INGEGNERIA NATURALISTICA PER LA STABILIZZAZIONE DI PENDII: VALUTAZIONI COMPARATIVE E ANALISI RIFERITE A CASI REALI

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1 POLITECNICO DI TORINO DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA STRUTTURALE E GEOTECNICA INGEGNERIA NATURALISTICA PER LA STABILIZZAZIONE DI PENDII: VALUTAZIONI COMPARATIVE E ANALISI RIFERITE A CASI REALI ELENA DE CURTI LUCA DE ANTONIS CLAUDIO SCAVIA VINCENZO MARIA MOLINARI

2 POLITECNICO DI TORINO DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA STRUTTURALE E GEOTECNICA La presente pubblicazione è stata elaborata a partire dalla omonima tesi specialistica di laurea di Elena De Curti in Ingegneria Edile del , ed è frutto della collaborazione tra la Regione Piemonte, Direzione Ambiente, Settore Sostenibilità, Salvaguardia ed Educazione Ambientale e il Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica del Politecnico di Torino. Il rapporto di collaborazione si concretizza attraverso approfonditi studi in materia di stabilità dei pendii naturali con l impiego di tecniche naturalistiche. Analisi e studi vengono costantemente riferiti ed applicati a casi reali. Questo lavoro è stato redatto da Elena De Curti e Luca De Antonis, funzionario tecnico del sopra citato Settore regionale, con il rispettivo e congiunto coordinamento di Claudio Scavia, professore ordinario di Geotecnica del Politecnico di Torino e di Vincenzo Maria Molinari, dirigente del Settore regionale A vario titolo hanno collaborato: Matteo Massara, funzionario tecnico del settore regionale; Viola Erdini, funzionario tecnico del settore regionale; Alessandro Rodino, libero professionista; Paolo Gallo, architetto, libero professionista. Si ringraziano per la disponibilità, la collaborazione e il materiale progettuale fornito: Fabrizio Baracco, tecnico del Parco del S. Monte di Crea; Paolo Sassone, libero professionista.

3 Capitolo 1- le cause dei dissesti 1.1 TIPOLOGIE DI DISSESTO - CAUSE PRINCIPALI DELLE FRANE E LORO CLASSIFICAZIONE I fenomeni franosi superficiali sono dei movimenti di massa coinvolgenti rocce, detriti o terre, attraverso i quali si manifesta la loro tendenza al raggiungimento di un minimo di energia potenziale. Nonostante la definizione alquanto semplice, essi costituiscono dei complessi fenomeni geologici e geomorfologici la cui classificazione è spesso controversa. Il sistema più usualmente adottato è quello proposto da Varnes (1978). Questa classificazione è basata essenzialmente su due parametri: tipologia del movimento di massa e tipologia del materiale coinvolto. Per quanto riguarda il primo parametro, questo indica sostanzialmente il movimento principale che caratterizza la frana (rotazione, scivolamento lungo un piano, una linea, scorrimento, colata..) mentre il secondo si riferisce a una differenziazione tra terre e rocce. Con il termine terra, si indica un materiale formato da aggregati di granuli non legati tra loro o che possono essere separati per mezzo di modeste sollecitazioni o per mezzo di un più o meno prolungato contatto con l acqua; si tratta essenzialmente di sabbie, limi e ghiaie. Il termine roccia indica invece un materiale naturale che, in campioni al di fuori della loro sede, è dotato di elevata coesione anche dopo prolungato contatto con l acqua. E però necessario, nel caso delle rocce, fare anche riferimento al termine ammasso roccioso che si riferisce alla roccia in sede, considerata assieme alle discontinuità strutturali proprie delle condizioni naturali. Vi sono poi materiali aventi caratteristiche intermedie, di transizione tra quelle delle terre e quelle delle rocce, quali le argille e alcuni sedimenti fortemente addensati. In generale, nella valutazione della stabilità dei pendii e delle cause di dissesto verificabili su questi ultimi, è necessario conoscere le caratteristiche dei materiali che lo costituiscono. Sono queste ultime, abbinate a fattori esterni quali in speciale modo l acqua, a rendere possibili i fenomeni franosi e i dissesti in generale. I successivi sottoparagrafi presentano la classificazione dei fenomeni franosi così come suggerita da Varnes; in essa si distinguono i tipi di frana a seconda del movimento principale che le caratterizza, basandosi sulla differenziazione tra terre e rocce INSTABILITÀ DI VOLUMI ROCCIOSI In questo caso i dissesti si manifestano con lo scivolamento o il distacco di blocchi di roccia più o meno grandi che perdono aderenza rispetto all ammasso roccioso cui appartengono. I fenomeni di crollo su pendii in roccia possono pertanto suddividersi in crolli dovuti a scivolamento (sliding) e crolli dovuti a ribaltamento (toppling). Quelli del primo tipo si suddividono ancora in scivolamento su superficie curva, scivolamento planare e scivolamento a cuneo (Fig. 1). Fig1: 1: scivolamento su superficie curva (solo terreni) 2: scivolamento planare 3: scivolamento a cuneo 4: ribaltamento 3

