ROMANI ESEGESI E COMMENTO

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1 4 ROMANI ESEGESI E COMMENTO 1. L APERTURA DELLA LETTERA 1:1-17 Il corpo principale di Romani è un trattato sul vangelo secondo Paolo. Il trattato è corredato da introduzione e conclusione (1:1-17 e 15:14-6:27). a. Prescritto (1:1-7) Paolo vuole con questa lettera: i. Evidenziare il suo apostolato cristiano e la sua chiamata divina. ii. Esporre il suo vangelo di grazia. iii. Dimostrare che il vangelo è radicato nell Antico Testamento. iv. Mostrare che ciò che predica non è affatto contro Israele e i Giudei, ma ne è la logica continuazione. Tutti questi temi sono già presenti nell introduzione della lettera. Il prescritto è il più lungo in tutto Paolo (come la lettera ai Romani è la più lunga delle epistole paoline, 7114 parole). Il solito prescritto romano era molto semplice e breve (cfr esempi in Atti 15:23; 23:26; Giacomo 1:1). Paolo fa tutto a modo suo. In questa lunghissima frase di apertura Paolo è attento a rimarcare la sua chiamata di spiccata natura cristiana, il suo vangelo radicato nell Antico Testamento, Gesù Cristo, il Messia e Figlio di Davide e la natura gentile della Chiesa di Roma. Questi temi sono i vari fili che si intrecceranno nel corso della lettera per formare il tessuto ricco e potente che è la lettera ai Romani. Paolo, sin dall inizio, è attento a mostrare la sua vera teologia ai santi sconosciuti di Roma. Paolo, servo di Cristo Gesù, L autore è ovviamente l apostolo Paolo. Qui egli sceglie tre titoli per illustrare la sua identità ai lettori Romani, titoli che evidenziano il suo Maestro, il suo ufficio e il suo scopo. Per prima cosa egli si ritiene servo di Cristo. Qui richiama il servo di Yahweh dell AT (cfr. Giosuè 14:7; 24:29; 2 Re 18:12 ecc.). Il suo servizio dunque è assolutamente cristiano e cristocentrico. Il valore assoluto per Paolo dunque non è la legge o Mosè, ma Cristo. Inoltre si definisce servo di Cristo; ossia sottoposto al suo comando. Paolo in sé non è nulla, ma la prima cosa che lo identifica è il servizio, la sottomissione, l arresa totale a Cristo. Troviamo questo appellativo di servo solo qui e in Tito e Filippesi. chiamato a essere apostolo, La seconda cosa che dice di sé è che è stata chiamato ad essere apostolo (presente in tutte le lettere tranne in Filippesi, 1 e 2 Tessalonicesi e Filemone). Non si è nominato apostolo da solo né è stato nominato da una chiesa o da un gruppo religioso. La sua chiamata è stata da Dio ed è la chiamata apostolica. L apostolo è una funzione di rango all interno della chiesa e quindi Paolo dichiara la sua autorità ministeriale nella chiesa. Fa parte del fondamento della chiesa (cfr. Efesini 2:20). Ma ricordiamoci è un autorità che deriva da Dio e non da sé stesso. messo a parte per il vangelo di Dio, La terza cosa è che è stato messo da parte, consacrato, per il vangelo di Dio. Il linguaggio ricorda la chiamata speciale dei profeti dell AT (cfr. Geremia 1:5 e Galati 1:15). Come servo di Cristo, Dio lo ha indirizzato ad un compito particolare: la diffusione del vangelo di Dio. Specifica molto bene che il vangelo che lui predica non è una invenzione umana o frutto di ciarlatani, ma nasce da Dio. E un affermazione forte contro coloro che ritengono che Paolo abbia inventato il suo ministerio e il suo vangelo. Paolo è molto chiaro; la sua chiamata e il suo messaggio vengono da Dio. Gran parte della lettera sarà dedicata ad elaborare questo vangelo, questa buona novella. che egli aveva già promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sante Scritture riguardo al Figlio suo, Ora l attenzione si sposta sul vangelo. E la prima cosa che impariamo è che è stato già promesso nelle Sante Scritture dai profeti. Non è dunque un vangelo nuovo, moderno e inventato da uomini. Chi conosce le Scritture lo può vedere già lì enunciato. Paolo sarà attento a citare scrittura su scrittura per dimostrare questa verità. Non vuol lasciare alcun dubbio nella mente dei Romani e dei giudaizzanti in particolare; il suo messaggio è insito nella Scrittura, non separato dalla Scrittura.

