Contenimento dei danni: decisioni per la prevenzione e il trattamento dell ictus acuto CME

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1 Contenimento dei danni: decisioni per la prevenzione e il trattamento dell ictus acuto CME PARTE I. INTRODUZIONE DEL DOTT. ALBERS/PRESENTAZIONE DELLA DOTT.SSA ROST Gregory W. Albers, MD: Buona sera e benvenuti. Mi chiamo Greg Albers e lavoro allo Stanford Stroke Center della Stanford University di Stanford, California, U.S.A. Sono felice di potervi dare il benvenuto e di notare che così tante persone, dopo una giornata impegnativa all European Stroke Conference, sono ancora disposte a ricevere altre informazioni. Il programma di questa sera è eccezionale e sono previsti interventi di grandi esperti. Come avrete potuto vedere, si intitola Contenimento dei danni: decisioni per la prevenzione e il trattamento dell ictus acuto. Natalia S. Rost, MD, MPH: È per me un grandissimo piacere aprire questa serata a nome dei colleghi del gruppo TIMI (Trombolisi e Infarto del Miocardio). Ringrazio gli organizzatori di questo convegno per il loro gentile invito, e per avermi dato la possibilità di condividere con voi i risultati dei recenti studi sui NOAC e le mie considerazioni sulla prevenzione e il trattamento dell ictus acuto. Ho avuto il piacere di lavorare con il gruppo TIMI presso il Brigham and Women s Hospital e l Harvard Medical School di Boston, Massachusetts, come giudice del comitato eventi clinici per lo studio ENGAGE AF-TIMI 48 e in molte altre ricerche svolte in collaborazione con il gruppo TIMI.

2 Questa sera sono lieta di non dover sprecare troppo tempo a presentarvi il concetto di rischio di ictus nella fibrillazione atriale. Come ben sapete, la fibrillazione atriale è una delle epidemie più recenti che colpisce la popolazione anziana di tutto il mondo: il 2% degli americani e degli europei ha un attuale diagnosi di FA, il che si riflette effettivamente sulla prevalenza, segnalata al 4% a livello mondiale. A tutt oggi, la FA è diagnosticata in 6 milioni di europei e 2,3 milioni di americani, ma si prevede che nei prossimi 50 anni queste cifre raddoppieranno, raggiungendo i 16 milioni in America e i 12 milioni in Europa. Questo aumento è da attribuire a un aumento del tasso di sopravvivenza a seguito di infarto del miocardio, all aumento globale della speranza di vita in tutto il mondo e al cosiddetto ingrigimento della popolazione. Come sanno quelli tra voi che hanno a che fare con l ictus, nei pazienti con cardioembolia causata da FA il rischio di ictus è davvero alto rispetto a tutti gli altri tipi di ictus in alcuni casi addirittura 5 volte maggiore e gli esiti per questi tipi di ictus sono decisamente i peggiori. Sapendo che la FA è la causa principale dell ictus prevedibile, abbiamo l obbligo di fare tutto il possibile perché questi pazienti possano vivere la loro vita liberi da ictus. [1] In questo esempio di tre pazienti, da sinistra a destra, possiamo vedere gravi ictus cardioembolici che si presentano precocemente con trasformazione emorragica. Avete visto questi coaguli nelle scansioni tomografiche e nelle angiografie. Sono difficili da trattare mediante trombolisi endovenosa e spesso non sono rimediabili nemmeno con le terapie intraarteriose, con i conseguenti, massivi ictus focali che tutti noi neurologi paventiamo.

3 Lavorando al Massachusetts General Hospital, credo sia un dovere per me fornirvi una breve panoramica storica dell ictus correlato a FA. Il Dott. C. Miller Fisher fu il primo ad associare l incidenza di FA all ictus cardioembolico massivo, tra il 1949 e il 1951, anni in cui lavorava come assegnista di neuropatologia con il Dott. Raymond Adams presso il Boston City Hospital di Boston, Massachusetts. In un solo pomeriggio vide nel laboratorio di patologia tre pazienti con ictus cardioembolico massivo e significativa trasformazione emorragica, e fu il primo ad ipotizzare un associazione tra questi grossi infarti con trasformazione emorragica e assenza di blocco arterioso, e un anamnesi di FA. E fu ancora C. Miller Fisher, in una lettera all editore di Lancet nel 1972, a proporre il trattamento della FA cronica con un anticoagulante orale: il warfarin. [2] Più tardi, il lavoro svolto dal Framingham Heart Study con il Dott. Phil Wolf ha creato le vere e proprie basi epidemiologiche del rischio di ictus cardioembolico nella FA [3] ed è da questo lavoro che ha origine la famosa affermazione 5 volte il rischio di ictus. [3] È stato il Framingham Heart Study a collegare la FA all imminenza dell ictus, dando il via a una serie di studi cardiologici che esaminavano l efficacia degli anticoagulanti orali rispetto ai placebo o all aspirina. Una cosa che questi studi hanno effettivamente dimostrato è che qualsiasi antitrombotico, compresi l aspirina e il warfarin, era più efficace nel prevenire il rischio di ictus correlato a fibrillazione atriale. [4]

4 In una meta-analisi del 2007 sono stati inclusi sei studi che confrontavano l efficacia del warfarin rispetto al placebo; da questi si può osservare un evidente beneficio complessivo del warfarin rispetto al placebo, con una riduzione globale del rischio di ictus pari al 64%. [5] È stato questo risultato a portare alla ribalta l anticoagulazione orale come regola d oro per la riduzione del rischio di ictus nei pazienti con FA. A questo punto, ovviamente, l uso del warfarin si è ampiamente diffuso in tutto il mondo, ma tutti noi che abbiamo a che fare con questa terapia in questo tipo di pazienti sappiamo bene quali sono gli svantaggi che comporta. I tempi di onset e offset del farmaco sono ritardati; a volte la risposta è imprevedibile, a causa delle differenze genetiche con cui il warfarin viene metabolizzato; l indice terapeutico associato alla terapia con warfarin è ristretto; esistono potenziali interazioni con farmaci e alimenti, in molti casi il monitoraggio è problematico e, infine, il tasso di emorragie è elevato e la reversibilità è lenta. Questi problemi associati all anticoagulazione orale con warfarin sono, in effetti, i motori che hanno spinto per decenni la ricerca farmaceutica fino all esordio degli attuali NOAC. C è stata una volta decisiva nella ricerca correlata all anticoagulazione e al rischio di FA. Questa figura mostra che fino al 1993 esistevano sei grandi studi sul warfarin rispetto al placebo, i quali, in sostanza, analizzavano i dati provenienti da circa pazienti. [5] Al 2009 sono quattro gli studi sui NOAC rispetto al warfarin la regola d oro sul campo e il numero totale di pazienti studiati si avvicina a [6-9]