4 La conoscenza dell ammasso roccioso si esplica nello studio dei parametri che costituiscono le caratteristiche delle discontinuità. I parametri di cui occuparsi sono pertanto l orientazione o giacitura delle discontinuità (parametri a e y), la loro spaziatura, la persistenza, la scabrezza, la resistenza di parete, l apertura e, infine, le caratteristiche relative al materiale di riempimento di queste ultime. Una volta noti questi dati relativi all ammasso si passa allo studio delle condizioni idrauliche, ovvero si ricerca l eventuale presenza di acqua all interno dei giunti. La misura dei dati sulle discontinuità viene eseguita direttamente sull ammasso roccioso. La misura della giacitura è espressa da due angoli. Questi sono calcolati utilizzando una bussola da rilevamento che, posizionata correttamente sulle pareti delle discontinuità, permette di leggere gli angoli a e y cercati. Una volta pervenuti alla lettura degli angoli, è possibile rappresentare la giacitura delle famiglie di discontinuità con l aiuto delle rappresentazioni stereografiche. Questo tipo di rappresentazione è di grande utilità dal momento che consente di individuare tutti i cinematismi possibili per il pendio studiato. Lo studio dei cinematismi passa dunque attraverso il riconoscimento dei movimenti, che i piani di discontinuità possono generare. Questi movimenti possono essere principalmente di tre tipi: - scivolamento planare; - scivolamento a cuneo - ribaltamento. Il reticolo stereografico utilizzato per le rappresentazioni grafiche relative ai cinematismi è il reticolo equatoriale. Su di esso, i piani che individuano le famiglie di discontinuità sono rappresentati da curve bidimensionali. I poli, proiezioni sul piano orizzontale del punto di intersezione tra la normale al piano contenente la discontinuità e l emisfero di riferimento, sono invece rappresentati da punti. Al fine di eseguire l analisi dei cinematismi con il metodo delle rappresentazioni stereografiche, per ciascuno dei movimenti descritti sopra è necessario conoscere quei parametri in grado di fornire le informazioni cercate. Nello scivolamento planare, è necessario conoscere la posizione del piano di scivolamento e quella del piano che individua il fronte. Affinché si verifichi il cinematismo si deve verificare la condizione: a s a f ± 20 y s < y f con: a s = immersione piano di scivolamento a f = immersione piano del fronte y s = inclinazione piano di scivolamento y f = inclinazione piano del fronte Nel caso di scivolamento a cuneo, sono presenti almeno due famiglie di discontinuità sono presenti e la linea di intersezione deve essere definita. Questa è la retta che unisce il centro del reticolo stereografico equatoriale con il punto di intersezione tra le due curve che rappresentano, sul reticolo, le due famiglie di discontinuità studiate. Affinché si verifichi uno scivolamento a cuneo, deve verificarsi la seguente condizione: a i = a f ± 90 y i < y f con: a i = immersione della linea di intersezione a f = immersione piano del fronte y s = inclinazione della linea di intersezione y f = inclinazione piano del fronte Le instabilità per ribaltamento sono piuttosto complesse da analizzare in quanto possono coinvolgere diversi fenomeni quali deformazioni per flessione o rotture nel materiale intatto. In linea di massima però, si può affermare che il movimento ribaltante sia ci nematicamente possibile quando si verifichi la seguente condizione: a d = a f ± 180 (± 20 ) 4

5 y d > 75 con: a d = immersione del piano di debolezza ( reggipoggio ) a f = immersione piano del fronte y d = inclinazione del piano di debolezza ( reggipoggio ) La spaziatura è il parametro che indica la distanza tra discontinuità adiacenti misurata in direzione ortogonale alle discontinuità. Normalmente il valore di riferimento è una media tra i valori di spaziatura misurati per discontinuità appartenenti alla stessa famiglia. La persistenza indica la lunghezza della traccia della discontinuità nella direzione della sua profondità di inserimento all interno dell ammasso roccioso. La scabrezza, è suddivisa in scabrezza a piccola e grande scala, dove quest ultima prende il nome di ondulazione. La scabrezza a piccola scala viene calcolata su campioni di roccia di lunghezza pari a 10 cm. Dalle misure eseguite su questi ultimi si ricava il parametro JRC o che ha un valore desunto dal confronto tra i diversi profili di scabrezza rilevati sui campioni prelevati in sito e quelli di riferimento, con riduzione per effetto scala secondo la legge di Barton-Bandis. Il parametro JRC o è dunque dato da: JRC1 + JRC 2 + JRC JRC o = 3 3 con: JRC o = scabrezza del provino JRC 1, JRC 2, JRC 3 ricavati dal confronto sopra citato tra i profili rilevati e quelli di riferimento. Il parametro JRC o appena descritto è trasformato in JRC n che come JRC o rappresenta la scabrezza, ma tiene conto delle dimensioni del pendio effettivamente indagato distribuendo il valore di scabrezza rilevato sui campioni per tutta la grandezza del versante preso in considerazione (effetto scala). La formula seguente evidenzia questo passaggio: JRC n = JRC o L L n o 0,02 JRC o Con: JRC n = scabrezza di sito JRC o = scabrezza del provino L n = lunghezza del giunto in sito L o = lunghezza del giunto in laboratorio JRC n e poi utilizzato per calcolare l angolo di attrito di picco relativo al pendio. Questo angolo è fondamentale per il calcolo del fattore di sicurezza relativo ai pendii in roccia e quindi per determinarne la stabilità. Le formule mostrate nel seguito definiscono perché. JSC ϕ p = JRC n Log + ϕb con σ F S t n ( Wn ( k v W ) n ( kv W ) t U Vn ) tan ϕ P = W + ( k W ) ( k W ) + V h t h n t con: φ p = angolo di attrito di picco JRC n = scabrezza di sito 5

6 JCS = joint compressive strength (valore desunto da prova con sclerometro in sito) s n = valore medio di tensione stimato in funzione del peso del blocco f b = angolo di attrito di base desunto da prove di taglio su campioni di roccia lisci e: Fs = fattore di sicurezza che determina la stabilità dei pendii in roccia W = peso del blocco in roccia considerato per l analisi di stabilità W n = componente normale del peso del blocco in roccia considerato per l analisi di stabilità W t = componente tangenziale del peso del blocco in roccia considerato K v = coefficiente sismico verticale K h = coefficiente sismico orizzontale U = componente normale 1 della spinta dovuta all acqua V n = componente normale 2 della spinta dovuta all acqua V t = componente tangenziale della spinta dovuta all acqua φ p = angolo di attrito di picco La resistenza di parete è anche detta resistenza a compressione monoassiale dei lembi affacciati di una discontinuità. Questa risulta minore sulla parete della roccia se paragonata con la resistenza a compressione interna alla roccia massiccia, a causa dell esposizione della parete agli agenti atmosferici. Questo parametro è misurato con lo sclerometro o martello di Schimdt. Lo strumento viene azionato appoggiandolo alla parete in roccia. La lettura dei risultati è effettuata direttamente in sito. Con la determinazione dell apertura si indica invece la misurazione della larghezza delle discontinuità, ovvero la distanza tra i lembi della frattura. Lo spazio interposto tra i due lembi può essere vuoto, ma più sovente può essere riempito con acqua o con altri materiali quali per esempio sabbia, limo o argilla. Per questi motivi risulta di estrema importanza lo studio delle caratteristiche del materiale di riempimento; il suo comportamento può influenzare notevolmente il comportamento del blocco di roccia. Nei casi in cui il materiale di riempimento sia per esempio un argilla, in presenza di acqua è possibile, a causa della sua bassa permeabilità dell argilla, che si formino delle pressioni ulteriori all interno dei giunti in grado di provocare il crollo dei blocchi ove si verifichi questa condizione di spinta. Inoltre la presenza anche di sola acqua, in grado di saturare i giunti, può influenzare la stabilità del pendio: quest ultima infatti agisce come un ulteriore sforzo di spinta sulle pareti del giunto di discontinuità e dell eventuale giunto di trazione e causa una maggiore instabilità della struttura. Con riferimento allo schema riportato in figura 2, si prende in considerazione il caso di un dissesto di tipo planare su superficie rocciosa in presenza di giunto di trazione; nell immagine si può osservare che mentre nel caso di sinistra l acqua è libera di circolare, in quello di destra l acqua non ha questa capacità. Pur essendo possibili ambedue le configurazioni, se non vi sono caratteristiche che indichino il contrario, i calcoli relativi alle pressioni idrauliche vengono eseguiti seguendo lo schema grafico di sinistra. In generale la configurazione di destra si verifica quando per esempio si formano tappi di ghiaccio a valle del pendio che possono impedire la libera circolazione dell acqua. 6

