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1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SASSARI FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA Presidente Prof. A. Azara GESTIONE INFERMIERISTICA DEL PAZIENTE HIV POSITIVO CON NEOPLASIA Relatore: Dott. Ivana Maida Correlatore: Dott. Giordano Madeddu ANNO ACCADEMICO 2014/2015 Tesi di Laurea di: Silvia Mureddu

2 2 Alla mia famiglia

3 INDICE INDICE... pag. 3 CAPITOLO I: LA MALATTIA DA HIV... pag. 4 Cenni storici e incidenza... pag. 5 Patogenesi... pag. 6 Trasmissione... pag. 9 Prevenzione dalla trasmissione dell HIV... pag. 11 Segni e sintomi... pag. 14 Diagnosi di laboratorio... pag. 17 Prognosi... pag. 20 Terapia... pag. 21 CAPITOLO II: L HIV E LE NEOPLASIE... pag. 31 Le neoplasie associate all HIV... pag. 32 Prevenzione... pag. 39 CAPITOLO III: TRATTAMENTO DEI PAZIENTI... pag. 43 Gestione cateteri venosi centrali... pag. 51 Gestione durante la chemioterapia... pag. 54 CONCLUSIONI... pag. 58 BIBLIOGRAFIA... pag. 60 SITOGRAFIA... pag. 60 3

4 CAPITOLO I: LA MALATTIA DA HIV Il virus dell'immunodeficienza umana, HIV (dall'inglese Human Immunodeficiency Virus), è l'agente responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS). Il virus HIV, è un virus appartenente alla famiglia dei retrovirus del genere lentivirus (cioè virus costituiti da RNA anziché DNA), che attacca alcune cellule del sistema immunitario, principalmente i linfociti CD4, che sono importantissimi per la risposta immunitaria, indebolendo il sistema immunitario fino ad annullare la risposta contro virus, batteri, protozoi e funghi. La distruzione del sistema immunitario causa una sindrome che si chiama AIDS (o, in italiano, SIDA: Sindrome da Immunodeficienza Acquisita), una persona affetta da SIDA è maggiormente esposta alle infezioni. L infezione è causata da uno dei due retrovirus imparentati (HIV-1 e HIV-2) che provocano una grande varietà di manifestazioni cliniche, che vanno dallo stato di portatore asintomatico fino a malattie gravemente debilitanti e mortali collegate allo stato di immunodeficienza. 4

5 CENNI STORICI ED INCIDENZA La storia dell'epidemia di HIV/AIDS viene fatta solitamente iniziare alla fine degli anni ottanta (il primo caso in Italia risale al 1981) quando fu riconosciuta l'esistenza di una nuova malattia in alcuni pazienti negli Stati Uniti, in seguito a un numero sorprendentemente elevato di casi di polmonite da Pneumocystis carinii e di tumori non usuali (sarcoma di Kaposi). L'andamento epidemiologico né suggerì la natura infettiva, dopo circa due anni di ricerche, alla fine del1983, fu isolato l'agente eziologico da parte del laboratorio di virologia dell'istituto Pasteur (Parigi) e del National Cancer Institute (Bethesda) dove in seguito gli è stata attribuita l attuale definitiva nominazione HIV. Diffusasi in maniera esponenziale in tutto il mondo (diventando una vera e propria pandemia), a differenza di tutte le altre epidemie fino ad allora conosciute fu a lungo mortale in percentuali vicine al 100% dei casi diagnosticati (pur nella variabilità dei tempi di sviluppo dei sintomi). La categoria di rischio è definita in base alle abitudini di vita del singolo individuo dalla quale dipende l acquisizione dell infezione. All inizio le categorie più a rischio erano tossicodipendenti e omossessuali, attualmente la modalità più frequente di acquisizione dell infezione è il contagio eterosessuale e omosessuale. Con il tempo sono state previste normative a tutela dell individuo, una di queste prevede che non sia possibile eseguire accertamenti circa la sieropositività senza il consenso della persona interessata. 5

6 Attualmente l HIV/AIDS è ritenuta come la quarta causa di morte al mondo. UNAIDS, organizzazione internazionale per il controllo dell'epidemia, stima le persone sieropositive in circa 39,5 milioni (2007), con 4.3 milioni di nuove infezioni nel 2006, nella sola Africa subsahariana sono stimati 24,7 milioni di persone HIV+ viventi, con una stima totale di quasi 3 milioni di morti per l epidemia. Secondo il notiziario dell Istituto Superiore di Sanità, Aggiornamento delle nuove diagnosi di infezione da HIV e dei casi di AIDS in Italia al 31 dicembre 2013 stima l andamento dell infezione, con nuove diagnosi di HIV pari a un incidenza di 6,0 nuovi casi di HIV positività ogni residenti. L incidenza delle nuove diagnosi di HIV non mostra particolari variazioni rispetto ai tre anni precedenti. Le persone che hanno scoperto di essere HIV positive nel 2013 sono per lo più maschi nel 72,2% dei casi, hanno un età mediana di 39 anni. L incidenza più alta è stata osservata tra le persone di anni (15,6 nuovi casi ogni residenti). PATOGENESI I HIV, come tutti i virus, non possiede una capacità di replicazione autonoma, ma è riprodotto nel nucleo della cellula ospite o cellula 6

7 suscettibile all infezione. Perché questo possa verificarsi il virus ha però la necessità di penetrare all interno della cellula e giungere a livello del nucleo e per questo prioritariamente deve aderire alla parete cellulare. Questo processo di adesione avviene attraverso la fusione tra una specie di protuberanza propria del virus ed una proteina della parete cellulare, che ha una particolare conformazione spaziale e che viene definita come recettore CD4. Questo recettore CD4 è presente nella parete dei linfociti e dei monociti, cellule naturalmente deputate ai meccanismi di difesa, che sono quelle suscettibili all infezione da parte del virus HIV, e definite per questo CD4+. Una volta che il virus è penetrato dentro la cellula, raggiunge il nucleo al quale da informazioni necessarie per la produzione di nuove particelle virali. Quando il virus è giunto a maturazione, viene liberato nel sangue per un processo di gemmazione. La liberazione del virus comporta però la distruzione della cellula ospite. Il virus a questo punto è pronto ad infettare nuove cellule CD4+. Una volta penetrato attraverso una qualsiasi porta d ingresso il virus viene trasportato alla stazione linfonodale più vicina, dove avviene questa prima fase di replicazione. Superata questa prima sede di replicazione, il virus entra nel sangue e viene trasportato nelle stazioni linfonodali di tutto l organismo, ma anche all interno di organi solidi 7