2 5 Il vangelo riguarda il Figlio di Dio, Gesù. Anche Gesù è chiaramente promesso nell Antico Testamento. E Gesù viene chiamato Figlio suo, un chiaro titolo messianico (cfr. Salmo 2). Qui Paolo dunque dichiara la sua lealtà all Antico Testamento e a Gesù. Una chiara posizione che la Chiesa deve sempre seguire. nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, dichiarato Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santità mediante la risurrezione dai morti; Ora ci spostiamo su Gesù. Paolo lo qualifica con due titoli. Si noti le strutture parallele: nato dalla stirpe di Davide secondo la carne dichiarato Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di Santità mediante la risurrezione dalla morte Il primo titolo pone Gesù in campo giudaico e messianico. Egli appartiene alla famiglia di Davide secondo la carne. Il Messia doveva essere il discendente del grande re Davide (Salmo 2:7; 2 Samuele 7:14) e Gesù lo era (cfr. Luca 3:23-38). Ancora qui Paolo enfatizza l ebraicità di Gesù e quindi del suo vangelo. Ma questo è il Messia secondo la carne, o secondo la sua umanità. Qui siamo nella sfera del naturale. E il regno naturale deve ancora venire. La sua messianicità è dimostrata dal secondo titolo; è dichiarato Figlio di Dio con potenza, ossia Messia, perché è risuscitato dai morti. Questa è la dimostrazione finale, la prova indiscutibile. Gesù è risuscitato dalla morte e quindi è approvato da Dio ed è il Figlio di Dio. La risurrezione è avvenuta con potenza. La risurrezione non è stata qualcosa di piccolo, di religioso e di nascosto. E stato un evento potente che ha cambiato vite, situazioni e destini. E lo continua a fare portando la salvezza a tutti quelli che credono. Siamo ora nella sfera dello Spirito. Ed è nella sfera spirituale che il Salmo 2 è già in atto (cfr. Colossesi 2:13-15), il Messia ha già vinto. La risurrezione è stata attestata dallo Spirito di Santità. Qui viene introdotto lo Spirito Santo e subito enfatizzata la sua santità. La santità acquistata per lo Spirito di Dio in virtù della risurrezione di Cristo, e non per la Legge, sarà uno dei temi fondamentali di Romani. Il fatto che la santità sia menzionata insieme alla risurrezione implica anche la vita santa e senza peccato di Gesù. Questo è il Messia profetizzato dalle Scritture. cioè Gesù Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale abbiamo ricevuto grazia e apostolato Gesù è indicato con il titolo nostro Signore, titolo di divinità (kyrios). Da Lui Paolo ha ricevuto grazia, parola che avrà un importanza fondamentale in Romani. Qui indica chiaramente il perdono gratuito ricevuto da Paolo, la pace con Dio perché Gesù è morto per lui. Anche l apostolato è stato ricevuto per mezzo di Gesù, un chiaro riferimento alla sua chiamata a Damasco. La sua chiamata e la sua dottrina sono intrinsecamente intrecciate con Gesù il suo Signore. perché si ottenga l'ubbidienza della fede fra tutti gli stranieri, per il suo nome La sua chiamata è rivolta a tutti i popoli (ethne) e riguarda l ubbidienza della fede. Anche qui, sin dall inizio introduce la parola fede. I popoli sono chiamati ad ubbidire alla fede, che scopriremo più avanti che vuol dire credere nel Signore Gesù (per il suo nome). Ma non solo; implica anche una vita continua di fede, esemplificata nella vita di Abramo. Fede è ubbidienza e ubbidienza è fede. Il fine ultimo della raccolta fra i popoli è la gloria del suo nome, la gloria di Gesù. Per Paolo questo è il fine ultimo della sua vita e del suo ministerio. E questo infiamma il suo zelo e la sua passione. - fra i quali siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo - a quanti sono in Roma, amati da Dio, chiamati santi, L ultima scena di questa prima parte riguarda i Romani stessi. Anche essi, come Paolo, sono stati chiamati da Gesù Cristo. Inoltre sono tra i gentili. Anche loro sono descritti da due epiteti. Il primo è amati da Dio. La chiesa di Roma è amata da Dio e questo una grande verità. Poi i Romani sono chiamati santi, nello stile usuale di Paolo. Sono santi perché santificati in Gesù Cristo. Sono appellativi di Israele trasferiti alla chiesa del Nuovo Testamento. E inizia qui il tema che dominerà i primi otto capitoli di Romani. grazia a voi e pace da Dio nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo. Abbiamo infine il solito saluto di Paolo che augura grazia e pace. La grazia è il perdono gratuito e la capacità di fare ciò che Dio ci chiama a fare, e la pace è la pace sovrannaturale che riempie il cuore del credente che ha gli occhi fissi su Dio. La grazia e la pace provengono dal Padre e dal Signore Gesù Cristo.