7 Fig. 2: possibili distribuzioni dell acqua all interno di discontinuità di pendii in roccia ( caso dello scivolamento planare). In entrambi i casi è presente il giunto di trazione e, per ambedue le configurazioni, l acqua satura i giunti. Gli altri parametri di cui tenere conto quando si studia il comportamento e la stabilità dei pendii in roccia sono il peso proprio del blocco e le condizioni sismiche della zona. Il primo può essere descritto come una forza agente lungo la direzione verticale, le condizioni sismiche dipendono dalle caratteristiche del tipo di territorio in cui si trova il versante considerato. Si consideri ancora una volta il caso di un blocco di roccia soggetto ad un cinematismo di scivolamento planare in presenza di giunto di trazione. Con riferimento alla figura 4 si può osservare il vettore che rappresenta il peso proprio del blocco posto lungo la direzione verticale, quando questo viene scomposto nelle due componenti rispettivamente parallela e perpendicolare al piano di scivolamento. Mentre la componente perpendicolare aiuta la stabilità del blocco di roccia aumentando la forza di attrito tra la superficie del blocco e quella dell ammasso roccioso, la componente tangenziale induce il movimento di scivolamento del blocco ed è pertanto da considerare come un contributo instabilizzante. Il modulo del vettore W (peso proprio del blocco) è dato da: W = γ r Ab 1m Con: W = peso proprio del blocco gr = peso specifico di volume della roccia A b = area del blocco di roccia considerato (per 1 metro di profondità) Il calcolo del fattore di sicurezza considerando il solo peso del blocco è dato da: 7

8 F S W = n tan ϕ W t P Con: Fs = fattore di sicurezza che determina la stabilità dei pendii in roccia W n = componente normale del peso del blocco in roccia considerato per l analisi di stabilità W t = componente tangenziale del peso del blocco in roccia considerato per l analisi di stabilità φ p = angolo di attrito di picco Wn W Wt Fig. 3: blocco in roccia, rappresentazione del vettore del peso proprio e scomposizione lungo la linea del piano di scivolamento, W t e lungo la perpendicolare al piano di scivolamento W n. In relazione al contributo instabilizzante dovuto al sisma, questo è valutabile seguendo un preciso schema operativo. Per semplicità si consideri nuovamente la situazione di instabilità descritta dalle figure 2 e 3. I vettori che rappresentano le forze sismiche e da considerare per i calcoli sono F h e F v. Il modulo di questi vettori è dato da: amax F h = K h. W con K h = β s g F v = K v W con K v = ± 0, 5 k h dove: F h = componente orizzontale della forza sismica F v = componente verticale della forza sismica K v = coefficiente sismico verticale K h = coefficiente sismico orizzontale W = peso proprio del blocco b s = coefficiente di riduzione dell accelerazione massima attesa in sito a max = accelerazione orizzontale massima in sito g = accelerazione di gravità Il modulo di K h e quindi per conseguenza anche di K v, dipende dalle caratteristiche della zona, poiché b s individua il coefficiente di riduzione dell accelerazione massima attesa al sito, a max è l accelerazione orizzontale massima attesa in sito e g è l accelerazione di gravità. 8

9 Sempre con riferimento al caso del cuneo in roccia che scivola con un movimento di tipo planare, la figura 4 mostra come, una volta calcolati i vettori sismici, è possibile definire il loro punto di applicazione e il loro verso, lungo la direzione perpendicolare e parallela al piano di scivolamento. Questi vettori vanno trattati come dei contributi sfavorevoli alla stabilità del pendio in roccia e come tali inseriti vanno inseriti nelle formule tenendo conto di tale aspetto. Kv * W Kv * W Kh * W W Fig. 4: blocco in roccia, rappresentazione del vettore del peso proprio e scomposizione lungo la linea del piano di scivolamento e lungo la perpendicolare al piano di scivolamento dei vettori sismici. Il calcolo del fattore di sicurezza tenendo conto delle componenti sismiche è dato dalla formula: F S = ( W n ( k W t v W ) + ( k h n ( k W ) t v W ) ( k h t ) tan ϕ W ) n P con: Fs = fattore di sicurezza che determina la stabilità dei pendii in roccia W = peso del blocco in roccia considerato per l analisi di stabilità W n = componente normale del peso del blocco in roccia considerato per l analisi di stabilità W t = componente tangenziale del peso del blocco in roccia considerato K v = coefficiente sismico verticale K h = coefficiente sismico orizzontale φ p = angolo di attrito di picco Visti gli aspetti fino a qui analizzati è possibile affermare che i fenomeni di distacco di materiale roccioso possono essere innescati da diversi fattori, i quali possono agire insieme oppure separatamente. Essi possono innescarsi a seguito di un aumento delle pressioni idrostatiche nelle discontinuità ovvero a causa delle pressioni esercitate dalla formazione di blocchi di ghiaccio. Quest ultimo in grado di generare notevoli sollecitazioni per effetto dell incremento di volume. Ulteriori dissesti possono essere causati dalle tensioni residue, quindi dalle sollecitazioni statiche o dalle tensioni dinamiche come sismi, esplosioni e vibrazioni. Inoltre, dissesti possono verificarsi dissesti a seguito dell azione di sollecitazioni dovute ad attività antropiche quali scavi, disgaggi e tagli con macchinari. In generale, è bene tenere presente tutti i parametri che possono influenzare la stabilità analizzando sempre la condizione più critica possibile per mantenere un più ampio margine di sicurezza. Quando eventi di crollo interessano porzioni di roccia 9

