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1 Orbetello prima degli Etruschi Trascrizione della conferenza del professor Massimo Cardosa, Orbetello Introduzione In questo territorio quando si parla di archeologia si è soliti pensare subito agli etruschi e ai romani. L'importanza che hanno queste due culture, rappresentate da resti monumentali evidenti, fa sì che tutto quello che c'è stato prima sia un po' oscurato, nascosto da questi protagonisti. In realtà prima che in questo territorio compaiano gli etruschi esiste una storia lunghissima che dura decine, se non centinaia di migliaia di anni, altrettanto ricca e importante di quella etrusca e romana. In FIGURA 1 si può vedere, schematizzata in una ideale stratigrafia, come dalle ere più remote si finisca per giungere sino all'epoca etrusca: è possibile osservare che la parte etrusca è solo una stretta fascia azzurro scuro, rispetto a un nastro, la storia, molto più lungo che affonda le sue radici nel passato. Scendendo in profondità troviamo l'età del Ferro, ovvero il periodo immediatamente precedente all'arrivo degli etruschi, ancora prima l'età del Bronzo, fra il 2000 e il 1000 a.c.; poi l'eneolitico, quindi il Neolitico, fino ad arrivare alle FIGURA 1 fasi più antiche della storia: al Paleolitico, l Antica Età della Pietra, epoca in cui vissero i cosiddetti uomini primitivi, come si è soliti dire nel gergo popolare, che hanno anch'essi lasciato traccia nella storia di questo paese. Se noi, usando un altra immagine simbolica (FIGURA 2), illustrassimo con la figura ideale di un mattoncino l epoca etrusca e proporzionalmente altri mattoncini per i secoli che ne precedono lo sviluppo, risulta immediatamente comprensibile che per un mattoncino azzurro di storia etrusca esistono decine di mattoni che rappresentano tutte le fasi precedenti, fino ad arrivare alle più remote fasi della preistoria. FIGURA 2 Tra il sasso trovato nella grotta di Settecannelle, vicino Ischia di Castro, graffito nel Paleolitico Superiore con la figura di un bovino (FIGURE 3 e 4), e il pettine d avorio che viene dalla necropoli etrusca di Marsiliana, trascorrono circa 15mila anni di storia, tutti rappresentati in questo territorio. In FIGURA 5 sono indicati, in maniera schematica, le località e siti che nella fascia costiera di questa zona hanno restituito materiali di epoca preetrusca, quindi preistorici. E evidente come siano piuttosto numerosi, soprattutto sull'area che gravita intorno al territorio di Talamone e intorno alla laguna di Orbetello. FIGURA 3 i FIGURA 4

2 FIGURA 5 La morfologia di questo territorio costiero è molto diversa da come era anche solo all'epoca degli Etruschi. Oggi esiste una sola laguna, quella di Orbetello, ma originariamente, ve ne erano anche altre: c'era una laguna nell'entroterra di Talamone, un altra tra foce dell'osa e quella dell'albegna e una terza, ancora più grande, si estendeva dalla base del promontorio di Ansedonia fin quasi alla foce del Fiora. Sono tutte lagune che poi nel corso del tempo si sarebbero impaludate, e che saranno definitivamente bonificate e interrate negli anni Cinquanta del XX secolo; nella preistoria e ancora in epoca etrusca e parte dell'epoca romana erano invece bacini lagunari analoghi a quello di Orbetello. Nella foto aerea della laguna, in FIGURA 6, sono visualizzati i siti principali di epoca pre-etrusca, di epoca pre-protostorica che interessano questo territorio. FIGURA 6

3 Monte Argentario: una montagna al centro di una grande pianura Il più antico sito archeologico di questo territorio, per quanto ne sappiamo oggi, è la grotta di Cala dei Santi. Questa si trova a breve distanza da Porto Ercole e oggi è affacciata sul mare, così per arrivarci è necessario usare una barca (FIGURA 7); ma originariamente, quando era popolata nel Paleolitico medio, cioè fra 90mila e 35mila anni fa, il paesaggio era completamente diverso. Il livello del mare era molto più basso e il Monte Argentario era una montagna in mezzo ad una grande pianura: la grotta vi si affacciava. E' qui che da alcuni anni l'università di Siena sta facendo degli scavi FIGURA 7 riprendendo vecchissime indagini. In realtà la presenza dell'uomo primitivo in questa grotta è nota già dalla metà