CONFLITTI. il magazine della CROCE ROSSA ITALIANA GUERRA 2.0 JAKOB KELLENBERGER DANIELE SILVESTRI BARBARA CARFAGNA PRIMO PIANO

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1 PRIMO PIANO GUERRA 2.0 NOTIZIE DALLA ZONA DEL CONFLITTO il magazine della CROCE ROSSA ITALIANA Anno II ~ NUMERO 1 Gennaio + Febbraio 2012 L INTERVISTA JAKOB KELLENBERGER LA SFIDA OGGI È MANTENERE LE PROMESSE E RIMANERE FEDELI AI PRINCIPI AMBASCIATORI DI PACE DANIELE SILVESTRI IL VOLONTARIATO CI SALVERÀ SCRIVE PER NOI BARBARA CARFAGNA KIA E L INFELICITÀ DELLA NOSTRA RICCHEZZA CONFLITTI

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3 EDITORIALE D 150+ ANDARE AVANTI CON LA RIFORMA di Francesco Rocca Commissario straordinario Croce Rossa Italiana E un momento di grandi cambiamenti e sicuramente c è ancora molto lavoro da fare. In questi anni di commissariamento ho fatto tutto quello che era nelle mie possibilità per cercare di razionalizzare e rilanciare la Croce Rossa Italiana e per dare tutti gli strumenti all Associazione per rispondere alle nuove e tante sfide umanitarie. Purtroppo, come sapete, il percorso della riforma ha subito uno stop e in questo momento siamo ostaggi della riforma legislativa e così com è, con le vecchie regole e i vecchi sistemi, la Croce Rossa Italiana non può andare a votare, poiché l attuale Statuto è stato dichiarato illegittimo in più punti. Quello che abbiamo capito è che evidentemente c è ancora molto da fare nel disseminare la cultura di Croce Rossa, i suoi compiti istituzionali, le convenzioni, visto che anche le stesse Istituzioni a volte hanno difficoltà a conoscere le regole e i Principi ispiratori della Croce Rossa, ovvero la più grande organizzazione umanitaria in Italia e nel Mondo intero. L attuale Governo si è impegnato formalmente per arrivare a una riforma il più possibile condivisa entro il mese di giugno e sarà mia cura stimolarlo nel continuare il percorso del rinnovamento. Il termine del 30 giugno per la riforma, come previsto dal recente Milleproroghe, è un segnale che va proprio verso l obiettivo di dotare l Associazione in tempi rapidi di nuovi strumenti. Solo così potremo avere una riforma coerente con quell ortodossia più volte richiesta dal Comitato Internazionale della Croce Rossa. Solo così potremo avere una CRI competitiva, vicino ai volontari e alla popolazione, sempre pronta a intervenire e a rispondere alle nuove sfide, sempre vicina ai vulnerabili, con un attenzione particolare alle nuove vulnerabilità. Solo così, in poche parole, potremo affrontare al meglio i compiti che ci spettano e che sono dovuti per chi, 365 giorni all anno, 7 giorni su 7, 24 ore su 24, porta addosso un emblema simbolo di umanità e soccorso. 1

