettevano la chioccia. Chiari L. - Però bisogna considerare anche le stagioni. Ghisleri - Prendiamo la stagione invernale quando la donna non doveva andare al campo; io direi di fare una descrizione completa dei lavori di casa nel periodo in cui ha più tempo disponibile, perché dopo quando incominciano i lavori dei campi avrà meno tempo e dovrà fare sempre più in fretta questi lavori. Della chioccia, dell allevamento dei polli e del maiale ne parliamo dopo. Andiamo avanti coi lavori nel pomeriggio, dopo mangiato. Belardi - Lavavamo i piatti e se non c era da andare al campo pulivamo un po in casa e poi ci mettevamo a cucire, fare la calza, secondo le necessità. Chiari L. - Rammendare le calze, i calzoni. Chiari M. - Fare qualche camicia ai bambini. Chiari L. - Se i calzoni dei vecchi erano rotti sulle ginocchia li tagliavano e li adattavano per i ragazzi. Belardi - Erano tutti questi lavori, e d estate portavamo al campo la merenda agli uomini perché venivano a casa anche alle sette. Dopo preparavamo la cena, facevamo la polenta. Quando avevamo cenato stavamo sull uscio cinque minuti a fare due chiacchiere e poi andavamo a letto. Vicardi - Mangiavamo tutti sull uscio. Ghisleri - Dopo cena non stavate alzate a lavorare? Belardi - Se c era bisogno sì. Chiari L. - Siccome parliamo di ore di occupazione e le donne sono impegnate in certi lavori per l azienda anche otto, nove ore al giorno, come fanno coi bambini piccoli? Vicardi - I bambini li mettevamo a letto e quando venivamo a casa dai campi andavamo a prenderli. 35
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5 Belardi - Come facevo con te [Chiari L.]; una volta ti ho trovato sotto un altro letto. Quando erano piccoli da allattare bisognava venire a casa dai campi; li avremo lasciati senza qualche ora ma dopo bisognava venire a casa. Ghisleri - A casa ci sarà stata qualche nonna che li curava. Belardi - Sì, delle volte c era qualche donna a casa; intanto che andavamo al campo magari li mettevamo seduti vicino ad una vecchia che li guardava. Ghisleri - Gli anziani li assistevate in casa? Belardi - Certo, li curavamo. Chiari L. - Mi pare che gli anziani in campagna fossero sempre stati autosufficienti; stavano seduti sull uscio o andavano a fare tre passi; non mi pare che fossero proprio da curare. Belardi - In casa mia dei vecchi proprio da curare non ne ricordo. Il papà di mio papà, poveretto, abbiamo dovuto mandarlo al ricovero a Vescovato perché avevamo i bachi da seta e la foglia bisognava metterla nella camera dove lui dormiva, e allora per forza abbiamo dovuto ricoverarlo; gli abbiamo detto: Nonno, andate un po al ricovero. Lo abbiamo portato il sette maggio al ricovero, mi ricordo ancora come fosse adesso, e al ventidue è morto dalla passione che gli è venuta. Chiari L. - Quindi per fare il posto ai bachi da seta è dovuto crepare un uomo. Cioè, forse non è morto proprio per questo, però c erano anche questi problemi. Belardi - Una volta era così. Fanzani C. - Io sono nata il 24 maggio; con tutti quei lavori che c erano mia mamma la facevano morire a letto, non le davano da mangiare. Vicardi - Non c era nessuno. Dopo due, tre giorni, mi sono alzata a farmene. Belardi - Quando ho avuto questo figlio si è ammalata mia suocera e io dopo quattro, cinque giorni sono andata al mastello a lavare; quando non c è l ho più fatta sono andata a chiamare mia sorella che abitava nella cascina vicina. Avevo sei uomini da servire, perché ho preso sei uomini; erano in cinque fratelli e il padre e erano miei da fare, perché la mamma, poveretta, si dava da fare, ma certi lavori pesanti non poteva farli perché era anziana. Io non facevo la sfoglia perché fintanto che siamo stati assieme faceva lei la sfoglia. Chiari L. - Doveva essere bella lunga per far mangiare sei uomini! Belardi - Sei uomini ed eravamo in due donne e poi i ragazzi da curare. Cosa vuoi, era così. Ghisleri - Dal prospetto che ho qui davanti vedo che il lino finisce a metà agosto; dopo iniziano i lavori per la raccolta del