dell'ottocento. Erano stati fatti saggi di scavo e recuperi di materiali archeologici: utensili paleolitici, ma anche frammenti dell'età del Bronzo, quindi di epoca nettamente più tarda. Poi il tutto è stato un po' dimenticato, finché, appunto, l Università di Siena, qualche anno fa, non ha deciso di riprendere le indagini. Il nome di Cala dei Santi è dovuto alle stalattiti che decoravano questa grotta e che oggi sono in numero molto minore rispetto al passato: alcune di queste sembravano possedere l'aspetto di figure umane, quindi, nella fantasia popolare, di santi (FIGURA 8). Purtroppo "turisti", appassionati, ricercatori, vandali di ogni tipo nel corso del tempo si sono portati via come ricordo pezzi e frammenti delle stalattiti, cosicché oggi non cogliamo più la suggestione che la grotta doveva ispirare a coloro che le hanno dato il nome. Qui sono state trovate tracce di stanziamenti di epoca paleolitica: focolari, deposizioni di crani e di ossa, utensili di selce attribuibili all'uomo di Neanderthal. Questa era una specie umana, per così dire, alternativa all'homo Sapiens da cui poi sarebbe disceso l uomo moderno, e aveva una sua cultura, una sua conformazione fisica diversa da quella dell'homo Sapiens. Alcuni suoi rappresentanti hanno abitato nella grotta di Cala dei Santi. E' interessante ricordare come all'uomo di Neanderthal (FIGURA 9) siano associate le prime manifestazioni di spiritualità da parte FIGURA 8 dell'umanità e i primi segni di devozione verso i morti: sepolture accompagnate da "corredi", oggetti deposti al fianco del defunto, compaiono proprio in questa fase e ci dimostrano che già decine di migliaia di anni fa l'uomo pure essendo "primitivo" e utilizzando semplici pietre scheggiate per FIGURA 9 vivere, aveva già un suo mondo spirituale, onorando i suoi morti e possiamo ipotizzare che forse, in qualche modo, immaginasse una vita per il defunto al di là di quella terrena. Scendendo nel Paleolitico Superiore e posizionandoci quindi fra 15mila e 10mila anni fa, risultati molto interessanti sono scaturiti proprio dai lavori che abbiamo condotto con il progetto Paesaggi d'acque. Il nostro progetto prevedeva la ricognizione e lo studio di tutto il territorio gravitante intorno alla laguna di Orbetello e in occasione di questi lavori, inaspettatamente da molti punti di vista, abbiamo trovato moltissimi affioramenti di utensili di selce intorno alla laguna di Orbetello. Soprattutto nella piana verso l'albegna e nel versante

4 dell'argentario che guarda la laguna. Nel periodo in cui l'unico prodotto, diciamo così, che l'uomo riesce a realizzare sono semplicemente degli utensili di pietra (o meglio di selce), questa zona risulta essere fittamente popolata. L'uomo scopre il metallo Abbiamo detto come nel Paleolitico Medio l'argentario fosse una montagna circondata dalla pianura, perché il livello del mare era molto più basso. Successivamente, è difficile datare con precisione il momento, il livello del mare gradualmente si alza e si avvicina alla quota che ha ancora oggi: ecco quindi che il paesaggio cambia completamente. La laguna di Orbetello fra i seimila e i quattromila anni fa non esisteva, il Monte Argentario era un'isola e l'unica propaggine che si allungava nel mare era l'istmo dove poi sorgerà Orbetello. Seimila anni fa, il che vuol dire fra il 4000 e il 2000 a.c. per noi archeologi è l'eneolitico, cioè l'età del Rame, il periodo in cui gli uomini scoprono il primo metallo. Si tratta del rame, appunto, perchè è il metallo che fonde alla temperatura più bassa, caratteristica fondamentale in un epoca primitiva in cui ottenere alte temperature è molto difficile. Le tracce di questa epoca sono piuttosto limitate, abbiamo trovato alcuni frammenti affioranti nella zona di Terrarossa che è una delle zone di più alta concentrazione quanto a presenza umana nell'antichità in tutto il Monte Argentario. Purtroppo è anche una delle zone dove la lottizzazione e l'urbanizzazione sono più avanzate rispetto al resto del promontorio. Alcuni frammenti sono stati recuperati proprio nei cantieri di costruzione di una casa. Ma le tracce più interessanti vengono da un luogo molto vicino a Terrarossa e cioè Punta degli Stretti dove c'è l omonima grotta