8 quali il cervello e le gonadi. Le cellule CD4+ che vengono distrutte sono rimpiazzate da un ugual numero di cellule neo formate, mantenendosi in equilibrio il rapporto tra cellule distrutte e neo formate. Questa situazione di equilibrio può mantenersi a lungo, ma nel corso degli anni la capacità del midollo emopoietico di produrre nuove cellule finisce, con il progressivo esaurimento della popolazione CD4+ e la conseguente evoluzione in senso sfavorevole della malattia. Nella prima fase di equilibrio i virus quotidianamente prodotti vengono distrutti quasi totalmente dall intervento dei meccanismi di difesa, costituiti prevalentemente dai linfociti CD4+, fino a che questi non vanno incontro ad un progressivo esaurimento. Infatti dopo una prima fase di intensa replica virale, per l intervento dei meccanismi di difesa la viremia nel sangue periferico può arrivare quasi ad azzerarsi per riprendere poi in maniera incontrollata nelle fasi finali della malattia quando le cellule CD4+ si sono progressivamente ridotte di numero. In contrasto con il dato della viremia scarsamente significativa nella fase di stazionarietà, la viremia risulta invece alta all interno del cervello e delle gonadi e di particolari cellule che costituiscono nel loro complesso le riserve del virus, dove la terapia non agisce e che rendono praticamente non radicabile l infezione. Quando i meccanismi di difesa sono esauriti la viremia non più 8

9 controllata, va incontro a un progressivo incremento anche nel sangue periferico mentre cominciano a comparire le patologie neoplastiche o infettive, condizionate nel loro insorgere dalla situazione d immunodeficienza. TRASMISSIONE Il virus può essere trasmesso attraverso i seguenti liquidi biologici: sangue, sperma e secrezioni vaginali e attraverso il latte materno. L infezione avviene quando uno di questi liquidi, appartenente a una persona sieropositiva, entra in circolazione nel sangue della persona ricevente attraverso ferite o lesioni anche non visibili delle mucose. Pur essendo il virus presente nella saliva e nelle lacrime, non è stata segnalata fino ad oggi alcuna trasmissione dell infezione in soggetti esposti soltanto a questi liquidi biologici. Non si verifica la trasmissione per contatti casuali, e nemmeno per contatti stretti di natura non sessuale che si verificano nell ambito lavorativo, domestico o scolastico. Le maggiori cause di trasmissione sono: Rapporti sessuali non protetti (sia eterosessuali che omosessuali); L ingresso di sangue infetto all interno dell organismo (attraverso la condivisione di siringhe o materiale contaminato); Per via verticale (da madre a figlio); 9

10 Trasfusioni di sangue o derivati (evento oggi molto raro); La più diffusa (85%) è quella sessuale seguita dal contatto con sangue o emoderivati infetti. Tra i diversi tipi di rapporti sessuali, quello anale (sia eterosessuale sia omosessuale) è considerato il più a rischio d'infezione. Questo perché la mucosa intestinale della regione anale è una barriera meno efficace delle altre, essendo costituita da un epitelio piuttosto sottile e scarsamente lubrificato e dunque facilmente traumatizzabile durante il rapporto, creando così delle micro lacerazioni che facilitano l'inoculazione del virus. Il rapporto vaginale pare meno a rischio di quello anale, in quanto l'epitelio vaginale è più spesso e più resistente ai traumi. La donna ha comunque un rischio venti volte maggiore di infettarsi rispetto a un uomo e il maggior rischio d infezione delle donne sembra da imputarsi al fatto che il fluido seminale infetto rimane nell'organismo femminile piuttosto a lungo. Nei paesi in via di sviluppo è particolarmente importante la trasmissione verticale (in Africa 35%, in Europa 15%); questa può avvenire sia durante la gravidanza per passaggio trans-placentare, sia durante il parto e infine dopo la nascita con l allattamento. Un altro veicolo di trasmissione assai importante, soprattutto nei paesi a più alto tenore di vita, è il sangue e i suoi derivati. Le categorie a rischio per infezione tramite il sangue e gli emoderivati sono i tossicodipendenti che usano droghe per via endovenosa condividendo la 10

11 stessa siringa tra più persone e gli individui soggetti a trasfusione. In Italia, negli anni ottanta e novanta, la percentuale dei tossicomani infettati 58,1% arrivò a superare quella di tutte le altre categorie, nel 2007 la tossicodipendenza è scesa al 27,4%. Va inoltre ricordata la trasmissione del virus attraverso puntura accidentale che è stimata attorno a 1/300 incidenti; poco frequente presumibilmente a causa del numero relativamente basso di virioni di HIV presenti nel sangue; sangue della maggior parte dei pazienti infetti. Il rischio di trasmissione sembra essere aumentato nel caso di ferite profonde o d iniezioni di sangue, come quando aghi cavi contenenti sangue penetrino la cute. Il rischio di trasmettere l infezione attraverso emotrasfusione è molto elevato, superiore al 90% (ma pressoché totalmente eliminato grazie al controllo del sangue con il test per l HIV nei paesi dove questo viene effettuato dalle banche di emoderivati). PREVENZIONE DELLA TRASMISSIONE DELL HIV Mancano attualmente un vaccino o una terapia in grado di contenere la diffusine dell epidemia, il più efficace strumento di lotta contro l infezione è la prevenzione. I programmi vaccinali preventivi sono destinati ai soggetti HIVsieronegativi esposti al contagio per evitare l infezione, mentre i vaccini 11