3 6 OSSERVAZIONI 1. Tutti noi miriamo a fare qualcosa di importante nel Regno di Dio. Vorremo insegnare, essere predicatori, monitori, musicisti e chissà cos altro. Spesso ci sentiamo più bravi di chi occupa il posto. Ma questo brano ci insegna che prima di tutto dobbiamo essere servi di Gesù Cristo. La parola servo, nel greco, significa anche schiavo; ossia colui che non ha scelte o libertà, ma è totalmente al servizio del suo padrone. Questo è l atteggiamento primo che dobbiamo avere. Se non siamo disposti ad essere servi, schiavi, il nostro ministerio o chiamata non avrà nessuna possibilità di successo. Essere servi vuol dire che comanda il padrone. Sceglie lui la nostra vita, il nostro futuro, i nostri compagni, e infine la nostra chiamata. Il primo passo è quello di molti servi di Dio e di Paolo stesso; Signore. Tu comandi, tu sei Signore io lo schiavo, cosa vuoi che io faccia? (Atti 9:6). La nostra vita cristiana è spesso grigia e inefficace perché non abbiamo fatto questo primo passo. Vogliamo solo fare di testa nostra. Il risultato è confusione ed errore. Dobbiamo tornare a dire davvero al Signore; eccomi, cosa vuoi che io faccia? 2. Paolo è stato chiamato ad essere apostolo e messo da parte per il vangelo. Non ha scelto lui, né ha fatto alcunché per farsi scegliere. Non si sa cosa avrebbe voluto fare; forse l insegnante in qualche scuola ministeriale o rabbinica. Sta di fatto che il Signore ha scelto la sua chiamata, il suo ministerio e la sua vita. Poiché lui è servo, è disposto a fare ciò che il Signore comanda. Il Signore può comandare quello che vuole; la morte di Giacomo (Atti 12:2), la sofferenza di Paolo (2 Corinzi 12:9), il martirio di Stefano (Atti 7:59) e la liberazione di Pietro (Atti 12:6-10). Lui è il Padrone. Ora è importante che quello che noi facciamo sia ordinato da Dio, sia quello che Lui vuole. La nostra chiamata, il nostro compito deve essere voluto da Lui, non solo da noi. E chiaro che se Lui ci chiama a qualcosa sentiremo anche noi il peso, lo zelo e il desiderio di vedere fatta quella cosa; ma dobbiamo essere certi che il tutto nasce da Lui e non da non dalla nostra voglia di imitare altri o dalla nostra ambizione. La chiamata la dà Lui. 3. Il fatto di esser messo da parte per il vangelo ci indica comunque che Dio aveva preparato Paolo per la sua chiamata. Ora Paolo non poteva saperlo, ma Dio stava lavorando in lui sin da quando è nato (cfr. Galati 1:15). Questo è vero anche per noi. Dio prepara i suoi eletti alle loro chiamate sin dalla nascita. Può fare in modo che impariamo una lingua che ci servirà, che facciamo determinate esperienze che ci preparano, che incontriamo persone che ci influenzeranno ecc. Molte esperienze che facciamo le comprendiamo solo molto più tardi nella vita. Pensiamo a Paolo; la sua buona conoscenza della lingua greca (nato a Tarso), la sua profonda conoscenza rabbinica, la sua forte costituzione, la sua lotta per giungere alla perfezione della Legge, la sua capacità di lavoro fisico come fabbricatore di tende; tutto lo preparava ad essere l apostolo delle genti. Ma lui non lo sapeva; e se l avesse saputo non lo avrebbe mai accettato! Se studiamo la Bibbia possiamo trovare molti altri esempi (Mosè, Davide, Maria per citarne alcuni). Davvero grande è il mistero di Dio anche nelle nostre vite! 4. Notiamo sin da qui che Paolo considera preziose le promesse dell Antico Testamento. Di conseguenza ritiene che tutto l Antico Testamento sia Parola di Dio, non certo solo le promesse. Questa è una caratteristica di Romani, e facciamo bene ad abituarci subito. L epistola ci insegna a riguardare e riconsiderare le promesse dell Antico Testamento. Qui vediamo che riguardano Gesù. La Chiesa in genere prende le promesse rivolte ad Israele per sé, per esempio i Salmi, e lo fa con ragione perché siamo stati innestati nell ulivo (Romani 11:17). Quindi il Salmo 23 è una benedizione per Israele e per noi. Ma le promesse dell Antico Testamento riguardano Gesù e soprattutto Israele. Romani infatti ci invita ad una rilettura dell Antico Testamento per esaminare quali sono le promesse riguardo al Messia e quali sono le promesse riguardo ad Israele. Ci inviterà dunque a fare delle scelte ermeneutiche a cui dovremo dare delle risposte pratiche. Le promesse sono ancora valide? Tutte o solo alcune? E perché? Credo che Romani cambierà anche il nostro atteggiamento verso l Antico Testamento. 5. Ancora notiamo subito la grande importanza che Paolo dà alla risurrezione di Cristo. Vediamo coinvolti il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Vediamo che è stata fatta con potenza. La risurrezione è la prova finale della veracità del Cristo, della sua messianicità e della sua divinità. Il vecchio Paolo non poteva credere che Gesù era risorto dai morti. Ma è stato questo fatto, il fatto che era vivo, a fare cambiare completamente atteggiamento e vita a Paolo. La chiesa tende a dimenticare la risurrezione; ci si perde in tante piccole diatribe e non ci si rende conto della meraviglia che Gesù è tornato dai morti con potenza! Paolo parla spesso di quella risurrezione e di quella potenza (cfr. per esempio 1 Corinzi 15:1-11); faremo bene a farlo anche noi. 6. Altro tema di Romani è la grazia di Dio. Paolo associa la sua chiamata all apostolato alla grazia. La grazia vuol dire che Paolo non meritava la chiamata e che non aveva fatto nulla che potesse piacere a Dio perché lo chiamasse. La grazia vuol dire la stessa cosa anche per noi. Forse pensiamo di meritare le cose che Dio ci dà e ci permette. Forse pensiamo di meritare la nostra chiamata perché siamo fedeli nella chiesa e nel dare. Dimentichiamo tutto ciò. Non meritiamo nulla e Dio non ci deve nulla. Tutto è per grazia, ossia per scelta di Dio e per volontà di Dio, e noi non abbiamo nulla a che fare con la scelta, eccetto accettarla o meno (contra i calvinisti). Noi crediamo che abbiamo la libertà di scegliere di essere servi di Dio e di fare la sua volontà, come Maria (cfr. Luca 1:38). Ma noi siamo senza meriti e senza alcuna possibilità di pretesa.