10 sufficientemente ampi e coinvolgono il materiale detritico già presente sul versante è possibile parlare di vere e proprie valanghe di roccia. Il meccanismo che identifica le frane di crollo si divide in tre fasi specifiche: il distacco, la proiezione e i rotolamenti o scivolamenti successivi compiuti dai blocchi ormai in movimento. Quest ultima fase, in particolare, è fortemente influenzata dalla presenza di ostacoli sulla superficie del pendio, quali ad esempio la vegetazione, l inclinazione del pendio e quindi l energia cinetica del blocco. Inoltre il fenomeno di rotolamento può risultare autoalimentante, determinando un vero e proprio flusso anidro di detriti, denominato valanga di roccia (rock avalanche). Per quanto attiene alla pericolosità del fenomeno, si può affermare con le dovute eccezioni che non esistono segni premonitori in grado di allertare del dissesto imminente, a meno che non siano già presenti dispositivi di controllo e che il problema non riguardi ingenti masse in equilibrio instabile. Per quel che concerne la sorveglianza visiva sui crolli, si può osservare se a seguito dell evento continuano ad esserci ruscellamenti d acqua lungo la parete rocciosa o se ci sono dei distacchi di massi di modeste dimensioni. I fenomeni franosi avvengono in un lasso di tempo molto breve, dell ordine di poche decine di secondi al massimo e come tale sono da considerarsi tra i fenomeni franosi di maggiore pericolo. Le figure seguenti mostrano alcune casistiche di crolli in roccia. Come è possibile osservare, queste frane possono causare danni anche molto ingenti sia al territorio che alle infrastrutture. 10

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12 Figg. 5-15: casi esemplificativi di frane di crollo. I dissesti e i danni al territorio possono essere anche molto ingenti. 12

13 1.1.2 INSTABILITÀ DELLE TERRE Nel caso delle terre i dissesti si manifestano con il movimento di coltri costituenti le porzioni meno addensate e stabili che formano il pendio. Anche per questi tipi di frana il contributo dato dall acqua riveste grande importanza. Le frane di questo tipo sono suddivisibili in: - frane da scivolamento planare; - frane da scivolamento rotazionale; - frane con movimento prevalente per colata (colamenti lenti) - frane da fluidificazione del suolo (colamenti rapidi o soil slip). Le frane da scivolamento planare avvengono lungo superfici anche di modesta inclinazione, ma affinché il fenomeno si verifichi la superficie deve essere ben definita. Si sviluppano nelle parti medio alte dei pendii, con la formazione di fratture di trazione e la traslazione verso valle delle masse disaggregatesi. In Piemonte questa tipologia di frana è concentrata nel territorio delle Langhe. La figura 16 mostra lo schema di distacco delle superfici in uno scivolamento planare. Fig. 16: rappresentazione schematica di una frana da scivolamento planare. Il movimento può interessare anche le coltri rocciose fino ad una profondità di circa 20 m. La superficie che caratterizza il piano di scivolamento è individuata dal piano di contatto tra i diversi materiali osservabili in stratigrafia. È possibile notare come gli strati impermeabili di argilla siti ad una certa profondità impediscano all acqua di penetrare liberamente lungo gli strati di terreno. Proprio a causa della ingente presenza di acqua nel terreno si evince che la maggior parte degli scivolamenti si attiva in seguito ad abbondanti precipitazioni ed è possibile individuare degli elementi premonitori quali fessurazioni, rigonfiamenti, inclinazione degli alberi e dei pali, e perfino vere e proprie emergenze idriche. L apertura di fratture di trazione più o meno continue, concentrate maggiormente nella parte alta del versante e ben sviluppate in profondità sono tra i segni più visibili collegabili a questo fenomeno; queste discontinuità favoriscono l infiltrazione di acqua nel sottosuolo. Si riscontrano poi locali ondulazioni del suolo e, nella parte medio - inferiore del pendio, si possono osservare dei rigonfiamenti o delle depressioni nel terreno. Gli effetti di rigonfiamento visibili nel terreno sono dati dal rigonfiamento proprio delle argille quando queste vengono in contatto con l acqua. I fenomeni di inclinazione di piante ad alto fusto e pali della luce costituiscono di solito un riscontro della traslazione e come tali possono pertanto essere presi come monito dell evoluzione dell evento nel tempo. 13

14 In generale si può affermare che l innesco del fenomeno di scivolamento planare nelle terre è dato proprio dalla forte presenza di acqua in terreni a prevalente matrice sabbiosa e dalla presenza di superfici omogenee di materiali argillosi che funzionano da piano di scivolamento; le sovrapressioni dell acqua e la presenza di minerali rigonfianti nelle argille (smectiti) provocano il movimento delle terre. L interazione tra pioggia cumulata e il fenomeno di dissesto è dimostrabile. Le piogge cadute in concomitanza con l evento e quelle dei 60 giorni precedenti hanno pari importanza nella definizione delle condizioni di instabilità. Le piogge dei 60 giorni precedenti hanno la funzione di alimentare i livelli più profondi, mentre le piogge cadute durante l evento decisivo influiscono sui terreni superficiali e lungo le discontinuità per fratturazione. Si può pertanto desumere la grande importanza del monitoraggio delle quantità di precipitazioni. Le piogge di forte intensità che seguono quelle distribuite in un lungo periodo di tempo danno origine a questo fenomeno e alle sue dannose conseguenze. Nel caso di fenomeni primaverili, è necessario considerare, oltre alla piovosità cumulata, anche la quantità di acqua presente sul sito e causata dallo scioglimento delle nevi invernali. Questi tipi di frane, pur avendo conseguenze anche molto importanti per il territorio e per le opere presenti su quest ultimo, sono di più facile individuazione a causa dei segni premonitori e delle tempistiche di propagazione dell evento, che sono di velocità assai meno sostenute, se paragonate con altri fenomeni franosi. Le figure 17 e 18 mostrano alcune immagini di frane di questo tipo, avvenute in Piemonte. 14

15 Figg : frane da scivolamento planare avvenute sul territorio piemontese durante l evento alluvionale del novembre Come quelle per scivolamento planare, le frane per scivolamento rotazionale si riscontrano prevalentemente in presenza di terreni argillosi o limi, con numerose eccezioni. Coinvolgono spesso il substrato dislocato e si presentano come masse, talora notevoli volume, lungo superfici di movimento relativamente ben definite. Questo tipo di fenomeno è presente un po dovunque sul territorio nazionale e dunque anche su quello Piemontese. Affinché avvenga una frana di questo tipo è necessario il verificarsi di condizioni di pioggia prolungata e sicuramente l attivazione dipende anche dalla quantità di piogge pregresse. Se nel periodo precedente l evento si riscontrano precipitazioni di ragguardevole quantità, è possibile ipotizzare che le acque portate da queste ultime saturino il terreno: il loro contributo va a sommarsi con quello delle precipitazioni di più elevata intensità che si generano a ridosso dell evento. E questo lo schema di eventi che può dare origine al fenomeno franoso. Anche nel caso di scivolamenti rotazionali è possibile dunque affermare che la causa scatenante l evento è connessa alle quantità di pioggia che insistono sul sito. Quando le forze agenti sulle coltri di superficie risultano troppo elevate, il terreno non è più in grado di contenere le sollecitazioni e scivola lungo una superficie curva. Tale superficie è approssimabile ad un arco di circonferenza che ha per corda la linea di massima pendenza e per perimetro la porzione di cerchio che corrisponde alla linea di scivolamento del materiale (Fig. 19). 15