12 terapeutici dovrebbero ridurre la progressione della malattia. Lo sviluppo di un vaccino contro l AIDS è probabilmente possibile; tuttavia, il percorso per arrivare al suo allestimento, in assenza della dimostrazione di un meccanismo certo di protezione in vivo, appare arduo. Il contatto sessuale con un portatore di HIV rimane la causa più comune di trasmissione. Fondamentale nel campo della prevenzione è l educazione sanitaria volta a evitare le pratiche sessuali non sicure, riducendo il numero e la frequenza di contatti sessuali, evitando pratiche ad alto rischio e utilizzando barriere protettive, come i profilattici. L effetto dei farmaci antivirali sulla trasmissione è incerto ma probabilmente il loro uso riduce il rischio di trasmissione dell infezione. I portatori del virus devono essere esortati a evitare pratiche non sicure con partner non infetti. Alle donne sieropositive in età fertile va sconsigliato il concepimento; in caso di gravidanza, invece, va raccomandata la terapia antiretrovirale. Il rischio di trasmissione in utero, durante il parto o nel post-partum è stimato essere del 30-50%, ma la zidovudina riduce da sola dei 2/3 l infezione acquisibile durante il parto e una combinazione di farmaci può risultare ancora più efficace. Oltre alla terapia antiretrovirale anche il parto cesareo e il latte in polvere riducono il rischio di trasmissione del virus da madre a figlio al di sotto dell'1%. I soggetti sieropositivi, devono sottoporsi a periodici esami di controllo, 12

13 evitare donazioni di sangue, sperma e organi, informare il proprio partner e i sanitari curanti. Bisogna educare i tossicodipendenti a non fare uso di droghe, ed evitare lo scambio di siringhe tra tossicodipendenti. Si richiama, inoltre, la necessità di osservare rigorosamente le norme igienico-sanitarie atte a impedire la trasmissione del virus nelle pratiche che implichino l uso di aghi o strumenti taglienti, come interventi di piccola chirurgia, iniezioni, agopuntura, tatuaggi, manicure e cosi via. Gli operatori sanitari devono seguire le precauzioni cosiddette universali : astenersi dall assistenza diretta al paziente se affetti da lesioni cutanee o dermatiti essudative; considerare qualsiasi campione biologico come potenzialmente proveniente da un individuo con infezione trasmissibile; utilizzare guanti durante i prelievi di sangue e di altri materiali biologici; pulire immediatamente con soluzione diluita di ipoclorito di sodio (la candeggina nel commercio) le superfici contaminate. La profilassi post esposizione con l uso immediato di terapia antiretrovirale dopo ferite penetranti che coinvolgano sangue infetto da HIV o dopo la contaminazione mucosa massiva, riduca la trasmissione. Attualmente per la profilassi post-esposizione si raccomanda una combinazione di un inibitore della proteasi, con due inibitori della trascrittasi inversa. 13

14 SEGNI E SINTOMI Il virus HIV causa un ampio spettro di problemi clinici che possono far pensare ad altre malattie. Immediatamente dopo l infezione e per un lungo periodo (mesi nella maggior parte delle persone) si ha un breve stato di portatore sieronegativo. Durante questo periodo, il virus si riproduce rapidamente fino a quando il sistema immunitario inizia a reagire e/o le cellule obiettivo si esauriscono. Il virus o l antigene HIV p24 (capside) è evidenziabile nel plasma, anche quando nessun anticorpo anti HIV sia rintracciabile. Dopo un intervallo di 4/6 settimane dall evento contagiante, si manifesta la fase acuta della malattia (sindrome retrovirale acuta o infezione da HIV primaria) con febbre, malessere, eruzioni cutanee, artralgia e linfadenopatia generalizzata che di solito dura dai 3 ai 14 giorni, seguita poi entro 3 mesi da una sieroconversione degli anticorpi anti-hiv. Questa fase acuta della malattia viene spesso scambiata per una influenza o per mononucleosi. Superata questa prima fase, queste manifestazioni scompaiono, anche se spesso persiste la linfadenopatia, e i pazienti diventano portatori asintomatici sieropositivi. Alcuni di questi pazienti sviluppano una sintomatologia lieve e remittente che non si inquadra nella definizione di AIDS (come ad esempio, candidosi, zoster, diarrea, astenia, febbre). La leucopenia è reperto comune e può presentarsi anche anemia e trombocitopenia immuno-mediata. I sintomi neurologici sono i più 14

15 comuni e possono essere la prima manifestazione dell AIDS. I sintomi possono essere dovuti ali effetti del virus, infezioni opportunistiche, neoplasie o complicanze vascolari. Essi includono: meningite asettica acuta, neuropatie periferiche di tipi diversi, encefalopatia con convulsioni, deficit motori focali, sensitivi o dell andatura e disturbi cognitivi che progrediscono fino alla demenza. Disturbi cognitivi e motori meno marcati si verificano in molti pazienti con AIDS, anche se in modo clinicamente meno evidente e socialmente meno debilitanti; per tale motivo non vengono sempre riconosciuti. Le aree della funzione cognitiva più frequentemente colpite, sono: l attenzione, la velocità di elaborazione delle informazioni e la comprensione. Esse sono associate a un quadro di atrofica celebrale (evidenziato dalla RMN), a un attivazione immunitaria (elevati livelli di 2- microglobulina), livelli misurabili di HIV RNA (> 200 copie/ml). Lievi disturbi cognitivi e motori non progrediscono necessariamente in modo rapido verso la demenza, comunque molti pazienti presentano un quadro che progressivamente va deteriorandosi. Dolori addominali, nausea, vomito e diarrea contribuiscono al calo ponderale e alla cachessia che affliggono i pazienti con AIDS in stadio avanzato. Varie infezioni opportunistiche e forme tumorali possono interessare il tratto gastro intestinale. I siti interessati includono: l orofaringe (candida, sarcoma di Kaposi, linfoma, herpes simplex e stomatite aftosa), esofago 15

16 (herpes simplex, citomegalovirus, Candida), stomaco (sarcoma di Kaposi e linfoma), intestino (salmonella, Clostridium difficile, CMV,herpes simplex), e tratto biliare (cryptosporidium e CMV). La diarrea per la quale non viene identificata una causa può persistere per lunghi periodi o recidivare a intermittenza, anche in pazienti senza una grave immunosoppressione o altri sintomi. Le manifestazioni cutanee dell infezione da HIV complicano tutti gli stadi dal rash e dalle ulcere genitali dell infezione primaria al sarcoma di Kaposi disseminato nella AIDS conclamata. L herpes zoster, comune durante tutto il decorso dell infezione, ne è spesso la prima manifestazione. Lesioni ematogene di criptococcosi o di angiomatosi bacillare possono costituire importanti elementi per giungere alla diagnosi di queste infezioni opportunistiche. Tra i sintomi orali troviamo la candidosi orale (mughetto) che è tra le prime più comuni manifestazioni dell infezione HIV; è di solito indolore, può non essere notata dal paziente e può fornire un elemento utile nei pazienti non ancora diagnosticati come affetti da infezione HIV. La più importante infezione polmonare associata al HIV è la TBC, che è di frequente la prima manifestazione dell infezione da HIV in quei paesi dove tale patologia è altamente endemica. Il polmone è inoltre un sito 16