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5 SOMMARIO D Croce Rossa Italiana 150+ Il Magazine della Croce Rossa Italiana Registrazione al Tribunale di Roma n 359/2011 del 05/12/2011 Via Toscana, Roma Telefono: Fax: E.mail: magazine@cri.it Direttore responsabile: Tommaso Della Longa - tommaso.dellalonga@cri.it Direttore editoriale: Francesco Rocca - commissario@cri.it Caporedattore: Lucio Palazzo - lucio.palazzo@cri.it Redazione: Lucrezia Martinelli - lucrezia.martinelli@cri.it Felicia Mammone - felicia.mammone@cri.it Hanno collaborato: Anna Miriam Bicego, Fausto Biloslavo, Barbara Carfagna, Matteo Ciarli, Fiammetta Cogliolo, Micaela D Andrea, Marco De Francesco, Ludovico Di Meo, Elisa Favilli, Roberta Fusacchia, Marco Galassi, Lorenzo Massucchielli, Michele Novaga, Lorenza Raiola, Anastasia Siena, Francesco Testa, Giovanni Zambello. Progetto grafico, photo editing, impaginazione e produzione: Ince Media S.r.l. Segreteria di redazione: Francesco Testa - f.testa@incecomunica.it Pubblicità: Ince Media S.r.l. Miriam Martini - adv@incecomunica.it Credits Photo: Contrasto,Thierry Gassmann, Marko Kokic, Fred Clarke, Fausto Biloslavo, Alessandro Serranò L INTERVISTA La sfida, oggi, è mantenere le promesse Intervista al Presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa Jakob Kellenberger PRIMO PIANO Notizie dalla zona del conflitto Fausto Biloslavo racconta il progresso delle tecnologie al servizio dei reporter di guerra ZOOM Conflitti armati ieri e oggi TESTIMONIANZE Non chiamatemi angelo Alberto Cairo, l angelo di Kabul, racconta la sua esperienza IN MEDIA CRI Conflitti armati, i media raccontano Da quando esiste la guerra c è qualcuno che la racconta AMBASCIATORI DI PACE Il volontariato ci salverà Intervista a Daniele Silvestri, musica, entusiasmo e impegno a favore della CRI FOCUS Emergenza maltempo Le attività della Croce Rossa per fronteggiare l ondata di maltempo SCRIVE PER NOI Kia e l infelicità della nostra ricchezza Barbara Carfagna, giornalista e conduttrice del TG1, racconta la storia di Kia STORIE DI VOLONTARI Costruiamo ponti, non muri Intervista a Rodica Streja: volontaria della CRI con doppia nazionalità, rumena e italiana Un oasi di solidarietà La vocazione di Tiziana Codazzi, volontaria CRI esperta di pet therapy CRI NEL MONDO Indonesia, Nicaragua e Congo: la parola ai Delegati CRI LA FEDERAZIONE INTERNAZIONALE News dalla Federazione Internazionale della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa IL COMITATO INTERNAZIONALE Le attività del Cicr in Afghanistan e la campagna sulla violenza contro il personale sanitario SPECIALE LIGURIA La CRI attiva nell ondata di maltempo che ha investito la regione NAUFRAGIO CONCORDIA Il racconto di un volontario durante i soccorsi ai sopravvissuti CONOSCIAMO I COMITATI Le attività della CRI a Milano, Livorno e in Umbria DIU Diffonderlo per rispettarlo La sfida è assicurare l applicazione delle norme del DIU CRI SHOP I gadget ufficiali di Croce Rossa Italiana 3

6 AFGHANISTAN Scansione dell iride di un civile afgano da parte di un marine ad un posto di blocco nella provincia di Helmand

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8 LIBANO Il Presidente Jakob Kellenberger trasporta aiuti umanitari sulle rive del fiume Litani Marko Kokic LA SFIDA OGGI È MANTENERE LE PROMESSE INTERVISTA AL PRESIDENTE DEL COMITATO INTERNAZIONALE DELLA CROCE ROSSA JAKOB KELLENBERGER di Tommaso Della Longa