16 Fig. 19: schema di cinematismo di una frana da scivolamento rotazionale. E possibile, che la superficie di scivolamento, possa in alcuni casi essere costituita da una serie di curve consequenziali intervallate anche da elementi piani, lungo i quali il materiale di frana è soggetto a rotazioni e traslazioni. (Fig. 20). Fig. 20: scivolamento rotazionale composto di più movimenti delle terre. 16

17 Fig. 21: grande frana da scivolamento rotazionale evoluto in colata, presso Cogne, Valle d Aosta. Il movimento della frana di solito tende a trasformarsi in colata, quando nei pressi di valle perde energia cinetica di movimento (figura 21). E possibile che il fenomeno si produca sotto forma di un unico scivolamento generale di una porzione di pendio, oppure, anche, sotto forma di più frane differenti che si generano separatamente, in punti diversi dello stesso pendio. In questo ultimo caso, le porzioni di terreno che scivolano presentano caratteristiche idrogeologiche simili. I fenomeni di instabilità legati allo scivolamento rotazionale, manifestano dei segni premonitori quali evidenti fenomeni di fessurazione, e/o abbassamento della sommità del pendio. Il fenomeno ha peraltro un evoluzione assai rapida. 17

18 Figg : frane da scivolamento rotazionale avvenute sul territorio piemontese. 18

19 Le frane da fluidificazione del terreno o colamenti rapidi sono considerate molto pericolose vista l assenza di segni premonitori e data la loro velocità d espansione (dell ordine di pochi minuti al massimo). Fra questi tipi di fenomeni di instabilità è possibile riconoscere le frane per instabilità delle coltri dovute alla saturazione e fluidificazione dei terreni (soil slip) ovvero le frane di debris flow (flussi detritici o lave torrentizie). Le prime sono frane che investono gli strati più superficiali dei versanti e sono caratteristiche delle zone che si trovano a valle di pendi poco acclivi, terrazzi, strade, campi e piazzali, l acqua può accumularsi e saturare in breve tempo il terreno. L innesco è dunque legato alla presenza d acqua nel terreno: più questa aumenta più il terreno si satura fino a liquefarsi e trasformarsi in una colata di fango e detriti che assume una velocità simile a quella di un fluido viscoso. Gli strati superficiali di terreno presentano caratteristiche di permeabilità differenti rispetto a quelle degli strati sottostanti, anche se sono litologicamente simili. In presenza di forti quantità di acqua si creano delle sovrapressioni all interfaccia tra i due materiali che possono essere anche piuttosto elevate tanto da provocarne la rottura. L interfaccia può funzionare come superficie di scivolamento. È anche possibile che si generi, nel terreno saturo, una falda temporanea parallela al piano di scivolamento, in questo caso vengono coinvolti, oltre al terreno di copertura, anche quello di superficiale del primo substrato alterato con cui la copertura è in contatto (Fig. 25). Fig. 25: schema di cinematismo di frane da scivolamento rapido, per fluidificazione del terreno Tali dissesti non hanno particolari segni premonitori perciò l unico tipo di controllo e monitoraggio effettuabile è legato alla presenza di acque torbide nei torrenti e nelle acque di ruscellamento presenti in zona ovvero la verifica della presenza di eventuali fratture nel terreno. Le figure seguenti mostrano delle immagini di frane di soil slip. 19

20 CAPITOLO 1:LE CAUSE DEI DISSESTI 20

21 Figg : frane da colamento rapido: soil slip delle coltri superficiali avvenute sul territorio piemontese. 21

22 Negli alvei di torrenti o di corsi d acqua temporanei è possibile il verificarsi di improvvise pulsazioni di piena: queste si evolvono rapidamente con fenomeni di auto-alimentazione, con frane in alveo che producono invasi temporanei e successive elevate portate di torbida, le quali a loro volta incrementano l erosione delle sponde e del fondo alveo. I flussi possono arrivare a valle sotto forma di vere e proprie frane di detriti solidi con vegetazione e acqua. Questo è il caso delle frane cosiddette di debris flow. Si tratta essenzialmente di un colamento veloce incanalato che prende forma lungo ripide aste torrentizie. L innesco di tale meccanismo di dissesto è di certo imputabile alla presenza dell acqua, sia che si tratti di piogge cumulate sia che si tratti di temporali. Le piogge cumulate possono essere valutate sia in termini di pioggia vera e propria sia in termini di neve. Purtroppo anche per questo fenomeno non è possibile definire dei segni premonitori particolari se non controllare la presenza di terra nei corsi d acqua. La pericolosità di questo fenomeno deriva dalle ingenti quantità di materiale solido trasportato, dalla forte azione erosiva, dal breve intervallo di tempo entro cui il fenomeno si innesca, si propaga e si esaurisce. La massa che si muove in alveo carica continuamente nuovo materiale, durante la discesa verso valle, e questo aumenta sempre di più la pericolosità del fenomeno. Le figure seguenti mostrano delle immagini relative a questi tipi di fenomeni. Fig : pulsazioni torrentizie (mud flow o lave torrentizie) e flussi detritici (debris flow e rock avalanche) in varie località delle Alpi. 22