17 comune d infezioni opportunistiche causate da funghi e batteri, questi ultimi sono comuni soprattutto nei consumatori di droghe endovena. Sia il sarcoma di Kaposi che i linfomi a cellule B possono interessare i linfonodi mediastici e il polmone. Complicanze dell infezione possono essere cardiovascolari, che includono endocardite batterica trombotica (specialmente nei consumatori di droga endovena) o una cardiomiopatia con insufficienza cardiaca congestizia, o di tipo renale, come l insufficienza renale o la sindrome nefrosica. Il quadro di esordio e il decorso dell infezione nelle donne da HIV assomiglia a quello dell uomo, a eccezione della candidosi vaginale cronica refrattaria e dell aumento rischio di neoplasie intraepiteliali cervicali. Alcune malattie sessualmente trasmissibili quali la malattia infiammatoria pelvica possono avere un quadro atipico, più aggressivo e resistente al trattamento nelle donne con infezione da HIV. Si raccomanda di sottoporre al test per HIV, le donne con forme aggressive o insolitamente resistenti di malattie sessualmente trasmissibili o con candidosi vaginale. DIAGNOSI DI LABORATORIO Per l identificazione dell infezione da HIV sono disponibili varie metodiche, basate sull identificazione degli anticorpi prodotti dal sistema immunitario contro l HIV (metodiche sierologiche) oppure sulla ricerca 17

18 di antigeni e molecole del virus stesso (metodiche virologiche). Test sierici rapidi (8-10 minuti), sistemi di raccolta dei campioni a domicilio e test anti-hiv sulla saliva e sulle urine, sono utili in alcune situazioni, ma possono richiedere test di conferma tramite le metodiche sierologiche standard. Ai fini della diagnosi d infezione attualmente vengono utilizzati il test ELISA ed il test Western-Blot. Il test ELISA è la metodica utilizzata per il test di screening, in quanto è di facile esecuzione e ha un costo limitato. Questo test ricerca gli anticorpi prodotti contro alcuni antigeni virali (in particolare gp41 e gp120), che dopo una prima infezione restano dell organismo per tutta la vita. Il test ha una sensibilità di oltre il 95%, ma in alcuni casi si possono avere delle risposte errate: Falsi positivi: il test risulta positivo in assenza di infezione. Può succedere in persone con malattie che alterano la funzione del sistema immunitario portando alla produzione di anticorpi anomali (es: leucemie, linfomi, malattie autoimmuni, gravi epatopatie, ecc.); Falsi negativi: il test risulta negativo anche se l infezione è presente. può succedere in persone che si sono infettate molto recentemente, ma nelle quali non si sono ancora formati anticorpi 18

19 che reagiscono con il test; questo avviene solitamente nelle prime settimane o mesi dopo il contagio. Per questo motivo un test negativo va sempre ripetuto fino ad almeno 6 mesi dopo un evento a rischio di contagio, ed un test positivo richiede sempre l esecuzione di un altro test di conferma. Il test di Western Blot (WB) è un test dotato di maggiore specificità e sensibilità, utilizzato per confermare la positività di un test ELISA. Questa metodica permette di evidenziare la presenza di anticorpi diretti contro le maggiori proteine virali: il test viene definito positivo quando sono presenti almeno 2 degli anticorpi principali; se il test risulta dubbio o indeterminato va ripetuto dopo alcuni mesi. Vi sono anche delle metodiche virologiche che consentono di ricercare le molecole di RNA virali, la cui quantità nel sangue è direttamente proporzionale al grado di attività replicativa del virus. La viremia viene espressa in numero di copie di HIV- RNA per ml; Ci sono vari tipi di test che possono essere utilizzati per la determinazione della viremia: Q-PCR (Quantitative Polymerase Chan Reaction): noto con il nome Amplicore Monitor Test (Roche), è la metodica più diffusa, 19

20 ed ha un range di sensibilità tra 300 e di copie; è stato inoltre sviluppato sempre dalla Roche, un test definito UltraSensitive, in quanto arriva a misurare fino a 20 copie/ml; bdna (branched-chain DNA ): ha una sensibilità che varia dalle 50 alle copie; NASBA (Nucleid Acid Sequence-Based Amplification): è il test solitamente meno utilizzato, ed ha una soglia inferiore di 80 copie. Nella pratica clinica questo test viene impiegato principalmente per due scopi: la stadiazione dell infezione ed il monitoraggio della risposta alla terapia antiretrovirale. Viene anche utilizzato per la diagnosi precoce d infezioni in particolari situazioni, quali le esposizioni accidentali negli operatori sanitari e la trasmissione materno-fetale. PROGNOSI Per una persona con infezione da HIV il rischio di sviluppare l AIDS o di morire può essere valutato cambiando il numero dei linfociti CD4+ e i livelli di RNA plasmatico. La conta dei CD4+fornisce informazioni sull immediata vulnerabilità verso le infezioni opportunistiche, e il livello di HIV RNA plasmatico prevede i futuri livelli di CD4+. La riduzione dei livelli plasmatici di RNA da parte della terapia antiretrovirale riduce il rischio di complicanze e di morte e spesso permette l aumento dei CD4+. 20

21 Le cause immediate di morte per quasi tutti i pazienti con AIDS sono le infezioni opportunistiche. I progressi nella profilassi hanno diminuito l incidenza di pneumocystis Toxoplasma, Mycoacterium avium complex (MAC), Cryptococcous e di altre infezioni opportunistiche e di conseguenza il loro contributo alla morbilità e alla mortalità. Il miglior trattamento farmaceutico di queste infezioni, e in minor modo, del sarcoma di Kaposi ha migliorato anche gli esiti. L introduzione della terapia antiretrovirale di combinazione ha enormemente prolungato la sopravvivenza dei pazienti con AIDS a periodo di 2-3 anni, ma la durata dell effetto benefico e variabile e per il momento non del tutto definito. I nuovi farmaci antiretrovirali utilizzati in combinazioni potenti e il monitoraggio dei livelli virali plasmatici (RNA), fanno sperare di poter estendere la sopravvivenza dei pazienti a tutte le fasi dell infezione da HIV. Questi benefici possono essere compromessi dalla resistenza dei virus ai farmaci che viene influenzata dal precedente uso di farmaci antiretrovirali da parte del paziente e dall adesione dal paziente stesso agli schemi di combinazione propostigli e dal loro stadio di infezione. TERAPIA Bisogna innanzitutto precisare che, attualmente, non esistono farmaci in grado di eradicare la malattia. Quelli a nostra disposizione, infatti, consentono di eliminare agevolmente la quota di Virus presente nel 21