5 Mostrerò ora alcuni dei risultati e confronti dei profili farmacocinetici (PK) e farmacodinamici (PD) dei NOAC attualmente utilizzati e studiati: dabigatran, rivaroxaban, apixaban ed edoxaban. Come certamente saprete, dabigatran è un inibitore diretto del fattore IIa o della trombina (DTI), mentre rivaroxaban, apixaban ed edoxaban sono inibitori del fattore Xa. Il loro profilo PK/PD è estremamente diverso e le differenze principali risiedono nella biodisponibilità. Dabigatran, ad esempio, ha una biodisponibilità inferiore, mentre rivaroxaban ha la più alta biodisponibilità del gruppo. Il tempo necessario per raggiungere la massima concentrazione è simile, ma esistono differenze di range all interno dei diversi farmaci oggetto di studio. I volumi di distribuzione sono molto diversi, laddove il maggiore è quello di edoxaban. Il legame proteico più alto si trova nel gruppo di rivaroxaban e apixaban. L emivita è molto simile per tutti i farmaci, mentre la clearance renale, ad esempio, presenta differenze significative: la maggiore corrisponde a dabigatran; rivaroxaban/apixaban si trovano all estremo inferiore, mentre quella di edoxaban è di circa il 50%. Si osservano differenze significative anche nel metabolismo del citocromo P450 (CYP), laddove dabigatran non è metabolizzato in quel sistema, edoxaban solo in parti molto piccole e rivaroxaban è fortemente coinvolto nel metabolismo del CYP. [10-15] Per quanto riguarda i trasportatori, sono tutti legati al trasportatore glicoproteina P. Questa situazione, ovvero che tutti questi farmaci siano substrati per il trasportatore glicoproteina P, rappresenta in effetti un problema per quanto riguarda l interazione tra farmaci. Le principali interazioni si manifestano con i farmaci cardiovascolari, tra cui comuni antiaritmici, antipertensivi, antiaggreganti piastrinici, statina e altri, nonché con farmaci non cardiovascolari, ivi compresi antineoplastici, antimicrobici, gastrointestinali, reumatologici, immunosoppressivi, inibitori della proteasi dell HIV, neurologici e altri. [16]

6 Per quanto riguarda gli studi sui NOAC rispetto al warfarin nella FA, i principali sono quattro: RE-LY per dabigatran; ROCKET-AF per rivaroxaban; ARISTOTLE per apixaban; ENGAGE AF-TIMI 48 per edoxaban. [6-9] Anche in questo caso, gli studi sono molto diversi per quanto riguarda la composizione e i risultati forniti. Lo studio più esteso è stato ENGAGE AF-TIMI 48, con pazienti randomizzati. Il dosaggio all interno degli studi è diverso, laddove dabigatran ed edoxaban sono stati studiati a dosaggi maggiori e minori, mentre apixaban e rivaroxaban sono stati studiati a dose singola. Tra i quattro farmaci, rivaroxaban ed edoxaban venivano assunti una volta al giorno, mentre lo studio ARISTOTLE ha testato apixaban due volte al giorno e lo studio RE-LY dabigatran due volte al giorno. Ci sono stati alcuni aggiustamenti di dose tra gli inibitori del fattore Xa, resi necessari dopo la randomizzazione e al basale, e tutti gli studi miravano a un rapporto normalizzato internazionale (INR) compreso tra 2.0 e 3.0. Per quanto riguarda il disegno degli studi, quelli riferiti agli inibitori del fattore Xa erano in doppio cieco. Lo studio ENGAGE AF-TIMI 48 era in doppio cieco, double dummy, mentre lo studio RE-LY era prospettico, randomizzato, in aperto, con valutazione in cieco degli endpoint (PROBE). Questi sono alcuni dei dati sulle caratteristiche al basale. Tutti i pazienti arruolati in questi studi erano molto simili per quanto riguarda le caratteristiche, con un profilo di FA tipico e con una buona rappresentatività della quota femminile nelle popolazioni e della proporzione di FA parossistica. Nello studio RE-LY, la proporzione di pazienti warfarin-naïve era più alta, ma per il resto, per quanto riguarda l esposizione all aspirina tra gli inibitori del fattore Xa, gli studi erano molto simili. Vorrei dedicare un attenzione particolare alla distribuzione dei pazienti arruolati in questi quattro studi diversi, per quanto riguarda la rispettiva distribuzione del punteggio CHADS 2 (scompenso cardiaco, ipertensione arteriosa sistemica, età = 75 anni, diabete mellito, precedente ictus/tia). Come ben sapete, il CHADS 2 è il punteggio che in sostanza stratifica il rischio di ictus ischemico nei pazienti con FA. Lo studio ENGAGE AF-TIMI 48 e lo studio ROCKET- AF hanno arruolato principalmente pazienti a rischio moderato-grave di ictus, diversamente dagli studi ARISTOTLE e RE-LY che includevano anche pazienti a basso rischio di ictus.

7 Per quanto riguarda la metrica, ENGAGE AF-TIMI 48 è stato lo studio con il follow-up più lungo, con una durata mediana di 2,8 anni. Lo studio su apixaban è stato di 1,8 anni, ovvero il più corto dei quattro. Il tasso di interruzione prematura dei pazienti negli studi è stato relativamente basso, con una percentuale altrettanto bassa di ritiri del consenso e di perdite generali al followup. Viste queste cifre, è notevole che in uno studio di oltre pazienti ne sia stato perso soltanto uno al follow-up. Tutti gli studi miravano a mantenere i pazienti entro il range terapeutico; tuttavia, le differenze tra i diversi studi sono state significative, laddove ENGAGE AF-TIMI 48 ha avuto il 68,4% dei pazienti entro il range terapeutico, mentre ROCKET AF ne ha avuto il 58%. [6-9,17] Christian Ruff e colleghi del gruppo TIMI hanno recentemente pubblicato una meta-analisi in Lancet, raccogliendo tutti i dati disponibili per gli studi sui NOAC. [18] Il numero di pazienti inclusi in questa meta-analisi è ed è stato usato un modello ad effetti casuali per poter compensare l eterogeneità tra i diversi studi. Si può osservare come l assegnazione dei pazienti al braccio dei NOAC rispetto a quello del warfarin abbia dimostrato in questi studi un beneficio significativo in termini di riduzione degli endpoint primari di ictus o eventi embolici sistemici.