identificata nell'ottocento durante i lavori per la realizzazione della ferrovia Orbetello - Porto Santo Stefano (FIGURE 10 e 11). All'interno della grotta propriamente detta non vi sono prove che siano state rinvenute tracce della presenza umana, tuttavia ne sono state trovate nell'area immediatamente circostante. In particolare i primi rinvenimenti importanti sono avvenuti in occasione della realizzazione della galleria dove doveva passare la ferrovia. FIGURA 10 Tagliando la roccia in corrispondenza di Punta degli Stretti sono state intercettate delle fratture all'interno delle quali sono state trovate ossa umane, vasi interi e punte di freccia in selce (figura 12), materiali databili intorno al 2000 a.c., tra la fine dell'eneolitico e l'inizio del Bronzo Antico, momento in cui le persone che abitavano a Punta degli Stretti evidentemente seppellivano i loro morti in vicinanza di questa grotta, all'interno di queste fratture. E' questo il sito più famoso, ma non è l'unica grotta esistente, ce ne sono FIGURA 12 diverse in quella zona e un po' tutte hanno restituito tracce di una presenza nelle fasi più antiche dell'età del Bronzo. FIGURA 11

5 FIGURA 12 Un'altra località che ha restituito tracce di occupazione dello stesso periodo è il Grottino di Ansedonia (FIGURA 12). Si tratta, ancora una volta, di una cavità naturale sul fianco della collina di Ansedonia, in corrispondenza del canale artificiale che unisce la laguna al mare tagliando il tombolo di Feniglia (FIGURA 13). Proprio sulla riva di questo canale si apre una grotta che è stata esplorata negli anni cinquanta da Ferrante Rittatore Vonwiller, un importante archeologo cui si deve la scoperta di numerosi importanti siti archeologici in tutta la valle del Fiora. Anche in questa grotta sono state trovate tracce di deposizioni, vasi e ossa, sempre riferibili a circa quattromila anni fa, tra Eneolitico e inizio dell'età del Bronzo. Quello della frequentazione delle grotte è un fenomeno tipico di tutta questa zona, ne conosciamo molte in particolare nel comune di Ischia di Castro, ed erano FIGURA 13 probabilmente sia luoghi di sepoltura per i morti sia luoghi di attività cultuali. Ce n'è una molto importante nel comune di Capalbio, nella tenuta di Capita, in località Sassi Neri; si tratta di una grotta che mostra una frequentazione testimoniata, ancora una volta, da ossa umane, vasi e punte di selce, sempre databili allo stesso periodo, tra l'eneolitico e l'inizio dell'età del Bronzo. In questo stessa età, circa quattromila anni fa, comincia la formazione dei tomboli che chiuderanno poi la laguna di Orbetello e uniranno il Monte Argentario alla terra ferma. Purtroppo i geologi, i quali hanno la consuetudine di ragionare per epoche che durano centinaia di migliaia di anni, non sono in grado di precisare con esattezza quando si siano esattamente formati i tomboli, indicando un arco di tempo molto ampio compreso tra quattromila e quattrocento anni da oggi. Facendo riferimento allo scavo attualmente in corso ad Ansedonia, per quanto è dato capirne allo stato attuale dei fatti, sembra che il tombolo della Feniglia venga occupato stabilmente per la prima volta nell'età del Ferro, quindi nell'ottavo secolo a.c., mentre il tombolo di Giannella più tardi, in epoca etrusca tarda, nel IV secolo a.c. Ovviamente significa che in quest'epoca i tomboli erano ben formati e solidi, FIGURA 15

6 ma il processo di formazione deve essere iniziato molto prima, nel corso dei secoli precedenti, probabilmente proprio con l'età del Bronzo. Il fenomeno dell uso delle grotte a scopo rituale e funerario, continua per tutte le successive, iniziali fasi dell'età del Bronzo, fasi che ci hanno restituito diverse presenze nell'area intorno alla laguna di Orbetello. Ancora le grotte nella zona di Punta degli Stretti e in particolare nell area del Residence Mascherino. Purtroppo si tratta quasi sempre di recuperi fatti da appassionati di un gruppo archeologico locale che, facendo gite in campagna, oppure andando a mettere il naso nei cantieri in occasione dei lavori edili, ha potuto raccogliere alcuni materiali, consegnandoli poi alla Soprintendenza e al Museo di Orbetello; è stato così possibile recuperare informazioni su una presenza umana