4 7 7. per il suo nome Subito Paolo enfatizza che la sua missione, il suo apostolato, ha come unico fine la glorificazione di Gesù. Non è interessato alla sua personale gloria o al suo prestigio. Non è interessato nemmeno alla gloria della chiesa, ma unicamente al nome di Gesù. In questo rispecchia appieno la volontà di Dio che vuole Gesù esaltato (cfr. Filippesi 2:9). Il pastore Stott scrive a proposito: Se dunque Dio desidera che ogni ginocchio si pieghi a Gesù e che ogni lingua Lo confessi, lo dovremmo desiderare anche noi. Dovremmo essere gelosi per l onore del suo nome, inquieti quando rimane sconosciuto, feriti quando è ignorato, indignati quando è bestemmiato, e sempre ansiosi e decisi che Gli venga dato l onore e gloria che ne compete. Il più alto di ogni motivo missionario non è l ubbidienza al Grande Mandato (per quanto sia importante), né l amore per i peccatori che sono alienati e perduti (per quanto sia forte come incentivo, particolarmente se contempliamo l ira di Dio, versetto 18), ma piuttosto lo zelo zelo ardente e appassionato per la gloria di Gesù Cristo fra i qual siete anche voi Con questa frase Paolo toglie ogni orgoglio particolare ai Romani. Sono santi, sono del Signore, ma non sono i soli. Sono in tanti i santi, fra i quali ci sono anche loro. Faremo bene a capire anche noi questa lezione. Non siamo solo noi della nostra chiesa, della nostra denominazione, del nostro modo di pensare ad essere salvati o a servire Dio. Ci siamo anche noi, ma non mai solo noi. Ciò ci obbliga a riconoscere anche altri fratelli, amarli e servire Dio insieme. Questa è la volontà di Dio. Sia anche la nostra. 9.,.. amati da Dio, chiamati santi Sono appellativi tipici dell Antico Testamento che Dio usava verso Israele. Qui dunque si introduce un altro tema fondamentale di Romani; il rapporto della Chiesa con Israele e con i giudei in generale. Paolo (e non solo lui cfr. 1 Pietro 2:9 ss.) trasferiscono le caratteristiche di Israele dell AT alla chiesa con estrema facilità. Non si pone il problema ermeneutico che questo è per Israele, questo no. Pone tuttavia problemi a noi. La chiesa dunque può usare l AT per se stessa acriticamente? Dio ha sostituito Israele con la chiesa? Dio ha ancora un piano per Israele o l ha semplicemente dimenticata e ora si rivolge solo alla chiesa? Sono domande importanti per noi, sia al livello dottrinale che a livello di politica ecclesiastica. Ricordiamoci, Paolo insegna ad amare ciò che Dio ama, e odiare ciò che Dio odia. Non possiamo restare indifferenti ai desideri di Dio. Se Dio ama Israel lo dobbiamo fare anche noi; se l ha dimenticata lo dobbiamo far anche noi. Sono temi che Paolo affronterà più avanti ai quali dovremo dare risposta.. b. Paolo e i Romani: occasione e ringraziamento (1:8-15) Qui, in questo brano, l apostolo accenna ai suoi rapporti spirituali con i Romani. Notiamo che qui non si presenta come il super apostolo delle genti, ma con amore, umiltà e totalmente sottomesso al suo Signore, che serve nello spirito. Prima di tutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo Prima di tutto Paolo ringrazia Dio. Lo fa in quasi tutte le lettere, ma lo fa perché lui è così; deve ringraziare Dio. Anche quando riprende le chiese, prima ringrazia Dio. Ringrazia Dio per mezzo di Cristo Gesù. Si ricorda sempre che il suo accesso a Dio è solo attraverso Gesù. Solo in Romani ringrazia Dio per mezzo di Gesù Cristo; un chiaro indizio che sarà uno dei temi fondamentali della lettera, la pace con Dio per mezzo di Gesù. Anche dunque il ringraziamento di Paolo a Dio è attraverso Gesù; prima ha evidenziato che la sua chiamata e la sua missione sono stati dati per Cristo Gesù (vs 5). Vediamo dunque la mediazione di Gesù; dall uomo a Dio e dal Dio all uomo. riguardo a tutti voi, Il ringraziamento a Dio ha come soggetto tutti i Romani, tutti i santi di quella chiesa. Ancora va notato che Paolo saluta tutti, anche quelli che magari lo criticano. Egli vuole amare come Dio ama, e ringrazia Dio per tutti loro. perché la vostra fede è divulgata in tutto il mondo. Paolo elogia e incoraggia la chiesa dicendo loro che la loro fede è divulgata in tutto il mondo. Notiamo che è la loro fede che è divulgata, non le loro opere o la loro chiesa. Possiamo pensare che la chiesa di Roma abbia subito attacchi e i Romani hanno mostrato la loro fede in faccia al pericolo (forse la persecuzione da parte degli ebrei). Sappiamo che sarà così fra non molti anni sotto la persecuzione di Nerone. Comunque qui impariamo che la Chiesa di Roma era conosciuta nel mondo cristiano ed era rinomata. 1 Stott, 53