8 Per quanto riguarda i risultati di efficacia secondari, si può osservare come la riduzione degli eventi di ictus sia stata guidata dall ictus emorragico. Riguardo al sanguinamento maggiore, si è verificata una tendenza alla diminuzione di tale fenomeno in tutti i pazienti assegnati ai bracci dei NOAC, con un rapporto di rischio di 0,86.

9 Per quanto concerne i risultati di sicurezza secondari, l emorragia intracranica è stato uno degli eventi che è diminuito di più, mentre la prevalenza del rischio di sanguinamento gastrointestinale è invece aumentata nel braccio dei NOAC. Con tutti questi nuovi farmaci che si rendono disponibili sul mercato, ci chiediamo cosa succederà adesso. A questo proposito, una delle domande a cui vorrei rispondere è se il warfarin continuerà ad essere utilizzato. Non ci sono dubbi sulla sua grande efficacia e sul costo ridotto; inoltre, l esperienza con questo farmaco è vasta e i migliori servizi di prevenzione dell ictus possono mantenere nel range terapeutico una percentuale di pazienti superiore al 60%. Si stanno inoltre eseguendo numerosi test genetici e, grazie alla genotipizzazione, che potenzialmente può migliorare il tempo nel range terapeutico, possiamo offrire migliori trattamenti ai pazienti che assumono warfarin. Infine, sono ampiamente disponibili analisi decentrate (Point-Of-Care Testing o POCT) e test INR che possono essere eseguiti con frequenza inferiore rispetto a prima. [19-21]

10 Restano tuttavia ancora aperte alcune domande sui NOAC. Oltre a riunire tutti i dati in una metaanalisi, come è possibile confrontare farmaci e studi diversi? Inoltre, tra questi farmaci esistono opzioni migliori che possiamo proporre ai nostri pazienti attualmente ben controllati con il warfarin? Come e a chi modifichiamo la terapia dal warfarin agli anticoagulanti orali? I medici si sentono a proprio agio quando non possono monitorare il livello di anticoagulazione? Come gestiamo l anticoagulazione peri-procedurale per questi pazienti, con il rischio di potenziale crisi di ipercoagulabilità e ipocoagulabilità? Come gestiamo il sovradosaggio e il sanguinamento? Esiste un offset veloce per questo farmaco e come trattiamo questo problema nei pazienti non cooperanti? Come gestiamo le specifiche reazioni avverse dei farmaci e ci saranno raccomandazioni per popolazioni speciali di pazienti? Infine, come valutiamo, in ultima analisi, il rapporto costo-efficacia dei NOAC? Queste domande saranno, in parte, affrontate dai miei colleghi durante la presentazione odierna, ma vorrei comunque anticipare alcune delle conclusioni. Oggi sono a disposizione alternative al warfarin. Questi farmaci abbassano i tassi di ictus, soprattutto quello emorragico, e, eccettuando il sanguinamento gastrointestinale, causano meno emorragie maggiori. I NOAC non sono tutti uguali: si differenziano dal punto di vista farmacodinamico e farmacocinetico, oltre che per il dosaggio e la modalità d azione. È improbabile che il warfarin scompaia, ma vorrei che rifletteste sul fatto che ora avete la possibilità di individualizzare il trattamento dei vostri pazienti con FA per quanto riguarda il rischio di sviluppare ictus ischemico e il rischio di eventi emorragici. Grazie. Gregory W. Albers, MD: Grazie, Natalia, per aver presentato un ottima sintesi di questi nuovi studi sui NOAC e per aver formulato una serie di importanti domande che affronteremo nel prosieguo della nostra discussione.

11 PARTE IV. PRESENTAZIONE DEL DOTT. PANAGOS Gregory W. Albers, MD: Ora sentiremo il punto di vista del reparto di pronto soccorso (PS) che ci verrà fornito dal Dott. Panagos della Washington University di St. Louis, Missouri. Il Dott. Panagos ci parlerà di alcune delle difficili decisioni che devono essere prese nel PS per quanto riguarda i pazienti con ictus, vista la disponibilità di questi nuovi farmaci e le ultime novità nell approccio della medicina d urgenza all ictus. Peter D. Panagos, MD: Ti ringrazio, Greg. Come medico di pronto soccorso, sono un felice destinatario dei miglioramenti nella prevenzione primaria e secondaria dell ictus. Ma sono anche il destinatario di circa il 100% dei pazienti che subiscono complicanze causate da questi nuovi farmaci e da quelli preesistenti. Nei prossimi minuti descriverò il mondo attraverso gli occhi di un medico d emergenza che incontra questi pazienti, del modo in cui gestiamo le cure e di come possiamo effettivamente usare l infrastruttura esistente per prenderci cura di questi pazienti in modo efficiente in termini di tempo. Parleremo brevemente dei sistemi adottabili per velocizzare il triage dell ictus utilizzando i nostri attuali metodi di cura. Questi sistemi hanno funzionato molto bene sia negli Stati Uniti che in Europa. Parleremo del reversal del warfarin nei pazienti con emorragia intracranica (ICH) e dei nuovi NOAC nei pazienti con ICH, oltre che di alcune sfide e complicazioni nell identificazione e trattamento di questi pazienti.

12 Poiché il mio mondo inizia con casi reali (e le mie competenze si misurano sempre sull ultimo paziente trattato), ecco un caso che vi sarà f amiliare e che forse avrete già incontrato anche voi. Una donna di 65 anni con protesi valvolare aortica, in terapia con warfarin, o con potenziale FA non valvolare in terapia con un NOAC. Si presenta al pronto soccorso entro 2 ore dall esordio dei sintomi e la diagnosi è di emorragia intracranica lobare. Il suo INR è di 2.3 o forse è normale, a seconda di quale farmaco sta assumendo, e possiamo osservare un volume emorragico di 25 cc. Come gestiamo questa paziente? Dalla nostra esperienza ischemica, sappiamo quanto importante è il tempo: quanto prima, tanto meglio. Sappiamo anche che possiamo avere maggiori possibilità di successo se riusciamo a far rientrare i pazienti nella finestra terapeutica il più presto possibile. A questo punto, i numeri necessari per il trattamento e per la riduzione assoluta del danno nelle persone sottoposte a trombolisi endovenosa sono veramente indiscutibili. [22]