22 sangue ma non quella ospitata all interno di organi (es.: Midollo Osseo) dove il Virus si trova in forma "latente" e quindi al riparo dall azione dei farmaci stessi. Ne consegue che l obiettivo di un trattamento antivirale non può essere, attualmente, la guarigione bensì solo il controllo dell Infezione e della sua evoluzione in AIDS. Tuttavia perché la terapia sia efficace, è indispensabile che venga iniziata il più precocemente possibile, prima che le difese immunitarie siano irrimediabilmente compromesse, e che pertanto sia favorita l insorgenza delle patologie opportunistiche. Inoltre un tempestivo blocco della replica virale diminuisce la probabilità, data la spiccata tendenza alle mutazioni spontanee da parte del virus, dell insorgenza di ceppi naturalmente resistenti alla terapia in atto e quindi in grado di portare a un fallimento terapeutico. Sempre per questo motivo è indispensabile che la terapia sia attuata con l uso di farmaci di due classi diverse (terapia combinata) in grado pertanto di agire su due punti diversi del ciclo replicativo. E sempre per lo stesso motivo è molto importante che la somministrazione dei farmaci non subisca delle interruzioni. L inizio della terapia antiretrovirale combinata (cart) è un momento cruciale nella gestione dell infezione da HIV, il cui successo (ossia la decisione terapeutica e l aderenza al percorso di trattamento) richiede accettazione comprensione e condivisione da parte del paziente. Il 22

23 paziente deve essere preparato psicologicamente all inizio della terapia, tramite una comunicazione chiara e fiduciosa attuata con il proprio medico. Nella preparazione del paziente all inizio del percorso terapeutico è importante valutare la percezione e la disponibilità di quest ultimo, relativa al bisogno personale di assumere terapia e dunque chiarire che l evoluzione della malattia non è necessariamente correlata con la presenza di disturbi clinici evidenti, e informarlo del potenziale ruolo della terapia antiretrovirale nella prevenzione e nella trasmissione secondaria dell infezione. Chiarire i criteri che suggeriscono o impongono l inizio della terapia antiretrovirale, spiegare e mostrare i principali esami diagnostici che guidano la valutazione clinica, evidenziare i benefici derivati dalla cart e il razionale delle terapie di combinazione, esplicitare i limiti e i potenziali effetti avversi della cart e spiegare il significato e l importanza dell aderenza alla terapia in tutti i suoi aspetti. Ribadire i vantaggi della cura e la necessità di un aderenza ottimale, indicando con semplicità e chiarezza il tipo e numero di compresse da assumerne, gli orari e le possibili interferenze con i principali eventi della vita quotidiana, esplicitare che vi sono altre opzioni di terapia, nel caso il primo regime risultasse mal tollerato o poco efficace. Le caratteristiche strutturali del retrovirus lo rendono sensibile a diversi farmaci. Molte sostanze sono in grado di inibire la replicazione, ma 23

24 soltanto alcune sono impiegate nella pratica clinica. I farmaci che possono essere utilizzati nell infezione da HIV devono, infatti, possedere alcuni irrinunciabili requisiti: bassa tossicità (la terapia è prevista per tempi indefiniti); capacità di penetrare all interno delle cellule bersaglio; attitudine a superare la barriera ematoencefalica; disponibilità di formulazioni somministrabili per via orale; possibilità di coformulazioni tra più preparati. La maggior parte dei preparati finora sperimentati e usati nella pratica clinica è costituita dagli inibitori dell attività di retrotrascrizione dell HIV, dagli inibitori della proteasi virale e dagli inibitori dell integrasi. Gli inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa (zidovudina, lamivudina, abacavir, emtricitabina, tenofovir) sono di corrente uso terapeutico da anni. La didanosina e stravudina sono invece di utilizzo assai limitato. Spiccata attività antivirale hanno gli inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa (efavirez, nevirapina, rilpivirina), attualmente di largo impiego, sempre più ricca di farmaci è la classe degli inibitori della proteasi (saquinavir, ritonavir, indinavir, nelfinavir, lopinavir, amprenavir, atazanavir, tipranavir, darunavir). La classe degli inibitori delle integrasi è rappresentata da raltegravir, elvitegravir e dolutegravir; gli inibitori del recettore CCR5 da maraviroc e cenicriviroc. Dopo l introduzione della pratica clinica della combinazione terapeutica con tre antiretrovirali, la morbosità e la letalità per AIDS si sono drasticamente ridotte. 24

25 Il principale obiettivo della terapia antiretrovirale di combinazione (cart) è quello di ridurre la morbosità e la mortalità correlata all infezione e migliorare, in conseguenza, la qualità della vita della persona. La soppressione virologica plasmatica (non rilevabilità di HIV- RNA) entro 3-6 mesi dall inizio del trattamento ne consente il raggiungimento, al contempo recuperando e preservando la risposta immunologica del paziente, riducendo i livelli d infiammazione cronica e le complicanze a essa associate. I presupposti e i principi generali della terapia antiretrovirale sono i seguenti: la replicazione del virus causa un danno al sistema immunitario, con conseguente evoluzione verso la sindrome da immunodeficienza; i livelli plasmatici di HIV-RNA esprimono l intensità della replicazione virale, che è associata alla distruzione dei linfociti CD4+;la progressione della malattia è diversa nei singoli individue e quindi la decisione terapeutica deve essere personalizzata in base al rischio di evoluzione indicato dai livelli di HIV-RNA e dal numero dei CD4+; l utilizzo di combinazioni farmacologiche è in grado di sopprimere la replicazione al di sotto del livello individuale mediante la ricerca di HIV-RNA e limita la selezione di ceppi virali resistenti ai farmaci. La decisione circa il momento più opportuno per iniziare il trattamento deve essere valutata considerando il numero dei linfociti CD4+ e l entità della carica virale plasmatica. È consigliata l esecuzione di un test di 25