9 L INTERVISTA RIMANERE FEDELI AI PRINCIPI E OPERARE NELLE SITUAZIONI DI VIOLENZA ORGANIZZATA, NON SOLO NEI CONFLITTI ARMATI Jakob Kellenberger non ha bisogno di presentazioni. Presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) dal primo gennaio del 2000, è il volto dell aiuto umanitario e dell assistenza sanitaria in zona di guerra e il custode dei sette Principi fondamentali e del Diritto internazionale umanitario (DIU). In questi anni di mandato, la presenza del CICR è aumentata in molte situazioni di crisi internazionale: Afghanistan, Iraq, Darfur, Striscia di Gaza, solo per citare alcuni dei campi d azione. Incontriamo Kellenberger nel pieno della 31a Conferenza Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, dove tra i mille impegni istituzionali riesce a trovare anche uno spazio per Non è solamente un intervista, ma molto di più: parlare con il Presidente del CICR è l occasione per riflettere sui momenti cruciali che hanno stravolto il mondo negli ultimi 11 anni e per capire fino in fondo l attualità e l importanza di temi come la protezione degli operatori umanitari in zone di conflitto. E ancora, incontrare Kellenberger serve per comprendere il fondamentale lavoro degli operatori del Comitato Internazionale e l importanza di un Presidente che non ha remore a intervenire direttamente sul terreno per avere una testimonianza diretta e per sapere come e cosa vivono gli uomini e le donne della Croce Rossa che operano in zona di guerra. e oggi. I contesti non sono comparabili e c è una mancanza di statistiche. Inoltre, i politici e i media si concentrano sulle violazioni del diritto internazionale umanitario, e non sulle tante situazioni in cui le violazioni potrebbero essere impedite. Tuttavia, oggi molti prolungati conflitti non strutturati rappresentano una sfida particolare. Questo significa che ci sono diverse parti nei conflitti armati, alleanze mutevoli, parti in conflitto non strutturate, per cui è difficile sapere dove si trovano i quartier generali e chi è al comando. È un ambiente in cui è più difficile effettuare interventi riguardanti il diritto internazionale umanitario e assicurare che questi interventi arrivino nel posto giusto. Quanto è importante il Diritto internazionale umanitario in zona di guerra? Quali sono le principali violazioni? In termini di protezione, tra le principali violazioni ci sono i maltrattamenti di persone private della libertà. In condizioni di detenzione le persone sono particolarmente esposte al maltrattamento, che è un termine generico che comprende la tortura, trattamenti umilianti e disumani, etc. C è anche un alto rischio di violazioni nella condotta delle ostilità. Una delle violazioni più gravi è l attacco diretto ai civili, ma un altra violazione molto frequente consiste anche nel fatto che le parti in conflitto non facciano distinzione tra civili e combattenti. Ma questi sono solo due esempi. It s a matter of life & death. Questo è lo slogan che avete usato per lanciare un importante campagna per la difesa del personale sanitario in zone di crisi e di guerra. Qual è la situazione attuale per chi opera sul terreno? Quali sono i rischi maggiori? Negli ultimi anni abbiamo notato che, sia nei conflitti armati, sia in altre situazioni di violenza, il personale medico spesso non viene rispettato e l accesso ai luoghi dove è necessaria assistenza medica viene negato, nei casi peggiori le ambulanze e gli ospedali vengono attaccati. Devo dire che i due principali problemi che ho rilevato sono, da una parte, il mancato rispetto di chi fornisce soccorso medico e, dall altra, viene impedito alle persone di ricevere assistenza medica. Purtroppo questa situazione prevale troppo spesso, non solo nei conflitti armati, ma anche in altre situazioni di violenza, come il caso siriano per esempio. Bisogna semplicemente mobilitare la gente per far sì che le misure legali esistenti vengano rispettate. Perché negli ultimi anni c è stato un maggior numero di violazioni del Diritto internazionale umanitario? Come sono cambiati i conflitti armati negli ultimi tempi? Devo dire di non essere pronto ad affermare che le violazioni del Diritto internazionale umanitario siano aumentate negli ultimi anni perché credo che nessuno possa seriamente fare una comparazione tra il rispetto del diritto internazionale umanitario in passato Thierry Gassmann Jakob Kellenberger Presidente del Comitato Internazionale Croce Rossa 7

10 L INTERVISTA Quali sono le nuove sfide umanitarie e quali gli strumenti che il CICR può mettere in campo? Per me la sfida principale rimane la stessa ma in un ambiente più complesso. Intendo dire che l accesso alle persone che necessitano di protezione e assistenza rimane una sfida enorme. Il CICR negli ultimi anni ha esteso e migliorato l accesso, ma bisogna sempre combattere per ottenerlo e, più i conflitti armati sono complessi, più difficile può essere l accesso perché esso dipende dall accettazione di più parti del conflitto. Abbiamo già detto che assicurare il rispetto del diritto internazionale umanitario rimane una grande sfida. Nel CICR pensiamo che sempre più le sfide non si limiteranno ai conflitti armati ma includeranno anche altre situazioni di violenza, con le conseguenze umanitarie che stanno aumentando. Parlo principalmente di violenza organizzata, di situazioni come la Siria adesso o il Kirghizstan nel Tutte queste diverse forme di violenza, sotto la soglia di applicabilità del diritto internazionale umanitario, sono in aumento. Non siamo alla ricerca di nuove missioni, ma notiamo semplicemente che potremmo essere sempre più coinvolti in queste situazioni, forse perché abbiamo un tipo di know-how e di lavoro che è richiesto in questo contesto e che deriva dalla nostra esperienza nei conflitti armati. Abbiamo esperienza ma ho l impressione che avremo molto da imparare e KIRGHIZISTAN Visita ad un punto di distribuzione nel distretto di Sharq,abitato prevalentemente da etnia uzbeca Marko Kokic Noi vogliamo continuare a realizzare direttamente l azione umanitaria sul campo perché crediamo che niente possa sostituire la nostra esperienza sperimentare. C è una sfida che vorrei citare anche se è un po astratta: nel mondo di oggi è una sfida rimanere aderenti ai Principi. Viviamo in un mondo con sempre più organizzazioni umanitarie con principi diversi che possono essere molto flessibili. Trovo che sia una sfida continuare ad aderire ai nostri Principi più importanti: non solo indipendenza, imparzialità, neutralità, ma è anche importante mantenere le nostre promesse in un mondo in cui c è sempre più confusione tra dichiarazioni d intenti e azione. Vogliamo rimanere un organizzazione che mantiene le promesse e la cui azione è utile a chi è in condizioni di necessità. Credo che questa sia una sfida importante, in un ambiente umanitario in cui le organizzazioni tendono sempre più a delegare l azione ad altre organizzazioni, i cosiddetti partner attuatori. Noi vogliamo continuare a realizzare direttamente l azione umanitaria sul campo perché crediamo che niente possa sostituire la nostra esperienza, perché bisogna rilevare direttamente i bisogni e fornire aiuto. Anche se devo aggiungere, e questo è importante, che dipendiamo molto dalla cooperazione con le Società Nazionali di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa. Senza di esse, in contesti come la Somalia, la Siria, l Afghanistan, avremmo potuto fare molto meno. Non è solo merito nostro, dobbiamo ringraziare anche la cooperazione con i nostri partner del Movimento. Quali sono le strategie di implementazione del Diritto internazionale umanitario per quanto riguarda temi come il terrorismo internazionale, i conflitti armati non internazionali, i detenuti di conflitti interni? Abbiamo identificato quattro aree di priorità in cui crediamo che il Diritto internazionale umanitario debba essere sviluppato e, a seguito di consultazioni con gli Stati, abbiamo dato priorità a due aree: i meccanismi per migliorare l osservanza e le norme applicabili ai detenuti nei conflitti armati non internazionali, principalmente la detenzione per motivi di sicurezza. Quanto al terrorismo internazionale, è regolato da specifiche convenzioni, per questo credo che sia importante separare la legislazione sul terrorismo internazionale dal Diritto internazionale umanitario. Tuttavia, nel Diritto internazionale umanitario ci sono misure che proibiscono assolutamente di diffondere il terrore. Alla luce dei nuovi conflitti armati e dei disastri naturali, come stanno cambiando i flussi migratori? Quali saranno i Paesi maggiormente interessati dall immigrazione e come preparare il personale sul terreno per la problematica dell accoglienza e dei richiedenti asilo? 8