5 8 Dio, che servo nel mio spirito annunciando il vangelo del Figlio suo, Paolo si è definito schiavo di Cristo. Uno schiavo serve con il corpo, ma spesso il suo spirito e la sua anima sono lontani dal suo padrone. Paolo invece serve Dio prima di tutto nel suo spirito, che qui intendiamo nel suo essere più profondo. E lì che nasce il suo servizio. Si può servire Dio con il corpo, ma il vero servizio è nello spirito. E questo servizio si materializza con l annuncio del vangelo di Gesù. Per Paolo il servizio non poteva essere solo di corpo, religioso, ma di spirito, di intimità. Quando lo spirito è pieno di Dio, solo allora si proclama continuamente il Figlio suo. E un versetto che dovremo considerare a fondo. mi è testimone che faccio continuamente menzione di voi Paolo chiama Dio a testimone che lui prega sempre per i Romani. Paolo desidera che i Romani abbiano una sincera impressione di lui. Non solo parole di circostanza, come lo sono spesso in chiesa. Paolo chiama Dio a testimone della verità che prega per i Romani. Se serviamo Dio nello spirito pregheremo sinceramente. Qui notiamo che Paolo non si limita a pregare per le chiese che ha fondato (cfr. Efesini 1:16; Filippesi 1:3 ecc.); ma qui si preoccupa anche di altre chiese, forse provate e tribolate. Chi serve Dio nello spirito sente i bisogni di tutte le chiese, non solo la sua. chiedendo sempre nelle mie preghiere che in qualche modo finalmente, per volontà di Dio, io riesca a venire da voi. Paolo mostra di avere a cuore la chiesa di Roma. Forse ha sentito delle sue prove e tribolazioni. Forse ha promesso ai suoi numerosi conoscenti di Roma di fare loro visita, ma non è ancora riuscito. Forse qualcuno si è offeso che l apostolo dei gentili trovi tempo per andare a Gerusalemme, ma non a Roma. Comunque sia Paolo vuole andare a Roma, ma deve essere la volontà di Dio. Paolo è servo di Dio e non può andare dove vuole. Un servo può solo andare dove il padrone lo manda. Lui chiede al suo padrone se in qualche maniera sarà possibile per lui visitare Roma. Non poteva immaginare quanto vere sarebbero state quelle parole in qualche maniera. Infatti solo in qualche maniera arriverà a Roma. Infatti desidero vivamente vedervi per comunicarvi qualche dono, affinché siate fortificati; In questi versetti Paolo dà tre motivi per voler vedere i Romani; comunicare qualche dono spirituale (vs. 11), avere qualche frutto tra loro (vs 13) e annunciare il vangelo (vs 15). Qui Paolo desidera vivamente vedere i Romani per comunicare qualche dono per fortificarli. Sentiva dunque che avevano bisogno di essere fortificati. Vi erano notizie di persecuzione; e forse Paolo sentiva nello spirito che qualche grande catastrofe stava per abbattersi sulla chiesa di Roma. Paolo, servo di Dio nello spirito, non può non voler comunicare qualcosa di edificante alla chiesa e fortificarla. o meglio, perché quando sarò tra di voi ci confortiamo a vicenda mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io. Ma Paolo non vuole apparire arrogante, il dispensatore di doni, il grande apostolo che dà perché lui è forte. Lui vuole un conforto reciproco, vuole anche lui essere confortato dai Romani (cosa che avverrà in maniera strana cfr. Atti 28:15). E una frase che indica grande capacità diplomatica verso una chiesa in gran parte sconosciuta. Ma Paolo non è solo diplomatico, è stato sempre sincero, e sa che può anche lui ricevere conforto da altri. Il mezzo è la fede. I Romani hanno avuto ed hanno fede in Dio per superare le prove e così anche Paolo. Si confortano a vicenda. Qui vediamo che nel confortare gli altri Paolo riceve conforto egli stesso. Non voglio che ignoriate, fratelli, che molte volte mi sono proposto di recarmi da voi Forse qualcuno pensava che Paolo li avesse trascurati; no, tante volte avrebbe voluto andare da loro. Qui il servo di Dio mette in evidenza la sua volontà. Il servo di Dio ha sempre una sua volontà, come ci ha insegnato Gesù (cfr. Luca 22:42). Questa volontà non è sempre in accordo con la volontà del padrone. Il servo dunque rinuncia anche alla sua volontà pur di fare la volontà del padrone, che serve in spirito. Paolo avrebbe voluto molte volte andare a Roma, avrebbe voluto confortare i fratelli ma. (ma finora ne sono stato impedito) Fino a quel momento gli è stato impedito. Da chi? In 1 Tessalonicesi 2:18 l apostolo dichiara che Satana ha impedito la sua bramata visita a Tessalonica. Qui è diverso. Paolo sa che la sua vita è in Cristo; certo sa anche che ha un nemico che non tollera il suo ministerio. Ma le sue preghiere a Dio ci insegnano che è Dio che ha il controllo di ogni cosa, e che se non è ancora andato a Roma, è perché il padrone non ha ancora dato il suo permesso. Più avanti lui stesso ci spiegherà che la sua vita è stata piena di attività e non aveva tempo per visitare Roma (cfr. 15:19).