granoturco e continuano fino a metà ottobre. I lavori del lino necessari dopo la spartizione quando li facevate? Belardi - Il lino lo riprendevamo ancora perché bisognava filarlo; questi lavori li facevamo d inverno. Vicardi - Andavamo nella stalla alla sera. Belardi - Ma anche di giorno; magari si filava di più alla sera nella stalla, poi con l aspo facevamo le matasse. Ghisleri - Nella stalla facevate qualche altro lavoro? Vicardi - Erano tutti mestieri di casa: fare la calza, cucire; perché allora di stufe non ce n erano in casa. Chiari L. - Qualche volta c era da fare il burro. Chiari M. - Prima scremavano il latte, ma era un lavoro che facevano fare all uomo. Ghisleri - Il maiale in che periodo dell anno veniva allevato? 38
6 Chiari M. - Secondo, si poteva acquistare in maggio e veniva allevato fino a San Martino. Belardi - Anche in aprile si poteva acquistare o in marzo. Ghisleri - Al maiale, giornalmente, quante volte davate da mangiare? Belardi - Tre volte al giorno: mattino, pomeriggio e sera. Chiari M. - Certi gliene davano due volte. Chiari L. - Da piccoli tre volte. Belardi - Era farina e crusca in un po d acqua. Ghisleri - E ai polli? Belardi - Anche ai polli un pastone di farina e crusca con un po di erbe, tre, quattro volte al giorno. Chiari M. - Quando erano piccoli, ma dopo solo due volte: al mattino e alla sera. Ghisleri - Adesso parliamo della chioccia e dei pulcini. Belardi - Quando c era la gallina che faceva il verso della chioccia si faceva la prova; la mettevamo in un cesto per vedere se covava. Chiari M. - Quando arrivavano le rondini, in aprile o maggio, di solito saltava fuori la chioccia. Facevano una covata di ventidue uova. Belardi - Mettevamo la chioccia a covare le uova in un cesto con dentro la paglia e la tenevamo nella camera. Fanzani - Anche di sopra. Ghisleri - Quante chiocce tenevate? Belardi - Una o due, secondo; delle volte non avevamo la chioccia e bisognava andare in prestito. Dopo otto giorni che covavano guardavamo le uova in trasparenza; quelle buone le tenevamo sotto la chioccia e quelle non buone le buttavamo via. Ghisleri - Cosa vuol dire guardare in trasparenza le uova? Belardi - Con la luce della candela guardavamo attraverso il guscio dell uovo se dentro c era il pulcino appena fatto; se non era buono si vedeva il tuorlo. Chiari M. - E poi l uovo calava di peso. Belardi - Dopo ventun giorni nasce il pulcino. L uovo si rompe da solo e esce il pulcino. Li mettevamo in una cesta o in una gabbia. Chiari L. - Dopo c era quello pelato e quello nero e la chioccia li beccava; allora sai cosa facevano le donne? Cucivano gli occhi alla chioccia. Belardi - Tagliavamo anche il becco alla chioccia. Chiari M. - Quei pulcini che non poteva sopportare, la chioccia li beccava. Chiari L. - Quelli che amava invece potevano andarle anche sulla schiena; gli altri li picchiava, ma erano sempre quelli diversi, quelli che alteravano la razza, i neri e i pelati. Fanzani C. - Dopo li segnavamo. Belardi - Io gli tagliavo il dito di mezzo. Fanzani C. - Io lo sperone. Questo lavoro lo facevo sempre io e dopo il taglio mettevo la zampa nella cenere per disinfettarla. Belardi - Per fermare il sangue. Ghisleri - I pulcini li tenevate in casa? Belardi - Quattro o cinque giorni intanto che prendevano forza, dopo magari legavamo la chioccia per la gamba oppure la mettevamo in una gabbia con dentro i pulcini e i pulcini pian piano incominciavano a girare, lei li chiamava. 39