nelle prime fasi dell età del bronzo (FIGURA 16)che altrimenti sarebbero andate FIGURA 16 irrimediabilmente perdute. Un altro insediamento molto interessante è Casale Brancazzi. Si tratta di una situazione geologicamente molto diversa: sull'argentario siamo all'interno di un complesso di grotte mentre a Casale Brancazzi siamo in corrispondenza di una duna costiera, tra la laguna di Orbetello e la foce dell'albegna (FIGURA 16). Anche in questo caso la scoperta è avvenuta fortuitamente: il proprietario del terreno aveva deciso di spianare la duna per gestire meglio l area; fortunatamente alcuni orbetellani, appassionati alla storia della loro terra, hanno segnalato che da questa duna usciva FIGURA 16 materiale archeologico, così i lavori sono stati sospesi e si è potuto recuperare parte del materiale. La duna ha restituito tracce di una frequentazione durante la Media Età del Bronzo, ma ha avuto poi anche una rioccupazione in epoca romana, con una vicenda storica piuttosto interessante. Come è possibile verificare in FIGURA 17 si tratta di materiale molto frammentario; purtroppo, solo eccezionalmente si sono potuti recuperare materiali pre- o protostorici durante regolari scavi di tipo archeologico: il più delle volte si tratta del risultato un po' del caso e un po' della buona volontà FIGURA 17 della gente del posto, che ha saputo salvare il salvabile di fronte a interventi distruttivi di varia natura. D'altra parte i resti preistorici sono poco appariscenti: è facile farli sparire velocemente, ma sono anche difficili da vedere, per un occhio non esperto.

7 Boom demografico Alla fine dell'età del Bronzo, fra dodicesimo e decimo secolo a.c., in tutto il territorio il comprensorio delle valli del Fiora e dell'albegna, si assiste a un vero e proprio boom demografico (FIGURA 18): aumenta rapidamente il numero degli insediamenti, che progressivamente, inoltre, diventano più grandi e si vanno a collocare in posizioni ben precise e definite. Mentre fino questo momento era possibile identificare la presenza di gruppi di capanne, piuttosto che estesi villaggi, un FIGURA 18 po' in tutte le situazioni morfologiche, cioè tanto sulla riva della laguna, quanto in cima alla montagna, nelle valli, sulle colline, sui declivi etc. a un certo punto, alla fine dell età del bronzo, sembra di assistere a una sorta di riorganizzazione del territorio: i villaggi si vanno a collocare tutti su alture ben delimitate e facilmente difendibili. Possiamo immaginare che alla base di queste scelte, come in epoca etrusca o nel medioevo, ci fosse il bisogno di difendersi dai vicini, una situazione che si riscontra più o meno in tutta la valle del Fiora e dell'albegna. Nella fascia costiera gli insediamenti più importanti sono nella zona tra Punta degli Stretti e Terrarossa, nella zona di Talamonaccio e sul poggio di Capalbiaccio. In particolare i due insediamenti più antichi e canonici secondo il modello menzionato che sono proprio Talamonaccio (FIGURA 19) e Capalbiaccio (FIGURA 20). FIGURA 19 FIGURA 20 Si tratta di alture in posizione dominante sulla piana costiera, da cui è possibile controllare per largo raggio il territorio. Sono tutti indizi di forme di controllo e strutturazione del territorio, rivelatori di organizzazioni complesse della società. D'altra parte siamo tra l undicesimo e il decimo secolo a.c., subito prima dell'inizio della cultura etrusca: gli Etruschi non spuntano dal nulla, ma sono il frutto di una lenta e progressiva evoluzione delle società durante l'età del Bronzo, che raggiunge il culmine proprio durante il Bronzo Finale. I primi rinvenimenti di questa fase del Bronzo Finale sono avvenuti durante gli scavi del tempio di Talamonaccio: sotto le fondazioni del tempio etrusco sono stati trovati alcuni buchi di palo scavati nella roccia, tracce delle capanne di un insediamento più antico che possiamo datare proprio intorno all'xi secolo. Ovviamente il paesaggio che si vedeva allora non era come quello fotografato FIGURA 21 in FIGURA 21 dal momento che ai piedi del colle non c'era un ampia pianura: il promontorio di Talamonaccio era infatti sostanzialmente una montagna tra due lagune: una sul lato della piana di Campo Regio e una sul lato del golfo di Talamone.