13 Sappiamo anche che è importante trattare la maggior parte dei nostri pazienti entro 60 minuti dall arrivo al PS e, in base alle raccomandazioni europee e statunitensi, sappiamo che l obiettivo ideale sarebbe quello di restare al di sotto dei 60 minuti di tempo Door-To-Needle (DNT), ovvero il tempo tra l arrivo in ospedale e la s omministrazione del farmaco. [23] Sappiamo che negli Stati Uniti non stiamo affatto riuscendo a raggiungere questo obiettivo e che solo un terzo dei pazienti accolti dai servizi di prevenzione dell ictus (Comprehensive Stroke Center o Primary Stroke Center) vengono effettivamente trattati entro 60 minuti dal loro arrivo. [24] Sappiamo, infine, che trattare questi pazienti in modo rapido ed efficace, al di sotto dei 60 minuti e in molto meno tempo, porta a una riduzione della mortalità ospedaliera, a una riduzione dei casi di emorragia intracranica e a una destinazione alla dimissione molto più favorevole: esattamente quello che vorrebbero tutti i pazienti. [25,26] Al pronto soccorso, cioè il mio settore, abbiamo diverse linee guida e descrizioni di come possiamo effettivamente trattare i pazienti dal momento in cui si presentano in reparto al momento in cui prendiamo una decisione terapeutica, cioè quella di trattare o meno con trombolisi. Si tratta di orientamenti di consenso per gli Stati Uniti su come dovrebbe essere il flusso dei pazienti nel reparto di PS (valutazione del medico, valutazione del neurologo, interpretazione delle immagini acquisite, decisione di adottare la trombolisi), con l obiettivo di trattare tutti i nostri pazienti in meno di 60 minuti. [27]

14 Dall uso delle linee guida target per l ictus (dell American Heart Association o AHA) per i servizi di prevenzione dell ictus ad alte prestazioni adottate da molti centri statunitensi e da numerosi centri europei di alto livello sappiamo che sono molte le cose che fanno la differenza nel trattamento [28] : dalla notifica pre-ricovero, che mi permette di liberarmi da ciò che sto facendo per incontrare il paziente al suo arrivo, al ricevimento dell anamnesi dai paramedici, all effettivo intervento e alla rapida acquisizione delle immagini, al triage appropriato del paziente... all attivazione dell équipe di triage per ictus, alla premiscelazione dell attivatore tissutale del plasminogeno (tpa) e quindi alla rapida acquisizione e interpretazione delle immagini cerebrali, alle analisi decentrate (POCT), se necessarie. L approccio d équipe in un processo di miglioramento della qualità fornisce il feedback su come ci stiamo comportando, per garantire che il nostro lavoro sia sempre svolto nel migliore dei modi. Io lavoro in un reparto di pronto soccorso universitario molto grande, come molti di voi: un centro urbano di 1100 posti letto nel cuore degli Stati Uniti, nel Barnes-Jewish Hospital. La nostra équipe è di residenti il che è una benedizione, perché i borsisti sono lì e non possono andare a casa ma può anche essere un problema, perché non hanno la stessa esperienza degli specializzandi o degli specialisti. Nel corso del tempo abbiamo avuto ottimi risultati, ma alcuni anni fa abbiamo determinato che il nostro DNT stava superando i 60 minuti. Abbiamo esaminato il processo di implementazione per scomporre in parti la nostra infrastruttura e abbiamo scoperto che il modo in cui approcciamo il paziente nel PS determina se possiamo trattare quel paziente in modo efficace. Dopo un esteso esame multidisciplinare durato due giorni siamo giunti a tre soluzioni a portata di mano, facili da implementare ma estremamente importanti per ridurre il nostro DNT, e di queste parleremo. [29]

15 La prima era una coreografia inefficiente. Prima i nostri pazienti arrivavano dai servizi medici d urgenza (EMS), passavano alla sala di terapia intensiva in cui venivano valutati, svestiti, muniti di linea endovenosa, sottoposti a ECG. Probabilmente sarebbe saltato fuori un catetere di Foley e avremmo detto all infermiera che a questo punto non ce n era bisogno. Ci saremmo guardati intorno e avremmo detto che c era bisogno di una TC e in tutto questo forse avremmo anche pensato di essere stati veloci. Avremmo portato il paziente a fare la TC, che si trova nello stesso pronto soccorso ma abbastanza lontana, e poi lo avremmo riportato a letto. Osservando i dati abbiamo scoperto che solo in questa fase avevamo già perso minuti. Ciò che abbiamo cambiato e sembra che non sia una grande novità, visto che molti centri europei e americani hanno adottato la stessa soluzione è che abbiamo deciso di trasferire il paziente direttamente dall EMS alla TC, attuando un cambiamento significativo del modo in cui ragionano molti medici e infermieri del pronto soccorso. Qui il paziente viene valutato, viene determinato il punteggio sulla scala dell ictus, vengono acquisite le immagini e, se necessario, vengono eseguite le analisi decentrate (POCT). A questo punto il paziente viene riportato in stanza, con quasi tutto il set di dati necessari per prendere una decisione competente e adeguata sul fatto di trattare o non trattare.

16 L altro problema da affrontare era l enorme quantità di compiti e questo si applica sia all ictus ischemico che a quello emorragico da svolgere in una finestra di tempo di soli 60 minuti. Dall accettazione alla registrazione, la valutazione, i laboratori, gli infermieri, il medico, la consultazione neurologica e di medicina d urgenza, con tutti i balletti e coordinamenti tra i servizi, abbiamo scoperto di essere davvero inefficienti. Ciò che si può fare e che ha funzionato bene in altri centri è scomporre il processo in un sistema ben organizzato di attività parallele, in cui non si procede svolgendo un attività per passare poi alla seconda, e così via, ma piuttosto in modo concomitante. Abbiamo organizzato tutti questi compiti in modo parallelo, fissando le relative assegnazioni, laddove in una determinata fascia oraria era il medico di PS a preparare la scala NIHSS, mentre in un altra lo avrebbe fatto il neurologo. Dall altra parte, c era qualcuno che preparava l anamnesi, effettuava l esame obiettivo e cercava nelle cartelle cliniche elettroniche per determinare rischi, benefici, farmaci e storia medica pregressa. Tutto questo è molto importante se vogliamo diventare più efficienti.

17 La terza cosa che abbiamo identificato come uno dei fattori limitanti che spiegavano la frequente impossibilità di trattare i pazienti entro 30 minuti era che la nostra popolazione di pazienti non poteva parlare o seguiva potenzialmente una terapia anticoagulante; quindi, il tempo trascorso dal momento dell arrivo del paziente, fino al laboratorio per il test dell INR del tempo di protrombina (PT), era estremamente lungo. Il risultato era che ci volevano 33 minuti per ottenere un esame di laboratorio spesso indispensabile per poter prendere una decisione di trattamento. Abbiamo implementato test decentrati nel reparto di PS. Siamo riusciti a ottenere gli esami al letto del paziente e a prendere una decisione entro 2 minuti dall arrivo. E questo ha fatto davvero la differenza.