6 9 per avere qualche frutto anche tra di voi, come fra le altre nazioni. Il secondo motivo della desiderata visita di Paolo a Roma è che vuole avere frutto tra i Romani, come è avvenuto tra altri popoli gentili. Il servo di Dio desidera sempre avere frutto. Qui il frutto va inteso sia nella crescita spirituale della chiesa alla luce di quello che dirà dal capitolo 12 in avanti (e riassunto in maniera succinta in Galati 5:22), sia nella conversione di altri credenti, come avverrà con Onesimo probabilmente a Roma (cfr. Filemone 10 e si veda anche Filippesi 1:13). Io sono debitore verso i Greci come verso i barbari, verso i sapienti come verso gli ignoranti; Paolo si considera debitore verso Greci e barbari, ossia verso persone civili e verso persone incivili (come allora erano considerati i barbari). La stessa idea è presente nella seconda accoppiata, sapienti e ignoranti. E praticamente debitore verso tutto il mondo gentile. Perché debitore? Chiaramente il debito deriva dalla grazia che Dio gli ha concesso. Lui si considera in debito verso Dio. Come pagare questo debito? Solo dando quello che ha al mondo intero. Si noti qui la profonda umiltà del servo; avrebbe potuto presentarsi come dottore e leader della chiesa; si considera semplice debitore, uomo che non ha alcun merito ma che deve solo saldare debiti. così, per quanto dipende da me, sono pronto ad annunciare il vangelo anche a voi che siete a Roma. Qui abbiamo il terzo motivo del suo viaggio, annunciare il vangelo a Roma. Ancora qui Paolo sottolinea la sua personale volontà. Lui è pronto; è pronto a pagare il suo debito. Ma tutto dipende dal suo padrone. Saldare il debito è annunciare il vangelo. Ma quale è o vangelo che vorrà annunciare? A questo punto la lettera si volge a descrivere il vangelo secondo Paolo. OSSERVAZIONI 1. Prima di tutto rendo grazie al mio Dio è una bellissima cosa da ricordarsi. Prima di ogni cosa, prima di alzarsi, prima di coricarsi, prima di iniziare il lavoro, prima di qualsiasi cosa, è bello rendere grazie a Dio. La gratitudine è il perfetto antidoto alla lamentela, alla paura, alla noia. La gratitudine ci rende capaci di affrontare i problemi ricordandoci come Dio ci abbia aiutato in passato. Ci fa concentrare su Dio e dimenticare i problemi. L uomo che prima di tutto rende grazie a Dio è l uomo che può ogni cosa in Colui che lo fortifica. 2. Sin dall inizio della lettera notiamo come i valori di Paolo siano diversi dai valori normali. Lui non ringrazia Dio per la salute o il benessere dei Romani. Queste cose sono importanti per il mondo, ma relativi per Paolo. Lui ringrazia Dio per la loro fede, che è conosciuta in tutto il mondo. La fede è stata mostrata in mezzo a prove e tribolazioni; ma Paolo non si dispiace per le tribolazioni, come si farebbe normalmente. Per Paolo queste fanno parte della vita cristiana (cfr. Atti 14:22); è come reagiamo alle prove che fa la differenza. I Romani hanno reagito con fede; questo fa felice Paolo. Questo fa felice Dio. 3. Come abbiamo visto Paolo serve Dio non solo con il corpo, come fanno gli schiavi normali, ma con lo spirito, ossia nel suo interiore più intimo. Questo porta ad alcune conseguenze che vogliamo riassumere: a. Annuncia il Figlio di Dio, Gesù. In altre parole evangelizza. b. Si prega anche per persone che non si conoscono, seguendo la volontà di Dio. Prega. c. Si desidera comunicare i propri talenti e doni. Si desidera dare se stessi agli altri. Agisce. d. Si ha la consapevolezza di avere bisogno di altri e della loro consolazione. Umiltà. e. Si rinuncia alla propria volontà per accettare quella di Dio, il padrone. Rinuncia. f. Ci si sente debitori verso tutti, ossia superiori a nessuno. Servizio. E un buon test per ogni credente. E la differenza tra il servizio meccanico (con il corpo) e quello spirituale, con lo spirito. E in ultima analisi la differenza tra il servizio religioso e quello spirituale. Il primo porta a considerarsi degno di meriti e superiore agli altri. Il secondo ti porta a sentirti debitori verso gli altri. Il primo è farisaico; il secondo assomiglia a Gesù. 4. Notiamo infine che quello che noi ci proponiamo non va sempre liscio e può essere impedito. Ciò non vuol dire che siamo fuori dalla volontà di Dio, come non lo era Paolo nel voler andare a Roma. In questo caso non era il momento di Dio (o forse Paolo non era pronto, volendo lui andare a tutti i costi a Gerusalemme). Tuttavia, con perseveranza Paolo arriva a Roma. Ciò che noi ci proponiamo deve resistere alla prova e alle difficoltà. Solo così sapremo che è dal Signore e che ne vedremo l adempimento.

