OSSERVATORIO SULLA GIURISPRUDENZA CIVILE AGGIORNATO al 31 gennaio 2015 a cura di DIANA SELVAGGI

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1 OSSERVATORIO SULLA GIURISPRUDENZA CIVILE AGGIORNATO al 31 gennaio 2015 a cura di DIANA SELVAGGI 1. Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza n del 22 ottobre 2014: separazione personale, morte di uno dei coniugi e diritto di abitazione del coniuge superstite. La questione sottoposta alla Suprema Corte attiene alla sussistenza del diritto di abitazione a favore dell altro coniuge quando questi, al momento dell apertura della successione, fosse già separato legalmente dal coniuge poi deceduto. La Corte nega l operatività della riserva in favore del coniuge di cui all art. 540 co. 2 c.c. proprio muovendo dalla ratio dell istituto che, di matrice successoria, è teso ad assicurare la continuità di residenza nella casa familiare anche dopo la morte di uno dei coniugi, dovendosi intendere per casa familiare la casa abitata in modo prevalente e duraturo dalla famiglia. La questione non è nota alla giurisprudenza di legittimità: per quanto consta, se ne individua l unico precedente nella sentenza n del 12 giugno 2014, conforme, da cui, nel caso di specie, la Corte non ritiene di discostarsi perché ritenuto coerente con la lettera e lo spirito del quadro normativo di riferimento. Anche in quel caso la Corte aveva negato al coniuge superstite il diritto di abitazione ove, già prima della morte dell altro coniuge, fosse intervenuta la separazione personale, e ciò all esito di un analisi asciutta e lineare dei singoli elementi che, anche in fatto, valgono a qualificare la vicenda consentendo di individuare la disciplina applicabile. L oggetto del diritto, innanzitutto: oggetto del diritto reale di abitazione è la casa coniugale, ossia l immobile adibito in concreto a residenza familiare, in cui i coniugi vivono insieme stabilmente, organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare secondo la loro determinazione convenzionale, assunta in base alle esigenze di entrambi. 1

2 Né la lettera né lo spirito dell art. 540 comma 2 c.c.,. lasciano spazio a dubbi interpretativi, quando si riferiscono alla casa che dai coniugi era stata adibita a residenza familiare (dove il concetto di residenza, di cui all'art. 43, comma secondo, c.c., richiama la effettività della dimora abituale nella causa coniugale); si tratta, evidentemente, di una noma la cui ratio è da rinvenire non tanto nella tutela dell'interesse economico del coniuge superstite di disporre di un alloggio, quanto dell'interesse morale legato alla conservazione dei rapporti affettivi e consuetudinari con la casa familiare, quali la conservazione della memoria del coniuge scomparso, delle relazioni sociali e degli status symbols goduti durante il matrimonio. Ove poi si consideri che l art. 548 comma 1 c.c. equipara, quanto ai diritti successori attribuiti dalla legge, il coniuge separato senza addebito al coniuge non separato, ne discende il principio applicabile al caso di specie, alla stregua del quale la Corte afferma che in caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l'impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare fa venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell'attribuzione dei diritti in parola', sicchè 'l'applicabilità della norma in esame è condizionata all'effettiva esistenza, al momento dell'apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare, evenienza che non ricorre allorchè, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi'. 2. Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza n del 5 dicembre 2014: danno non patrimoniale, morte immediata e risarcibilità iure hereditario. La Suprema Corte torna ad occuparsi, con la sentenza in commento, di risarcimento iure hereditario del danno da morte immediata. In ordine alla qualificazione giuridica della fattispecie la Corte, aderendo all orientamento maggioritario, enuncia il principio per cui in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, quando all estrema gravità delle lesioni, segua, dopo un intervallo temporale brevissimo, la morte, non può essere risarcito agli eredi il danno biologico terminale connesso alla perdita della vita della vittima, come massima espressione del bene salute, ma esclusivamente il danno morale, dal primo ontologicamente distinto, fondato sull intensa sofferenza d animo conseguente alla consapevolezza delle condizioni cliniche seguite al sinistro. Il danno da perdita della vita presenta una diversità ontologica rispetto al danno biologico, con la conseguenza che la richiesta di risarcimento del relativo danno deve essere oggetto di specifica ed autonoma domanda. 2

