INFORMATIVA SUL DIRITTO DEL LAVORO luglio 2007 a cura di Claudio Tundo S.A.B. Lecce LICENZIAMENTO RITARDI
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1 INFORMATIVA SUL DIRITTO DEL LAVORO luglio 2007 a cura di Claudio Tundo S.A.B. Lecce LICENZIAMENTO RITARDI La Corte di Cassazione, con sentenza della sua Sezione Lavoro n /2007, ha stabilito che è legittimo il licenziamento a causa del continuo ripetersi di ritardi da parte del dipendente, soprattutto quando il provvedimento di espulsione segua a varie contestazioni e sanzioni disciplinari adottate precedentemente nei suoi confronti. Secondo la Corte, infatti, la circostanza che il lavoratore, nonostante tutte queste misure sanzionatorie, non avesse modificato il suo atteggiamento dà luogo ad una successione di comportamenti che nel loro insieme determinano il venir meno della fiducia del datore di lavoro nelle future prestazioni del dipendente ed in questi casi la tempestività della contestazione va riferita alla globalità dei fatti e, quindi, all episodio specifico che, comportando il superamento del limite, giustifica il licenziamento. In considerazione di tanto quando ci sono varie contestazioni nel tempo per violazione di obblighi contrattuali, anche se non particolarmente importanti, ma reiterate, la condotta del dipendente può essere punita e posta a base di un suo licenziamento per giustificato motivo. SICUREZZA SUL LAVORO APPRENDISTI La Corte di Cassazione, con sentenza della sua Sezione lavoro n del 18 maggio 2007, ha stabilito che in caso di infortuni sul lavoro al lavoratore spetta provare il sinistro, il danno derivatone ed il nesso causale tra l uno e l altro mentre è onere del datore di lavoro dimostrare di avere adottato tutte le misure atte ad evitare l infortunio, incluse anche le precauzioni per evitare che lavoratori inesperti siano coinvolti in lavorazioni pericolose nonché l informazione sui rischi e la pericolosità di macchine, strumenti e processi di lavoro. Secondo la Corte, poi, questo dovere è tanto più pressante per l azienda quando vi sia la presenza di apprendisti nei cui confronti la legge pone a carico del datore di lavoro precisi obblighi di formazione e di addestramento, tra i quali non può che primeggiare l educazione alla sicurezza del lavoro. In questi casi, infatti, il mancato o incompleto assolvimento dell onere di formare ed informare l apprendista sui rischi della lavorazione determina in capo all imprenditore una responsabilità ex art del codice civile, a nulla rilevando l imprudenza dell infortunato nell assumere l iniziativa di collaborazione nel cui ambito l infortunio si sia verificato. 1
2 RAPINA SUL POSTO DI LAVORO MALATTIA La Corte di Cassazione, con sentenza della sua Sezione Lavoro n del 01 giugno 2007, ha stabilito che il trauma emotivo generato da una rapina sul luogo di lavoro può far scattare il riconoscimento dell indennità Inail per il relativo infortunio. Secondo la Corte, peraltro, la prestazione di malattia in questo caso deve essere riconosciuta anche se l evento criminoso ha solo aggravato lo stato fisico e psichico del lavoratore e, quindi, anche solo quando la rapina abbia inciso in maniera indiretta alla produzione dell evento. I Giudici di legittimità, quindi, hanno precisato che va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell evento, con la conseguenza che ai fini del riconoscimento del nesso causale tra malattia ed evento dannoso lavorativo non occorre che il secondo sia causa unica della malattia, ma è sufficiente che ne sia concausa o causa scatenante. CONTRATTI A TERMINE PRESCRIZIONE La Corte di Cassazione, con sentenza della sua Sezione Lavoro n del 21 maggio 2007, ha stabilito che i diritti del lavoratore reiteratamente assunto a termine con successivi contratti non si prescrivono in cinque anni. Secondo la Corte, infatti, il presupposto della stabilità reale del rapporto di lavoro consente il decorso della prescrizione quinquennale dei crediti del lavoratore durante il rapporto, ai sensi dell art n.4 del codice civile, e questo presupposto va necessariamente accertato con riferimento al concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro stesso. La conseguenza, quindi, è che l assenza di una stabilità reale riconosciuta ed operativa impedisce il decorso della prescrizione durante il rapporto in parola e la successiva declaratoria giudiziale di sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con tutela reale ( numero di lavoratori occupati superiore a 15 ), non vale a far decorrere la prescrizione quinquennale delle retribuzioni prima di tale accertamento. Secondo i Giudici, pertanto, nel caso di trasformazione in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato di più rapporti a termine succedutisi tra le stesse parti, per effetto della nullità delle clausole di apposizione dei termini, si determina l applicazione di un sistema di tutela reale al quale, tuttavia, non consegue la decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro durante l esecuzione dei rapporti a termine, poiché la loro conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato operata dal giudice non incide sulla precarietà che gli stessi avevano quando erano tali. 2
