ACCOMPAGNAMENTO ETICO E CONOSCENZA

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1 La cura del malato morente è un argomento strettamente legato all evento più importante della vita: la morte. Evento che riguarda tutti gli uomini indistintamente e ne investe tutti gli aspetti dell esistenza: psicologici, economici, sociali, etici e religiosi. Il tema del malato terminale porta, per forza di cose, a parlare dell evento finale della vita e la sua cura inevitabilmente ci porta a considerazioni che riguardano il malato, i familiari, il personale sanitario, le strutture e la società. L inaccettabilità della morte come evento in sé è un fenomeno ben noto e profondamente radicato nella natura umana. La società moderna e post moderna con il prevalere di valori consumistici e produttivi è contrassegnata dal rifiuto culturale della morte, dall ostracismo nei confronti dei suoi riti e della sua cultura, dall isolamento psicologico della famiglia in lutto e del paziente morente, e particolarmente nella società occidentale è accentuata la perdita della dimensione trascendente del fenomeno. Il concetto di uomo considerato assoluto padrone della propria vita fa diventare la morte un accadimento assurdo, la sofferenza, un fallimento inaccettabile. Ipocrisie, menzogne e segreti circondano la morte ed il morente, ridotto nella cattività dell ospedale, egoista e solo anche nel momento culmine Al naturale desiderio dell uomo di conoscere la natura della morte, le principali confessioni religiose hanno sempre fornito risposte variabili nei contenuti, ma che si collocano tutte su un piano trascendente: essa consiste nella separazione del principio spirituale (anima) dal corpo, e rappresenta il fine ultimo della vita terrena, poiché ne segna il passaggio alla vita ultraterrena ed eterna.

2 La società contemporanea, incapace di esprimere un immagine culturale della vita, conscia della morte e del morire, nasconde la morte e il morente nella struttura ospedaliera (con la grande scusa di una migliore assistenza medica al malato), sostanzialmente per sbarazzarsi di un peso psicologico ed emotivo. Così la morte, spogliata di senso, perde anche la sua natura di esperienza umana (totale, totalizzante, affettiva). Il valore espresso dalla società non è più quello della vita, ma quello della qualità della vita. Suscitano più di un motivo di riflessione vicende riguardanti persone molto anziane che, consapevolmente, si consegnano alla morte, rifiutando qualsiasi trattamento medico. Del resto la morte dei vecchi è tra tutte le morti quella più naturale. Resa naturale dalla vecchiaia: quando un vecchio muore è giusto, non ci si commuove più, non si avverte più la perdita significativa di un membro del gruppo.. La vecchiaia diventa solo la condizione che precede la morte. In questa visione invecchiare significa morire. E una morte lenta, insidiosa, che diviene pensiero costante e quotidiano per chi è consegnato in tale situazione. Per la famiglia la terminalità è una fase di preparazione al distacco oltre che di vicinanza psicologica al morente. Il più delle volte il malato chiede solo di avere una morte serena e dignitosa. Da numerosi studi sull argomento si può tentare una classifica dei desideri del malato terminale: 1) Lenire le sofferenze fisiche 2) Evitare inutili prolungamenti dell agonia 3) Possedere e mantenere il più possibile il controllo della propria vita 4) Proteggere le persone care dall oppressione di afflizioni inutili 5) Discutere del morire con gli intimi

3 Allora cosa fare? Come agire? Sono le domande più frequenti che dovrebbero porsi i famigliari, la società, il personale sanitario ACCOMPAGNAMENTO ETICO E CONOSCENZA P. Vespieren individua due vie alternative nella gestione della fase terminale: a) la via della "negazione" della morte e del tentativo di controllarla", b) la via dell'accompagnamento (spostare lo sforzo terapeutico dal "guarire" al "prendersi cura", restare vicini al malato, camminargli accanto, dandogli la possibilità di esprimere tutti i suoi sentimenti, quelli negativi in particolare) Occorre capire il malato terminale: di solito con i malati terminali si comunica a senso unico, impedendo loro di parlare perché potrebbero metterci di fronte a situazioni imbarazzanti e ci sfuggono due problematiche che siamo capaci, il più delle volte, di nascondere nell etica: a) il problema della "verità" in fase terminale; b) i bisogni spirituali del paziente terminale. Prima che con il malato terminale dovremmo essere in grado di confrontarci con la nostra morte Una presenza e un rapporto di aiuto al malato terminale ed ai suoi familiari è capace di dargli solamente chi (operatore sanitario, volontario o familiare), ha stabilito un rapporto in qualche modo sereno con la propria morte, chi l'ha integrata nella propria vita. La morte come nessun altra esperienza ci fa scoprire l unicità della vita L'istanza fondamentale dell' "accompagnamento esprime un concetto delle cure dove chi assiste impara a camminare accanto al malato terminale, bisogna imparare a capire che aiutatemi a

