LEZIONE 2. Alcuni significativi esempi di devozione popolare in Valleriana: manufatti artistici di epoca medioevale

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1 LEZIONE 2 Alcuni significativi esempi di devozione popolare in Valleriana: manufatti artistici di epoca medioevale Abbiamo cercato di delineare nel corso della precedente lezione, una sorta di grande mappa ideale che avesse lo scopo di evidenziare di volta in volta i cambiamenti geografici e storici che hanno caratterizzato la Valdinievole e, all interno di essa, la Valleriana. Abbiamo anche capito come entrambe furono dei territori di non secondario interesse politico, amministrativo e religioso. Poste tra la diocesi di Lucca e quella di Pistoia, infatti, esse si trovarono ad essere un importante crocevia, un punto strategico di passaggio dove le infrastrutture stradali e i percorsi mettevano in connessione l antica Via Cassia-Clodia di epoca romana, con la medioevale Via Francigena e i passi appenninici conducenti nei territori modenesi. Gli sconvolgimenti politici che a mano a mano si sono succeduti nell arco dei secoli VI-XV dalla dominazione longobarda a Carlo Magno, alle lotte tra papato e impero non fanno altro che mettere in luce l alternarsi delle vittorie ora della parte lucchese, ora della parte avversa, fino all avvento dei fiorentini nella prima metà del Trecento. Nella fattispecie, il caso che appare più significativo per questo seminario, la Valleriana, ci appare come la parte orientale dell antico comitatus lucchese e della sua diocesi, confinante con Pistoia. L unità territoriale della valle si costituisce passando attraverso i grandi processi di incastellamento e attraverso la costituzione di nuove pievi, soprattutto nel periodo intercorso sotto la giurisdizione ecclesiastica del vescovo lucchese Pietro II. Le lotte tra Papato e Impero, nei secoli XII-XIII, non hanno fatto altro che creare momenti di conflitto tra le varie castella, che da questo momento in poi afferiscono a due grandi giurisdizioni plebane, le quali hanno dato vita e sostanza a due piccole valli distinte, la Valleriana propriamente detta con la pieve di San Tommaso de Arriano a occidente e la valle avellanita con la pieve di San Martino di Vellano a oriente. Inoltre, nel febbraio del 1339, queste due valli sono state politicamente separate dalla conquista fiorentina della parte avellanita e rimasero distinte come terre di confine politico fino all ottobre del 1847 quando anche Lucca entrò a far parte del granducato toscano. L unità diocesana lucchese finì invece nel 1519, con la erezione della diocesi di Pescia nel vecchio territorio. Questi sono dunque gli argomenti cui accennavamo durante la scorsa lezione: una cornice storica entro la quale l identità sociale della comunità della Valleriana si è costituita e nella quale hanno preso forma anche quelle esperienze, quelle conoscenze, quei contatti che hanno fatto sì che il patrimonio artistico oggetto di questo seminario fosse prodotto. Andiamo adesso ad affrontare in 1

2 modo più specifico quelle che sono state le origini e in un certo senso anche gli indirizzi stilistici legati alla produzione artistica del luogo. Anzitutto è bene ricordare che quando si parla di opere d arte della Valleriana, specialmente per i secoli XIII e XIV, bisogna necessariamente riferirsi alla città di Lucca, intesa come centro promotore di cultura e di orientamenti devozionali e religiosi precipui. Infatti come abbiamo lungamente argomentato nella scorsa lezione, Lucca nonostante le sue alterne vicende storiche fu sede di un comitatus, cioè di una contea, e di un episcopio. La Valleriana, al pari della Valdinievole, in quanto territorio da essa dipendente, fu posta sotto la giurisdizione politica ed ecclesiastica di quella città, almeno fino alla conquista fiorentina della prima metà del Trecento. Non bisogna meravigliarsi, quindi, se in quei territori di collina troviamo elementi che ci riconducono alla presenza lucchese: dai riferimenti artistici alla scelta dei santi titolari delle chiese e delle pievi, tutto parla in quel dialetto. D altro canto, specie per gli unici manufatti duecenteschi e trecenteschi sopravvissuti fino ad oggi per lo più opere di scultura lignea, non dobbiamo escludere ciò che sta dietro ad una produzione prettamente lucchese del periodo: la grande lezione artistica di Pisa. In primis, la scultura di Giovanni e Nicola Pisano, con gli epigoni nei membri della famiglia che hanno vissuto nel Trecento; scultura che conobbe una immediata eco nei territori adiacenti alla repubblica marinara e, successivamente, in tutta Italia. Parleremo pertanto di sculture lignee, chiaramente dipendenti da modelli pisaneschi, talvolta difficilmente leggibili a causa della secolare e brutta ridipintura o al contrario a causa di un invasivo e dannoso restauro, che dobbiamo sforzarci di immaginare nella loro bellezza cromatica e nelle loro rifiniture dorate. Il linguaggio che esse parleranno sarà pertanto pisano, ma rivisitato alla luce della forte presenza di Lucca, tanto è vero che spesso non è facile anche per un occhio esperto distinguere gli elementi stilistici che le accomunano o che propendano verso una produzione artistica piuttosto che un altra. Questo perché, dal punto di vista iconografico ed iconologico, la storia, gli eventi, gli spostamenti, i cambiamenti nella pratica liturgica, nelle abitudini percettive e nel progredire dei canoni estetici, hanno svuotato queste rappresentazioni sacre delle loro identità, del rapporto originario con l ambiente, con il contesto, con l architettura, con le pratiche devozionali per cui erano state prodotte e pensate. In ogni caso, queste sculture lignee dovranno essere intese come dei veri e propri documenti, che ci parlano degli strumenti che le hanno intagliate e dell impronta, spesso così vivida, della personalità dei loro artefici. Si impongono con l evidenza delle loro forme, spesso a dispetto delle ridipinture e delle alterazioni che hanno dovuto subire, ma che fortunatamente le hanno conservate come immagini devozionali, da imparare ad apprezzare e valorizzare. Nei rari casi in cui è stata svolta un opera di restauro rispettosa del manufatto, ma anche della devozione verso di esso e della sua funzionalità liturgica, si è riusciti a recuperare i colori e le decorazioni di 2

3 ben altra qualità e raffinatezza. Esse ci danno la misura di quella che doveva essere un tempo l attenzione e la sensibilità di chi le ha commissionate, nonché la coscienza della propria identità sociale ed eredità storica. Come vedremo, le statue lignee della Valleriana sono occasioni per raffronti e spunti critici che investono l intero panorama della scultura della Toscana nordoccidentale nel basso medioevo. Esse verranno considerate privilegiando l approccio dell analisi stilistica, poiché è spesso tramite essa che è possibile proporre una datazione cronologica o una generale attribuzione ad un ambito artistico piuttosto che ad un altro. Analisi stilistica che si apre alla scoperta del linguaggio scultoreo, ma che ci orienta anche in quella del territorio, mediante l uso di occhi privilegiati, quelli degli artisti. Tra gli spunti più meritevoli di menzione, vi sono senza dubbio quelli apportati dallo storico dell arte Gabriele Marangoni segnalato in bibliografia, nello sforzo di definire la scultura di questo territorio con la logica di rendere più sfaccettata e mossa la percezione dei fatti della più generale storia dell arte. Pertanto troveremo esempi che seguono lo stile di Giovanni Pisano o meglio del nipote Nino Pisano, o altri che si avvicineranno alla produzione giovanile di Francesco di Valdambrino. Iniziamo con il delineare le personalità degli scultori cui prima abbiamo accennato, e la fortuna stilistica che essi hanno avuto nel corso dei decenni e talvolta anche nel corso di alcuni secoli proprio nel territorio della Valdinievole. Primo tra tutti è sicuramente Giovanni Pisano, lo scultore che rinnovò in forme gotiche il linguaggio scultoreo italiano. Nacque probabilmente a Pisa intorno al 1248 e di lui sappiamo solo che era figlio di Nicola, artista già affermato e architetto stimato nei più grandi cantieri toscani e umbri agli inizi del Duecento. Dal padre ereditò sicuramente un grande interesse verso la sperimentazione, che lo portò non solo a tentare di inseguire forme nuove e inusitate d espressione, ma anche a cimentarsi nella lavorazione di materiali diversi, come ad esempio l avorio, il legno, l oro stando all iscrizione che l artista lasciò sul pulpito pisano, oltre ovviamente al marmo. Una curiosità irriducibile verso il Gotico transalpino, nonché una conoscenza non superficiale dell arte antica Roma, costituiscono i riferimenti fondamentali a cui Giovanni guardò, seppur variamente, durante tutto l arco della sua carriera (FIG. 1). Educato a guardare con occhi nuovi le antiche vestigia che la civiltà romana aveva lasciato, per la sua formazione giocarono senz altro un ruolo fondamentale i rilievi dei sarcofagi del camposanto pisano, quegli stessi che avevano già suscitato l entusiasmo del padre Nicola, quando era approdato in Toscana con una cultura imbevuta del classicismo dominante nella Puglia di Federico II. I modelli tardo romani offrivano a Nicola e ai suoi giovani allievi tra cui anche il celebre Arnolfo di Cambio un formidabile mezzo e una inesauribile fonte di ispirazione per giungere a forme del tutto nuove, 3