3 DIFFAMAZIONE La Corte di Cassazione, con sentenza n del 2007, ha stabilito che può essere condannato il superiore che rivolge, in ambiti diversi dalle formali contestazioni, espressioni offensive della reputazione e della professionalità di un dipendente. Nel caso di specie il superiore, tra l altro, aveva scritto frasi ritenute offensive del decoro della dipendente in alcune comunicazioni indirizzate ai superiori gerarchici e lo stesso si era difeso adducendo che le lettere in questione erano state inviate appositamente a ben individuati soggetti, superiori gerarchici, legittimati ad adottare provvedimenti amministrativi nei confronti del dipendente. La Corte, quindi, ha sentenziato che la prassi di inviare missive ad organi superiori, in questo caso pubblici, con la conseguente possibilità concreta della conoscenza del loro contenuto da parte di una molteplicità di soggetti, si pone al di fuori delle formalità proprie a cui è tenuto il soggetto preposto ad un pubblico ufficio e mette in atto una condotta del tutto anomala. I giudici di legittimità, peraltro, hanno rilevato come il superiore avesse potuto giovarsi di strumenti formali di contestazione di eventuali addebiti disciplinari o di incapacità nell assolvere le funzioni attribuite al dipendente senza ricorrere a mezzi e/o strumenti che lasciavano chiaramente intravedere la sua volontà di portare, appunto, a conoscenza di terzi espressioni offensive del decoro della persona oggetto della missiva. SANZIONI DISCIPLINARI La Corte di Cassazione, con sentenze n del 13 aprile 2007, ha stabilito che il giudice investito della questione attinente una sanzione disciplinare comminata dal datore di lavoro non può ridurre quest ultima perché l imprenditore rimane l unico titolare del relativo potere. Secondo i Giudici di legittimità, infatti, ha precisato che il potere di infliggere sanzioni disciplinari e di proporzionare la gravità dell illecito accertato rientra nel potere di organizzazione dell impresa quale esercizio della libertà di iniziativa economica e che, pertanto, lo stesso, in quanto tale, è riservato unicamente al titolare senza nessuna possibilità per il giudice di disporre nemmeno una riduzione della gravità della sanzione, salvo il caso che l imprenditore abbia superato il massimo edittale previsto e la riduzione consista perciò soltanto in una riconduzione al limite. Il giudice, peraltro, secondo la Corte non può intervenire sul quantum della sanzione neppure avvalendosi di istituti come la riduzione d ufficio della penale o come la conversione del contratto nullo, che sono estranei alla fattispecie considerata sia perché la sanzione disciplinare, a differenza della penale nel contratto, non ha funzione risarcitoria, sia perché la sanzione eccessiva non è equiparabile al negozio giuridico nullo. Diverso, quindi, è soltanto il caso in cui sia lo stesso datore di lavoro, convenuto in giudizio per l annullamento della sanzione, che chieda la riduzione di questa nell ipotesi in cui il giudice, in accoglimento della domanda del lavoratore, ritenga eccessiva la sanzione già inflitta, poiché in questi casi l applicazione di una pena minore non sottrae autonomia all imprenditore. 3
4 CESSAZIONE ATTIVITA AZIENDALE REINTEGRAZIONE La Corte di Cassazione, con sentenza n del 7 giugno 2007, ha stabilito che in caso di cessazione totale dell attività aziendale il lavoratore non ha diritto di ottenere la reintegrazione prevista dall articolo 18 dello Statuto dei lavoratori ma solo la tutela risarcitoria prevista dalla stessa disposizione normativa. Secondo la Corte, infatti, il giudice che accerti l illegittimità del recesso a seguito di una procedura di licenziamento collettivo non può disporre la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro qualora nelle more del giudizio sia sopravvenuta la cessazione totale dell attività aziendale, ma deve limitarsi ad accogliere la sola domanda di risarcimento del danno, relativo al periodo compreso tra la data del