7 Chiari L. - Ma se pioveva e si ammalavano, al periodo dei bachi crepavano; crepavano quasi sempre, o grandi o piccoli; ne abbiamo sempre mangiati pochi. Ghisleri - I polli come li godevate? Vicardi - Quando diventano grossi, le pollastre le tenevamo per fare le uova e i galli li castravamo, facevamo i capponi. Ghisleri - I polli ci sono sempre tutto l anno da curare. Carne di pollo ne mangiavate? Belardi - Poca. Uccidevamo il maiale, quando staccavamo un salame era sempre salame con polenta fin che era finito e se uccidevamo un pollo cercavamo di tenerlo per la fiera. Fanzani C. - Uccidevano una gallina quando era ammalata e vedevano che non stava più in piedi; allora la mangiavamo noi. Chiari M. - Aveva solo ossa. Belardi - Poi siccome tutti gli anni ne allevavamo di nuovi, qualcuno vecchio e di scarto lo uccidevamo. Chiari M. - Capitava anche che i ladri pulivano il pollaio quasi tutti gli anni. Belardi - Il primo anno che sono venuta ad abitare al Prà avevamo ventisei galline; due giorni prima delle feste d agosto sono venuti i ladri, ci hanno portato via tutte le galline, ma non solo a me anche ad altre due, tre famiglie. La gabbia che avevo sull uscio di casa l hanno messa in mezzo all uscio della stalla, hanno perfino portato via un grembiule che la mia vicina aveva lasciato fuori. Chiari L. - Quali altri lavori doveva fare la donna? Fanzani C. - In ottobre, finiti i lavori del granoturco c era il bucato. Chiari L. - C era anche da fare il pane nel forno. Chiari M. - C era la pigiatura e l uccisione del maiale ma non sono lavori propri della donna. Belardi - Il bucato sì. Ci volevano tre giorni a fare il bucato. Chiari L. - Si mettevano in cooperativa due o tre donne, prendevano qualche bottiglia di vino... Belardi - Allora non era come adesso che tutti i mesi cambiano le lenzuola perché c è la lavatrice; allora facevano il bucato tre volte all anno: in principio aprile, in luglio quando c era un po di respiro coi lavori dei campi, e poi in novembre appena dopo le feste dei morti. Chiari M. - Vi mettevate assieme due, tre famiglie. Belardi - Delle volte era una famiglia sola. Noi, per esempio, facevamo il bucato solo per la nostra famiglia perché c erano tanti uomini. Chiari L. - Però veniva sempre la vicina ad aiutarti. Belardi - Sì, certo, dopo andavo io ad aiutarla. Chiari M. - Io stavo alzato di notte a curare il bucato, accendevo il fuoco. Una notte ho preso una bottiglia di vino e cinque o sei uova e le ho messe nella caldaia con l acqua che bolliva, si sono rotte tutte: Adesso l ho fatta bella! Qui mi scoprono. Allora ho preso un mestolo di quelli grandi e pian piano ho raccolto tutti i gusci. Ghisleri - Mi racconti dall inizio com era il bucato. Belardi - Il primo giorno, quando si cominciava, ci alzavamo verso le cinque e mettevamo a mollo le lenzuola dentro una vasca di legno rettangolare che chiamavamo benasól. Chiari L. - Erano due, tre panieri di biancheria. 40
8 Belardi - Nella caldaia, che era molto grande, mettevamo dentro la cenere del fuoco e la facevamo bollire. Quando le lenzuola erano bagnate le tiravamo fuori dalla vasca, le schiacciavamo bene e poi le mettevamo ancora dentro. Quando l acqua della caldaia aveva bollito per tre ore mettevamo sopra la vasca una tela apposta, la chiamavamo cularól, e con il secchio vuotavamo l acqua della caldaia nella tela perché la cenere non doveva scendere a sporcare le lenzuola. Dopo, la caldaia la lavavamo e poi cavavamo l acqua dalla vasca e la mettevamo ancora nella caldaia a bollire di nuovo e poi ancora nella vasca, per tre volte la mettevamo e per tre volte la recuperavamo e la facevamo bollire. Dopo la terza volta l acqua restava nella vasca con le lenzuola, le coprivamo con un telone e dopo andavamo in casa a fare gli altri mestieri. Alla notte ci alzavamo verso le undici, mezzanotte o le due, non c era un orario fisso. Appena alzate toglievamo l acqua dalla vasca e mettevamo dentro quella pulita che l uomo aveva fatto scaldare durante la notte e con quella si lavava la biancheria. Adoperavamo il sapone e battevamo le lenzuola su un asse fatto apposta per il bucato. Finito di lavare le lenzuola si lavavano gli indumenti di casa. Dopo si vuotava l acqua sporca. Allora comperavamo la soda in grani, la mettevamo nell acqua dentro la caldaia, la facevamo bollire e dopo la versavamo sulla biancheria che era nella vasca, e là ci restava fino alla notte. Quando ci alzavamo, di notte, tiravamo fuori le lenzuola, le lavavamo ancora, e poi le risciacquavamo e verso le nove, nove e mezza le stendevamo al sole. Ci volevano