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12 L INTERVISTA Credo che in parte per ragioni economiche, in parte per il cambiamento climatico, in parte per le enormi ineguaglianze tra Stati e all interno degli Stati, ci saranno sempre più flussi migratori in futuro. Vedo le Società Nazionali di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa al centro della risposta. E credo che un organizzazione come il CICR possa essere utile in determinati settori, ma che abbia solo un ruolo sussidiario rispetto alle Società Nazionali. Per esempio, a Lampedusa abbiamo aiutato nel ristabilimento dei contatti con i membri delle famiglie. SVIZZERA Conferenza internazionale della Croce Rossa e MezzaLuna Rossa Thierry Gassmann In casi come il 2006 in Libano o nel 2009 a Gaza, lei è andato sul terreno per avere una testimonianza diretta della situazione. Cosa ricorda di quelle situazioni? Quanto sono state importanti quelle visite? Quelle visite sono state una questione di principio. Quando sono arrivato al CICR ho detto allo staff: Andrò ovunque voi lavoriate. Voglio vedere con i miei occhi come stanno le cose sul campo in situazioni delicate perché ciò che viene comunicato spesso non corrisponde a ciò che realmente avviene. Inoltre, si è più credibili quando si fanno interventi a livello governativo o militare. Durante un conflitto armato si è molto più credibili se si è stati sul campo rispetto a quando si danno lezioni da una sala conferenze a distanza di sicurezza. Anche negli esempi di Gaza e del Libano, ho voluto andare per essere credibile parlando con le autorità. Si impara molto, certo, ed è anche importante visitare lo staff per vedere come stanno davvero le cose e ringraziarlo per il suo coraggioso impegno. Qual è il ricordo più bello e quello più drammatico di questi anni nel CICR? La domanda è un po difficile perché non ho ancora iniziato a fare un bilancio sistematico di quello che sento. Spontaneamente potrei parlare per esempio, iniziando dai bei momenti, di quando ero in Darfur nel 2004 e ho visto in un ospedale un paziente gravemente ferito. Sembrava felice perché aveva appena saputo che sarebbe stato meglio e che c era una reale prospettiva di miglioramento, si poteva leggerglielo in faccia. È un immagine che trovo molto piacevole: quando vedi qualcuno che sta uscendo da una situazione molto difficile e puoi vedere questo sul suo viso. Tra le impressioni tristi, ricordo la mia visita all Ospedale Shifa di Gaza durante la guerra di gennaio 2009, con persone gravemente ferite, tra cui molti bambini. E ancora, durante la mia prima missione in Afghanistan, ricordo il volto di un uomo che aveva perso una gamba e aveva poi ottenuto una protesi. Ho sentito, solo guardando il suo viso, quanto doveva essere disperato, ma grazie alla protesi e al programma di riabilitazione la qualità della sua vita era migliorata. Ha qualche rimpianto? C è sempre la possibilità di migliorare, ma è un dato di fatto che l organizzazione si è sviluppata bene, ha aumentato la propria presenza sul campo soccorrendo più persone che necessitano protezione e assistenza. Il CICR ha rafforzato la propria rapida capacità di sviluppo e ha consolidato la propria posizione. Rispetto agli anni novanta, il CICR ha ulteriormente esteso le attività umanitarie rimanendo in una situazione economica sana. Ha rafforzato le attività nel settore medico e sanitario nelle situazioni di primo soccorso e ha iniziato a lavorare più sistematicamente in altre situazioni di violenza. Abbiamo strategie molto chiare. In questi ultimi anni ha seguito il processo di riforma della Croce Rossa Italiana. Cosa ne pensa? Sono molto soddisfatto di come si sta sviluppando, credo che sia davvero importante riconoscere l indipendenza dell organizzazione. Se non ci sarà opposizione in Parlamento, il decreto diventerà legge e allora i volontari potranno redigere il proprio statuto per la prima volta. Sono molto contento perché è da molto tempo che affermiamo quanto sia importante che una Società Nazionale sia indipendente e la Croce Rossa Italiana ce l ha fatta. Sono anche contento per il dottor Rocca che si è molto impegnato per questo, mi fa piacere anche personalmente per lui perché credo che abbia davvero investito molte energie e so che non è facile con opinioni e forze così diverse. (si ringrazia Lorenza Raiola) 10