26 farmacoresistenza prima dell inizio della terapia antiretrovirale, per l elevata prevalenza di ceppi virali farmacoresistenti circolanti nella popolazione HIV-sieropositiva. Il regime terapeutico scelto deve ottenere la negativizzazione della viremia nel più breve tempo possibile (non oltre le settimane), al fine di ridurre il rischio di selezione di ceppi resistenti a farmaci impiegati, presupposto di fallimento terapeutico. Mediante la somministrazione di una terapia con tre farmaci, l obiettivo è raggiungibile in una percentuale rilevante di pazienti al primo trattamento (superiore al 90%). Le combinazioni attualmente indicate in base ai dati ottenuti da studi controllati eseguiti con farmaci commercialmente disponibili sono le seguenti: Due analoghi nucleosidici più un inibitore della proteasi; Un inibitore non nucleosidico della trascrittasi inversa più due analoghi nucleosidici; Due inibitori nucleosidici più un inibitore dell integrasi. Attualmente le linee guida consigliano la combinazione 2NRTI+1PI (atazanavir o dunavir) con rafforzamento (booster) di ritonavir. Per la combinazione 2NRTI+1NNRTI viene privilegiato l efavirenz o la rilpivitina (quest ultima solo in presenza di viremia inferiore a

27 copie/ml). Raltegravir è l inibitore dell integrasi consigliato per la combinazione con 2NRTI. I sopraccitati regimi, che prevedono l interscambiabilità di farmaci della stessa classe e altre combinazioni, di altrettanto probabile, ma meno comprovata efficacia, presentano potenziali vantaggi e svantaggi. La loro scelta va adattata alle caratteristiche del paziente, alla fase dell infezione, alle terapie concomitanti per la prevenzione o cura delle infezioni opportunistiche. L associazione di dosi di rafforzamento (o booster) di ritonavir ( mg/die) agli inibitori della proteasi migliora considerevolmente la farmacocinetica, consentendo di ridurre il numero di somministrazioni giornaliere, aumentare l efficacia del singolo farmaco e di ridurre il rischio di indurre resistenze. La risposta al trattamento deve essere seguita nel tempo con la valutazione periodica dei livelli di HIV-RNA plasmatici (all inizio e dopo 4-6 settimane e successivamente ogni 3-4 mesi circa). Entro 4 mesi e comunque non oltre 6 mesi il trattamento antiretrovirale dimostra la sua completa efficacia, pertanto, è opportuno attendere questo periodo prima di modificare lo schema terapeutico. Con la stessa frequenza vanno controllati i livelli dei linfociti CD4+ e dei parametri ematochimici necessari per documentare eventuali effetti collaterali dei farmaci. Alcune situazioni relative al paziente (bambini sieropositivi, donne in gravidanza, esposizioni 27

28 accidentali al virus) o alla fase di infezione (infezione acuta, cronica stabilizzata, cronica progressiva), meritano particolare attenzione. L infezione acuta primaria è una condizione nella quale, dal punto di vista patogenetico, sembra vantaggioso iniziare immediatamente la terapia. Il trattamento tempestivo dell infezione acuta sintomatica, oltre a ridurre l entità e la durata della sintomatologia, è probabilmente in grado di prevenire, almeno in parte, eventuali danni irreversibili causati dal sistema immunitario dall infezione al suo insorgere. Meno chiara è l indicazione al trattamento precoce in assenza di sintomi della fase acuta e quando si è già instaurato un equilibrio tra il virus e la risposta immune dell ospite (sieroconversione recente). La disponibilità attuale di farmaci antiretrovirale con target enzimatici diversi, potenti e ben tollerati, consente di impostare regimi duraturi nel tempo nella stragrande maggioranza dei pazienti. Esiste tuttavia anche oggi una quota misurabile di pazienti in fallimento terapeutico per la presenza di una risposta virologica subottimale (fallimento virologico), di una risposta immunologica insoddisfacente (fallimento immunologico) e, in minor misura, di una progressione clinica (fallimento clinico); in questi casi si deve modificare o intensificare il regime antiretrovirale in atto. La qualità della vita correlata alla salute è un aspetto oggi imprescindibile nella pratica clinica; deve essere integrata alla presa in carico del 28

29 paziente, a ogni visita ed anche alla presenza di soppressione virologica. Il miglioramento o il mantenimento di elevati livelli di benessere psichico-fisico, cioè della migliore qualità della vita legata allo stato di salute possibile, rientra tra gli obiettivi primari della terapia antiretrovirale combinata. È quindi importante la scelta del tipo di farmaco antiretrovirale, considerando: la tollerabilità dei farmaci, le risorse psicologiche del paziente, lo stile di vita e la capacità di tutelare la privacy; è possibile inoltre considerare un cambio della terapia precoce, anche in presenza di efficacia virologica: su richiesta esplicita del paziente, in condizioni di fatica da trattamento e per evitare probabili effetti collaterali futuri. L inizio della terapia può determinare un peggioramento della qualità della vita e richiede maggior attenzione. Si deve quindi porre maggior attenzione nella fase di preparazione del paziente alla terapia: illustrando i benefici della terapia sulla sintomatologia in atto, anticipare natura/tempistica dei possibili effetti collaterali, fornire informazioni sulla gestione degli effetti collaterali, rassicurare sulla possibilità di evitare l effetto collaterale e invitare il paziente a una comunicazione aperta sull argomento. In caso di effetti collaterali alla terapia si devono indagare: gli effetti collaterali possibili in base ai farmaci utilizzati, la qualità della vita sessuale e del sonno, l aderenza e il possibile cambiamento della terapia antiretrovirale. La ridistribuzione del grasso corporeo deve essere monitorata ed evitata in ogni modo, mentre la sindrome lipodistrofica richiede una gestione 29

30 appropriata, si deve quindi: monitorare il paziente con un esame obiettivo, le misure antropometriche, ed eventualmente gli esami radiologici, valutare lo switch degli antiretrovirali su base precoce e rassicurare il paziente sulla attuale bassa incidenza. Per monitorare la qualità della vita è inoltre utile utilizzare una scala dei sintomi autoriportati da parte del paziente, registrando sintomi oggettivi e soggettivi associati alla patologia e alla terapia, definire l intensità del sintomo da parte del paziente, migliorare la comunicazione medico-paziente, modificare il trattamento in base alle esigenze e incrementare l efficacia terapeutica a lungo termine. Particolare attenzione richiedono i sintomi depressivi che vanno valutati tramite strumenti idonei, e trattati con trattamenti specifici, dove richiesto. La qualità della vita può essere misurata inoltre attraverso questionari, forniti da personale competente, che favoriscono la scelta più appropriata dello strumento da utilizzare e dell interpretazione. 30