tre giorni per fare il bucato. Chiari M. - Noi ci alzavamo presto, piantavamo le forcelle, tiravamo la corda e dopo le donne stendevano il bucato. Belardi - Quando erano asciutte le raccoglievamo nei panieri, se non facevamo in tempo a stirarle lo stesso giorno le stiravamo il giorno dopo. Allora non c erano i ferri da stiro elettrici; usavamo quei ferri da stiro piccoli che si scaldavano al fuoco. Fanzani - C erano anche quelli con l anima, ci mettevamo dentro le braci; ma le lenzuola più che stirarle le tiravamo. Chiari L. - Quando facevamo il bucato erano bei giorni, come la sagra; facevamo la focaccia. Erano gli unici giorni magari che le donne bevevano qualche bicchiere di vino. Fanzani C. - Noi bambini non vedevamo l ora che arrivasse. Chiari L. - E poi nel brodo della vasca lavavano i bambini, li spogliavano nudi e li cacciavano dentro quella lisciva che ti pelava come una rana. Fanzani C. - Eravamo dentro in quattro o cinque. Chiari L. - E loro avevano voglia di ridere perché avevano bevuto qualche bicchiere di vino. Belardi - Ma non è vero! Chiari L. - E quando faceva il bucato la padrona, volevano andarci tutte per essere ben viste dalla padrona. Chiari M. - Un altro lavoro è fare il pane. Lo facevate due volte all anno? Ghisleri - Il pane lo facevano le donne? Belardi - No, ma aiutavamo anche noi perché quando c era da gramolare tiravamo la gramola anche noi. Chiari M. - Alla sera facevano il lievito, alla mattina era già pronto. Io non ho mai voluto farlo ma sarei stato capace, non volevo la responsabilità del forno. Chiari L. - Perché se va male ti ridono dietro. 41
9 Chiari M. - A me piaceva tirarlo e tagliarlo. Quando abitavo a Solarolo il fornaio era un bergamino; gli ultimi anni lo faceva mio fratello. Belardi - Mio padre lo ha sempre fatto. Chiari M. - Il lievito lo faceva sempre mia mamma. Ce n erano tanti capaci di fare il pane. Belardi - Mio padre quando faceva il lievito adoperava la mìsa, era come la vasca del bucato; andavamo dal fornaio a prendere il lievito che adoperavano loro a fare il pane e lo rifacevamo prima in una zuppiera e dopo nella mìsa. Chiari M. - Alla sera facevano il pastone di farina e acqua calda con quel lievito, lo mettevano nella mìsa, si copriva e al mattino era già lievitato e poi si faceva il pane. Chiari L. - Si faceva la giunta con la farina; trenta-quaranta chili e poi noi con le calze bianche lo pestavamo. Belardi - Ma dio, ci sono andata su così tante volte! Chiari M. - Come mi dava fastidio quel lavoro! Ghisleri - Quanto pane facevate? Belardi - Secondo il forno; se il forno teneva sessanta chili di pane facevamo il lievito per sessanta chili di pane. Quando il pane era impastato andavamo in prestito delle assi della sfoglia perché la nostra che avevamo non era sufficiente, ne occorrevano cinque o sei. Chiari M. - Quando nella mìsa il pastone era già pronto per essere gramolato lo mettevamo da parte su dei sacchi e lo pestavamo bene perché s impastasse bene; dopo con un coltello lo tagliavamo in otto, dieci pezzi. Quei pezzi li prendevamo uno alla volta e li mettevamo sotto la gramola, due menavano la leva e il fornaio, quello che faceva il pane, era seduto con una natica sul piano della gramola e continuava a girarli in modo che la pasta diventava molto molle. Belardi - Diventava liscia come la pasta della sfoglia. Chiari M. - Quando diceva: Questa va bene, allora io la prendevo in mano (mi piaceva fare questo lavoro), e la mettevo sulla tavola. Belardi - Sopra l asse della sfoglia. Chiari M. - Si stendeva sull asse; per esempio erano due fette lunghe così, in mezzo il fornaio ci faceva il segno, io le tagliavo fino in fondo e poi le rotolavo in modo da fare un bel pane grosso; quando capivo che andava bene facevo una riga in mezzo e sul fianco. Belardi - Dopo restava lì un paio d ore. Chiari M. - Intanto preparavano le fascine per il forno. Il fornaio diceva: Adesso accendete il fuoco. Allora si metteva dentro la legna e si aspettava che diventassero bianche le pietre. Belardi - Pareva che avessero la muffa. Chiari L. - Così le pietre sono piene di calore. Chiari M. - Allora puliva il forno e noi per primo portavamo là l asse con le schiacciate. Facevano le schiacciate con latte e uova; quelle erano le prime che mettevano in forno; mandavano un buon profumo. Belardi - Erano buone. Chiari M. - Perché non mi piaceva fare il pane? Perché mio fratello una volta ha fatto il pane al Giano di Cremona, gli ho detto: Guarda che sbagli a mettere dentro il pane. Cosa vuoi sapere tu! Mette dentro le schiacciate, le tira fuori, sembrano un po 42