4 senza dimenticare che anche la riesumazione di una tecnica antica come l uso del trapano, che consentiva di bucare la superficie lapidea ottenendo più evidenti e accesi contrasti chiaroscurali, finì col risultare un espediente di primaria importanza per la riacquisizione di un linguaggio di maggiore impatto espressivo (FIG. 2). Questo fenomeno di riscoperta dell antico si radicava ancora meglio in una città come Pisa, che già di suo poteva offrire importanti esempi medioevali di sopravvivenze e di recenti casi di ricezione di motivi tardo romani. Gli arredi scultorei del battistero pisano ad esempio offrono senz altro uno degli esempi più pertinenti in tal senso: plutei, transenne, colonne con racemi d acanto bastano da soli a documentare il succedersi di varie correnti antichizzanti nell arco di un secolo. Tuttavia, dalla seconda metà del Duecento, dovettero concorrere a far superare i rigidi meccanismi romanici e a far recuperare un nuovo rapporto con il mondo visibile anche le prime infiltrazioni del gotico oltremontano, arrivato in Italia attraverso la circolazione di taccuini di disegni, montature di specchi e di tante piccole sculture, specialmente eburnee, sul genere della Madonna col Bambino del Tesoro della Basilica di San Francesco di Assisi (FIG. 3). Ne derivò la nascita di un linguaggio scultorei moderno, essenzialmente gotico, che ben dialogava con quanto proponeva in pittura, nella stessa città di Pisa, il Maestro di San Martino, con la sua fitta e sfrangiata tessitura di colore che rompeva dall interno i logori stereotipi bizantini (FIG. 4). Era l inizio di un rinnovamento più profondo che avrebbe dato i suoi frutti più maturi con gli artisti della generazione successiva, come vedremo; rinnovamento che colpì anche l interesse del Vasari, il quale nelle sue Vite considerò la famiglia dei Pisano come protagonista della scena artistica del XIII secolo, al pari di Giotto e di Arnolfo di Cambio per la pittura e l architettura. Egli infatti scrisse che meritano l opere di scoltura et architettura di costoro [i Pisano] d essere celebrate, avendo essi in gran parte levata via, nel lavorare i marmi e nel fabbricare, quella vecchia maniera greca goffa e sproporzionata, et avendo avuto ancora migliore invenzione nelle storie e dato alle figure meglior attitudine. Ovviamente i primi passi di Giovanni vennero mossi all interno dei grandi cantieri presso i quali il padre già lavorava, e quindi nelle città di Pisa, Pistoia (per San Giovanni Fuorcivitas) e Siena. Tra la fine degli anni settanta e l inizio del decennio successivo, egli si cimentò in forme gotiche alla maniera del padre, rivisitando i modelli antichi in chiave squisitamente medioevale. È proprio di questo periodo il meraviglioso tondo di Empoli (FIG. 5), in cui lo scatto della testa della Vergine lascia già presagire quella vivace disposizione al moto che sarà poi tipica delle sue figure, e in cui le piccole dimensioni del rilievo vengono magicamente superate da una forte e spiccata impressione di monumentalità. Proprio quello sguardo svagato, come se qualcuno o qualcosa lo avesse distratto, anziché guastare l intimo rapporto con il Figlio, dona al rilievo una larghezza e una monumentalità sorprendenti per un opera di così ridotte dimensioni. Il Bambino, seduto sul braccio sinistro della Madonna, occupa perfettamente e con 4

5 naturalezza la parte inferiore del tondo, innalzando proprio al centro della composizione la mano destra in atto di benedizione, mentre con l altra stringe un rotulo, antico attributo di sapienza divina. Attira soprattutto lo sguardo dell osservatore l accurata decorazione della cuffia della Vergine, che a stento si intravede sotto il mantello, morbidamente ravvivato oltre la spalla destra, e la soffice carnosità del Bambino, dai piedi paffuti e dal volto puerile sapientemente incorniciato da riccioli vivi e ben pettinati. Ed è interessante notare come proprio il particolare della cuffia della Madonna, la cosiddetta palla di tradizione bizantina, sia un elemento di moda che scompare alla fine degli anni ottanta del Duecento. L amore e l interesse verso i particolari, ci porta anche a formulare un altra considerazione: e cioè che proprio in questa fase giovanile della sua formazione artistica, Giovanni dovette iniziare a guardare certi manufatti d avorio e d oro di provenienza soprattutto oltremontana, testimoniando così la sua precoce volontà di mettersi al passo con la moda del tempo. In particolare gli oggetti che ritraevano crocifissi dolenti e patetici, ma anche personaggi dalle pose affettate, dai gesti manierati, dai panneggi ricercati e artificiosi. La sua grande novità dovette consistere proprio nella capacità di vivificare e animare questi schemi convenzionali, che porteranno frutto particolarmente nella sua produzione matura. Agli inizi degli anni settanta del Duecento, Giovanni doveva già soprintendere ai lavori per la decorazione scultorea del battistero di Pisa, subentrando al padre e pensando di popolare le sovrastanti cuspidi gotiche con colossali busti e vere e proprie figure intere di personaggi laici e religiosi. Il lavoro durò per una decina di anni, quando gli venne proposto di partire per Siena, dove nuove e prestigiose commissioni lo attendevano. Ed è proprio a ridosso della sua partenza che, tra il 1284 e il 1285, Giovanni scolpì una Madonna del colloquio (FIG. 6) per la lunetta della porta occidentale del transetto sud del duomo pisano. È questo un altorilievo di eccezionale importanza per il rinnovato rapporto tra la madre e il figlio, per l introduzione di quel complice e umano dialogo di sguardi che d ora in poi lo scultore non abbandonerà più. Egli inaugura una nuova tipologia di Madonna col Bambino, tutta giocata su quello stupendo colloquio di sguardi, che non mancherà di essere riproposto nelle due tardive Vergini di Padova e di Prato, e che tanta fortuna incontrerà in seguito, specialmente nella produzione della sua bottega e degli altri membri della famiglia, che ne diffusero il linguaggio anche nelle zone più remote della Toscana. Tutto giocato su un registro psicologico, è dunque il richiamo a quegli intimi, privati sentimenti che intercorrono tra madre e figlio: motivo che risulterà in seguito particolarmente caro ad un pittore senese come Pietro Lorenzetti (FIG. 7). Eccezionale per la posizione del Bambino, seduto sul braccio destro della Madonna, la scultura affascina oltre che per il suo aspetto massiccio, per quell elegante, composto frangersi del panneggio, che trova nello scivolare del velo dalla spalla destra della Vergine il suo apice espressivo (FIG. 8). 5