3 Quando la morte segua di pochissimo le lesioni, pertanto, non va risarcito il danno biologico terminale ma, a determinate condizioni, il danno c.d. catastrofale, species del danno non patrimoniale consistente nel risarcimento della sofferenza patita dalla vittima nel periodo breve che precede la morte, in cui essa ha avuto la possibilità di rendersi conto della gravità del proprio stato e dell approssimarsi della morte. Diversamente dal danno catastrofale, infatti, il danno da morte immediata è richiesto iure haereditario dagli stretti congiunti della vittima che sia deceduta immediatamente a seguito delle gravi lesioni riportate in un incidente stradale. La sentenza si segnala perché, inserendosi nel più ampio contesto di riflessione sul danno non patrimoniale inaugurato dalle Sezioni Unite 2008, offre lo spunto per delineare lo stato dell arte in tema di danno tanatologico, anche alla luce della rimessione alle Sezioni Unite del contrasto esistente in ordine alla risarcibilità del danno non patrimoniale già delineato nel 2008, alla stregua degli ulteriori contributi di riflessione, tra loro discordanti, offerti dalla sezione semplice sul tema del diritto alla risarcibilità iure hereditario del danno da morte immediata (Cass. Civ. sez. III^, ord. n. 5056/14). L impostazione ermeneutica seguita a lungo dalla giurisprudenza è quella seguita dalla Corte nel caso di specie, per cui il principio della irrisarcibilità per via ereditaria del danno da morte immediata (vedi Cass. 6754/2011) affonda le radici nella sentenza di Corte Costituzionale n. 372 del 1994, secondo cui l art c.c. non è costituzionalmente illegittimo in relazione al danno biologico da morte, in dipendenza del 'limite strutturale della responsabilità civile, nella quale sia l'oggetto del risarcimento che la liquidazione del danno devono riferirsi non alla lesione per se stessa, ma alle conseguenti perdite a carico della persona offesa'. Componendo il contrasto in punto di liquidazione del danno non patrimoniale, Sezioni Unite del 2008 sono intervenute affermando che la giurisprudenza è consolidata, da una parte, nel negare il risarcimento del danno biologico per perdita della vita nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo; dall altra parte lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile e a questo lo commisura. Le stesse Sezioni Unite 2008 rilevano, peraltro come, in caso di morte che segua di poco le lesioni, viene in considerazione il tema della risarcibilità della sofferenza psichica, di massima intensità anche se di durata contenuta. Detta sofferenza psichica non può degenerare in danno biologico, visto il breve intervallo di tempo tra lesioni e morte e deve essere risarcita, pertanto, unicamente come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione. 3