18 Il risultato è rappresentato da questi dati, pubblicati in Stroke qualche anno fa; ora sono molto più solidi e completi, ma dimostrano comunque che il nostro pretrattamento era davvero ottimo: da a 60 minuti, [29] con questi tre piccoli cambiamenti siamo riusciti a portare il nostro DNT mediano a 39 minuti, e molti dei nostri pazienti vengono trattati entro 20 minuti dall arrivo. Perché è così importante? Stavamo parlando di emorragia intracranica (ICH), ma il sistema che abbiamo creato per l ictus ischemico si dovrebbe applicare all ICH nel pronto soccorso. [30] L intero schema di flusso, fino al punto in cui otteniamo le immagini e andiamo a sinistra, lungo il percorso per l ictus ischemico, invece che a destra, verso l ictus emorragico, è molto importante. Ora disponiamo di un metodo efficiente, in termini di tempo, per valutare il paziente e se scopriamo di avere a che fare con un emorragia intracranica, questo è molto importante. Dobbiamo investire in questo sistema, in questa infrastruttura, per prenderci cura dei pazienti in modo ottimale.

19 Possiamo usare questa infrastruttura per trattare le emorragie associate all anticoagulazione? Come avete sentito dalla Dott.ssa Rost, il farmaco più testato e più usato, con cui molti di noi hanno acquisito una vastissima esperienza nel tempo, è il warfarin. Sappiamo che quando i pazienti arrivano con un emorragia correlata al warfarin, esistono alcuni dogmi e alcuni punti che ci sono e ci saranno sempre: un ICH più estesa porta a esiti peggiori, e non c è molto da discutere su questo. [31] L espansione va di pari passo con il tempo che ci mettiamo a invertire l emorragia nei pazienti totalmente anticoagulati. [32] Le terapie tradizionali hanno effetti avversi, c è un sovraccarico circolatorio per gli emocomponenti, ci sono infezioni a trasmissione ematica e ci sono reazioni allergiche. [33] Trattare questi pazienti rapidamente nel reparto di pronto soccorso non è esente da complicanze. Il nostro trattamento tradizionale è tutt altro che ideale per raggiungere il nostro obiettivo di riportare l INR entro un range normale, sfruttando il tempo in modo efficace. Dal mio punto di vista, ciò dovrebbe accadere prima che il paziente lasci il pronto soccorso e sia trasferito all unità di terapia intensiva neurochirurgica. Ora, con i nuovi farmaci disponibili negli Stati Uniti, in Europa e in tutto il mondo, sono altre le sfide da affrontare.

20 Abbiamo sentito la Dott.ssa Rost parlare di farmacocinetica (PK) e non mi addentrerò troppo in questo argomento, ma il warfarin viene utilizzato da molto tempo. Il suo picco d azione è di ore e il picco degli effetti si osserva dopo circa 3-4 giorni, il che far parte del problema di adattamento e di inserimento dei pazienti nella terapia con questo farmaco. L aspetto positivo di questo farmaco è che ha un antidoto che tutti conosciamo, ma cercherò di dimostrarvi che gli antidoti che abbiamo a disposizione sono abbastanza inefficaci nel tempo. Inoltre, sono presenti molti problemi legati agli effetti collaterali e alle interazioni con altri farmaci, ma esiste un esame eseguibile al letto del paziente che si può utilizzare per determinare se i livelli sono terapeutici, sovraterapeutici o assolutamente non terapeutici. Quali sono le nostre scelte? Abbiamo vitamina K, fattore VII, plasma fresco congelato (FFP) e ora concentrati di complesso protrombinico (PCC), che vengono usati sempre più spesso nei reparti di pronto soccorso europei e statunitensi.

21 La vitamina K viene usata da molto tempo; il metodo di somministrazione migliore è il dosaggio endovenoso. Impiega da diverse ore a un giorno per raggiungere una risposta efficace e il risultato è che quando i pazienti lasciano il PS o sono già al primo giorno di terapia intensiva neurochirurgica, non hanno ancora ottenuto la correzione dell anticoagulazione con la sola vitamina K. È possibile un effetto rebound qualora al paziente non sia somministrata la dose di vitamina K e sia sottoposto a terapia con altri farmaci, come il fattore VII o l FFP. È preferibile somministrarla per via endovenosa piuttosto che orale (per bocca o PO) o sottocutanea, e tutti abbiamo sentito di casi di anafilassi, benché estremamente rari qualora la somministrazione sia lenta o endovenosa. L FFP è comune e abbastanza efficace; contiene tutti i fattori della coagulazione: il problema è che richiede tempo. Anche in un contesto ideale impiega del tempo per scongelarsi e sono necessari test di compatibilità, che in un reparto di pronto soccorso, in condizioni ottimali e con una banca del sangue sul posto, impiegano tra i 40 e i 60 minuti. Devono essere infusi volumi elevati; e a questo proposito occorre ricordare che i pazienti che assumono questi farmaci soffrono di una cardiopatia di base e, di conseguenza, possono subire complicanze. Anche nelle persone che ricevono una terapia ideale di vitamina K e FFP, il tempo mediano necessario perché l INR raggiunga meno di 1.3 può essere di addirittura 30 ore. [34,35]

22 Il fattore ricombinante VII ha un meccanismo duplice: da una parte attiva il percorso del fattore tissutale VII e dall altra attua l aggregazione piastrinica diretta. Ha un emivita breve e sostituisce solo un fattore; il problema è che non inverte totalmente il warfarin, ma influisce sulla capacità di controllo dell INR mediante esami di laboratorio. Ne risulta che, una volta somministrato il fattore VII, non è più possibile controllare l anticoagulazione, almeno mentre il farmaco è in circolo. [36] Chi di voi lavora in Europa conoscerà bene i PCC a 4 fattori, che vengono utilizzati in quel continente da diversi anni, mentre negli Stati Uniti, dove prima esistevano solo i PCC a 3 fattori, sono stati introdotti solo in aprile del Il risultato è che stiamo somministrando una combinazione di PCC e fattore VII, il che diventa complicato e costoso per molti ospedali che non possono permettersi di somministrare entrambi. Esistono molti prodotti in questo campo, sono immediatamente disponibili, hanno una dose pressoché fissa e vengono ricostituiti in piccoli volumi, ma possono indurre trombosi.