4 morire in certi casi può volere dire: calmate in ogni modo il mio dolore. Scrive Marie de Hennezel: «Raccontare la propria vita, prima di morire. Il racconto è un atto e per chi ha un autonomia spesso molto ridotta, quell atto assume tutta la sua importanza. C è un bisogno di dare forma alla vita, e di comunicare a qualcun altro questo processo che le conferisce un senso. Una volta concluso il racconto, la persona sembra in grado di mollare la presa e di morire Racconta una grande psichiatra: vi è mai capitata la fortuna di poter parlare o di poter ascoltare una novantasettenne, demente, fino alla morte considerata in geriatria deteriorata senza possibilità di reversibilità? Non riconosce spontaneamente i luoghi e le persone, neppure i figli. In certi momenti ha difficoltà a distinguere le fasi del giorno e della notte,. Ma.. però nel però, nel ma, bisogna cercare, perché è proprio lì che ci si nasconde tanto. Ma continua a stupire per la passione che dimostra di fronte alla bellezza di una forma, di un colore, di uno spettacolo relazionale umano o naturale. In questo modo, solo entrando in sintonia con il malato, può avvenire quell addomesticamento della morte, che fa sì che non si muoia come capita, perché non si sta al mondo come capita, perché non ci si rapporta come capita, ma ci si pone in ascolto dell altro, per fargli vivere da protagonista la sua esistenza, anche se all apparenza sembra non averne più il potere. Ma è possibile che una società al cui interno la morte continua ad essere "negata" esprima servizi assistenziali realmente accoglienti nei confronti del malato terminale? L istituzionalizzazione degli anziani è fenomeno quasi generalizzato in Italia, specie

5 nei casi in cui la persona molto vecchia, in fase avanzata di malattia, gravemente non autosufficiente, non può più essere accudita a casa, dalla famiglia, dai servizi domiciliari, dalla badante. Sono questi gli anziani che arrivano nelle strutture oggi e vi rimangono definitivamente fino alla morte. Qualcuno ha affermato: I vecchi lo sanno che quelli sono posti dove si va a morire. Siccome il tema delle cure di fine vita riguarda non soltanto l anziano, l adulto, ma anche il neonato, il bambino e l adolescente, con esigenze specifiche che devono essere riconosciute ed accompagnate, riscontriamo che esiste una diffusa impreparazione tra gli operatori ad individuare ed accogliere i bisogni sia del malato che della famiglia, soprattutto per quanto attiene gli aspetti relazionali Alle Università attraverso le diverse Facoltà e Corsi di Laurea nel curriculum formativo non vengono affrontate le problematiche connesse alle cure di fine vita e l inguaribilità viene percepita come fallimento della medicina contemporanea Se la vita è un valore in sé, se è libertà, deve assumere valenze positive, per il suo riferimento al valore della personalità; l armonizzazione dei due valori passa attraverso la ricostruzione non del diritto di morire ma del diritto di morire dignitosamente Ogni essere umano adulto sano di mente ha il diritto di determinare ciò che deve essere fatto al suo corpo. Nel diritto di ciascuno di disporre, lui e lui solo, della propria salute e integrità personale, non può che essere ricompreso il diritto di rifiutare le cure mediche, lasciando che la malattia segua il suo corso anche fino alle estreme conseguenze: il che non deve essere a ragione considerato come il riconoscimento di un diritto positivo al suicidio. La malattia al suo stadio terminale appartiene pienamente alla vita, ne è il suo ultimo atto.