8 Una posizione privilegiata, dal momento che, oltre che ricche di pesce, le lagune erano anche comodi approdi per le navi dell epoca. In FIGURA 22 viene mostrata un'esemplificazione dei materiali recuperati nel corso degli scavi del tempio di Talamonaccio che ci permettono di datare l'insediamento appunto alla fine dell'età del Bronzo. L'importanza del mito: gli Argonauti, i Pelasgi Talamone è famosa anche nella leggenda, FIGURA 22 attraverso il mito degli Argonauti: Giasone, alla testa dei più famosi eroi della Grecia, parte dalla Tessaglia con la nave Argo e si dirige verso la lontana Colchide, nel Mar Nero, alla ricerca del mitico Vello d'oro. Con una serie di stratagemmi riesce a rubarlo, ma il suo rientro in patria è molto travagliato. Secondo il mito, come si vede sulla cartina in FIGURA 23 in cui è tratteggiato il percorso, gli Argonauti arrivano alla foce del Danubio, lo risalgono, quindi passano nel Po, poi nel Rodano per arrivare alla fine al Mar Tirreno; attraverso questo, dopo ulteriori travagli, riescono ad approdare infine in Grecia. Passando lungo il Tirreno lasciano le proprie tracce anche in Etruria: sull'isola d'elba e sul promontorio di Talamone. Secondo le fonti antiche, infatti, il colle di Talamonaccio (FIGURA 24) non sarebbe altro che il tumulo FIGURA 23 della tomba di Telamone (Τελαμών), il timoniere della nave Argo, che sarebbe morto al largo della costa etrusca e qui sepolto dai suoi compagni. Lo specchio etrusco in figura, (FIGURA 25) che proviene da Montefiascone, rappresenta, come si legge nella scritta che è al centro, proprio Telamone, a testimonianza del fatto che anche gli Etruschi conoscevano questo personaggio, che è dunque non solo un mito greco, e lo FIGURA 24 rappresentavano sui loro oggetti. FIGURA 25

9 Talamone e Capalbiaccio sono i due insediamenti noti per quel che riguarda l'xi secolo a.c. in questa zona. Ne esistono però altri due che hanno caratteristiche un po' diverse: uno è alla puntata di Fonteblanda, cioè alla base della collina di Talamonaccio e l'altro è a Punta degli Stretti, sulla riva della laguna. Due situazioni assolutamente diverse; nel Bronzo Finale solitamente gli abitati si andavano a disporre sulle alture, in luoghi facilmente difendibili etc.; invece ecco che queste due sedi sono posizionate in luoghi completamente diversi, sulla riva di due lagune, una quella di Talamone, l'altra di Orbetello. I materiali restituiti da questi due insediamenti sono però di un Bronzo Finale particolarmente avanzato, un po più recenti rispetto a quelli che troviamo sulla collina di Talamonaccio e sulla collina di Capalbiaccio. La cosa è molto interessante perché in questo stesso periodo, siamo ormai nella seconda metà del X secolo a.c., anche nei territori dell'interno, nella valle del Fiora e dell'albegna si assiste a fenomeni particolari: sembrerebbe che pian piano gli insediamenti si spopolino e con la fine del X secolo siano completamente abbandonati. Mentre quindi nei territori interni vengono abbandonate alcune sedi, ne vengono fondate di nuove sulla costa, appunto, la puntata di Fonteblanda e Punta degli Stretti. Questo cosa significa? Prima di tutto dove va tutta questa gente? Stanno abbandonando i loro villaggi, ma non è che scompaiano. I materiali più tardi che troviamo in questi piccoli insediamenti abbandonati, sono infatti uguali ai manufatti più antichi che sono stati rinvenuti sul pianoro della città di Vulci e nelle altre città etrusche. Oltre a quelle di abitato ci sono anche testimonianze di carattere funerario, a Terrarossa. Si tratta di due urne cinerarie (FIGURA 26); infatti nel Bronzo Finale vigeva l'incinerazione: il morto veniva bruciato e le ceneri raccolte in vasi come questi, molto simili a quelli più tardi di epoca villanoviana, ovvero della più antica fase della cultura etrusca [#immagine#]. Non sappiamo se questa sia la necropoli relativa all'abitato di Punta degli Stretti, che tutto sommato non è molto distante da Terrarossa, oppure se è FIGURA 26 relativa ad un altro abitato nascosto nelle collinette che ci sono in quei dintorni e che ancora deve essere scoperto. Tornando alle vicende degli abitati, è appunto in questo periodo terminale dell'età del Bronzo che tutti gli insediamenti vengono abbandonati e contemporaneamente nasce Vulci: i materiali più recenti che troviamo negli insediamenti abbandonati sono uguali a quelli più antichi che troviamo a Vulci. Quindi è chiaro cos'è che accade: la popolazione decide lasciare i piccoli insediamenti sparsi nel territorio per convergere a formare la città di Vulci che, d'altra parte, ha caratteristiche simili ma in grande, molto in grande, rispetto ai piccoli villaggi dell'età del Bronzo. Questi si dispongono su piccoli pianori o su alture di limitata superficie, che vanno da un ettaro e mezzo fino ai cinque ettari di estensione e i più grandi, ma sono molto pochi, arrivano a dieci FIGURA 27