23 Sappiamo dalla letteratura in materia che il PCC per il reversal del warfarin è diventato pressoché lo standard di cura in molte cliniche universitarie e in molti ospedali di piccole cittadine degli Stati Uniti. Qui potete vedere l emivita per i fattori elencati, il che significa che è ancora necessario somministrare la vitamina K assieme al PCC per sopravvivere a quell emivita. La dose è abbastanza prevedibile, è semplice da ricordare e ha un azione più rapida dell FFP. E i nuovi farmaci? Esistono farmaci che mi tengono sveglio la notte pensando ai pazienti che arrivano al pronto soccorso. Fortunatamente, il tasso di lesioni che causano è abbastanza ridotto, ma quando arrivano pazienti per eventi traumatici o per emorragia intracranica spontanea (sich) trattati con questi medicinali, per molti medici che lavorano in pronto soccorso la sfida è davvero complessa.

24 Dabigatran è l unico inibitore diretto attualmente usato per l ictus. Ne abbiamo già sentito parlare e non citerò di nuovo la farmacocinetica; voglio solo sottolineare un punto chiave e cioè che viene eliminato dai reni, il che è un vantaggio quando tentiamo di invertirne l azione. Per quanto riguarda, appunto, il reversal, non esiste un metodo stabilito per monitorare questo farmaco, anche se in molti centri viene usato il tempo di trombina (TT), disponibile all incirca nello stesso tempo dell INR PT e di altri esami standard della coagulazione. Nel nostro centro lo utilizziamo sui pazienti non cooperanti o quando non conosciamo l ultima dose di DTI somministrata, oppure per determinare se un paziente è candidato alla trombosi, ma non lo usiamo di routine per gestire i livelli. Esistono diverse opzioni per invertire gli effetti di questo farmaco. Il carbone attivo è ampiamente disponibile ed è qualcosa con cui ci sentiamo tutti a nostro agio, ma se avete provato a somministrare carbone attivo a un paziente con una lesione in espansione che occupa molto spazio, saprete che il cervello crea spesso problemi. L FFP non è di grande aiuto in questo caso, come il fattore VII; il produttore consiglia l emodialisi, ma predisporre una linea in un paziente totalmente anticoagulato e sottoporlo a emodialisi spesso può creare problemi logistici. Se si ha del tempo a disposizione, ovviamente è meglio attendere la metabolizzazione del farmaco; nonostante non sia nota, esistono alcuni piccoli studi molto convincenti che dimostrano il potenziale vantaggio di somministrare PCC in una sottopopolazione di pazienti.

25 L altro gruppo di farmaci che abbiamo a disposizione sono gli inibitori del fattore Xa; in questa categoria sono stati approvati tre farmaci: rivaroxaban, apixaban ed edoxaban. Tutti e tre sono farmaci eccezionali nella misura in cui riducono gli eventi ma, in presenza di emorragie, la nostra capacità di contenere le complicanze da sich o di origine traumatica è leggermente limitata. Com è possibile antagonizzare questi farmaci?

26 Queste sono le opzioni che ci restano. Il monitoraggio è un problema. Gli esami standard della coagulazione disponibili nel reparto di pronto soccorso o nell ospedale sono estremamente inaffidabili. L anti-fattore Xa è un ottima opzione, ma non è molto disponibile o pronta per l uso nei reparti di PS di molti ospedali. Abbiamo due opzioni, fattore VIIa e PCC, che hanno effettivamente dimostrato di essere potenzialmente disponibili per il trattamento di questi casi. Vi mostrerò una delle risorse: pazienti che hanno ricevuto PCC a 50 unità per kg sono stati in grado di normalizzarsi, attraverso alcuni esami della coagulazione eseguiti piuttosto rapidamente nel PS, e di essere ricoverati nella stroke unit (unità di terapia intensiva dedicata esclusivamente agli ictus). [40]

27 Per riassumere il punto in cui ci troviamo, siamo nel bel mezzo di una serie di nuovi farmaci e stiamo tentando di capire come gestire le complicanze. A questo punto, non siamo ancora riusciti a capire esattamente cosa dobbiamo fare per invertire queste complicanze. Le opzioni che abbiamo a disposizione oggi sono warfarin, di cui abbiamo parlato, FFP e vitamina K; oppure, possiamo usare i PCC. Per il DTI dabigatran, abbiamo carbone attivo, emodialisi, FFP, fattore VII, PCC o acetato di desmopressina. Il problema che ci siano così tante opzioni è che, a questo punto, nessuna può essere considerata ideale. Per gli inibitori del fattore Xa, tra cui i tre che ho citato, abbiamo due opzioni: il fattore VIIa e il PCC a 4 fattori. Riassumendo, il fattore tempo è estremamente importante: importante per il cervello, importante per l emorragia intracranica. Credo che dovremmo investire nell infrastruttura che abbiamo creato per l ictus ischemico. Creare un processo per ridurre al minimo i ritardi, ottenere rapidamente gli antidoti, eventualmente adattarci a questi nuovi farmaci e, soprattutto, essere coscienti che le strategie di reversal sono diverse per questa classe di farmaci. Mettete in atto un piano preciso e utilizzatelo per prendervi cura dei vostri pazienti. Con questo credo di aver concluso. Vi ringrazio.

28 TEIL III. PRÄSENTATION DR. ALBERS Gregory W. Albers, MD: Bene, proseguiamo. Ora parleremo della terapia antitrombotica per il trattamento dell ictus acuto. La maggior parte di ciò che dirò appartiene alla storia: parleremo di studi che sono stati eseguiti nel corso degli anni e, mentre li analizziamo, potremo pensare un poco al futuro. Ciò che sappiamo di questi nuovi farmaci è che causano meno emorragie e hanno un ottimo potenziale nella prevenzione degli ictus. Potrebbero essere usati per trattare l ictus? Perché utilizzare un anticoagulante in un contesto di ictus acuto? Molti studi si sono concentrati sulla prevenzione del peggioramento dell evoluzione del trombo; altri hanno trattato la prevenzione delle recidive precoci di ictus. Esistono pazienti ad alto rischio di recidiva e, in ogni caso, la speranza è quella di migliorare gli esiti neurologici; quindi, alcuni degli endpoint degli studi hanno solo esaminato la qualità delle condizioni dei pazienti.