licenziamento e quello della cessazione dell attività di impresa che opera quale causa di risoluzione del rapporto. In questo modo, quindi, viene riconosciuta l autonomia della tutela risarcitoria rispetto a quella ripristinatoria del rapporto di lavoro, che deriverebbe dall ordine di reintegrazione, nonché l applicabilità, anche al rapporto di lavoro, delle norme del codice civile in tema di impossibilità totale sopravvenuta della prestazione ex artt e 1463 del Codice Civile. La cessazione totale dell attività aziendale secondo i Giudici di legittimità rientra nella libertà di impresa garantita dall articolo 41 della Costituzione e rappresenta una mera circostanza di fatto e può essere introdotta nel processo senza la necessità di rispettare alcun formalismo, per cui viene escluso che il datore di lavoro debba proporre alcuna domanda riconvenzionale o eccezione formale per introdurre in giudizio questa circostanza. CESSIONE DI AZIENDA CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE La Corte di Cassazione, con sentenza n del 12 giugno 2007, ha stabilito che in tema di salvaguardia dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di azienda, a norma dell articolo 2112 del Codice civile, solo nel caso in cui l azienda acquirente non applichi alcun contratto collettivo ai lavoratori ceduti deve applicarsi quello che regolava il rapporto con la precedente azienda, indipendentemente dall attività svolta dall impresa acquirente. Secondo i Giudici di legittimità, infatti, la preoccupazione della continuità della copertura contrattuale non ha più ragione d essere quando l impresa acquirente applichi comunque un contratto collettivo, dovendosi in tal caso ritenere che questo contratto sostituisca immediatamente e totalmente la disciplina collettiva vigente presso l azienda alienante e che, secondo i principi generali, detto contratto possa essere modificato anche in peius dalla successiva contrattazione collettiva. 4
5 INFORTUNIO La Corte di Cassazione, con sentenza n del 2007, ha stabilito che il dipendente che va al lavoro in bicicletta non ha diritto all indennità Inail se l infortunio è avvenuto sulla rampa del garage della propria abitazione. Secondo la Suprema Corte, infatti, può essere considerato infortunio in itinere, indennizzabile dall assicurazione Inail, solo quello che si sia verificato su una strada pubblica o comunque al di fuori dell abitazione dell assicurato, o delle sue pertinenze, esclusive o comuni, e perciò deve essere esclusa l indennizzabilità degli infortuni avvenuti sulla rampa di discesa all autorimessa dell abitazione dell assicurato a prescindere che questa sia di proprietà condominiale e non sia di pertinenza dell abitazione del dipendente. La nozione di occasione di lavoro, quindi, rilevante a tal fine, anche se idonea a comprendere ogni collegamento non accidentale della condotta fonte di pericolo con le prestazioni assicurative, non può estendersi a tutte le attività, sia pure ricollegabili a quella lavorativa, svolte nei luoghi di provenienza o di destinazione del lavoratore e, quindi, in luoghi di esclusiva o comune proprietà di quest ultimo. PENSIONE DI REVERSIBILITA CONIUGE DIVORZIATO La Corte di Cassazione, con sentenza della Sezione lavoro n del 01 giugno 2007, ha stabilito che ai fini del diritto a pensione di reversibilità del coniuge divorziato è necessario il godimento effettivo dell assegno di divorzio riconosciuto in sede giudiziale e non è sufficiente che il coniuge medesimo si trovi soltanto nelle condizioni, anche di diritto, per ottenerlo. PERMESSI LEGGE 104/1992 FRAZIONABILITA L INPS, con messaggio n del 2007, ha precisato che la possibilità di fruire dei tre giorni di permesso di cui alla legge n. 104/1992 anche frazionandoli in permessi orari non può superare le 18 ore mensili quando appunto detti permessi vengano utilizzati, anche solo parzialmente, frazionandoli in ore e non già quando invece gli stessi vengano utilizzati tutti per giornate lavorative intere. L Ente, peraltro, precisa anche che il massimale di 18 ore mensili si applica ai lavoratori con orario normale di lavoro settimanale di 36 ore articolato su sei giorni lavorativi perché tale valore deriva dall algoritmo di calcolo, da applicare alla generalità dei lavoratori con orario di lavoro determinato su base settimanale ai fini della quantificazione del massimale orario mensile di permessi, che risulta essere il seguente: totale ore di lavoro settimanali diviso per il numero dei giorni lavorativi settimanali moltiplicato per tre. Lecce, 23 luglio
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