6 Il prolungamento della vita non deve essere di per sè stesso il fine esclusivo della pratica medica, la quale deve altrettanto mirare ad alleviare le sofferenze, non avendo il medico il diritto di affrettare intenzionalmente il processo naturale della morte. MORTE MEDICO E PAZIENTE Il paziente non può chiedere nulla al medico che non sia a favore della vita e della salute ed il medico ha il dovere di non compiere nulla che vada contro di esse. La medicina ha il suo fondamento e la sua unica legittimazione nella cura della salute. Quando, esaurite le risorse della sua arte, il medico giunge alla convinzione che deve arrendersi alla morte, ciò non significa una sconfitta per la medicina, ma il riconoscimento della sua limitatezza. L'aspetto nuovo che oggi caratterizza il morire è il fatto che, in molte persone, il morire subisce un notevole "prolungamento", rischia così, sia per chi muore, sia per chi "assiste", di diventare una prova insopportabile. Persiste e sembra ormai una tendenza inarrestabile il fenomeno della ospedalizzazione del morire, risultato il più delle volte di una delega della società all'istituzione sanitaria. Se questo è il nuovo contesto in cui si vive oggi la fase terminale, un'adeguata riflessione che voglia indicare le condizioni etiche per morire degnamente deve approfondirne il significato e valutarne le conseguenze. Il primo significato è quello di "rimozione" (far scomparire dalla società ogni riferimento all'idea stessa della morte). Il secondo significato altrettanto importante è quello di "riduzione" (come se il fenomeno possa essere ridotto) ed allora si ha una sempre più accentuata medicalizzazione della morte: la morte asettica ospedaliera, allontana dalla società il morente e dalla coscienza di chi sopravvive il timore di non aver fatto

7 abbastanza per il congiunto, trattando il corpo come un insieme di organi, senza prestare attenzione all uomo che muore. L uomo ha sempre avuto bisogno di ritualizzare i momenti forti della vita: nascita, maggiore età, matrimonio, morte. Nel caso della malattia e della morte la funzione del rito aveva come scopo di alleviare il dolore all ammalato, fargli sentire l amore di Dio e dei familiari. Portare speranza. Il rito offriva a tutti strumenti per gestire un momento difficile della vita dell individuo. I riti cristiani in passato erano molto presenti nella fase terminale della vita: - visitare gli ammalati - unzione degli infermi - veglia funebre - rito funebre - portare il lutto Oggi si ricorre ai rituali chirurgici e rianimatori che si svolgono all insegna dell ostinazione terapeutica. Occuparsi del malato che la natura destina alla morte, non è più funzione della carità cristiana, ma compito istituzionale della medicina. Questa si allea volentieri con il desiderio soggettivo di immortalità e con i grandi temi della clonazione, dell eutanasia e dell accanimento terapeutico Solo un accettazione radicata e convinta del fenomeno morte nel proprio vissuto umano e professionale può mettere l operatore sanitario nelle condizioni di aiutare il paziente ed i suoi familiari a viverla e comprenderla nel modo corretto. L assistenza medica dovrebbe indirizzarsi alla difesa della vita e della salute dell uomo e, quindi, alla cura del malato, e non della malattia.

8 Nella CARTA DEI DIRITTI DEL MORENTE, elaborata dalla Fondazione Floriani nel 1997, vengono ben evidenziate le esigenze minimali che occorre soddisfare per curare un malato moriente costruire un alleanza tra equipe sanitaria e famiglia, facilitare il riconoscimento e la gestione delle emozioni di ciascuna persona coinvolta, accogliere le esigenze della persona morente con particolare attenzione ai bisogni specifici dei bambini e degli adolescenti favorendo l espressione dei loro desideri e delle loro volontà per le ultime fasi della vita fino alla cura e al trattamento della salma facilitare e sostenere le diverse forme di elaborazione del lutto nel pieno rispetto delle ritualità e delle culture di appartenenza del soggetto deceduto e della sua famiglia. Noi abbiamo nelle nostre Istituzioni esempi di come si può agire per venire incontro a quelle condizioni minime che permettono un adeguato ed efficace percorso di cure a domicilio per un paziente morente: - il desiderio di stare a casa propria da parte del paziente e dei familiari - la disponibilità di più di un caregiver - la disponibilità di accedere ad un servizio di cure esperto - la disponibilità economica della famiglia - il grado di disabilità del paziente - l adeguato controllo dei sintomi fisici Una delle soluzioni da praticare è l assistenza medica domiciliare, che consenta al morente di restare nel suo ambiente, tra i suoi affetti, con le sue abitudini..al fine di non lasciare il morente nella solitudine. Per essere facilitati, dovremmo rivedere tutto l apparato dell assistenza integrata ed analizzare bene i fattori che condizionano la scelta di assistere a domicilio: a. la promessa fatta al proprio caro di morire a casa