13 PAKISTAN Il Presidente con il personale della Croce Rossa giapponese responsabile della clinica mobile Fred Clarke

14 NOTIZIE DALLA ZONA DEL CONFLITTO a cura di Fausto Biloslavo

15 PRIMO PIANO IL PROGRESSO DELLE TECNOLOGIE NELLE CO- MUNICAZIONI HA CAMBIATO PROFONDAMENTE IL LAVORO DEL REPORTER DI GUERRA, UN LAVORO CHE RIMANE SEMPRE RISCHIOSO, MA CHE OGGI PUÒ APPROFITTARE DI ALCUNE COMODITÀ IM- PENSABILI SOLTANTO TRENT ANNI FA BOSNIA Fausto Biloslavo La lunga colonna di Mercedes e macchine blindate arriva sulla linea verde che divide in due Beirut, dilaniata della guerra civile e dall'invasione israeliana del Prima dei nerboruti legionari francesi con il dito sul grilletto una masnada di giornalisti internazionali è pronta a tutto pur di beccare Yasser Arafat, il leader palestinese, costretto ad andarsene in nord Africa con i suoi miliziani assediati e sconfitti. Nessuno sa in che macchina si trovi il capo dell'olp. Il caos è tale che i giornalisti cominciano ad azzuffarsi con le guardie del corpo palestinesi, i legionari e addirittura fra di loro per un posto in prima fila. Qualcuno salta sul cofano dei mezzi per bloccare la colonna, ma nessuno si sogna di sparare una raffica contro la stampa. Giovane ed inesperto, al primo reportage di guerra, apro la portiera di una delle ultime mercedes della colonna e mi ritrovo davanti ad una canna di kalashnikov. Fra il serio e l'impaurito farfuglio in inglese maccheronico che sono un giornalista italiano aggiungendo "democratico", che a quel tempo andava di moda, con l'obiettivo di fotografare Arafat. Un possente palestinese con i baffoni, di Forza 17 la guardia speciale del capo popolo con la kafya, risponde con un leggero accento emiliano: "Italiano? Salta su, io ho studiato a Bologna". E così sono l'unico a fotografare Arafat che si imbarca nel porto di Beirut per l'ennesimo esilio. Dopo l'11 settembre tutto è cambiato. Molti giornalisti si sono infilati l'elmetto partecipando al nuovo scontro di civiltà e realizzare reportage di guerra è diventato sempre più difficile e pericoloso. Gli insorti in Iraq o i talebani in Afghanistan hanno cominciato a catalogarti non per il lavoro che fai, ma per il passaporto che tieni in tasca. Se è di un paese Nato sei buono per venir rapito a fini di lucro e propaganda e se ti va male sgozzato davanti ad una telecamera. Non hanno più bisogno della stampa perché l'informazione a senso unico se la fanno da soli filmando le loro imprese con i videofonini e postandole su internet. Se non hai l'aspirazione per il giornalismo kamikaze ti accontenti del reportage da embedded aggregato alle truppe occidentali. Sputi sangue e sudore assieme ai soldati che combattono guerre esotiche e scrivi servizi interessanti, ma pur sempre condizionati dalla visuale ridotta del tuo reparto in prima linea. Quando la guerra era "fredda" e veniva combattuta dai giannizzeri delle super potenze talvolta si riusciva a realizzare il reportage "per- 13