4 Pur essendo questo, pertanto, l orientamento prevalente, con la sentenza Scarano n del 2014 la Suprema Corte ha riaperto la questione affermando la risarcibilità iure hereditario del danno da perdita della vita immediatamente conseguente alle lesioni riportate a seguito di un incidente stradale (Cass.1361/14) sul presupposto per cui la perdita della vita non può lasciarsi, invero, priva di tutela (anche) civilistica', poiché 'il diritto alla vita è altro e diverso dal diritto alla salute', così che la sua risarcibilità 'costituisce realtà ontologica ed imprescindibile eccezione al principio della risarcibilità dei soli danni conseguenza'. Il danno biologico terminale ed il danno catastrofale, dunque, quali species del medesimo danno alla vita, devono essere risarcibili ex se, a prescindere da qualsivoglia giudizio temporale o cognitivo, e viene così riaffermato il concetto di danno evento in deroga alla nozione, pacificamente riconosciuta, di danno conseguenza. Infine, meritano un cenno anche le posizioni della dottrina, di cui una parte afferma che la morte non rappresenta la massima offesa arrecabile alla salute, risarcibile in quanto tale, e necessita, pertanto, di un intervallo di tempo significativo perché il soggetto leso incameri il diritto al risarcimento (c.d. danno biologico terminale): presupposto di detta affermazione è che vita (bene costituzionalmente protetto) e morte non sono concetti assimilabili. In altri termini, secondo questa dottrina, finché il soggetto è in vita, non c è perdita. quando muore, viene meno il titolare del diritto da trasmettere (non essendoci più capacità giuridica). Potrebbe derivarne, pertanto, solo un danno catastrofale, ossia il danno morale discendente dalla sofferenza per la consapevolezza di essere prossimi alla morte: si esclude il danno, evidentemente, qualora il soggetto leso non sia stato lucido e vigile e non abbia potuto rendersi conto dell imminente decesso. L orientamento opposto, al contrario, afferma la piena contiguità dei concetti di vita e morte, per cui la morte non può che conseguire unicamente alla previa lesione della integrità psico-fisica. Secondo la migliore scienza medica, del resto, gli unici rari esempi di morte immediata sarebbero i casi di decapitazione e di spappolamento del cervello, per cui si conclude nel senso che, al di fuori di tali ipotesi, non sarebbero ipotizzabili situazioni in cui il soggetto non subisca una lesione alla propria salute. 3. Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza n del 30 ottobre 2014: preliminare di compravendita non trascritto, apertura della successione e obblighi dei legatari. 4

5 Con la sentenza in commento la Suprema Corte si sofferma sui rapporti tra preliminare di compravendita avente ad oggetto beni (successivamente) attribuiti a titolo di legato e posizione dei legatari al momento dell apertura della successione. La questione, in particolare, attiene alla possibilità o meno di individuare, a carico dei legatari, un preciso obbligo di prestare il consenso al trasferimento dei beni promessi in vendita, prima della morte, con preliminare non trascritto. Il promissario acquirente, nella specie, aveva agito ex art c.c. per l esecuzione del contratto, mentre i legatari, proprio argomentando dalla mancata trascrizione del preliminare ex art bis c.c. e dalla dedotta qualità di successori a titolo particolare e non di eredi, negavano ogni obbligo alla prestazione del consenso alla vendita. La Corte, aderendo all impostazione fornita dalla Corte territoriale, che aveva interpretato correttamente il testamento in questione, secondo i canoni legali che governano l interpretazione degli atti giuridici, in accoglimento delle tesi dei convenuti legatari, rigetta il ricorso all esito di un attenta disamina dello spirito delle norme che regolano la fattispecie. In particolare, il Supremo Collegio enuncia il principio per cui [ ] all'apertura della successione in capo al legatario, sorgono due diritti: il diritto di proprietà sul bene legato (che il legatario acquisterà direttamente ed immediatamente alla morte del testatore), nonché il diritto di credito nei confronti dell'onerato con ad oggetto il trasferimento del possesso della cosa (649, c. 3). Il passaggio della proprietà avviene direttamente dal de cuius al legatario tale che, ancor prima di avere domandato il possesso, il legatario, può alienare il diritto acquistato, come pure i suoi creditori possono agire sulla cosa legata. Ciò significa e/o comporta, che il diritto del legatario è prevalente rispetto ad eventuali diritti dei terzi e, anche rispetto al diritto del terzo promissario acquirente, soprattutto, nell'ipotesi in cui il contratto preliminare non risulta trascritto. La (mancata) trascrizione del preliminare ha, dunque, portata dirimente rispetto alla configurabilità stessa delle posizioni giuridiche: essa ha impedito, infatti, il verificarsi degli effetti prenotativi di cui all'art bis c.c. nei confronti dei convenuti, legatari o pre-legatari. Correttamente, dunque, la Corte territoriale aveva escluso la sussistenza di un obbligo di costoro a prestare il consenso, e ciò dal momento che il contratto preliminare non trascritto non poteva prevalere sull'acquisto dei legatari o dei pre-legatari. La qualificazione del lascito come legato o pre legato, peraltro, è ininfluente al fine di stabilire se sussistesse o meno un obbligo per i convenuti/legatari di prestare il consenso per il trasferimento del 5