10 ettari: Vulci arriva a oltre centoventi ettari, un estensione proporzionale alla somma dell area di tutti gli insediamenti presenti nel territorio. Nella FIGURA 28 si vede una planimetria che illustra l'area occupata dall'insediamento nell'età del Ferro che è più grande di quella occupata in epoca etrusca più tarda, perché successivamente, tra V e IV secolo a.c., la parte più occidentale dell abitato, divisa dal resto del pianoro da una strozzatura, verrà abbandonata ed esclusa dal nuovo circuito delle mura. Un insediamento grandissimo che rende onore al fitto popolamento della valle del Fiora nel periodo immediatamente precedente, ma che, al contrario, con la prima età del ferro appare spopolata. Anche in questa occasione è possibile richiamare un mito: quello dei Pelasgi. Occorre sottolineare di nuovo cosa rappresentavano i miti per gli antichi. Per quel che ci FIGURA 28 riguarda, oggi siamo soliti considerare i miti come racconti, leggende, invenzioni di fantasia che servono per divertire o, al limite, per istruire la gente da un punto di vista morale, per dare degli esempi; ma in definitiva per noi non si tratta di vicende reali, di storia. Cosa che invece era per gli antichi: loro ci credevano veramente. Quando parlavano della guerra di Troia credevano sul serio che ci fosse stato un sovrano che si chiamava Ulisse che era andato in quella città a costruire un cavallo di legno e successivamente non era più riuscito a tornare a casa. In effetti i miti costituiscono i contenitori nei quali gli antichi nascondevano i ricordi del proprio passato. Noi moderni oggi non riusciamo, purtroppo, leggendo un mito, a distinguere quale sia la realtà storica che si cela fra le sue righe, se non in casi eccezionali. Confrontando il racconto mitico con ciò che troviamo negli scavi però possiamo riuscire a ricostruire quale può essere stata la realtà storica celata in un mito, ovvero riconoscere quale ricordo autentico, dei greci antichi o degli etruschi, si è trasmesso a noi. In questo quadro risulta molto interessante la leggenda dei Pelasgi. Secondo le fonti antiche, greche e latine, questa popolazione mitica sarebbe partita dalla Grecia, approdata alla foce del Po, nella Pianura Padana, per poi scendere in Etruria scavalcando l'appennino e occupandola completamente. I Greci riconoscevano che i Pelasgi avevano occupato l Etruria subito prima degli Etruschi. Non sono altrettanto chiari circa il rapporto tra le due popolazioni: alcune fonti ci dicono che erano la stessa cosa e cioè che i Pelasgi erano gli Etruschi medesimi; altre invece che erano una popolazione diversa che gli Etruschi avrebbero in seguito sostituito. E' interessante quanto riportato da alcune fonti che, a proposito della fine dei Pelasgi, parlano di una situazione di disordine politico e sociale, con la popolazione che si rivolta contro la sua classe dirigente e inizia ad abbandonare i villaggi, per espatriare altrove. Non possiamo presumere che in questo racconto sia riferito esattamente ciò che era avvenuto alla fine dell'età del Bronzo, ma è interessante il fatto che anche i Greci dicevano che subito prima degli Etruschi ci fosse una popolazione che aveva abbandonato i propri villaggi: se andiamo a consultare il versante archeologico della vicenda ci accorgiamo che effettivamente alla fine dell'età del Bronzo c'è della gente che abbandona le proprie case. Un altro elemento archeologico ci riporta al contesto mitico dei Pelasgi: alla fine dell'età del Bronzo possiamo riconoscere in modo chiaro la presenza di un ceto dominante, anche per la fattura particolare di certe abitazioni e di certe tombe: mentre nella primissima fase dell'età del Ferro abbiamo una apparente uguaglianza di tutte le tombe, anche se durerà poco: già alla fine dell'età del Ferro ci sono corredi che si distinguono dagli altri (ricchi e poveri sono esistiti sempre, anche nell'età del Ferro). E' quindi interessante constatare che in parallelo con quel che ci racconta il mito, si verifica in Etruria un esodo dai villaggi e un cambio della struttura sociale.