7 10 c. Il tema della lettera (1:16-17) Paolo ora volge lo sguardo lontano dal suo ministerio e guarda il vangelo. Perché lo desidera predicare a Roma e altrove? Lo spiega in questi due versetti che secondo alcuni sono il cuore della lettera. Sono comunque versetti di grande profondità teologica con l enfasi sulla potenza, sulla fede e sulla giustizia di Dio. Infatti non mi vergogno del vangelo; Per quanto sia una frase famosa e molto predicata, è un espressione inusuale. Perché usare il verbo vergognarsi? E probabile che alcuni critici di Paolo lo abbiano usato nei riguardi del vangelo d lui predicato, che non includeva la legge o la circoncisione (cfr. 3:8 e 9:1-5). Vergogna è un espressione molto comune tra i talebani religiosi di allora e di oggi. Va ricordato poi che sia Gesù sia Paolo mettono in risalto il fatto che sia possibile vergognarsi del vangelo (cfr. 1 Corinzi 1:18; 1 Timoteo 1:8, 12; e Marco 8:38). Il vangelo non è certo un argomento comodo per il mondo! Tuttavia Paolo non indietreggia per nulla; lui non si vergogna del vangelo, né del vangelo da lui predicato. E la ragione è la seguente: perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede; Il suo vangelo è la potenza di Dio per la salvezza. Paolo ha visto questa potenza miriadi di volte. Ha visto vite trasformate, persone guarite, famiglie ricomposte, ha visto la potenza di Dio. Ha visto queste cose non nel santo ambiente di Gerusalemme, ma nelle città pagane, idolatre di Corinto, Antiochia ecc. Cosa c è dunque da vergognarsi se Dio era così evidentemente all opera? Ed era davvero all opera in chiunque; ladri, adulteri, prostitute (femmine e maschi), rapinatori ecc (cfr. 1 Corinzi 6:9-11). Uomini, donne, poveri, ricchi, morali, e immorali, chiunque credeva veniva trasformato dal vangelo, dalla potenza di Dio. Dio non guardava né la circoncisione, né la legge, ma la fede; chiunque crede (o chi ha fede)! Di questo doveva vergognarsi Paolo? Le parole salvezza e potenza danno una connotazione particolare alla parola credere. Quando si crede succede qualcosa; non è un semplice assenso della mente. E un verbo che chiede non solo adesione mentale, ma fiducia incondizionata. Allora si manifesta la potenza. Scrive il prof. Barrett: La fede è l ubbidienza fiduciosa del vs.5. Crede colui che accetta la potenza di Dio, che è all opera nella vita, la morte e la risurrezione di Gesù, come potenza di Dio, e quindi si sottomette ad essa, non rivendicando alcun diritto sul suo Creatore, ma pronto a affidarsi completamente alla sua grazia e sapienza. Solo quando l uomo è disposto a fermarsi e vedere la gloria di Dio potrà intuire nell azione di Dio la salvezza. 2 Anche qui vediamo l esperienza stessa di Paolo. Nel momento che vede Gesù, si sottomette al suo volere, e sperimenta la potenza di Dio. Sperimenta il battesimo di Spirito Santo e la sua chiamata divina. Da quel momento a Damasco è un nuovo Paolo. del Giudeo prima e poi del Greco; Qui Paolo compie un capolavoro diplomatico. Ad una chiesa divisa tra giudaizzanti e gentili, egli mette il Giudeo al primo posto. Sì, questo vangelo è stato predicato prima ai Giudei. Gesù ha parlato quasi esclusivamente a Giudei, ed il suo vangelo ha trasformato la vita di chi credeva. Paolo predicava per prima alla sinagoga (cfr. Atti 13:46). La salvezza proviene dai Giudei; di questo non c è dubbio (cfr. Giovanni 4:22). Le promesse di Dio sono per prima ai Giudei. Ma poi Paolo alza il Greco al livello del Giudeo. Per Greco si intende ovviamente chiunque non sia ebreo. Questo stesso vangelo ha operato nei gentili. La vita della Samaritana è stata trasformata dall incontro con Gesù alla fonte di Giacobbe. Anche se non era ebrea, ed aveva avuto una vita immorale, il vangelo l ha trasformata. La Pentecoste è scesa prima sui Giudei, ma poi su l italiano Cornelio. Il vangelo opera nello stesso modo in Giudei e Greci, con potenza, e di questo Paolo non si vergogna! poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata Perché il vangelo è così potente? Perché la giustizia di Dio è rivelato (greco si rivela presente) in esso. Ma cosa intende Paolo per la giustizia di Dio? Per capire dobbiamo ricordare due cose. Per primo è in qualche maniera potente, responsabile per le opere grandi di Dio. Non può dunque essere qualcosa di astratto. Secondo, va vista alla luce del vs. 2 C.K. Barrett, A commentary on the Epistle to the Romans: Adam and Charles Black: London, p. 28