23 Le frane con movimento prevalente per colata (colamento lento) sono fenomeni che si muovono con estrema lentezza in quanto, una volta innescate possono rimanere attive per lunghi periodi, a volte addirittura per diversi anni. Sono particolarmente diffuse nell estremo settore sud-orientale del territorio regionale ed in alcuni settori delle colline casalesi dove la particolare situazione litologica e mineralogica la morfologia poco aspra della zona, la presenza di numerosi impluvi debolmente incisi e le condizioni climatiche locali predispongono l area ad una diffusa presenza di colamenti. In questo caso la frana si manifesta come il movimento lento e progressivo di materiale di natura argillosa, marnosa, o anche di corpi rocciosi molto fratturati. Questi movimenti non avvengono lungo delle superficie ben definitive, ma piuttosto sono dati da processi concatenati di deformazioni e conseguente rottura di certune porzioni di terreno. In generale, è possibile affermare che questo tipo di fenomeno è innescato dalle componenti argillose fortemente reattive presenti nel terreno, quali ad esempio le smectiti. Queste ultime hanno una forte capacità di rigonfiamento se poste a contatto con l acqua e, pertanto generano delle forze interne alle superfici del terreno che provocano la frana. Per attivarsi questi fenomeni hanno bisogno di precipitazioni prolungate, pertanto periodi continuativi di piogge che anticipano forti precipitazioni improvvise rappresentano eventi meteorologici assai influenti su tale fenomeno. La velocità di sviluppo del fenomeno e in particolare quella di una colata, se pur lenta in generale, risulta diversa se misurata punto per punto all interno dell ammasso: nel centro della colata essa risulta infatti più elevata che ai bordi. Per di più le particelle di terreno superficiale muovono più velocemente di quelle di terreno profonde. La figura 34 mostra come la colata si possa sviluppare e i conseguenti spostamenti di terreno corrispondenti. In questo caso, poiché siamo in presenza di un movimento lento, è più facile notare dei segni premonitori quali la presenza di ondulazioni del suolo, corrugamenti, contropendenze, movimenti di alberi e pali della luce lungo il pendio. Talvolta si possono notare anche fessurazioni su alcune strutture. Fig. 34: schema di cinematismo di frane da colamento lento. 23

24 1.2 L ACQUA Fattore comune a tutti i fenomeni di instabilità del terreno dei pendii è la presenza o assenza di acqua, ovvero le quantità in cui questa è presente. Il primo fattore da tenere in considerazione è la spinta dovuta al carico idrostatico. Questa può fornire un contributo anche molto importante alle spinte del terreno sulle pareti di versante e favorire i fenomeni franosi. La spinta dovuta al carico idrostatico, per le terre, è data dalla formula: (( w z w ) z w ) S w = γ 2 con: S w = spinta dovuta al carico idrostatico g w = peso di volume specifico dell acqua g w = 10 KN/m 3 z w = altezza di approfondimento acqua Il cuneo di spinta che si forma nel terreno dovuto all acqua ha forma triangolare e il vettore che ne individua l intensità è applicato ad 1/3 dell altezza del cuneo. L approfondimento del carico di acqua, e quindi anche l altezza del cuneo di spinta dipendono dalla quota di falda. Questa quota può coincidere con il piano di campagna oppure essere più approfondita rispetto ad esso. La determinazione della posizione di falda è misurata in sito con i piezometri. Considerazioni più precise sull utilizzo e il principio di funzionamento di questi strumenti sono fatte nel capitolo 2, paragrafo 2.1. Per quanto riguarda le formazioni rocciose, è possibile dimostrare che l acqua riveste in ogni caso un ruolo fondamentale nel processo di creazione delle sollecitazioni atte a dar luogo al cinematismo. L acqua penetra nelle discontinuità della roccia e, ove queste abbiano giacitura tale da consentire l innescarsi di un fenomeno franoso, lo favorisce ulteriormente, se questa è in grado di saturare i giunti presenti nell ammasso. Con riferimento al caso di un cuneo in roccia soggetto a movimenti di tipo planare, la figura 35 riporta i vettori che definiscono le spinte dovute all acqua in pressione all interno dei giunti. In un procedimento di verifica della stabilità dell ammasso in esame occorre che, a favore di sicurezza, i giunti si considerino saturi (situazione peggiore possibile). Il valore massimo della spinta dovuta all acqua è pari a: u max = γ w H con: u max = valore massimo della spinta dovuta all acqua g w = peso di volume specifico dell acqua g w = 10 KN/m 3 H = altezza di approfondimento acqua in giunto di roccia 24

25 H V W umax= w x H U Fig. 35: concio in roccia, spinte (vettori U e V) dovute alla presenza di acqua. Inoltre è provato che, in relazione ai cicli di gelo disgelo propri dei periodi invernale e primaverile, i pendii montani in roccia e per conseguenza la loro stabilità siano influenzati dalla presenza di ghiaccio nelle discontinuità. Quando questa condizione si verifica, all interno delle discontinuità del materiale roccioso si genera una pressione più forte di quella propria del fluido. Il ghiaccio occupa un volume maggiore e come tale provoca, nel tentativo di espansione che si accompagna con il passaggio di stato da liquido a solido, delle sovrapressioni sfavorevoli e agenti sulle pareti del giunto. Queste sovrapressioni sono dette sovrapressioni di volume. Inoltre è possibile la formazione, a valle dei pendii e quindi in corrispondenza del canale di uscita dell acqua in pressione all interno delle discontinuità, di veri e propri tappi di ghiaccio. Quando questi si vengono a creare è impedito all acqua interna alle discontinuità di circolare liberamente. Per semplificare, mostrando gli effetti dovuti a questo fenomeno, si consideri il caso di un concio di pendio in roccia soggetto a possibili instabilità di scivolamento ti tipo planare, come mostrato in figura 36 (pagina successiva) la presenza di ghiaccio, a valle, impedisce il passaggio dell acqua e crea delle sottospinte ancora maggiori rispetto a quelle del caso visto in precedenza di figura 16. Nel caso in cui, all acqua sia impedito di circolare liberamente nei giunti, il valore di u max è notevolmente più elevato rispetto al caso visto in precedenza e in particolare è dato da: u = γ max Con: w H tot u max = valore massimo della spinta dovuta all acqua g w = peso di volume specifico dell acqua g w = 10 KN/m 3 H tot = altezza di approfondimento acqua in giunto di roccia nel caso di acqua, circolazione impedita 25

26 H V W Htot umax= w x H U umax= w x Htot Fig. 36: concio in roccia, spinte (vettori U e V) dovute alla presenza di acqua. Per quanto riguarda il rapporto tra frane e climaticità, è corretto affermare che le piogge - siano esse piogge cumulate o eventi meteorici intensi ma di breve durata - influenzano notevolmente il comportamento dei terreni e possono in taluni casi essere la causa principale o una delle cause concatenate al verificarsi dei fenomeni di dissesto territoriale. I parametri geotecnici dei terreni (in particolare la coesione e l angolo di resistenza a taglio) vengono infatti a modificarsi con un generale peggioramento al crescere del grado di saturazione delle formazioni. Nel caso della Regione Piemonte si individuano delle zone di allerta che corrispondono ad ambiti territoriali caratterizzati da risposta meteorologica e/o idrologica omogenea in occasione dell insorgenza del rischio frana. È determinato il limite oltre il quale l evento meteorologico può considerarsi rischioso; i valori soglia sono individuati per ogni tipologia di rischio frana e articolati su due livelli di criticità: moderata ed elevata. Le piogge rappresentano un indicatore fondamentale del rischio idrogeologico e idraulico, pertanto le soglie pluviometriche (SP) risultano estremamente importanti nel sistema di allertamento. Il rischio di tipo idrogeologico corrisponde agli effetti indotti sul territorio dal superamento dei livelli pluviometrici critici sui settori montuosi e collinari; effettivamente, in questi casi, possono verificarsi fenomeni d instabilità di versante. 26