6 Come accennavo poco fa, intorno al 1285, deve cadere la partenza di Giovanni da Pisa. Forse vi fu una concomitanza di eventi, uno di natura politica, l altro di natura personale, a suggerire all artista di lasciare la sua città natale: la morte del padre Nicola e la perdita dell egemonia finanziaria della repubblica marinara. Nell agosto del 1284, infatti, i pisani furono sconfitti a Meloria dai genovesi; le gravi condizioni economiche in cui versava la città non consentivano più di investire in grandi imprese cittadine. È quindi naturale pensare che Giovanni abbia riparato in una città come Siena che, al contrario, poteva assicurargli lavoro e guadagno, e dove la fama che si era conquistato il padre con il pulpito per il duomo era ancora ben viva. Con il Governo dei Nove, infatti, durato dal 1287 al 1355, Siena si preparava a vivere una lunga stagione di stabilità politica, costellata di eminenti imprese pubbliche e da eccezionali commissioni artistiche. Sul finire del Duecento le compagnie bancarie senesi si erano guadagnate spazi importanti e fino ad allora inimmaginabili nelle aree della Champagne e anche i commerci avvenivano adesso, con discreta frequenza, su scala internazionale. Tanta prosperità economica si rifletteva ovviamente anche nella produzione artistica. Quando Giovanni arriva a Siena era soprattutto la produzione orafa, tra le arti, a fare da padrona. Prima con Pace di Valentino e poi con Guccio di Mannaia, essa avrebbe conosciuto in breve tempo una fortuna irrepetibile e straordinaria. È probabile che Giovanni Pisano avesse già avuto l occasione di apprezzare i raffinati oggetti di oreficeria realizzati da Pace per Pistoia: se mai accompagnò suo padre per i lavori dell altare di San Iacopo in duomo, dovette senz altro vedere il grande calice d oro, la meravigliosa legatura del codice per contenere l Uffizio di San Iacopo, nonché l ornatissima patena tutta piena di gemme che l orafo senese aveva appena inviato a Pistoia. In questo tipo di produzione si sarebbe inaugurato poco più di un decennio più tardi un eccentrico, vistoso rinnovamento stilistico e tecnico: era la nascita del cosiddetto smalto traslucido, ovvero della stesura di paste vitree finemente macinate e semitrasparenti su un sottilissimo bassorilievo d argento. Risale al il famoso calice che Guccio di Mannaia eseguì per papa Niccolò IV, il primo pontefice francescano, in cui si riconoscono già le prime importantissime prove sperimentali di questa tecnica (FIG. 8). Lo smalto traslucido costituiva una novità assoluta che, rispetto ai precedenti esempi di smalto cloisonné e champlevé, consentiva di raggiungere maggiori possibilità espressive e più sciolti ritmi lineari, facendo avvicinare sempre più quest arte alla pittura. Del resto, l intelligente apertura che Guccio di Mannaia rivela nelle sue figurazioni verso le forme guizzanti del gotico oltremontano andava di pari passo al già vivo interesse dimostrato da Giovanni Pisano per quella cultura. Ed entrambi Guccio e Giovanni avrebbero dato i propri contributi personalissimi all arte, con tangenze con le pitture dell anonimo inglese del paliotto di Westminster (FIG. 9), imprimendo alle loro figure accenti caricaturalmente umorali e toccando le corde dei sentimenti sempre estremi e austeri. A Siena, dunque, Giovanni 6

7 Pisano dovette trovare le condizioni ideali per esprimere, quasi alla soglia dei quarant anni, tutta la sua potente capacità inventiva, che poi portò nuovamente a Pisa, a partire dal Accanto alla scultura nel più nobile marmo, egli dovette guadagnarsi durante tutta la sua carriera una fetta importante di mercato anche nella produzione degli intagli lignei, a giudicare da alcuni esemplari fortunatamente sopravvissuti. Esemplari che sono motivo di grande attenzione per noi che siamo qui a questo seminario, perché essi stanno alla base dei processi culturali e artistici che hanno portato alla genesi delle statue lignee presenti nella Valleriana. A questo punto merita anche far cenno alla sfortuna critica che tale genere scultoreo ha avuto nel corso dei secoli, così diffusa da farci perdere di vista anche la produzione dell artista pisano in questo materiale. Scultura lignea che ci appare al contrario perfettamente integrata nella produzione artistica medioevale, al pari in importanza del più nobile materiale lapideo. Nella fattispecie, queste dovevano essere proprio le opere che il pubblico e i committenti privati ed ecclesiastici amavano di più di lui. Tra le opere lignee che ci sono pervenute di questa trance di fine secolo, vi sono alcuni Crocifissi degni di nota, tutti denotati da un incredibile grado di finitura, tale da aver richiesto certamente un accordo e ben calibrato intervento da parte del pittore incaricato di dipingere la scultura, come era prassi nel medioevo. Egli si sforzò di stendere i colori su uno strato sottilissimo, in modo da incidere il meno possibile sulle raffinatezze dell intaglio. Affusolati, smagriti, con una ossatura esile che sembra tuttavia premere per uscire fuori dalla pelle, i crocifissi sono concepiti in una torsione tale che il corpo del Cristo si stacchi completamente dalla croce e si contrae per il dolore. Questa indulgenza verso le pieghe private del dramma dovette molto probabilmente provenire dall attenzione che lo stesso Giovanni metteva nella lettura delle opere di letteratura devozionale che allora circolavano sulla passione di Gesù. Il ritorno di Giovanni a Pisa coincise con un momento di effettiva ripresa economica della città e, di conseguenza, dei lavori nelle tre fabbriche principali a cui l architetto-scultore doveva sovrintendere: duomo, Camposanto e campanile. Tra i primi impegni contratti dall artista a Pisa in veste di scultore merita senz altro di essere ricordato un piccolo polittico a scomparti per l altare maggiore della cattedrale, con un tabernacolo centrale che ospitava una Madonna col Bambino fiancheggiata da due angeli (FIG. 10). Dell intero complesso è rimasto purtroppo soltanto il gruppo centrale intagliato in avorio, essendo stato smembrato già nel 1595 in seguito al terribile incendio che colpì la cattedrale. L opera fu sottoposta ad un importante restauro nel corso del 1634, a opera dell artista pisano Giovan Battista Riminaldi, che comportò il rifacimento di diverse parti a imitazione dello stile gotico. Probabilmente fu la sua trasformazione in reliquiario, grazie all aggiunta di una base in ebano, a garantire la sopravvivenza della piccola scultura. Il significato 7

8 attribuito al tabernacolo di cui la statuetta faceva parte doveva essere assai rilevante fin dai tempi della sua ideazione, se il Capitolo del duomo pensò di commissionare l opera ad uno dei maestri più capaci nel padroneggiare materiali diversi. Appare pertanto come esplicita la volontà di indicare allo scultore un modello eburneo di manifattura straniera a cui ispirarsi, visto che in Italia non risulta radicata, prima di quest opera, l arte dell intaglio in avorio. La sicura abilità dimostrata qui da Giovanni nel saper sfruttare con perizia la curvatura della zanna dell elefante per ottenere effetti di allungamento e di elegante sinuosità il tipico hanchement gotico, fa ritenere che egli abbia conosciuto, più che la Madonna in pietra del transetto nord di Notre Dame di Parigi, proprio le statuette eburnee da essa derivate. L idea che ci viene da formulare, insomma, è che Giovanni Pisano si sia aggiornato sulle tendenze gotiche d oltralpe grazie alla circolazione di piccoli oggetti d arte facilmente trasportabili o di semplici taccuini di modelli francesi, oltre che al contatto diretto con artisti forestieri operanti in Italia. D altra parte, la statuetta di Pisa, per quanto intimamente gotica nell abile e intelligente contrapporsi degli arti, nonché nel fluido movimento del panneggio, mostra specialmente nel volto della Vergine, un fare largo che è perfettamente in linea con altre opere dell artista pisano, e che quindi avvalorano l ipotesi che questo manufatto sia frutto di un contatto mediato e personalmente rielaborato con analoghi soggetti francesi. Nel particolare l lavorazione dell avorio portò Giovanni a prediligere evidentemente le forme abbreviate e sintetiche, anziché indugiare sui particolari, donando forti effetti di contrasto soprattutto nella parte retrostante il volto della Madonna e nella frangitura della sua veste. Sono questi gli anni dei numerosi pulpiti marmorei; primo fra tutti quello di Sant Andrea a Pistoia, considerato dalla critica contemporanea il capolavoro della sua maturità. Trionfo delle forme plastiche in movimento, per quest opera egli ha saputo mediare la lezione paterna del motivo della cassa esagonale con una struttura agile e snella d insieme e con un modo di concepire le scene e i personaggi con una mimica assolutamente efficace e innovativa. Seguirà poi il pulpito per la cattedrale pisana, commissionatogli in un momento di ammodernamento della suppellettile liturgica, che permettesse di sostituire quello più antico di Guglielmo ( ). L impresa si protrasse per l arco di un decennio, durante il quale Giovanni portò avanti anche molte altre opere. Oltre alla ieratica Madonna col Bambino per la lunetta del portale centrale del battistero (FIG. 11), risale ai primi anni del Trecento la famosa Madonna col Bambino e due angeli cerofori realizzata per la cappella dell Arena di Padova, appena affrescata da Giotto per Enrico degli Scrovegni (FIG. 12). Ma vediamole entrambe più nel dettaglio. Il primo gruppo ci sorprende un poco, in quanto sembra quasi concepito come un altorilievo, dove solo le lunghe pieghe in diagonale della veste sembrano animare l ampio rettangolo di marmo. La figura, nella sua salda struttura di forme, lascia trapelare solo ad un occhio attento una meravigliosa forza vitale. È vero che la perdita di gran parte 8