6 bene al promissario acquirente: il prelegato è, infatti, del tutto assimilabile ad un legato, non sussistendo tra le due figure differenze di disciplina. Afferma la Corte, infatti, che in entrambi i casi il bene verrebbe, comunque, escluso dalla massa ereditaria (Cfr. 661 cc.) e anche il c.d. prelegatario non sarebbe tenuto a rispondere degli obblighi ereditali ed, in particolare, per il caso in esame, dell'obbligo a trasferire il bene ricevuto in legato al promissario acquirente, ancorché ad altro titolo coerede su altri beni della massa ereditaria del promissario alienante. 4. Corte di giustizia dell Unione europea, Quarta Sezione, sentenza 18 dicembre 2014, causa C 449/13: credito al consumo, tutela dei consumatori, obblighi informativi ed oneri probatori. La pronuncia in commento, resa dalla Corte di giustizia UE in sede di rinvio pregiudiziale, verte sulla interpretazione degli articoli 5 e 8 della Direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008, relativa al credito al consumo. Giudice del rinvio il Tribunal d instance d Orlèans, adito da una società finanziaria che aveva convenuto in giudizio propri clienti lamentando l inadempimento degli obblighi contrattuali di rimborso delle rate di un prestito personale e chiedendo la condanna al pagamento del saldo, maggiorato degli interessi. In proposito, il codice del consumo francese sanziona l inosservanza degli obblighi informativi gravanti sulle società finanziarie con la decadenza dal diritto agli interessi: preliminarmente: in applicazione della disciplina consumeristica nazionale il giudice del rinvio, prima di sospendere e rinviare alla Corte, una volta ravvisata la mancanza in atti sia della scheda informativa precontrattuale Informazioni europee di base relative al credito ai consumatori - che le finanziarie hanno l obbligo di consegnare ai sottoscrittori dei contratti - sia di ogni altro documento comprovante l adempimento, da parte della finanziaria, degli obblighi di informazione e di verifica della solvibilità dei debitori, ha preliminarmente dichiarato la società attrice decaduta dal diritto agli interessi. L intervento della Corte di giustizia Ue attiene al profilo dell effettività della tutela dei consumatori prevista (e lacunosamente regolata sul punto) dalla Direttiva 2008/48 e dalla legge nazionale di recepimento. 6

7 Nonostante la previsione normativa di precisi obblighi di informazione a carico dei creditori, infatti, manca una disciplina comunitaria e/o nazionale dell onere della prova circa la corretta esecuzione degli obblighi di informazione. Sospeso il procedimento, vengono sottoposte alla Corte di giustizia UE quattro questioni pregiudiziali: 1) Se la direttiva [2008/48] debba essere interpretata nel senso che spetta al creditore fornire la prova dell esecuzione corretta e completa degli obblighi ad esso incombenti all atto della formazione e dell esecuzione di un contratto di credito, obblighi derivanti dalla normativa nazionale che recepisce [detta] direttiva. 2) Se la direttiva [2008/48] osti a che la prova della corretta e completa esecuzione degli obblighi incombenti al creditore possa essere fornita unicamente per mezzo di una clausola tipo, contenuta nel contratto di credito, con la quale il consumatore dà atto dell esecuzione degli obblighi del creditore, non suffragata dai documenti prodotti dal creditore e consegnati al debitore. 3) Se l articolo 8 della direttiva [2008/48] debba essere interpretato nel senso che osta a che la verifica della solvibilità del consumatore sia effettuata sulla base delle sole informazioni fornite dal consumatore, senza un controllo effettivo di tali informazioni attraverso altri elementi. 4) Se l articolo 5, paragrafo 6, della direttiva [2008/48] debba essere interpretato nel senso che il creditore non può aver dato adeguati chiarimenti al consumatore qualora non abbia preliminarmente verificato la sua situazione finanziaria e le sue esigenze.se l articolo 5, paragrafo 6, della direttiva [2008/48] debba essere interpretato nel senso che osta a che gli adeguati chiarimenti forniti al consumatore risultino unicamente dalle informazioni contrattuali menzionate nel contratto di credito, senza produzione di un documento specifico. La pronuncia in commento si conforma allo spirito e, quindi, all obiettivo, della direttiva 2008/48, che è prevedere - in materia di credito ai consumatori - un armonizzazione completa ed imperativa in una serie di settori fondamentali, necessaria per garantire a tutti i consumatori dell Unione europea un livello elevato ed equivalente di tutela dei loro interessi e per facilitare il sorgere di un efficiente mercato interno del credito al consumo. I-II. 7