27 La tabella di figura 37 descrive i principali eventi atmosferici e le loro conseguenza sulla stabilità dei terreni ovvero i rischi che si possono associare ai diversi fenomeni. EVENTO DESCRIZIONE INTENSITA DEL FENOMENO IN FUNZIONE DELLE ZONE RISCHI ASSOCIATI AL TIPO DI FENOMENO Piogge Precipitazione lunga e intensa prolungata e diffusa. Coinvolge - Assente - Piogge deboli Avvicinamento o superamento dei livelli pluviometrici critici e dei livelli ambiti territoriali estesi - Piogge forti idrometrici sui corsi d acqua; corrispondenti a bacini idrografici possibile sviluppo di fenomeni di principali con estensione superiore dissesto. ad alcune centinaia di chilometri quadrati. Nevicate Nevicate previste sul territorio regionale - Assenti - Nevicate deboli Problemi di formazioni di coltri superficiali o interne al terreno, di - Nevicate abbondanti ghiaccio, rischi legati ai cicli di gelodisgelo. Temporali Fenomeni di precipitazione molto intensa con possibili forti raffiche - Assente - Bassa probabilità di temporali Possibili sovrapposizioni delle acque meteoriche di questo tipo con quelle di vento. Sviluppo in limitati forti già presenti nei siti e causa del intervalli di tempo, su ambiti - Alta probabilità di temporali fenomeno delle piogge cumulate, territoriali localizzati di stensione forti superamento dei livelli di saturazione, inferiore ad alcune centinaia di fluidificazione dei terreni. chilometri quadrati. Fig. 37: classificazione degli eventi meteorici dei rischi connessi a seconda delle zone di azione. Sempre con riferimento alla tabella di figura 37 si può osservare che i rischi maggiori per la stabilità dei pendii si hanno in concomitanza con gli eventi di maggiore intensità per ciascun fenomeno oppure nel caso di combinazioni dei diversi fenomeni meteorici. E chiaro che ciascun rischio di instabilità è più o meno forte anche a seconda delle caratteristiche fisico-chimiche del terreno su cui il fenomeno meteorico insiste. Per alcuni fenomeni e in particolare quelli legati allo scivolamento delle terre, (frane con movimento prevalente per colata, frane da fluidificazione del terreno, frane da scivolamento rotazionale, frane da scivolamento planare) il rapporto di causa-effetto tra precipitazioni ed evento franoso è dimostrato senza alcun dubbio. Per le rocce invece il rapporto non è così ben definito. In generale l attenzione e il conseguente monitoraggio delle condizioni dei versanti si focalizzerà sul rischio idrogeologico di moderata ed elevata criticità. Nel primo caso sui versanti si riscontrano fenomeni di instabilità limitati a certe zone e legati a contesti geologici particolarmente critici, nel secondo caso, i versanti possono essere interessati da estesi e numerosi fenomeni di instabilità, ed esiste la possibilità che si attivino fenomeni di instabilità di grandi dimensioni e che si riattivino singoli fenomeni di instabilità di grandi dimensioni in aree note. Con riferimento ai diversi tipi di movimenti delle terre ovvero i crolli nel caso di materiale roccioso, si individuano nella tabella di figura 19, riportata nella pagina successiva, il rapporto tra i singoli eventi meteorici e il verificarsi del fenomeno franoso. Per ciascun evento è inoltre riportata la procedura da eseguire per il monitoraggio e il controllo dei versanti da eseguirsi sempre, e in particolare al verificarsi delle condizioni atmosferiche che potrebbero provocare il fenomeno di instabilità. 27

28 Gli asterischi riportati alla prima riga della tabella di figura 38 denunciano che in realtà il fattore pioggia e temporali sono poco influenti nei confronti delle alterazioni dell ammasso roccioso. Le cause di questo tipo di dissesto sono da ricercarsi nei ripetuti cicli di gelo e disgelo e quindi per conseguenza negli sbalzi termici. Tuttavia è possibile affermare che cattive condizioni meteorologiche possono favorire il peggioramento di situazioni instabili. In presenza di materiale roccioso, è possibile che il tempo trascorso tra l evento meteorico intenso e la frana sia anche molto esteso. Piogge (piogge prolungate) EVENTO METEO Temporali (piogge brevi e intense) Influenza delle cumulate SORVEGLIANZA Attività Crollo/ribaltamento SI* SI* NO ruscellamento di piccole portate d'acqua affioranti dalla roccia; forti emissioni acustiche; porzioni dell'ammasso roccioso in evidenti condizioni di equilibrio instabile. FENOMENO FRANOSO Scivolamento rotazionale/ traslativo Colamento rapido scivolamenti planari frane rotazionali instabilità delle coltri frane per fluidificazione SI NO SI SI NO SI SI SI SI SI SI SI apertura di fratture ben sviluppate in profondità; locali ondulazioni; rigonfiamenti e depressioni sul fondo del pendio, inclinazione di alberi ad alto fusto, pali della luce, etc; estensione di fratture esistenti; ruscellamento di acque torbide; variazione portata di piccole venute d'acqua. variazione portata di piccole venute d'acqua; presenza di acque torbide nei ruscellamenti circostanti; controllare il territorio nelle vicinanze di frane della stessa tipologia già verificatesi in passato; variazione di portata di piccole venute d'acqua; presenza di acque torbide nei ruscellamenti circostanti. debris flow SI SI SI variazione di portata di piccole venute d'acqua; presenza di acque torbide nei ruscellamenti circostanti. Colamento lento SI NO SI ondulazioni del suolo; corrugamenti, movimenti di alberi, pali lungo il pendio; fessurazioni su strutture. Fig. 38: classificazione degli eventi meteorici dei rischi connessi a seconda delle zone di azione. 28