9 del Bambino non aiuta certo a ricostruire il dialogo emotivo che con ogni probabilità doveva intercorrere tra i due personaggi, mentre la Vergine, così frontale ma con la testa girata di profilo, quasi come un antica regina egizia, pare concepita da Giovanni secondo canoni regolari, di cui il volto largo e tondeggiante è il tratto forse più rilevante. Altera e sdegnosa, questa Madonna si ergeva come dicevo dall alto della lunetta della porta principale del battistero, e per quanto strana possa apparire ai nostri occhi per la sua diversità con le Madonne mostrate fino ad ora, essa è da annoverare tra le opere certe e firmate dall artista, come ci ricorda infatti l iscrizione nello zoccolo di base: Nicoli nato sculptore Johanne vocato. Nel secondo caso, è anzitutto doveroso ricordare che queste sculture siano state richieste fin dall inizio per la cappella del Arena a Padova, prezioso scrigno interamente affrescato da Giotto su commissione del più ricco mecenate locale del tempo, Enrico degli Scrovegni. Di certo, quindi, già in fase progettuale Giovanni dovette aver ben chiaro il carattere piccolo e raccolto dell ambiente al quale le sue statue erano destinate. Adatte infatti ad una fruizione ravvicinata, queste sculture, alte poco più di un metro, appaiono levigate e rifinite a tal punto da soddisfare anche lo sguardo più attento. Ed è appunto nella diversa destinazione che va ricercata una spiegazione plausibile per giustificare la lieve differenza di resa che passa tra quest opera e la precedente. Di una carnosità morbida e attendante, come se fossero plasmati nella cera, i due angeli cerofori un tempo muniti di ali dorate incedono piegando ostentatamente le teste verso il gruppo centrale, che tutto imperniato in un intimo e privato colloquio stravince su ogni altra emozione. Il loro moto flessuoso, ottenuto con poche linee essenziali, ricorda da vicino le pose di alcuni personaggi rappresentati nel pulpito pisano per esempio le fantesche nella scena della Nascita del Battista, confermando la predilezione di Giovanni per un registro classicistico che si attua sostanzialmente mediante un grande sintetismo di forme. La statua della Madonna, pur presentando alcune tangenze con la stessa figura femminile del battistero pisano, soprattutto nella veste allacciata sotto il petto, nel fermaglio ovale del mantello, nella testa girata verso sinistra con il braccio destro ripiegato che indietreggia, presenta nelle pieghe lineari dell abito un maggiore senso ascensionale. È tuttavia l aspetti dinamico e giocoso del Bambino, che improvvisamente si rivolge verso la madre, quasi a cercare conferme nei suoi occhi, a conferire a questa Madonna un espressione di sereno e spontaneo stupore. Ancor più notevole doveva essere l effetto originario d insieme, con le splendide ornamentazioni dorate delle vesti dei personaggi, le cui tracce sono state evidenziate da un recente restauro. Ed è chiaro qui che l ammirazione di Giovanni per l arte gotica d oltralpe, per quanto attenuata con gli anni, non dovette mai venire meno. La presenza in un così piccolo ambiente di due artisti contemporanei e tra i massimi esponenti di tutti i tempi, come Giotto e Giovanni Pisano, ha certamente favorito la dilagante fortuna delle ipotesi su presunti e leggendari rapporti tra le due personalità, che risulta 9

10 alquanto probabile se si pensa a come entrambi abbiano perseguito risultati affini soprattutto nella riscoperta delle verità naturali. Chiudono infine la carriera dello scultore altre Madonne col Bambino, in cui l artista propone, con rinnovata freschezza e sicura originalità, il tema dell intimo colloquio di affetti tra madre e figlio. Bellissima la Madonna della cintola, scolpita per il duomo di Prato (FIG. 13). Essa compendia, infatti, tutte le straordinarie novità introdotte dall artista durante l intero arco della sua carriera. Mirabile nel moto spiraliforme, che lascia indovinare sotto il mantello un armonica silhouette femminile, la Madonna pratese straripa di sentimento nel tenero e complice gioco di sguardi col Figlio. Perfino il motivo del manto, che generoso si ripiega in morbide e profonde curve sul fianco sinistro della Vergine, viene trasformato qui quasi in una sorta di vezzo, sapientemente introdotto e svolto con rara maestria. Tenera e naturale appare, del resto, la posa del Bambino che, attratto dalla corona della madre, tenta di afferrarla dimenandosi. Si conclude così la folgorante parabola artistica di Giovanni Pisano, che dimostra fino all ultimo di saper rinnovare e reinventare in ogni occasione perfino un tema così tradizionale come quello della Madonna col Bambino, toccando un vertice di affetti che mai più sarà raggiunto nella scultura gotica e tardo-gotica, neppure dai membri della sua stessa famiglia, che seppero accogliere le novità stilistiche e compositive da lui studiate in vita, riproponendole talvolta anche stancamente in tutto il territorio toscano. Andiamo adesso ad analizzare la personalità di Nino Pisano, scultore e orafo, figlio di Andrea e nipote di Giovanni; fu attivo a Pisa tra il 1343 e il Non si hanno notizie certe né della sua nascita forse avvenuta a Pisa nel 1315 né della sua formazione, che con ogni probabilità avvenne nella bottega paterna. Molte infatti furono le collaborazioni fatte con quest ultimo, in particolare a partire dagli anni trenta del secolo XIV, soprattutto nel piccolo oratorio di Santa Maria della Spina dove si trovano le statue della Madonna della Rosa fra i santi Pietro e Paolo, e la copia della celebre Madonna del Latte (FIG. 14 e 15). Il primo gruppo scultoreo menzionato risulta conservare almeno in parte la colorazione e la doratura originali, che non fanno altro che accentuare la bellezza dell abito della Vergine e che mettono in evidenza la giustapposizione di zone di luce e zone d ombra, specialmente nella parte interna della manica destra, il cui orlo è definito con grande maestria e aderenza al vero. L attenzione stessa della resa dei volti delle due figure, la loro vivacità psicologica, il gioco amoroso di sguardi tra madre e figlio ci riportano ai già studiati esempi di Giovanni Pisano, che quindi dovranno essere considerati come epigoni stilistici e compositivi di modelli ampiamente conosciuti e apprezzati dalla committenza. Il secondo gruppo la copia cioè a mezzo busto della Madonna del latte ci fa riflettere soprattutto sulla figura molto dinamica del Bambino, che appare per tanti versi dipendente dalla tradizionale iconografia 10