31 CAPITOLO II: L HIV E LE NEOPLASIE Nei pazienti con infezione da HIV è notevole la frequenza con cui si riscontrano patologie neoplastiche, che sono diventate la prima causa di morte nei pazienti con HIV/AIDS. Le neoplasie correlate al virus HIV sono passate da malattie considerate praticamente da non trattare all inizio dell epidemia, perché il trattamento era ritenuto senza beneficio, a sempre trattabili con beneficio e anche guaribili. Le persone con infezione da HIV che oggi vivono grazie all HAART (Highly active antiretroviral therapy, terapia che ha ridotto drasticamente la mortalità per HIV/AIDS oltre che i nuovi casi di HIV/AIDS) hanno dei fattori di rischio elevati per sviluppare tumori. In particolare ciò avviene perché fumano molto, alle volte abusano dell alcool, non si sottopongono alla prevenzione e alla diagnosi precoce dei tumori e inoltre albergano frequentemente virus come quelli dell epatite B, C, dell HPV (Human papilloma virus) ed altri, che sono notoriamente oncogeni. I pazienti con HIV dovrebbero smettere di fumare e attenersi alle linee guida per la prevenzione e la diagnosi precoce dei tumori. In particolare i tumori correlati al fumo come quelli del polmone sono già in aumento e saranno sempre più presenti anche a causa dell invecchiamento della popolazione con infezione da HIV. I tumori classici correlati all AIDS, come il 31

32 Sarcoma di Kaposi e i linfomi, sono comunque in calo grazie all HAART e sono stati fatti progressi notevoli nel management di queste malattie. Lo sviluppo delle terapie antiretrovirali, che consentono ai pazienti sieropositivi di vivere più a lungo e in buona salute, l abuso di fumo di sigaretta e alcool, e l elevata associazione dell HIV con altri virus oncogeni, hanno ampliato lo spettro neoplastico. I tumori più frequenti nella popolazione affetta da HIV con terapia antivirale combinata in corso sono: il linfoma di Hodgkin, i tumori anogenitali associati a HPV (carcinoma dell ano), l epatocarcinoma, il carcinoma al polmone e i carcinomi cutanei non-melanoma. La storia naturale di tutti i tumori con un aumento del loro rischio, della loro aggressività biologica e della loro mortalità, è influenzata negativamente dall immunosoppressione e dunque è correlata con l entità del deficit immunitario stesso. La terapia antiretrovirale efficace associata a una terapia antiblastica garantisce benefici sulla risposta della terapia antitumorale e sulla sopravvivenza a lungo termine. LE NEOPLASIE ASSOCIATE ALL HIV Nei pazienti con infezione da HIV è elevata la frequenza con cui si riscontrano patologie neoplastiche; le più comuni sono il sarcoma di Kaposi e i linfomi non-hodgkin questi ultimi soprattutto a localizzazione 32

33 celebrale. La probabilità di osservare questi tumori è tanto più frequente, rispetto a quella documentata nella popolazione generale, da farli considerare patologie-indice per la definizione di caso di AIDS. Non così chiara è l associazione con altri tumori come, il linfoma di Hodgkin, che si presentano in stadio avanzato in sedi inconsuete (sistema nervoso centrale, cute e retto) e con un evoluzione particolarmente aggressiva, le neoplasie anorettali e i tumori dell apparato genitale femminile: di questi, soltanto il carcinoma della cervice uterina è attualmente considerato una patologia associata all AIDS, che è stato visto insorgere frequentemente nelle fasi precoci del deficit immunitario. Questo evidenzia che nell insorgenza di questa malattia è importante non solo la depressione immunitaria ma anche altri fattori, e fra questi il più rilevante è rappresentato dall interazione fra HPV e HIV. Il sarcoma di Kaposi è la più comune neoplasia maligna nei pazienti affetti da AIDS. Negli USA e in Europa più del 90% dei casi sono diagnosticati i tra maschi omosessuali e bisessuali con AIDS. Dopo l introduzione dell HAART, la prevalenza di questa neoplasia si è ridotta a meno dell 1% dei pazienti con AIDS. La diffusione del Sarcoma di Kaposi nei soggetti con infezione da HIV privilegia alcuni comportamenti a rischio, come i rapporti omossessuali tra maschi. Ciò induce ad ipotizzare che la sua patogenesi sia complessa e preveda l intervento di cofattori infettivi trasmessi per via sessuale. Nelle cellule 33

34 del Sarcoma di Kaposi è stato identificato un agente eziologico, l herpes virus umano 8 (HHV8). Tale virus è stato evidenziato in più del 90% dei sarcomi di Kaposi in corso di AIDS e in alcuni casi di linfomi pericardici, pleurici o peritoneali. Quando in Sarcoma di Kaposi insorge in soggetti con AIDS, non è una malattia indolente come negli altri casi. Il tumore inizia generalmente come una piccola area non rilevata di colorito bruno, rosso o violaceo della cute o delle mucose, che evolve in poche settimane o mesi in noduli o placche. All esordio, pertanto, le lesioni cutanee possono essere poco caratteristiche e comparire anche in soggetti con un numero elevato di linfociti CD4+. Anche le lesioni cutanee iniziali possono essere accompagnate da localizzazioni viscerali asintomatiche. Nei pazienti con AIDS in fase avanzata le neoformazioni angiosarcomatose, però, sono in genere multiple; interessano la cute non soltanto degli arti inferiori, ma anche del tronco, degli arti superiori e del volto e si accompagnano a molteplici localizzazioni viscerali. Le più comuni sono a carico di linfonodi, milza, fegato, mucosa orale e gastrointestinale, sedi che peraltro possono essere colpite dalla neoplasia anche in assenza di manifestazioni cutanee. Il Sarcoma di Kaposi può causare danni in altri organi incluso polmone e fegato e portare al decesso. Nella maggior parte dei casi, la sola terapia antiretrovirale a elevata attività è efficace nel controllare la malattia neoplastica; infatti sono state descritte regressioni spontanee delle lesioni dopo l inizio della HAART. La terapia specifica è indicata nelle lesioni che causano 34