29 Per quanto riguarda il caso delle terre, ove il rapporto causa effetto che lega gli eventi piovosi e le frane è maggiormente conclamato, è possibile definire una relazione statistica che connetta i dati pluviometrici e quindi le condizioni climatiche dei vari luoghi con le percentuali di frane occorse in questi ultimi. In questi casi i fenomeni franosi si verificano spesso a ridosso degli eventi meteorici di forte intensità e come tale ed è quindi possibile stabilire una correlazione grafica atta a delineare l andamento di questo fenomeno nel tempo. Di seguito è riportato, in figura 39, il diagramma a istogrammi di questa correlazione, valevole per un periodo relativo agli ultimi 50 anni nell ambito della Regione Piemonte. Fig. 39: classificazione degli eventi frana in relazione agli eventi piovosi E perfino possibile, per le terre, creare dei grafici che correlino l intensità di precipitazione oraria delle piogge e la quantità di precipitazioni cumulate espressa come percentuale sulla piovosità annuale. In questo caso si ottengono dei risultati molto interessanti; i grafici così ottenuti mostrano come sia possibile avere delle zone di stabilità e delle zone di instabilità dei terreni in funzione delle quantità di piogge cumulate. La figura 40 mostra un grafico di questo tipo legato al caso dei soil slip, in cui la precipitazione oraria è espressa in mm/h mentre la quantità di pioggia cumulata è data in percentuale sulla media annua. Come si può notare la linea più bassa nel grafico delimita il campo della stabilità; all aumentare della quantità oraria di pioggia la soglia di pioggia cumulata che il terreno è in grado di sopportare diminuisce, al contrario se piove meno al passare delle ore la quantità di pioggia cumulata può raggiungere soglie più elevate. 29

30 La banda di innesco dei fenomeni indica che esiste, in effetti, una zona limite tra la stabilità e l instabilità. Quando un punto ricade all interno di questo dominio può essere soggetto a cedimenti se le condizioni di sollecitazione applicate lo portano a spostarsi nel dominio dell instabilità. Infine al di sopra della linea più alta vi è il campo dell instabilità. Qui la sicurezza non è verificate e pertanto si possono in qualunque momento attivare crolli e cedimenti del terreno che si trova in queste condizioni di spinta. Il grafico mostra inoltre come la quantità di precipitazione oraria, e quindi per conseguenza la quantità di pioggia cumulata sopportabile dai terreni, sia funzione delle stagioni. Le stagioni statisticamente meno piovose come l inverno e l estate sono a destra del grafico, dove la percentuale di pioggia caduta è minore. Per contro le stagioni più umide (primavera e autunno) si trovano a sinistra del grafico e individuano domini di resistenza del terreno più bassi. In particolare la situazione peggiore si verifica in autunno dove la quantità di pioggia caduta e la durata degli eventi meteorici sono più intensi. Fig. 40: intensità di precipitazione oraria e quantità di pioggia cumulata 30

31 1.3 CINEMATISMI PREVALENTI NEI DIVERSI MOVIMENTI DI FRANA, VELOCITÀ DI SVILUPPO DEI FENOMENI Come specificato nei paragrafi precedenti di questo capitolo, le frane vengono classificate e diversificate tenendo conto di vari fattori. Mentre una prima grande distinzione viene data dai materiali di cui il terreno si costituisce (terre o rocce) un secondo importante parametro suddivide le frane a seconda del movimento prevalente cui sono soggette. I principali tipi di movimento riscontrabili sono la il crollo e il ribaltamento (avviene nei blocchi in roccia), lo scivolamento planare, rotazionale o a cuneo, i movimenti di colata, ripartiti a loro volta in colate rapide (soil slip, debris flow) e colate lente. Un fattore decisivo che determina la maggiore o minore controllabilità di questi fenomeni è senz altro la loro velocità, ovvero il tempo che queste frane impiegano per innescarsi e attivarsi. Nel seguito è riportato una tabella riassuntiva che classifica i diversi tipi di frane, siano esse frane di roccia o di terre, associando a ciascuna il valore medio della velocità con cui il fenomeno si sviluppa (figura 41). Come si può notare i fenomeni a più rapido sviluppo sono quelli di crollo e ribaltamento (il caso delle rocce) e quelli di frane superficiali per colamento rapido legati alle terre. Questi due fenomeni come spiegato in precedenza sono anche i più difficili da monitorare in quanto non danno segni premonitori di facile individuazione. Risulta chiaro, perciò, che questi due fenomeni sono i più pericolosi per la sicurezza dei territori e delle persone e cose presenti su di essi. Tutti i fenomeni franosi presentano caratteristiche specifiche che è bene considerare allorché si intende intervenire sulla tematica della stabilità dei pendii. In particolare è bene porre attenzione alla concomitanza di forti velocità di sviluppo, azione distruttiva dei fenomeni franosi e assenza di segni premonitori, perché queste sono le caratteristiche di maggiore importanza ai fini del monitoraggio delle potenziali situazioni di rischio. TIPOLOGIA COLAMENTO RAPIDO COLAMENTO LENTO SCIVOLAMENTO ROT./TRASL. CROLLO/RIBALTAMENTO VELOCITÀ > 10-4 m/s < 10-8 m/s m/s > 10-4 m/s SEGNI PREMONITORI DELL EVENTO FRANOSO NO SI SI NO (SI per grandi volumi) Fig. 41: tipologie di frana, velocità, presenza o assenza di segni premonitori Un ulteriore fenomeno di instabilità delle formazioni di cui sembra doveroso fare cenno, poiché rappresenta un potenziale rischio per gli insediamenti umani e per le infrastrutture costruite sul territorio, è quello cosiddetto delle deformazioni gravitative profonde. Queste sono costituite da grandi movimenti delle terre o di formazioni rocciose, che avvengono a causa dello scioglimento dei ghiacciai. Nei luoghi dove anticamente erano presenti formazioni glaciali, che poi con il tempo sono scomparse, le forze di pressione che prima erano presenti vengono a mancare. Queste forze sono costituite dalla pressione esercitata dai ghiacci contro le pareti delle valli e danno un contributo di resistenza positivo alla stabilità dei versanti di queste ultime. Con lo scioglimento dei ghiacciai, la minore pressione esercitata sulle pareti delle valli, fa si che queste incomincino a spostarsi. Gli spostamenti che si generano con le deformazioni gravitative profonde sono dell ordine di pochi centimetri e distribuiti su tempistiche annuali o pluriannuali, tuttavia tali spostamenti sono in grado di creare problemi anche notevoli ed evolvere in eventi catastrofici. In generale le instabilità di versante, anche se causate dal lento 31

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