11 dell infante che si nutre al seno materno, in particolare quella pittorica di cui qui ne proponiamo una versione di Ambrogio Lorenzetti. Sempre per la stessa chiesa pisana della Spina, Nino eseguì insieme al padre le tre guglie sull altare maggiore, scolpendo una graziosa Madonna con Bambino posta sulla guglia centrale (FIG. 16). Collaborò anche alla realizzazione della tomba Saltarelli nella chiesa di Santa Caterina a Pisa, come è possibile vedere nelle figure di due angeli laterali, databili al 1343; essa presenta, però, interventi di altri scultori di inferiore abilità (FIG. 17). Ancora non sappiamo quale fu la sua prima opera eseguita in forma autonoma, ma è certo che questa avvenne a Firenze: i dibattiti ruotano attorno alla scultura delle formelle per il campanile di Santa Maria del Fiore a Firenze di cui ne vediamo qui alcune (FIG. 18), oppure alla Madonna col Bambino per il Monumento Cavalcanti nella basilica di Santa Maria Novella, entrambe firmate (FIG. 19). In quest ultima opera, ad esempio, vengono portate alle estreme conseguenze quelli che sono gli elementi stilistici che caratterizzano la sua poetica d arte: l elegante hanchement della Vergine, il bordo frastagliato della veste, che è eredità della cultura d oltralpe soprattutto francese, la gestualità solenne del Bambino, che si erge fiero sul braccio sinistro della madre, pronto quasi a dare il Giudizio ante litteram. Ricordando soltanto brevemente la parentesi quadriennale del viaggio di lavoro nella cittadina di Orvieto intorno al 1349, dove Nino ricoprì la carica di capomastro dell Opera del duomo, accenneremo ad un ricordo concernente un documento, datato al 1358, in cui Nino del fu Andrea da Pontedera, orafo della cappella di San Lorenzo di Rivolta, Goccio del fu Gaddo e Simone detto Baschiera, si impegnarono a realizzare una tabula argentea cum figuris schulti per l altare del duomo di Pisa, opera oggi purtroppo perduta. In base a questa memoria, quindi, possiamo solo ipotizzare che Nino fosse tornato nella città di Pisa alla fine del sesto decennio del XIV secolo e che vi restò fino agli anni sessanta, periodo per noi particolarmente significativo. Era il 15 marzo del 1362: egli si impegnava a lavorare al monumento funebre dell arcivescovo Giovanni Scherlatti, pensato per la Cappella Aulla nel Camposanto Monumentale (FIG. 20). Concepito come una semplice cassa di marmo a forma di parallelepipedo, su cui è adagiata l effige del defunto, lo spazio compositivo si articola in tre settori quadrati nei quali sono scolpiti a rilievo una Pietà tra i due dolenti Giovanni, l apostolo prediletto, e Maria. Se andiamo a guardare i singoli scomparti, non possiamo far altro che rimanere affascinati dalla raffinatezza e levigatezza delle figure, condotte con grande sapienza tecnica, fin nei minimi particolari. Il personaggio della Vergine, esprime tutto il suo dolore attraverso la contrizione espressa nel volto e nella posizione della mani, riproposta nella figura del san Giovanni evangelista, che però è colto sul punto di piangere per la morte del Cristo, e presenta una gestualità diversa. Entrambe comunque ci rimandano sia per l aspetto emozionale che 11

12 per quello fisiognomico alle figure di analogo tema, dipinte dal celeberrimo Giotto di Bondone, come quelle presenti nella predella del polittico Baroncelli in Santa Croce a Firenze (vedi foto), che sicuramente Nino avrà potuto conoscere se non per visione diretta per le copie dei patroni che circolavano a Pisa dopo l esecuzione dei grandi affreschi del Camposanto ad opera dei suoi allievi. Sempre in questo periodo e per la stessa destinazione, Nino progettò anche un altro monumento funebre, questa volta per l arcivescovo Francesco Moricotti, poi portato a termine dai suoi allievi. Altre opere sono state attribuite dalla critica a Nino Pisano, senza però possederne alcuna certezza documentaria. Sicura e accertata anche dalle Vite del Vasari, invece, è una delle ultime opere monumentali dell artista, ovvero l Annunciazione scolpita per la chiesa di Santa Caterina di Pisa (museo San Matteo), addossata originariamente ai due pilastri della cappella dell altare maggiore, di cui ne fu riprodotta una copia lignea forse per mano dei suoi allievi e oggi alla National Gallery di Washington (FIG. 21). Secondo le parole del già citato Vasari, di cui ci apprestiamo adesso a leggerne il passo, l autore avrebbe firmato l opera sulla base: Fece ancora Nino, per un altare di Santa Caterina pur di Pisa, due statue di marmo, cioè una Nostra Donna et un Angelo che l annunzia, lavorate, sì come l altre cose sue, con tanta diligenza che si può dire ch elle siano le migliori che fussino fatte in que tempi. Sotto questa Madonna Annunziata intagliò Nino nella base queste Parole: A DÌ PRIMO FEBBRAIO 1368 e, sotto l angelo, QUESTE FIGURE FECE NINO FIGLIUOLO D ANDREA PISANO. Effettivamente, ad avvalorare l opinione del Vasari sulla bellezza di tale opera, vi è la lettura stilistica di queste due figure: la Vergine viene presentata in una posa sinuosa, sorridente, drappeggiata in un abito il cui panneggio viene definito mediante una grafia nervosa che richiama i modelli francesi e che attesta l orientamento di Nino verso soluzioni pittorico-decorative lontane dalla più salda impostazione paterna, di matrice ancora giottesca. Inoltre la delicata e composta rispondenza psicologica tra l Angelo e Maria costituisce una delle più alte ed esemplari interpretazioni che ha reso Nino l ultimo esponente della cultura gotica nell ambito della scuola scultorea pisana, poi riprodotta svariatamente in numerosi gruppi lignei toscani tra il Trecento e il Quattrocento. Infine egli scolpì e firmò anche una Madonna col Bambino per il monumento funebre del doge Marco Corner morto nel 1368 per il presbiterio della basilica dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia (FIG. 22). Purtroppo l opera è stata manomessa in occasione di uno spostamento; tuttavia possono essere attribuite alla mano di Nino anche tutte le statue dei Santi che accompagnano la Vergine, mentre il sarcofago recante l immagine del defunto è opera di maestranze venete. Nino forse morì poco dopo, risultando ancora vivo nel 5 dicembre del 1368, giorno in cui venne fatta una annotazione di pagamento per un altro monumento funebre, quello di Giovanni dell Agnello. 12

13 La grande fortuna ottenuta dalla scultura di Nino, la ferma e rispettosa aderenza ai suoi modi da parte dei seguaci, la vastità del fenomeno, in termini sia quantitativi sia di distribuzione geografica, e la sua durata, hanno concorso a creare un problema critico di difficile soluzione. Ancora nel primo decennio del Quattrocento, infatti, soprattutto nell area nord occidentale della Toscana, si continuava a scolpire seguendo lo stile di Nino, con una produzione dai caratteri linguistici fortemente omogenei, distinguibili difficilmente anche da occhi esperti. Tuttavia l apporto di nuovi dati archivistici e di nuove attribuzioni di opere d arte specialmente a livello locale permette di fare chiarezza su tale omogeneità, suddividendo i manufatti artistici in una serie di sottogruppi riferibili a mani diverse, cioè a nuovi maestri. Inoltre il riconoscimento della personalità di Francesco di Valdambrino come operante all interno della Valdinievole, a partire dagli anni trenta del secolo scorso, ha portato ad una presa di coscienza della reale complessità del problema, cercando così di fare chiarezza su quelle sculture lignei che altrimenti sarebbero state ricondotte al medesimo, anonimo, ambito artistico. Appare quindi chiaro come, all interno di un excursus cronologico ampio un secolo dal Trecento al Quattrocento potranno essere rintracciati elementi stilistici e compositivi di chiara e forte ascendenza pisanesca, interpretati di volta in volta secondo esigenze e linguaggi locali, non dimentichi soprattutto nell avvicinarsi al XV secolo delle soluzioni quasi ghibertiane o valdambrinesche. Elementi che dovrebbero fare riflettere sulla natura dei rapporti tra scultura tardo-gotica pisana e quella fiorentina, ben presente in un area geografica come la Valleriana fin dal 1339 divisa come abbiamo visto nella scorsa lezione tra due potenze politiche diverse. Entrando nello specifico, particolarmente vicino alla scultura ninesca, a dimostrazione dei forti legami tra il nostro territorio ed il contesto culturale pisano-lucchese, è un piccolo marmo conservato nella chiesetta di Fibbialla (FIG. 23). L opera, trasformata dal passare del tempo e dalla devozione dei paesani, avrebbe dovuto raffigurare in origine una santa molto probabilmente una santa Lucia, per la posizione della mano sinistra atta a sorreggere il suo attributo del piattino o una Vergine annunziata. Nonostante che la figura sia completamente ricoperta di stoffe e oggetti di oreficeria, sono evidenti i legami con la scultura ninesca, in particolar modo con la prima produzione pisana. Innegabili sono infatti i rapporti con i due angeli adoranti posti ai lati della Vergine nel monumento Saltarelli, nella chiesa di Santa Caterina a Pisa. In particolare ci sono tangenze tra il volto della nostra Madonna e quello dell angelo di sinistra del caso pisano: la forma sottile della bocca, con le labbra atteggiate in un sorriso, il profilo degli occhi e delle arcate sopraccigliari, la struttura del naso e quella del volto quadrato, con gli zigomi alti e la fossetta del mento, sono pressoché identiche. Anche la tipologia di capigliatura è molto affine, soprattutto per il 13