8 Al fine di risolvere (congiuntamente) le prime due questioni pregiudiziali la Corte, in presenza di una lacuna legislativa in punto di effettività della tutela, richiama l operatività, rispettivamente, dei principi di equivalenza e di effettività. In base al primo (equivalenza), spetta all ordinamento interno di ogni Stato membro, in virtù del principio di autonomia procedurale, stabilire le modalità di tutela dei diritti riconosciuti ai singoli dal diritto dell Unione, a condizione, tuttavia, che dette modalità non siano meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe di natura interna; in base al secondo (effettività), dette modalità non possono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l esercizio dei diritti conferiti dall ordinamento giuridico dell Unione. Nel caso di specie il primo dei due principi opera senz altro; quanto al secondo, la Corte rammenta che occorre tener conto del ruolo della norma nell insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Considerato che il problema si pone perché occorre stabilire a chi spetti l onere della prova dell inadempimento degli obblighi di cui agli articoli 5 e 8 della direttiva 2008/48 (obbligo di informazione e obbligo di verifica della solvibilità del debitore) l effettività potrebbe essere garantita da una norma nazionale a norma della quale è il creditore a dover dimostrare in giudizio la corretta esecuzione degli obblighi precontrattuali: una norma siffatta mira a garantire la tutela del consumatore, senza pregiudicare in maniera sproporzionata il diritto del creditore ad un equo processo. Da ciò discende che la previsione - nel contratto - di una clausola tipo con cui il debitore attesti di aver ricevuto la scheda contenente le Informazioni europee di base, non esime comunque il creditore dal rispetto dei propri obblighi precontrattuali: la clausola tipo è un indizio e, come tale, non implica automaticamente (ossia in assenza di elementi di prova pertinenti) il riconoscimento della corretta esecuzione degli obblighi da parte del creditore. Se così fosse, infatti, si determinerebbe un inversione dell onere della prova tale da compromettere l effettività dei diritti riconosciuti dalla direttiva 2008/48: afferma la Corte che il consumatore dev essere sempre in grado di far valere di non aver ricevuto tale scheda o che quest ultima non consentiva al creditore di adempiere agli obblighi di informazione precontrattuali ad esso incombenti. Le prime due questioni pregiudiziali sono, quindi, risolte dalla Corte nel senso che le disposizioni della direttiva 2008/48 da una parte, ostano ad una normativa nazionale secondo la quale l onere 8