8 11 18 dove l ira di Dio si rivela nel mondo. Come l ira anche la sua giustizia è dunque qualcosa di presente e visibile. Dunque il vangelo rivela la giustizia di Dio. Vediamo come gli studiosi hanno inteso questa frase sibillina usata solo otto volte in Romani e in maniera molto simile soprattutto in 3:21. La giustizia di Dio è un attributo di Dio. Il che ci dice che Dio è giusto, retto nel suo essere. Così interpretava questo versetto la prima chiesa. Potrebbe anche essere che Dio è giusto in quanto fedele al suo patto. L Antico Testamento è pieno di simili concetti. E qui sta il problema; la giustizia di cui parla Paolo è rivelata nel vangelo, quindi non evidente o chiara nell AT. Non può dunque qui indicare semplicemente l attributo di Dio. La famosa interpretazione di Lutero vuole che la giustizia di Dio indichi il cambiamento di stato del peccatore che viene investito della giustizia di Dio e dichiarato giusto. E un termine giuridico e in 3:21 ss. ci viene spigato che la sua giustizia è data in virtù della redenzione ottenuta da Gesù sulla croce. Questa giustizia è rivelata nel vangelo, e non era certo esplicita nell Antico Testamento. E il credo base di Lutero e di tutto il protestantesimo. Pur accettando questa interpretazione, potremo chiederci se la potenza del vangelo possa essere spiegata con un semplice atto giuridico e formale. Potenza implica qualcosa di più. La giustizia di Dio potrebbe essere un atto di Dio che interviene rendendo giusti. Nei Salmi o in Isaia Dio è giusto quando interviene e salva il popolo (cfr. Salmo 24:5; 51:14 o Isaia 45:21; 51:5; 46:13 come esempi). Qui giustizia diventa quasi sinonimo di salvezza. Dio salva il suo popolo recando loro giustizia. Quindi la giustizia di Dio sarebbe l intervento di Dio che salva, e rende giusti, manifestando potenza nel cambiare la vita e la situazione. Questa spiegazione non esclude le altre due, ma le arricchisce e le completa. Ci fa vedere la giustizia di Dio come qualcosa di potente che interviene nella vita di chi crede non solo rendendolo giusto ma cambiandolo. L esperienza e di Paolo anche qui gioca un ruolo fondamentale. Da rabbino sapeva bene cosa era la giustizia di Dio. Era convinto che attraverso la fedele osservanza della legge, e lo sforzo per piacere a Dio in ogni cosa sarebbe stato dichiarato giusto per avere raggiunto la sua giustizia. A Damasco sapeva di aver sbagliato tutto. La giustizia di Dio richiedeva la sua morte. Invece ha sperimento la sua grazia. Ecco dunque l apostolo che prova sulla sua pelle il vangelo che è potenza di Dio nel trasformarlo, e giustizia di Dio nel salvarlo e graziarlo. da fede a fede, La giustizia di Dio è spesso in Romani collegata alla fede (cfr. Romani 3:21 ss.). Abbiamo già appreso che il vangelo è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede. Si manifesta dunque alla fede. La frase da fede a fede è stata interpretata in vari modi. I Padri dicevano che si passava dalla fede nella legge alla fede nel vangelo. Agostino parlava della fede del predicatore alla fede dell uditore. Calvino vedeva un riferimento alla crescita del credente che andava da fede in fede. Barth parla di fedeltà di Dio alla fede dell uomo. Probabilmente non è altro che un costrutto retorico indicando fede e solo fede. com'è scritto: «Il giusto per fede vivrà». Per confermare l importanza della fede, Paolo cita liberamente questo versetto da Abacuc 2:4. In Abacuc, il giusto per fede attenderà la risposta di Dio. In Paolo il peccatore diventa giusto per fede (cfr. anche Galati 3:11). I concetti sono diversi, ma solo in apparenza. Paolo sta iniziando a tessere il filo della vita di fede, che avrà in Abramo il suo massimo esponente (cfr. cap. 4). La fede era fondamentale per la vita di Abacuc. Lo è altrettanto nella vita del credente, che deve credere in Dio e nel vangelo, piuttosto che le sue esperienze o circostanze. OSSERVAZIONI 1. Prima di tutto osserviamo che Paolo non si vergogna del vangelo che salva con potenza. Sentiamo spesso religiosi che ci dicono che dobbiamo vergognarci perché non sono d accordo con nostri metodi. Ma finché il Signore salva e cambia vite, risponde a preghiere, insomma mostra la sua potenza, di che cosa dobbiamo vergognarci? Si vergogni chi non vede queste cose, chi sta in alto alla finestra come Mical a criticare Davide (cfr. 2 Samuele 6:16-33), ma non porta alcun frutto. Noi non dobbiamo vergognarci del vangelo predicato finché porta risultati alla gloria di Dio. 2. Il vangelo è potenza di Dio. Abbiamo visto che questo non può essere ridotta ad un semplice atto formale o giuridico. Potenza è forza, è azione è cambiamento. La nostra vita cristiana deve essere il risultato di questa potenza. Ci deve essere stato cambiamento; anzi ci deve sempre essere cambiamento e trasformazione finché non giungiamo alla statura perfetta di Cristo. Forse la mancanza di fede o di volontà ci impedisce di andare avanti; facciamoci forza, c è potenza nel vangelo, potenza che cambia e trasforma!

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