16 IRAN Pasdaran in addestramento ateheran Fausto Biloslavo

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18 PRIMO PIANO fetto" passando le linee e andando a raccontare la storia del conflitto da tutte e due le parti in lotta. Lo stesso è accaduto dopo il crollo del muro di Berlino. In Ruanda, durante il genocidio, sventolando sul fuoristrada una grande bandiera italiana, siamo arrivati a Kigali, sotto una pioggia di granate, ancora nelle mani del governo hutu passando per i posti di blocco degli interahamwe, gli squadroni della morte che consideravano i tutsi "scarafaggi" da schiacciare. Dopo aver visto le braccia e le gambe dei civili massacrati, che spuntavano dalle fosse comuni, siamo passati con i guerriglieri tutsi, che hanno "liberato" il paese vendicandosi sulle milizie hutu. Nel 1998, dopo gli attentati alle ambasciate americane in Africa, l'allora presidente Bill Clinton lanciò una selva di missili contro i campi di al Qaida, che nessuno conosceva, in Afghanistan. I talebani mi Le rivolte in Nord Africa,in particolare quella libica,la più sanguinosa,ha estremizzato al massimo il ruolo perverso delle nuove Cnn che parlano arabo hanno concesso lo stesso un agognato visto e ho girato il paese dal Kyber pass, fino a Kabul e Kandahar solo con un interprete, di giorno e di notte, senza scorta. Oggi sarebbe un servizio suicida. Anche nello scannatoio dell'ex Jugoslavia, dove sono morti più giornalisti che in Vietnam, siamo riusciti a passare da Sarajevo stritolata alle linee degli assedianti, dalla Krajina serba alle trincee croate, dai guerriglieri albanesi in Macedonia alle postazioni governative. Con i terribili conflitti post 11 settembre in Afghanistan, Iraq, Libano, Gaza tutto è diventato più difficile e parte dell'informazione si è schierata sfacciatamente con una parte o con l'altra. A Baghdad l'ex colonnello Oliver North, Rambo delle operazioni coperte ai tempi dell'amministrazione Reagan, era inviato di Fox news tv per documentare la caduta di Saddam Hussein. Al Jazeera la nascente televisione globale araba replicava facendo da grancassa mediatica ai terroristi tagliagole. Un'involuzione dell'informazione sui conflitti, che negli anni novanta ha cominciato a vivere la rivoluzione copernicana delle nuove tecnologie. Nella savana angolana dove si fronteggiavano sudafricani e cubani, durante la guerra fredda, ci si portava dietro la gloriosa Olivetti 32. Dopo aver battuto a macchina il pezzo, i fogli partivano con staffetta verso una postazione radio che li trasmetteva fino a Londra, dove un fantastico fax mandava finalmente l'articolo in redazione. A Tripoli, sotto le prime bombe americane del 1986, non esistevano certo cellulari, tantomeno via satellite e si trasmetteva l'articolo dopo lunghe attese in coda al telex, o dettandolo ai pochi telefoni abilitati in albergo e super controllati. Ancora all'inizio della guerra in Bosnia scrivevo con una candela sulla machina da scrivere, perché non c'era corrente per le batterie e la posta elettronica era un miraggio. Quante volte si scopriva, dopo settimane o mesi, se una foto scattata in battaglia era venuta bene, mossa o sfuocata solo sviluppando il rullino al rientro a casa. In Iraq nel 2003, dopo una giornata di avanzata nel deserto con le truppe americane, ci piazzavamo sul tetto delle jeep scrivendo su un portatile dove scaricavi le foto digitali. In tempo per la chiusura accendevi il telefono satellitare e trasmettevi la storia quotidiana. La primavera araba, che rischia di trasformarsi velocemente in inverno, ha rivoluzionato ancor più i servizi dal fronte con le dirette per i siti dei giornali via Iphone o le notizie sparate in breve, ma subito, con Twitter. In Afghanistan durante l'invasione sovietica degli anni ottanta si filmava una battaglia su pellicola, che veniva mandata in onda un mese dopo quando si tornava a piedi in Pakistan. Le rivolte in Nord Africa, in particolare quella libica, la più sanguinosa, ha estremizzato al massimo il ruolo perverso delle nuove Cnn che parlano arabo. Le tv globali, accanto all'informazione, hanno sparso, più o meno volutamente, propaganda e disinformazione. Le inesistenti fosse comuni a Tripoli oppure i bombardamenti aerei dei manifestanti anti Gheddafi nella capitale hanno creato un clima di manipolazione della notizia e stravolgimento dei fatti influenzando seriamente la decisione occidentale di bombardare il regime libico. Per la prima volta dei grandi media internazionali, ferocemente contrari agli interventi armati occidentali in Iraq e Afghanistan, sono riusciti a favorire, se non provocare, l'attacco della Nato con il paravento della guerra umanitaria. La propaganda del regime libico ha fatto il resto. Le rivolte arabe, però, hanno permesso al giornalismo di guerra di coprire tutte e due le parti in lotta, pur fra mille ostacoli, spiegando il conflitto a 360 gradi, anche se con troppa faciloneria abbiamo diviso con l'accetta i buoni e cattivi. La rivolta in Tunisia, quella in Egitto e la guerra civile in Libia sono state raccontate in diretta grazie agli stessi protagonisti con video e notizie fai da te che rimbalzavano nel mondo attraverso internet ed i Social network. Solo la Siria è ancora una sommossa semi invisibile. Per questo bisogna raccontarla, da una parte e dall'altra della barricata. 16