9 della prova della mancata esecuzione degli obblighi prescritti agli articoli 5 e 8 della direttiva 2008/48 grava sul consumatore; dall altra, ostano a che, in ragione di una clausola tipo, il giudice possa ritenere che il consumatore abbia riconosciuto la piena e corretta esecuzione degli obblighi precontrattuali incombenti al creditore, e tale clausola comporti quindi un inversione dell onere della prova dell esecuzione di detti obblighi tale da compromettere l effettività dei diritti riconosciuti dalla direttiva 2008/48. III. Al fine di risolvere la terza questione, la Corte richiama l art. 8 paragrafo 1 della direttiva a norma del quale, prima della conclusione di un contratto di credito, il creditore è tenuto a valutare il merito creditizio del consumatore sulla base di informazioni adeguate, se del caso fornite dal consumatore stesso e, ove necessario, ottenute consultando la banca dati pertinente: tale obbligo mira a responsabilizzare i creditori e ad evitare la concessione di prestiti a consumatori non solvibili. La norma appena richiamata, tuttavia, concede al creditore un potere discrezionale al fine di stabilire se le informazioni di cui dispone siano sufficienti o meno per attestare la solvibilità del consumatore e se debba verificare dette informazioni tramite altri elementi, ma non specifica in base a quali informazioni vada valutata la solvibilità e se e come tali informazioni vadano controllate. Il creditore deve, pertanto, valutare se le informazioni fornite/procurate siano adeguate e in numero sufficiente ai fini della valutazione della solvibilità del consumatore, anche tenendo conto delle variabili del caso concreto (circostanze in cui si conclude il contratto di credito, situazione personale del consumatore, importo indicato in contratto). La direttiva, peraltro, non impone ai creditori di controllare sistematicamente la veridicità delle informazioni fornite dal consumatore: libero il creditore di ritenere sufficienti le dichiarazioni del consumatore, i documenti giustificativi e le informazioni comunque ottenute, oppure di chiedere e ottenere conferma di dette informazioni. La terza questione pregiudiziale è quindi risolta dalla Corte dichiarando che l articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 dev essere interpretato nel senso che, da un lato, non osta a che la valutazione della solvibilità del consumatore sia effettuata sulla base delle sole informazioni fornite da quest ultimo, purché tali informazioni siano adeguate e le mere dichiarazioni del consumatore siano corredate da documenti giustificativi e, dall altro, non impone al creditore di procedere a controlli sistematici delle informazioni fornite dal consumatore. 9

10 IV. Al fine di risolvere la quarta questione, la Corte muove dal dato normativo di cui all art. 5 paragrafo 6 e del considerando 27 della direttiva da cui si evince che, pur avendo ricevuto le obbligatorie informazioni precontrattuali, il consumatore, prima della conclusione del contratto e al fine di decidere in modo consapevole in merito al tipo contrattuale prescelto, può avere bisogno di ulteriori chiarimenti adeguati e personalizzati, sia sulla informazione precontrattuale che sulle caratteristiche dei prodotti proposti e sulle ricadute che essi possono avere sulla propria situazione finanziaria, incluse le conseguenze di un mancato pagamento da parte del consumatore. A ciò si ricollega l obbligo per il creditore di valutare la solvibilità del consumatore, allo scopo di responsabilizzare il creditore ed evitare la concessione di finanziamenti a consumatori non solvibili. Ora, i due obblighi di informare adeguatamente (art. 5) e di verificare la solvibilità del consumatore (art. 8) hanno natura e funzione precontrattuale, quindi vanno rispettati prima che si concluda il contratto, non risulta né dalla formulazione né dagli obiettivi degli articoli 5 e 8 della direttiva 2008/48 che la valutazione della situazione finanziaria e delle esigenze del consumatore debba essere effettuata prima di fornire i chiarimenti adeguati. La natura precontrattuale degli obblighi informativi ne prescrive l adempimento in tempo utile, ossia prima della firma, mediante la comunicazione al consumatore dei chiarimenti di cui all articolo 5, paragrafo 6 della direttiva: la norma non chiarisce, tuttavia, le modalità di adempimento di tale obbligo di integrazione dei chiarimenti. Non si evince né dal dato testuale né dall obiettivo perseguito dalla norma se tali chiarimenti vadano compresi in un documento specifico o possano essere anche forniti oralmente. È facoltà degli Stati membri precisare l obbligo di fornire chiarimenti adeguati incombente al creditore e, pertanto, la questione relativa alla forma in cui questi ultimi devono essere forniti al consumatore rientra nelle competenza dell ordinamento nazionale. La quarta questione pregiudiziale è, quindi, risolta dalla Corte dichiarando che l articolo 5, paragrafo 6, della direttiva 2008/48 dev essere interpretato nel senso che, benché non osti a che il creditore fornisca chiarimenti adeguati al consumatore prima di aver valutato la sua situazione finanziaria e le sue esigenze, può però verificarsi che la valutazione della solvibilità del consumatore richieda un adattamento dei chiarimenti adeguati forniti, i quali devono essere comunicati al consumatore in tempo utile, preliminarmente alla firma del contratto di credito, senza tuttavia dover dar luogo alla redazione di un documento specifico. 10

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