35 problemi estetici o deficit funzionali, in questi casi è indicata la radioterapia, la somministrazione di vinblastina intralesionale o la crioterapia. La terapia sistemica viene utilizzata nei pazienti con un numero elevato di lesioni o con interessamento viscerale. Essa si avvale di interferone alpha o di chemioterapia antineoplastica. L efficacia della terapia sistemica varia dal 23 all 80% ed è influenzata dal tasso di linfocifi CD4+. Nonostante il decorso aggressivo del sarcoma, la neoplasia è raramente la causa primitiva di morte nei pazienti con AIDS, che il più delle volte vanno incontro a una fine per il sovrapporsi di gravi infezioni opportunistiche. Il linfoma non-hodgkin affligge il 10% dei pazienti con infezione da HIV; tale incidenza è più elevata di 60 volte rispetto ai pazienti non infetti da HIV. Il riscontro di questa neoplasia come iniziale manifestazione clinica di AIDS non è frequente: infatti, si può manifestare in tutte le fasi dell infezione da HIV, la sua prevalenza è più alta negli stadi avanzati di malattia. La maggior parte dei linfomi non- Hodgkin sono linfomi a cellule B aggressivi con sottotipi ad alto grado di malignità. Questi tumori associati a HIV sono solitamente già disseminati alla diagnosi, e interessano frequentemente sedi extralinfonodali, che comprendono: il sistema nervoso centrale, l apparato gastroenterico, il midollo osseo e il fegato. Sono inoltre coinvolti in molti casi il polmone, la cute e le mucose (in particolare quelle del cavo orale e del retto). In più 35

36 della metà dei casi, le infezioni opportunistiche concorrono a rendere la prognosi di questi pazienti particolarmente infausta. Anche nei soggetti che rispondono inizialmente alla chemioterapia, le recidive sono molto frequenti. Un paziente affetto da AIDS con linfoma non-hodgkin presenta di solito una massa a rapida crescita in uno o più linfonodi o in una sede extralinfonodale o sintomi sistemici, comprendenti perdita di peso (<10% del peso corporeo), sudorazioni notturne o episodi febbrili. La presenza in circolo di linfociti alterati o un inattesa citopenia possono suggerire la presenza di interessamento midollare, che può essere confermata dalla biopsia. La TC del torace e dell addome e di altre parti clinicamente interessate è importante per definire lo stadio e l estensione della malattia e per la pianificazione terapeutica. L altra incidenza d interessamento del SNC rende necessario un esame del liquor al momento della diagnosi. Il trattamento di scelta per le forme aggressive di linfoma non-hodgkin è la polichemioterapia sistemica, di solito in associazione a terapia antiretrovirale, profilassi antibiotica e fattori di crescita ematologici. La chemioterapia è altamente mielo soppressiva e può essere tollerata con difficoltà nei pazienti con AIDS in fase avanzata. Per questi pazienti sono stati definiti regimi di trattamento con dosi modificate. Una storia d infezioni opportunistiche condiziona spesso la tolleranza alla terapia. Una concomitante terapia antiretrovirale, antibatterica e antimicotica riduce la tolleranza. Tuttavia, se un paziente presenta un linfoma non-hodgkin come malattia di esordio dell AIDS, 36

37 senza precedenti significative infezioni opportunistiche, allora la polichemioterapia aggressiva e le misure terapeutiche di supporto, come indicato in precedenza, possono essere curative. Il morbo di Hodgkin anche se non è una patologia di esordio dell AIDS, insorge più frequentemente in presenza di infezioni da HIV, specie nei soggetti che fanno uso di droghe endovena. Questa associazione può essere dovuta all incidenza correlata all età delle due patologie. Nei pazienti affetti da AIDS, la malattia di Hodgkin è più aggressiva e meno sensibile alla terapia. Il linfoma di Hodgkin origina dal sistema linfatico e si sviluppa prevalentemente nei linfonodi, l eziologia è ignota e solitamente si diffonde attraverso vasi linfatici interessando dapprima i linfonodi, la milza e infine le sedi extralinfatiche. Può diffondersi anche per via ematica, a sedi quali il tratto gastroenterico, il midollo osseo, la pelle, le vie aeree superiori ed altri organi; la frequenza con cui si sviluppa questo tumore ha due picchi, uno tra i venti e i quarant anni, l altro dopo i sessanta. I sintomi più frequenti sono un ingrossamento indolore dei linfonodi (di solito unilaterale), la febbre, i brividi, le sudorazioni notturne, la perdita di peso, il prurito, si possono avere poi altri diversi sintomi per quanto riguarda l interessamento polmonare, nell ostruzione della vena cava superiore o nel coinvolgimento del fegato e dell osso. La scelta del trattamento dipende dall estensione della malattia, dai reperti istopatologici e dagli indici pronostici. 37

38 I linfomi a cellule T, sono un gruppo di disordini linfoproliferativi, alcuni ad andamento indolente, o con coinvolgimento cutaneo, altri ad andamento aggressivo e interessamento sistemico. La maggior parte dei linfomi T periferici, deriva da linfociti T helper CD4+. All interno di questa categoria rientrano forme istologicamente eterogenee; in alcune gli elementi neoplastici sono commisti a un infiltrato infiammatorio, altre hanno un aspetto simile ai linfomi a grandi cellule B. in generale i linfomi a cellule T periferiche interessano l adulto o l anziano, sono neoplasie aggressive, che si presentano in stadio avanzato e possono avere interessamento nodale o extranodale. Questo tipo di linfoma esordisce con linfoadenopatia generalizzata, rush cutaneo, epatosplenomegalia e sintomi sistemici; ipergammaglobulinemia monoclonale, eosinofilia e anemia emolitica. Le cellule neoplastiche fanno apparire all esame citoflurimetrico i marcatori T CD4+ e CD57 e i marcatori B CD10 e BCL6, da questo si suppone che l origine del linfoma sia data dal linfocita T helper follicolare. La presentazione clinica dei linfomi T è varia. Il linfoma T epatosplenco presenta epatosplenomegalia massiva in assenza di coinvolgimento nodale. Il linfoma intestinale si presenta con localizzazioni intestinali che danno luogo a peritonite o perforazioni. Il linfoma sottocutaneo panniculitico si presenta con noduli sottocutanei di varia forma o dimensione distribuiti all estremità in assenza di coinvolgimento cutaneo. Altri linfom 38

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