9 b. il desiderio del caregiver di avere il proprio caro morente in un ambiente dove si possa mantenere una vita normale c. il desiderio di evitare un assistenza istituzionalizzata (noi diremmo ospedalizzazione) Poco si conosce sul come i membri di una famiglia decidano di assumere il ruolo di caregiver nella situazione in cui un loro caro sia al termine della vita, anzi spesso negano i propri bisogni, concentrandosi solo sulle necessità del malato, non identificandosi come soggetti con legittime necessità di aiuto e non avvertono la necessità di avere aiuto dal sistema di cure. Risulta da molti studi che i caregivers spesso non si considerano come oggetto di intervento, cioè come soggetti che hanno bisogni assistenziali, anche per una sorta di meccanismo di protezione verso il malato, annichilendo le proprie sensazioni e necessità per rimanere ottimisti ( cioè positivi ) verso il paziente. Altra strada è quella delle residenze, dove però si corre il rischio di realizzare quella contraddizione che Sandro Spinsanti rinviene tra la miseria del morire in solitudine e la miseria di non avere lo spazio di solitudine necessario per morire. Il morire in solitudine non è tanto l essere materialmente abbandonati a se stessi, quanto il vivere in mezzo a gente indifferente che ha spezzato i ponti di contatto affettivo tra sé e il morente. Impedisce al morente di trovare quello spazio di solitudine di cui ha bisogno per riappropriarsi di sé, della sua esistenza in un momento solenne della vita, in ambienti spesso non idonei, (non rispettosi della riservatezza, che non qualificano lo spazio del vissuto in termini di rispetto, di padronanza, di determinazione,) che confinano dietro un paravento, separando artificialmente ciò che non deve essere guardato dagli altri, ma che è

10 in realtà violentato e banalizzato dalla inevitabile presenza di estranei. In questa configurazione degli spazi, il parente, già segnato dall imbarazzo della malattia e della morte, è reso più impacciato, si incattivisce, rinuncia a svolgere il proprio ruolo, abdicando a quella parte che gli appartiene in modo insostituibile, la vicinanza affettiva. Alle nostre residenze è conferita una sorta di delega ad accompagnare la morte. L hospice. È un luogo dove prevale la persona sulla malattia, dove è data rilevanza alla famiglia e dove l attenzione all accompagnamento alla morte, alla cura del morente, con il correlato delle cure palliative, è la base della filosofia assistenziale. Rimanere accanto al malato, dormire con lui, continuare ad accudirlo, il progetto di stare nella situazione di una malattia inguaribile, di una morte imminente, in cui si scatenano sentimenti naturali di paura, di angoscia, di rabbia. Il percorso di coinvolgimento di tutti, del paziente, del familiare e dell operatore, della stessa comunità.rischia di venir meno la compassione intesa come un lavorare insieme: la strada migliore per dare sollievo e accompagnamento, quello che dovrebbero fare la medicina e l assistenza sempre, se intende prendersi cura del malato e della sua famiglia. Si ritorna, inevitabilmente, alla relazione che è la sostanza professionale e umana del lavoro di cura. Dare spazio, assecondare non solo i bisogni, ma anche i desideri, ritualizzandoli nella loro significatività personale. Non può compiersi un atto assistenziale se non vi è un approccio educativo alla persona, anche quando questa non è più in grado di esprimersi, rimane comunque la responsabilità di una cura personale, attenta, anche se l altro sembra non esserci più come identità personale.

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