19 PRIMO PIANO ANGOLA Guerrigliero dell'unità di Jonas Sawimbi Fausto Biloslavo 17

20 ZOOM CONFLITTI ARMATI IERI E OGGI foto di Fausto Biloslavo

21 ZOOM LIBANO Beirut - Ritiro dei palestinesi,verso il Nord Africa, assediati dagli israeliani

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23 UGANDA Guerriglieri acholi vicino a Gulu

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25 AFGHANISTAN Gian Micalessin nella provincia di Helmand con i marines

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27 TESTIMONIANZE di Lucio Palazzo Non chiamatemi angelo Alberto Cairo è un punto di riferimento. Per i volontari della Croce Rossa, in Italia ma non solo. Alberto Cairo per molti è l angelo di Kabul anche se lui non ama sentirsi chiamare così, è un uomo per cui gruppi organizzati di internauti chiedono la candidatura al Nobel per la Pace, un fisioterapista che 21 anni fa è arrivato in Afghanistan per una missione e non è più tornato, un signore che cura gente saltata sulle mine o vittime di una guerra della quale nessuno ricorda quasi più inizio e ragioni Uomini che non potrebbero più camminare grazie a persone come lui possono riacquistare dignità. Questo ogni giorno, tutto il giorno, per tutto l anno, da più di 20 anni. Alberto Cairo (classe 1952, piemontese di Ceva, Cuneo) è, anche, un testimone. Un narratore ( Storie da Kabul del 2003 e Mosaico Afghano del 2011 entrambi per Einaudi è collaboratore di Repubblica) che non si tira indietro davanti al diritto/dovere di raccontare quello che succede davanti a lui, con la speranza, concreta, che il suo esempio possa spingere più persone possibile ad impegnarsi al fianco dei deboli, in Italia o in qualunque luogo ce ne fosse bisogno. É per questo che abbiamo voluto parlare con lui. Cairo, ci racconti la sua lunga esperienza in Afghanistan che ormai taglia il traguardo dei 21 anni. Come è iniziata? «Sono arrivato a Kabul nel 1990 dopo circa tre anni trascorsi a Juba, nel Sud Sudan, con OVCI, una organizzazione lombarda. L esperienza africana era stata così bella da spingermi a cercare un altra missione. Scrissi a destra e a manca senza successo; contattai la Croce Rossa Italiana ma non fui preso. Finalmente mi accettò la Croce Rossa Internazionale di Ginevra, il CICR, offrendomi un lavoro in Kenya, destinazione cambiata qualche giorno dopo: Afghanistan. Accettai senza sapere quasi nulla del paese. Una decisione alla cieca che non ho mai rimpianto. Venni assegnato all'ospedale per feriti di guerra che il CICR aveva appena aperto. Non ne avevo mai visto uno. Impossibile scordare il giorno in cui mi trovai per la prima volta tra centinaia di vittime di combattimenti, da mine o da bombe. Inadeguato fra medici e infermieri che si muovevano sicuri, ebbi tuttavia la certezza di es-