11 In FIGURA 29 sono mostrate le mura di Orbetello e in FIGURA 30 le mura di Saturnia. Perché? Perchè nella tradizione storica, a partire dal XIX secolo, si è sempre detto che queste raffigurate sono mura pelasgiche. Discorso che ha una motivazione ben individuata: sull'acropoli di Atene c'è un muro molto antico, di epoca micenea, che i Greci tramandano fosse stato costruito dai Pelasgi. Era il Pelargikon (Πελασγικόν). Fin dall'ottocento questo tipo di struttura era stata FIGURA 29 associata a queste popolazioni arcaiche per il motivo che sembrava antichissimo, ma senza che ci fossero dei dati effettivi per poterlo affermare. Saturnia era una città pelasgica, ce lo dicono le fonti, dunque sembrava logico dire che le sue mura fossero pelasgiche e che i Pelasgi fossero anche a Orbetello, visto che vi si riscontrava lo stesso tipo di mura. In realtà forse nella zona di Orbetello potevano anche esserci i Pelasgi, ma le mura non sono pelasgiche: oggi sappiamo che questo tipo di muratura è FIGURA 30 tipico di epoca romana. Neanche etrusca: epoca tardo-ellenistica, romana. Le mura di Saturnia sono sicuramente romane, su quelle di Orbetello invece è ancora aperto il confronto: alcuni archeologi ne collocano la costruzione ancora alla fine dell'epoca etrusca, altri nella prima epoca romana, proprio al momento della conquista del territorio. Sicuramente non sono preistoriche, come non lo sono le mura di Saturnia. Vasi rotti: le olle ad impasto rossiccio In conclusione tutti i villaggi del territorio vengono abbandonati, nasce Vulci ma la costa ancora una volta risulta un'eccezione: qui, in controtendenza rispetto al resto del territorio, ci sono quasi più insediamenti di quanti non ce ne fossero mai stati in precedenza. Nella FIGURA 31 risulta evidente: uno, il più importante, è in corrispondenza della foce del Chiarone, a Pescia Romana, dove si situava sicuramente uno dei porti della città di Vulci, affacciato sulla laguna vulcente, e sono diversi i materiali della prima età del ferro che sono stati restituiti, tra i quali alcuni pezzi FIGURA 31

12 molto prestigiosi, importati dalla Grecia. Come il vaso in FIGURA 32 che si può ammirare esposto al museo archeologico di Grosseto. D'altra parte è il porto di una delle città più importanti dell'etruria come Vulci e dunque qui affluiscono merci da tutto il Mediterraneo, già in questa fase così antica. Gli altri, invece, sono piccoli insediamenti sparsi in tutte le lagune del circondario. Uno piccolo è stato localizzato in località Torba attraverso un resto di fondo di capanna risparmiato sul fianco di una strada; nei pressi in passato era stata rinvenuta una piccola necropoli; bisogna tenere presente che per quasi tutto quello cui ci si sta riferendo qui, a parte lo scavo in Feniglia, i ritrovamenti sono avvenuti in maniera fortunosa. O piccoli scavi della Soprintendenza in occasione di emergenze: sbancamenti, acquedotti, strade, costruzioni edili etc... Ma anche recuperi di appassionati locali, in campagna. Quello di Feniglia e adesso quello della grotta di Cala dei Santi sono gli unici due scavi regolari che sono stati fatti in siti preistorici in questo territorio. Di insediamenti cosiddetti ad olle d impasto rossiccio, siti cioè dove si trovano delle enormi quantità di vasi rotti tutti uguali, fatti di un impasto rosso ben cotto, ne sono stati reperiti due alla Feniglia, FIGURA 32 alle due estremità del tombolo, e almeno altri due sulla laguna di Talamone. Probabilmente altri ce ne saranno nascosti dai detriti dell'albegna oppure dagli apporti delle bonifiche che hanno ovviamente trasformato il territorio. Siti di questa