10 bruciate e dentro non sono ben cotte. Va a prendere il pane; dentro il pane; chiude subito il forno. Gli dico: Lascia aperto il naso. No, no. Belardi - Il forno ha il naso. Chiari M. - Quando ha tirato fuori il pane sopra era bruciato e dentro era crudo. Toh, hai visto fornaio! Doveva lasciarlo diminuire un po di calore. Io non ho mai voluto metterci le mani in questo lavoro, però mi ricordavo che da ragazzo veniva sempre il capo bergamino a farci il pane; lui prendeva una paletta e ci metteva sopra una pagliuzza e la faceva passare a mezz aria dentro il forno; la tirava fuori e la guardava; non sbagliava mai perché guardava se si bruciava tanto o poco; dopo diceva: Bisogna aspettare un po. Dopo quattro, cinque minuti metteva dentro le schiacciate, le guardava: Dammi il pane! Ghisleri - Il pane andava dentro assieme alle schiacciate? Belardi - Ne mettevano un asse o due. Chiari M. - Poi chiudeva il forno e dopo un po guardava le schiacciate e prima di mettere dentro il resto del pane toglieva le schiacciate e se vedeva che andavano bene: Dentro il pane. Dopo toglievamo un po di pane molle, non pane biscotto. Chiari L. - Era da mangiare subito. Chiari M. - Lo guardava: Sì, andiamo bene. Metteva il coperchio di ferro alla bocca del forno e lo sigillava con il fango. Chiari L. - Era anche di legno il coperchio. Chiari M. - Dopo c era il naso. Era una finestrina piccola per il calore, ci metteva la mano: Bisogna aspettare. Dopo un po, magari eravamo in casa a mangiare, diceva: Adesso devo andare a chiudere il naso. Prendeva un pezzo di pietra e lo chiudeva con il fango. Chiari L. - Era come un termometro. Chiari M. - Se infornavamo alle otto, nove del mattino (perché si cominciava presto a fare questi lavori), al pomeriggio del giorno dopo lo toglievamo. Era pane biscotto. Ghisleri - Facevate una sola cottura? Belardi - Due o tre all anno per famiglia. Ghisleri - Quanti chili di pane facevate per volta? Belardi - Quaranta chili io penso. Ghisleri - E ci stava dentro in una sola cottura? Chiari M. - Ci stava benone. Belardi - C erano dei forni che erano molto grandi, erano la metà di questa stanza. Quando lo tiravamo fuori lo mettevamo nel paniere e dopo nei sacchi. Ghisleri - Quanto tempo vi durava? Chiari M. - Tre o quattro mesi. Quando non ne avevamo quasi più, avevamo il frumento, lo consegnavamo al mugnaio e con la farina facevamo il pane. Ghisleri - E le schiacciate quanto tempo duravano? Belardi - Duravano poco. Chiari L. - Duravano un giorno. Ghisleri - Quante ne facevate? Belardi - Delle volte ne facevamo una ventina. Ghisleri - Così tante? Belardi - Una dovevi darla alle vicine perché loro l avevano data a te. Chiari M. - Una la mangiavo io intiera. Ghisleri - Che forme avevano? 43
11 Chiari M. - Erano lunghe e strette. Chiari L. - Come una scarpa di quelle belle grosse. Fanzani - Erano buone. Ghisleri - Che cosa adoperavate per fare le schiacciate? Belardi - Farina, uova, latte, un po di zucchero, burro poco, magari un po di strutto perché l avevamo. Chiari M. - Erano buone davvero. Chiari L. - Facevano anche il pan cagnèta. Chiari M. - Era saporito il pan cagnèta. Ghisleri - Com è fatto? Belardi - Con la crusca. Al tempo della guerra del 15 abbiamo fatto pan cagnèta da mandare ai prigionieri; mio papà lo faceva per quelle famiglie che avevano i figli prigionieri; lo abbiamo fatto tante volte; quanto gramolare ho fatto! 44
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