14 minuto lavoro di scalpello che ha saputo rendere un idea di equilibrio e compostezza grazie alla spartizione in onde riproducenti quasi l elegante profilo di una conchiglia. Notevole è anche il modo mediante il quale impostare la posizione delle braccia e delle mani, così come lo è la forma della veste dall ampio scollo quadrato, il tipico guarnello, usato molto spesso nella tradizione iconografica riferita all angelo. La flessione laterale del collo dell angelo pisano e il conseguente spostamento in avanti dell intera figura, che nel monumento Saltarelli aveva una propria funzionalità, viene qui riproposta senza alcuna variazione, e a questo punto senza alcuna motivazione statica o prospettica. L attribuire quest opera ad un particolare maestro appare alquanto difficile, data la vicinanza con la città di Pisa, legata alla Valleriana attraverso una viabilità ben conosciuta fin dall alto medioevo, e data la presenza di numerosissime sculture pisane in tutta la diocesi lucchese. Su un livello completamente diverso è lo scultore che ha invece intagliato la Madonna col Bambino, oggi conservata nella chiesa di San Francesco a Pescia (FIG. 24). L innegabile dipendenza di questo maestro dai modelli nineschi è interpretata secondo un linguaggio personale caratterizzato da una costruzione forte, fatta di masse compatte, e da una certa rigorosità compositiva, che dona alla figura fermezza e forza, senza togliere nulla alla grazia dei modelli a cui si ispira. Lo splendido Bambino, seduto ben eretto e fiero, è frutto della diretta osservazione del gruppo marmoreo in Santa Maria della Spina a Pisa, e quindi ci appare come quasi come la migliore copia personalizzata di un modello di Nino che ci sia dato di conoscere. Nella definizione dei panneggi, però, lo scultore si stacca completamente dall imitazione dei modelli pisani, non amando evidentemente la complicata organizzazione dei tessuti in sistemi di pieghe, utilizzati ad ampie festonature o abbondanti cascate laterali: egli costruisce una figura solida, elegante, caratterizzata da pieghe dritte e parallele che si dipartono dal fianco sinistro. Punto focale di tutta la composizione è l incontro tra le mani dei due personaggi, un gesto affettuoso sottolineato dalla campitura liscia e piatta dello sterno della Vergine. Probabilmente dovremmo attribuire allo stesso ambito artistico, ma ad un altro scultore più tardo, anche le due statue lignee di Pontito (FIG. 25), recentemente riferite ad Antonio Pardini in base ad una analisi stilistica: una rappresentante una santa Lucia, l altra un sant Andrea. Anche in questo caso, forte è la dipendenza dalla statuaria pisana della metà del Trecento: nella figura maschile, chiaro è il richiamo al San Paolo scolpito da Nino per il Camposanto di Pisa. Il santo, infatti, è rappresentato stante, interamente avvolto da ampi panneggi della lunga veste all antica che rivelano il corpo sottostante. Viene qui riproposta la flessione laterale e la torsione del busto verso destra tipica del profondo hanchement tardo-gotico di Nino, mentre viene aggiunto un ulteriore spostamento della testa verso sinistra, seguendo uno schema compositivo a zigzag che ricorda 14

15 alcuni esempi più arcaici. Ma la chiara derivazione pisana è ben comprensibile se guardiamo ancora una volta l organizzazione dei panneggi: tipica è la soluzione adottata per il bordo superiore del manto e per la piegatura del gomito verso cui convergono le festonature. Anche la scelta di utilizzare la falda del mantello a forma di un ampio arco sul retro è un elemento compositivo derivante dalla produzione di Nino, ma il confronto diretto con la statua raffigurante San Paolo ci apre la mente alla comprensione delle differenze e delle similitudini dei due autori. Alla calma, lineare e contenuta plasticità del marmo pisano, il sant Andrea propone il movimento, una plasticità forte che si delinea nella costruzione della figura attraverso la frammentazione delle singole masse, slegate tra di loro e scalate su più piani, e ricomponibili solo da un ben determinato punto di vista privilegiato: quello della visione frontale. Vediamo poi la Santa Lucia, conservata sempre nella chiesa dei Santi Andrea e Lucia di Pontito (FIG. 26). Anche se lo stato di conservazione della statua, sia per quanto riguarda la parte lignea che per quanto riguarda la parte pittorica, risulta essere pessimo, per la totale assenza di ampie aree la più vistosa delle quali è quella della mano destra, la santa è rappresentata stante, vestita da una veste alto cinta e coperta da un mantello legato al petto con un fermaglio dalla forma a rosetta. La plasticità che caratterizza quest opera è tale da far dimenticare allo spettatore il ripetitivo riproporsi di certe forme pisane, per potarlo a considerare come qui, invece, soluzioni ed elementi abbraccino pienamente quella che è la scultura del primo Quattrocento, legata soprattutto alla personalità di Francesco di Valdambrino. Anche in quest opera non passano certo inosservate le lunghe pieghe a forma di canna, rigide e diritte, che si infilano a fascio sotto il gomito sinistro, dando vita ad un effetto non propriamente naturale, a cui però dobbiamo prestare particolare attenzione. La definizione dei panneggi, infatti, è piuttosto singolare: una lunga e profonda piega, che taglia in due, diagonalmente, la figura, diviene un elemento compositivo che separa due zone stilistiche contraddistinte da un diverso modello di riferimento. Il primo modello è particolarmente visibile nel lato destro della santa, là dove vi è un affastellamento di pieghe su pieghe e di panneggi su panneggi, in una forma complessa di linee e volumi che celano completamente il corpo sottostante. Al secondo modello bisogna riferire invece il lato sinistro, caratterizzato da un semplice reticolo di pieghe sottili e taglienti che tendono ad evidenziare la verticalità della gamba tesa in appoggio sul basamento. Il rimando più ovvio, nel primo caso, risulta essere una Santa Barbara, oggi conservata al Museo del Bargello di Firenze, la cui tipologia di volto, con l espressione imbronciata, ne costituisce il modello diretto, proprio forse dello stesso artista. Inoltre, le pieghe presenti sul fianco destro della figura sono praticamente identiche, tanto da farci pensare che esse siano una sigla stilistica propria dello scultore. Nel secondo caso, un ampio solco definito da due linee parallele nella parte bassa della veste, crea un forte effetto di dinamicità, come se la santa fosse stata 15