natura, caratterizzati da un'enorme quantità di vasi, sono presenti in tutta la costa etrusca, non solo nella Costa d'argento: i vasi, con corpo ovoide, molto semplici, immaginiamo potessero essere legati allo sfruttamento delle risorse marine; proprio perchè i siti sono collocati tutti lungo la costa, in figura [#immagine#] si vedono i due della Feniglia. FIGURA 33 L'insediamento posto sul versante del Monte Argentario non è esplorabile, perchè sepolto sotto due metri di sabbia, oltre le dune che lo nascondono; al contrario è stato possibile esplorare il sito posto nell'estremità opposta del tombolo, sotto Ansedonia, perché non c'è stato alcun importante apporto di sedimenti tra l antichità ed oggi. Ecco in FIGURA 33 visualizzati i punti nei quali sono situate le due emergenze. In rosso, nella FIGURA 34, è evidenziata approssimativamente estensione dell'insediamento o meglio, l'area in cui è presente in superficie materiale di quest'epoca. FIGURA 34

13 Non si può escludere che nascosto ce ne sia altro e per questo l'area di interesse sia molto più grande. Si vede in FIGURA 35 l'aspetto della zona prima dello scavo e sul terreno alcuni cocci rossi affioranti, che ad un profano non hanno nulla da dire, mentre l'occhio dell'addetto ai lavori che ha avuto occasione di intercettarli è stato immediatamente indirizzato verso la protostoria. Di primo acchito non è stato possibile determinare se si trattasse dell'età del Ferro o dell'età del Bronzo, per capirlo è stato necessario iniziare uno scavo, ma le tracce individuate erano prova sicura della presenza di qualcosa di importante e interessante. In FIGURA 36 il grande mucchio di cocci: cinque metri di estensione per un metro e mezzo di altezza, una enorme quantità di materiale che era stato depositato in un avvallamento nei pressi della fornace. Il significato di questi insediamenti risiede di sicuro nello sfruttamento delle risorse dell'acqua marina dunque o per conservare pesce FIGURA 35 o per produrre sale. Per quel che riguarda quest'ultimo caso, l operazione sarebbe avvenuta secondo una tecnica di produzione che noi archeologi conosciamo per altre latitudini, in Europa Centrale: la Francia, il mondo celtico, luoghi dove non c'è il sole del mediterraneo. Il sale viene prodotto facendo bollire in continuazione l'acqua del mare fino a lasciare all'interno del vaso una crosta di sale che poi viene tolta. La domanda è: perché nel FIGURA 36 momento in cui tutti si sono andati a concentrare a Vulci sono nati nuovi villaggi lungo la costa? Il motivo è che tanta gente riunita per la prima volta in un unico posto richiedeva delle riserve alimentari notevoli; non bastavano più i prodotti dei campi, che comunque erano estesi e fertili intorno a Vulci, del resto da sempre celebre anche per questo motivo; c'era necessità di risorse aggiuntive che il mare poteva offrire. Possiamo affermare che in deroga alla regola secondo la quale tutti dovevano stare nella stessa città, Vulci, nascono insediamenti di questo tipo probabilmente di natura provvisoria, stagionale, in occasione della produzione di sale. Era necessario approvvigionarsi di sale e di pesce, quest'ultimo in quanto risorsa aggiuntiva rispetto alla carne e ai prodotti agricoli ricavati dal territorio. Il sale aveva la funzione di conservare le riserve accumulate per sfamare una popolazione divenuta di notevole entità. L'insediamento in questione ha termine alla fine dell'viii secolo, quando nascono Orbetello, Marsiliana, rinasce Talamonaccio e dunque ha inizio la cultura etrusca così come la conosciamo oggi. Massimo Cardosa ---

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