29 Gli anticoagulanti che sono stati studiati in passato sono l eparina non frazionata (ENF), le eparine a basso peso molecolare (EBPM) e gli eparinoidi. Diamo un occhiata a come si sono comportati. Inizieremo con un numero del New England Journal of Medicine, molto famoso perché conteneva due studi sul trattamento dell ictus con esiti positivi. [41,42] Chi di voi sa di quali studi si tratta? Sì, il trial tpa è il più famoso, ma non è stato quello lo studio che ha segnalato i maggiori benefici. Qualcuno sa quale altro studio positivo è stato pubblicato il 14 dicembre 1995 nel New England Journal of Medicine? Si tratta dello studio FISS, che esaminava eparina a basso peso molecolare (EBPM), fraxiparina o nadroparina. Era inserito nello stesso numero del New England Journal of Medicine ed esaminava i benefici della somministrazione sottocutanea di EBPM ai pazienti entro 48 ore dall esordio dei sintomi di ictus acuto: il risultato era impressionante. Come potete vedere, c è stato un beneficio assoluto complessivo pari al 20%. L effetto era notevole, ma visto che in ciascun gruppo c erano solo 100 pazienti, è stato necessario ripetere lo studio, e lo si è fatto in Europa, in Australia e in Canada. Lo studio FISS originale era stato eseguito a Hong Kong, ma i risultati delle ripetizioni sono stati terribilmente deludenti: non si evidenziava alcun beneficio. Come si può vedere, non ci sono stati miglioramenti nell esito favorevole utilizzando EBPM per via sottocutanea entro 48 ore dall esordio dei sintomi di ictus. E questa era storia di 20 anni fa.

30 Il seguente studio di grosse proporzioni ha riguardato l eparina non frazionata (ENF); si tratta naturalmente del famoso International Stroke Trial (IST) numero 1, che ha esaminato la somministrazione di aspirina o di due dosi diverse di ENF sottocutanea ai pazienti colpiti da ictus. Da questo studio possiamo osservare che c è un vantaggio nella somministrazione dell eparina. [43] Potete osservare una percentuale inferiore di ictus recidivante, il che è altamente significativo dal punto di vista statistico, ma c è stato anche un rovescio della medaglia. C è stato sanguinamento e, nonostante la maggior parte fosse attribuibile alla dose elevata di eparina, si può vedere come tale sanguinamento abbia neutralizzato gli effetti positivi. In sostanza, non c è stato alcun beneficio nella somministrazione sottocutanea di ENF ai pazienti con ictus in fase acuta. E questo è tutto per quanto riguarda lo studio IST. Un anno dopo venne eseguito lo studio TOAST. [44] Questo studio, a differenza dell IST, riguardava la somministrazione endovenosa di eparina, invece che sottocutanea, con un aggiustamento della dose molto meticoloso. Harold Adams seguì questo studio; c erano grandi speranze che questo eparinoide, il danaparoid, somministrato entro 24 ore ai pazienti con ictus ischemico acuto avrebbe prodotto un beneficio. Come potete vedere, ci fu un accenno di beneficio a 7 giorni, che però non si mantenne a 3 mesi: quindi l esito fu negativo.

31 Ovviamente, questo studio divenne famoso per i sottotipi TOAST. [44] Si trattava del primo vero studio sulla terapia antitrombotica acuta che esaminava i sottotipi di ictus. L ictus causato da aterosclerosi dei grossi vasi e quello cardioembolico erano i due sottotipi per cui i pazienti riponevano maggiormente le loro speranze sull effetto degli anticoagulanti. L idea era che l occlusione di una piccolo vaso probabilmente non avrebbe avuto un grosso effetto. Si può vedere inoltre l eziologia indeterminata. La prima sorpresa fornita dallo studio TOAST fu l assenza di benefici per il gruppo dell ictus cardioembolico. Ma guardate: si evidenziò un beneficio nel gruppo dell aterosclerosi dei grossi vasi e si trattava di un vantaggio statisticamente significativo. I pazienti in terapia con eparinoide endovenoso si comportarono meglio ed ebbero un esito più favorevole rispetto ai pazienti del gruppo del placebo. Proprio come lo studio di Hong Kong con EBPM, anche questo dovette essere ripetuto e il piano originale era di ripeterlo con uno studio francese. Come si sarebbe chiamato se ciò fosse davvero accaduto? Si sarebbe chiamato French TOAST (Ndt: toast alla francese ), quindi l idea fu abbandonata. Il gruppo di Hong Kong, tuttavia, riuscì a ripetere questo: esaminare l eparina a basso peso molecolare in un contesto di aterosclerosi dei grossi vasi LAA. Era coinvolto lo stesso gruppo FISS che si era occupato degli studi FISS e FISS-bis e questo studio fu chiamato FISS-tris. [45] Come potete vedere, questo studio fu svolto nuovamente sulla popolazione asiatica, esaminando l EBPM in molti casi di aterosclerosi intracranica in pazienti con stenosi di grossi vasi, ma sfortunatamente non si riuscì a dimostrare alcun beneficio. Si evidenziarono tendenze e si continuarono a pubblicare analisi di sottogruppo, affermando che forse si sarebbe rivelato un trattamento efficace. Questi trend, però non furono confermati dal follow-up.

32 Venivano considerati soprattutto pazienti con ictus non cardioembolico. In quegli anni, gli studi ammettevano anche ictus cardioembolici, ma l 80% o più dei pazienti era non-cardioembolico. Cosa risulta dagli studi che esaminavano il trattamento dell ictus cardioembolico con anticoagulanti? Questa è la domanda che mi è stata posta più spesso negli oltre 25 anni di carriera come neurologo specializzato in ictus: cosa posso fare quando arriva un paziente che soffre di fibrillazione atriale e viene colpito da ictus? Come posso gestire questa situazione? Quando posso iniziare con gli anticoagulanti? È una domanda a cui è difficile rispondere. I dati non ci aiutano molto. Ecco i dati riguardanti la somministrazione o meno di un anticoagulante nel contesto di ictus cardioembolico acuto. I pazienti esaminati in questi studi erano principalmente pazienti con FA, nello specifico FA non valvolare. Possiamo vedere che nell enorme studio IST su pazienti, circa il 15% presentava fibrillazione atriale. Questi hanno sì beneficiato dell eparina, ma hanno avuto lo stesso rischio emorragico del gruppo generale. Se si aggiunge il rischio emorragico, il beneficio si neutralizza. L altro aspetto abbastanza sorprendente è che nel gruppo senza eparina c è stato solo il 5% di recidive di ictus nelle prime 2 settimane. [46] La letteratura meno recente parlava del 10%, ma si può vedere da questi studi più moderni e con moderni intendiamo di circa 20 anni fa che il rischio di recidiva non era così alto com era stato segnalato in precedenza. Nel gruppo cardioembolico del TOAST non sono stati evidenziati benefici del danaparoid rispetto al placebo. [44] Lo studio HAEST, uno studio europeo che esaminava pazienti con FA, ha dimostrato un rischio di recidiva più elevato, ma non diverso con EBPM rispetto all aspirina. [47] Poi, lo studio TAIST simile al TOAST perché includeva tutti i sottotipi di ictus non ha evidenziato benefici nel gruppo cardioembolico. [48] Se si osservano i dati degli studi clinici randomizzati, non ci sarebbe da raccomandare troppo il trattamento con anticoagulanti nei pazienti con ictus cardioembolico acuto.