16 rappresentata in atto di camminare. Questa soluzione ci porta a considerare alcune soluzioni compositive utilizzate da Mariano d Angelo Romanelli nella sua produzione tarda, in particolare nell Angelo annunciante di Castelfiorentino, oggi al museo di Santo Stefano al Ponte a Firenze. Appare quindi chiaro ai nostri occhi come i pochi esemplari di arte trecentesca in Valleriana riguardino essenzialmente opere in scultura, sia marmorea che lignea, e che queste siano dipendenti almeno inizialmente dalla produzione di Nino Pisano. Le forme, i volumi, le composizioni vengono poi reinterpretati alla luce dell esperienza personalissima degli artisti che hanno lavorato in loco. Questi ultimi, a mano a mano che ci si avvicina al Quattrocento, dimostrano di conoscere anche le novità stilistiche che, in modo prorompente, si stanno affacciando sulla scena artistica, in particolare quella di Antonio Pardini, Mariano d Agnolo Romanelli e di Francesco di Valdambrino. È questo il caso di un maestro locale, probabilmente legato alla sola area pesciatina, dato che in quel territorio ritroviamo quasi tutte le opere da lui prodotte: si tratta di una personalità che dimostra una aderenza totale ai moduli trecenteschi pisani, maturati alla luce delle prime ricerche di Francesco di Valdambrino. In questo senso dovrà essere visto la statua rappresentante un Giovane santo, oggi conservato a museo civico di Pescia (FIG. 27). Evidenti sono i richiami nineschi, che ormai conosciamo, nell impostazione del viso, negli occhi sgranati, nella volontà di non distaccarsi dal linearismo decorativo dei capelli. In lui l aggiornamento tardo in chiave valdambrinesca non si esprime con un cambiamento totale dello stile, ma al contrario con una riproposizione formale nella fissità dei volti e nell aderenza rigida dei panneggi alla figura. Tra l altro il santo pesciatino, presenta una anomalia tecnica: ha le gambe storte, anguiformi, che donano alla statua un senso di instabilità. Una posizione alquanto strana, forse frutto del tentativo mal riuscito di riportare gli arti inferiori delle madonne del Valdambrino così come essi erano scolpiti dal maestro senese, senza meditare sulle conseguenze compositive e statiche. Vicino cronologicamente al caso pesciatino, è il San Matteo di Pietrabuona, purtroppo posto in una infelice condizione di fruibilità e ricoperto da uno strato policromo sicuramente non originale, contraddistinto da toni bruni e riccamente decorato da numerosi ex voto metallici a forma di cuore nella parte inferiore della veste (FIG. 28). Il santo è rappresentato stante e in posizione rigidamente frontale, vestito con un abito dallo scollo estremamente ampio e dalle maniche larghe, e con un mantello caratterizzato da fitte pieghe che scaturiscono dalla spalle sinistra e corrono lungo tutto il corpo, fino all anca opposta. Le pieghe a canna della veste sono disposte a raggiera sulla parte bassa del ventre, sulle gambe e sulla manica a partire dalla piega del gomito destro. Piega che si dispone a zigzag, interrompendosi e complicandosi in linee spezzate che si fondono con l orlo del manto togato, presentante un grande risvolto che dona ai panneggi sinuosità ed eleganza. Le braccia, che rivelano una corporatura esile e una postura rigida, sono strette e aderenti al corpo, mentre il volto, 16

17 realizzato sulla base di uno schema semplice e di volumi elementari, è fisso ed immobile, contornato da una folta barba e da una capigliatura geometrica ed equilibrata. Vicina nell impostazione generale al caso pesciatino, nonostante la sua forzata rigidità, questa scultura appare più addolcita nelle forme, e quindi denota un approssimarsi stilistico alle novità lessicali del primo Quattrocento. Novità che verranno pienamente proposte nel San Martino conservato nella chiesa parrocchiale di Vellano, dove vediamo il raggiungimento e perfino il superamento degli arcaismi decorativi dell epoca precedente (FIG. 29). La fissità complessiva della figura, il rapporto fra le festonature del manto e il parallelismo della tunica sottostante, la costruzione del volto secondo stereotipi, sono certamente ripresi dai modelli più antichi di Pescia e di Pietrabuona. Ma le ciocche dei capelli, leggermente ondulati e tirati all indietro sotto la tiara, sono ben evidenziate e lavorate ad una ad una con lo scalpello, non senza una certa eleganza e capacità tecnica, in particolare in corrispondenza delle orecchie, sopra le quali sembrano quasi appoggiarsi morbidamente con grande veridicità e naturalezza. Sono proprie di un linguaggio rinnovato, più attinente al Valdambrino, anche la definizione delle pieghe della casula, con la festonatura leggermente disegnata sul fronte, e il tentativo di emulare l afflosciarsi elegante della veste ai piedi della figura. Proprio a proposito di Francesco di Valdambrino, dobbiamo aprire una parentesi, e parlare a questo punto della sua levatura artistica, anche in rapporto a quanto è stato recentemente scoperto riguardo alla sua precoce attività, legata forse più di quanto si potesse immaginare a una dipendenza fedele alle forme linguistiche di Nino ed a una sua ormai certa presenza in Valdinievole. Di certo sappiamo solo che nacque tra il 1365 e il 1370 circa a Siena, e che fu amico del conterraneo Jacopo della Quercia, conosciuto forse in seguito a comuni frequentazioni lucchesi. Pare infatti che entrambi abbiano avuto la loro formazione proprio in quella città, a partire dall ultimo ventennio del Trecento, in due botteghe diverse. Allo scorcio del secolo Lucca, come sappiamo, era un centro artistico fiorente, dove operarono pittori di buone qualità, come Spinello Aretino, nonché diversi artisti senesi, tra i quali Martino di Bartolomeo, che intorno al 1394 miniò ben cinque corali della cattedrale. La presenza di queste personalità senesi a Lucca non ci deve sembrare strana, anche per ragioni storiche: nel 1391, infatti, lo stato di Siena passò sotto il controllo di Gian Galeazzo Visconti, e quindi molte persone appartenenti alla fazione di Orlando Malavolti, fuggirono dalla città per recarsi in luoghi dove attendere un rientro tranquillo in patria. Pertanto artisti come ad esempio Piero d Angelo ottennero a Lucca commissioni ragguardevoli, quali l incarico di intagliare in legno una Annunciazione per la chiesa di Santa Maria di Benabbio, una località posta nel territorio collinare lucchese, attiguo alla Valleriana (FIG. 30). Rigide e bloccate nei loro movimenti, le due figure denotano una compattezza di forme che pare in rapporto con il recupero 17

18 del lessico di Giovanni Pisano attuato nella Siena della seconda metà del Trecento. Non c è niente del gotico ingentilito alla Nino Pisano, che come abbiamo visto andava di moda nel territorio lucchese sul finire del secolo, e che tanto piaceva a Francesco di Valdambrino, tanto da stentare quasi a credere che questa tipologia di scultura sia stata un punto di riferimento per il giovane artista senese. Altrove dunque dovremmo cercare i modelli con cui Francesco possa essere venuto a contatto proprio in questo volgersi al XV secolo. Innanzitutto dobbiamo prendere in considerazione quello che accadde nell ambiente fiorentino e toscano, uno dei momenti artistici di maggiore rilievo proprio di quel periodo. Legata alla prima opera conosciuta del Valdambrino, infatti, è la sua partecipazione al concorso del 1401 indetto dall Arte di Calimala per eseguire i rilievi della seconda porta del Battistero di Firenze (opera oggi perduta). Alla competizione furono in sette a partecipare, tutti toscani. Il concorrente più temibile si sarebbe rivelato Filippo Brunelleschi, che non aveva ancora indirizzato all architettura il proprio ingegno, e che aveva preso parte da poco, con alcune figurette di santi e profeti, a uno dei monumenti d oreficeria più prestigiosi della regione: l altare argenteo di San Jacopo a Pistoia. Tra gli altri candidati spiccava il nome il Niccolò di Pietro Lamberti, artista oggi alquanto oscuro ma all epoca forse lo scultore più in vista di Firenze, con ormai dieci anni di attività al cantiere della cattedrale di Santa Maria del Fiore, dove aveva distribuito statue e rilievi, in uno stile gotico assai ornato, fiorito di ricci e orli serpeggianti. Seguivano poi Niccolò di Luca Spinelli, Simone da Colle Val d Elsa, il già ricordato Jacopo della Quercia e Lorenzo Ghiberti, vincitore della gara. Ed è proprio con le formelle preparatorie degli altri artisti che il Valdambrino dovette entrare in contatto, per poi studiare gli elementi stilistici e compositivi che più si confacevano alla sua maniera. Molti, in particolare nell opera del Ghiberti, erano i richiami al gotico internazionale che potevano essere affini alla sua arte di formazione ninesca. Ma vediamo nel dettaglio qualche esempio. Per un comprensibile desiderio di omogeneità, la committenza aveva preteso che la nuova porta ripetesse lo schema stabilito dal precedente di Andrea Pisano. Mentre in quest ultimo caso cornici, fregi e rilievi erano proposti mediante soluzioni austere e regolari, di matrice giottesca, la gamma dei tipi umani, con la loro gestualità e il loro elegante dinamismo, e l attenzione verso la natura rendono l opera ghibertiana simile ad una pagina miniata in stile gotico a Parigi o a Pavia. Giova ricordare anche che, proprio nel primo decennio del Quattrocento, operava in pittura sempre a Firenze un monaco camaldolese, Lorenzo Monaco, celebre per la sua esuberanza linearistica e la sua scioltezza dei ritmi compositivi. Tra i due maestri si affinò nel tempo una simpatia e una coerenza di risultati che giunse a fare delle figure del pittore quasi un rispecchiamento a due dimensioni di quelle dello scultore, e viceversa (cfr. foto). 18