28 TESTIMONIANZE sere arrivato nel posto giusto - se mai un posto del genere possa chiamarsi così. Un posto d azione, di bisogni, dove sentirsi utili e imparare. I feriti arrivavano spesso a decine, assieme a familiari in lacrime o urlanti. Le donne si strappavano i capelli, gli uomini gettavano il copricapo a terra, maledicendo il nemico. Per me un battesimo del fuoco che contribuì a legarmi a quella gente impulsiva e saggia, generosa e crudele. Mi colpirono molto il rispetto e la cortesia riservatami perché straniero e ospite. Ricordo un giovane mujahiddin con entrambe le gambe rotte, immobilizzato in trazione. Quando mi avvicinai al suo letto per la fisioterapia si affrettò a spolverare la sedia su cui mi sarei seduto. Si sporse tanto da perdere l'equilibrio, restando praticamente appeso a corde e pesi. "Mister, la sedia era sporca", mi spiegò quando lo rimisero a posto. Ma il paese cambiava velocemente. Nel 1992 i mujahiddin cacciarono i comunisti e presero il potere. La guerra civile, anziché finire, si propagò a tutto il paese. Io divenni il responsabile dei centri protesi che, a causa dei bombardamenti, erano spesso chiusi. Disoccupato, coi miei colleghi lavoravo per gli sfollati che bivaccavano nelle moschee, scuole e case abbandonate. Portavamo loro cibo, acqua e coperte. Scoprii un Afghanistan fatto di gente disperata che, incredibilmente, riusciva a sorridere. Quando i centri protesi riaprirono, ci trovammo con nuovi pazienti: non più solo vittime di guerra ma anche disabili per la poliomielite, tubercolosi e deformità congenite. Aprimmo anche a loro e il lavoro aumentò a tal punto da non avere più spazio. Gli afgani dimostrarono pienamente le loro capacità di lavorare e imparare. Sembravano spugne. Ma fu nel 1998 che il più grande cambiamento ebbe luogo. I pazienti, dopo avere ricevuto le protesi, ci chiedevano adesso che faccio? Ci rendemmo conto che la rieducazione fisica è una gran cosa, ma non può essere considerata lo scopo finale; il traguardo è il reinserimento sociale. La persona disabile deve ritrovare un posto nella società, con piena dignità. A questo scopo quattro nuovi programmi vennero iniziati: scuola, corsi professionali, microcrediti e impiego. Per provare che una persona disabile può fare qualsiasi cosa se le si danno le giuste opportunità, decidemmo di offrire lavoro solo a portatori di handicap. Una vera discriminazione positiva. Ora, nei 7 centri che abbiamo nel paese, praticamente tutti i 700 lavoratori sono persone disabili. L ultimo progetto iniziato qualche mese fa è pallacanestro in carrozzina. Entusiasmante. Come può vedere, nei 21 anni passati in Afghanistan non ho mai avuto modo di annoiarmi». Come funziona il centro di riabilitazione di Kabul? «Funziona un po come un grande ospedale, con reparti per i degenti e uno per i pazienti esterni. Tutti ricevono fisioterapia, protesi, ortesi (tutori, scarpe ortopediche), stampelle e carrozzine. Ogni cosa è costruita sul posto e su misura. Le protesi hanno superato i test di qualità internazionali. Ne facciamo 15 mila l anno, di certo una delle più grandi produzioni al mondo. Uno speciale settore si occupa dei trattamenti domiciliari, riservati alle persone paralizzate (i paraplegici), e una scuola per tecnici ortopedici garantisce la formazione delle nuove leve. C è poi il dipartimento per il reinserimento sociale, con la banca per i microprestiti, la scuola a domicilio, i corsi professionali. Il numero di pazienti che ogni giorno fa visita al centro di Kabul è anche di 450 persone, pazienti vecchi e nuovi. L accesso è libero, i servizi sono gratuiti». Ci sono anche volontari locali? «Stranieri siamo solo 5, tutti con funzioni di istruttori. Sono gli afghani a portare avanti il lavoro, le vere colonne. Deve essere così, è casa loro. Che si tratti di persone disabili rende il programma unico: un programma per persone disabili gestito da persone disabili. Tra pazienti e terapisti si stabilisce un rapporto speciale». Ci racconti in questi anni una (o più) storie che l'hanno particolarmente segnata. «Le storie che mi hanno lasciato un segno sono tantissime. La storia di Ahmad Alì è quella che mi fa provare il più grande rimpianto. É avvenuta diversi anni fa. Ahmad Alì era un paziente paraplegico del nostro programma domiciliare. Il fisioterapista-infermiere che lo curava ci disse un giorno che stava male e rifiutava il ricovero malgrado fosse tutto gonfio e i reni non funzionavano quasi più. Era diventato paraplegico una decina di anni prima, a vent'anni. Trascorso tre mesi all'ospedale, era venuto da noi per fisioterapia e tutori, imparando in fretta a camminare con le stampelle. Aveva 26

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