33 In questi studi, sono stati inclusi pazienti ad alto rischio? No. Alcune volte per via del disegno dello studio, altre perché i medici non si sentivano a proprio agio nell arruolare questi pazienti. All epoca di questi studi, c era un orientamento secondo cui i pazienti ad alto rischio di cardioembolia dovevano essere trattati il più presto possibile con anticoagulanti; perciò, in questi studi non sono stati inclusi i pazienti con embolie multiple recenti e valvole cardiache meccaniche, con FA in cuori molto malati, con caratteristiche ad alto rischio e trombo intracardiaco confermato. Nella maggior parte dei casi, se vedevano un trombo cardiaco in un ECG di un soggetto con ictus acuto, non lo randomizzavano per il placebo. Quindi, non sappiamo nulla sui pazienti ad alto rischio. Sappiamo che quando si anticoagulano pazienti con ictus, si aumenta il rischio di emorragia extracranica di circa il 2%. C è inoltre un altro 2% di rischio di sviluppare un emorragia cerebrale. La bilancia pende leggermente contro gli anticoagulanti, ma per un paziente ad altissimo rischio può essere abbastanza ragionevole iniziare con gli anticoagulanti piuttosto velocemente. Se evitiamo i pazienti ad alto rischio, forse sarebbe meglio iniziare prima.

34 Quali sono i pazienti ad alto rischio? Se vengono anticoagulati, la preoccupazione maggiore è che sopravvenga un emorragia cerebrale precoce. Anche in questo caso non abbiamo molti dati clinici dagli studi, ma senz altro abbiamo la prova che in presenza di un infarto molto grosso, l intera area dell arteria cerebrale media è ipodensa e quindi il paziente è ad alto rischio di trasformazione emorragica precoce, con formazione di ematoma che potrebbe espandersi e coinvolgere tessuto non interessato dall ictus ischemico originario. Siamo stanchi di anticoagulare pazienti che hanno subito grossi ictus. Sappiamo che la riperfusione spontanea, se non è indotta da un trombolitico, di solito si verifica in una finestra di tempo di ore, e ci sono alcuni dati, soprattutto dalla task force e dal gruppo di studio sull embolia cerebrale, che suggeriscono che la presenza di un anticoagulazione completa in quel lasso temporale potrebbe mettere il paziente ad alto rischio. Questa è una parte dell idea. Non anticoagulate subito questi pazienti. Naturalmente, se l anticoagulazione è eccessiva o se c è tpa nell organismo avere un anticoagulante in circolo è abbastanza preoccupante i boli di eparina non sono raccomandati per trattare un paziente con ictus. Infine, di nuovo, l evidenza presente in letteratura suggerisce che se la pressione sanguigna è molto elevata, quel paziente può essere a rischio massimo per l anticoagulazione nel contesto di un recente ictus cardioembolico.

35 Penso che la cosa più importante sia usare il buon senso. Per i pazienti ad altissimo rischio di recidiva precoce o che non hanno le caratteristiche ad alto rischio della diapositiva precedente, possiamo considerare di iniziare l anticoagulazione con farmaci orali relativamente presto. Per i pazienti che hanno caratteristiche ad alto rischio o per quelli colpiti da ictus più gravi, in generale, la maggior parte dei medici attende almeno 2 settimane prima di iniziare la terapia anticoagulante. Cosa dicono le linee guida? Le linee guida sono intrappolate dall evidenza e l evidenza è lì da vedere. Nessuno degli studi ha dato esiti positivi. Se si è avuto un accenno di positività, quando lo studio è stato ripetuto quell accenno è scomparso. Le linee guida devono quindi indicare di Non somministrare anticoagulazione. Si tratta di un livello di evidenza A di classe III dell AHA 27 e, nonostante possa sembrare che la classe III sia un livello basso, per l AHA è il livello massimo per non fare qualcosa. Se si ha un evidenza di classe III, significa non fare qualcosa. Se vogliamo seguire le linee guida, non dobbiamo usare l anticoagulazione con l obiettivo di prevenire una recidiva precoce, di arrestare il peggioramento o di migliorare gli esiti nei pazienti con ictus acuto; ma, ovviamente, dobbiamo sempre usare il buon senso. Concluderò il mio intervento parlando un po degli antiaggreganti, cioè l altra opzione antitrombotica per il trattamento dell ictus acuto, e qui gli studi sono decisamente più positivi. Prima di tutto abbiamo i bracci dell aspirina dello studio IST e lo studio CAST. [43,49] Poi abbiamo un nuovo studio chiamato CHANCE che ha esaminato la combinazione di clopidogrel e aspirina. [51]

36 Come sapete, i vecchi studi CAST e IST hanno dimostrato un beneficio del braccio dell aspirina simile a quello osservato nel braccio dell eparina per la prevenzione dell ictus ischemico recidivante. Si può vedere che un beneficio assoluto dell 1% è altamente significativo dal punto di vista statistico, e il confronto tra aspirina ed eparina non ha rilevato differenze nelle emorragie. I tassi di emorragia erano molto simili tra il braccio dell aspirina e quello senza aspirina dello studio IST. Combinando gli estesi studi IST e CAST, si può osservare che esiste un beneficio nel somministrare precocemente aspirina nei pazienti colpiti da ictus. Il vantaggio non è enorme, è di circa 10 recidive in meno per ogni 1000 pazienti, ma è sicuramente interessante. Questa è la mia diapositiva preferita dello studio IST. L abbiamo messa insieme mentre preparavamo le linee guida dell American College of Clinical Pharmacy (ACCP), molti anni fa, perché nello studio IST venivano usate due dosi diverse di eparina; c era una dose di aspirina e c erano pazienti che non ricevevano né l una né l altra. Questa diapositiva analizza la tromboembolia, l ictus e l embolia polmonare, brutte cose sul lato ischemico, e poi analizza emorragia, sanguinamento maggiore ed emorragia cerebrale. Ciò che si può vedere è che quando si usano queste dosi elevate di eparina, c è un prezzo da pagare: una percentuale enorme di emorragie. Ma quando si usa la dose bassa la dose di prevenzione della TVP che utilizziamo di solito la percentuale di emorragie è molto ridotta, è simile a quella dell aspirina da sola. Se si aggiunge aspirina ed eparina sottocutanea, si ottiene un piccolo salto nelle emorragie ma una riduzione nel tasso di ictus recidivanti ed embolie polmonari, quindi è un ottima giustificazione per la prassi tipica. Per la maggior parte dei pazienti, se non ricevono tpa finiscono per assumere aspirina ed eparina sottocutanea per la prevenzione della TVP.