19 Con in mente le lezioni di entrambi gli artisti, dunque, Francesco di Valdambrino dovette tornare a Lucca, che stava vivendo un periodo assai felice e vivace in campo artistico: Paolo Guinigi, che nel 1401 aveva assunto il dominio della città, era infatti un cultore del gotico internazionale e della moda d oltralpe, e mirava a emulare il gusto cortese dei grandi duchi francesi. Frutto di questo amore, sono anche le scelte che egli operò nel richiamare presso di sé anche pittori italiani, già inquadrati in tal senso, come ad esempio Gherardo Starnina che, rientrato in patria nel 1404 dopo un viaggio in Spagna, introdusse il linguaggio internazionale tra i pittori toscani. Gherardo fu a Lucca nel 1405 per dipingere un monumentale polittico con al centro la Dormitio e l Assunzione della Vergine, probabilmente destinato per l altare maggiore della chiesa di San Michele in Foro. Sono questi gli immediati rimandi, ovvero le figure di santi che popolano questa tavola, con i loro panneggi avvolgenti, le pieghe definite precisamente, ecc. Coeve, infatti, sono alcune sculture in legno policromo, tutte eseguite da Francesco di Valdambrino per il contado lucchese, in cui permane ancora una volta la ricercata aderenza ai moduli nineschi, ma che timidamente mostrano alcune tangenze proprio con le novità dello Starnina: stiamo parlando dell Annunciazione del Museo di San Matteo a Pisa, della Madonna col Bambino conservata nella chiesa di Sant Andrea a Palaia paese oggi in provincia di Pisa, ma allora facente parte della diocesi lucchese, e della Madonna col Bambino di Cerreto Alto di Borgo a Mozzano (FIG. 31). La tradizione tardotrecentesca inizia cioè a divergere in direzione di un linguaggio più moderno, nel quale assume valore soprattutto la componente naturalistica. In questo senso devono essere visti anche il ligneo San Nicola da Tolentino per la chiesa di Santa Maria in Corteorlandini ed il bellissimo San Martino per la pieve di San Cassiano di Controne, nel quale è stata evidenziata dalla critica una stretta collaborazione con Jacopo della Quercia (FIG. 32). Collaborazione che si protrarrà, verso la fine del decennio, anche con il ritorno a Siena, nella scultura di Rea Silvia per la Fonte Gaia (FIG. 33). Ma ormai la strada dei due artisti risulta sempre più netta, visibile non tanto nella suddetta opera marmorea manomessa nel Settecento dallo scultore barocco Giuseppe Mazzuoli, quanto piuttosto nell intaglio del legno. Numerosi sono infatti i bei busti di santi, tra i quali il San Crescenzio, il San Vittore e il San Savino, tutti scolpiti nel 1409 per la cattedrale di Siena, che dimostrano come l interpretazione delle gioiose novità gotiche sia stata temperata da una pacata semplicità della composizione e della regolarità dei volti, così ben definiti da grandi occhi espressivi, lunghi nasi regolari e da una cornice di capelli ben ordinati e pettinati. Sono ritratti di giovanile e delicata bellezza, resi con un naturalismo gracile che arriva a proporsi come una alternativa di quelli che erano stati i nuovi indirizzi stilistici della scultura umanistica, in particolare quella di Ghiberti. E ancora, questo bellissimo Crocifisso, datato intorno al 1415 circa e proveniente dalla chiesa di Sant Egidio a Montalcino, rappresenta uno dei vertici dell arte di Francesco di 19

20 Valdambrino, per la resa naturalistica intrisa di una eleganza capace di mitigare il dolore e offrire enorme dignità alla figura (FIG. 34). Di fronte ai contemporanei esiti fiorentini di Donatello e Brunelleschi (i famosi Crocifissi di Santa Croce e Santa Maria Novella a Firenze) l intagliatore senese non cede certo il passo. Nel suo stile convergono infatti ancora una volta i ricordi della scultura di Nino Pisano studiata in gioventù tra Lucca e Pisa e una raffinatezza tutta senese che lo conducono tuttavia a elaborare un linguaggio moderno ed estremamente attendo ai dati del reale, come si intende osservando la finezza esecutiva della testa del Cristo in fin di vita. Vero e proprio capolavoro del gotico internazionale italiano è infine l Annunciazione di Asciano, scolpita nel periodo più maturo dell artista, intorno al 1425, la cui policromia è stata realizzata da un vero specialista nel settore, il già citato Martino di Bartolomeo, che ha operato anche a fianco dello stesso Jacopo (FIG. 35). Di adolescenziale bellezza, le due figure ostentano una straordinaria e gioiosa vitalità. L angelo privato nel corso dei secoli delle ali e del ramo di olivo che offriva alla Vergine, si presenta con una folta capigliatura a ciocche ben definite e con un guarnello che ben evidenzia il senso di pace e tranquillità del Non temere Maria. In particolare, l orlo della tunica in prossimità del collo e lo sbuffo a metà della figura dovuto alla presenza di una invisibile cintura di corda ripropongono le soluzioni che già avevamo visto come proprie dello Starnina, nella figura del san Giacomo e del san Michele del polittico lucchese. La figura della Vergine, invece, si innerva in un arditissimo hanchement gotico, sottolineato dalla profondità delle pieghe allungate dalla cintura legata all altezza dei seni fino ai piedi, che non fa altro che produrre il senso della trepidante attesa e di timidezza che va a sconvolgere la gentile serenità del suo volto. Adesso che abbiamo delineato, seppur brevemente, quella che è stata la produzione artistica di Francesco di Valdambrino, dobbiamo fare un salto cronologico all indietro affinché risulti ancora più chiara come la presenza dello scultore senese a Lucca sia fondamentale per comprendere l evoluzione della scultura della Valleriana. In particolare, le ricerche più recenti hanno dimostrato come è proprio nel territorio pesciatino che l artista ha dato i suoi primi contributi, i suoi primi saggi d arte, pur rispettando fedelmente le forme linguistiche di Nino Pisano. Stiamo parlando della Santa Caterina nella chiesa dei Santi Stefano e Niccolao di Pescia e della Vergine in trono nella chiesa parrocchiale di Collodi (FIG. 36 e 37). Ed è probabilmente pensando a queste forme che Francesco partecipò al famoso concorso per le formelle del battistero fiorentino nel La santa pesciatina, infatti, è rappresentata stante, vestita con una lunga tunica e un mantello togato che ricade dalle braccia a doppia falda, mentre tiene nella mano sinistra un libro. Secondo la tradizione agiografica, però, non risulta che la santa Caterina possegga tale attributo; è possibile ipotizzare quindi che il manufatto in origine rappresentasse una Vergine annunziata, come proverebbe anche la sua posa gradiente ed inclinata, con la mano destra avanzata e il capo voltato lateralmente. Ogni 20

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