LIBERIAMO IL FUTURO! Cara Sara, Ti scrivo dalla panchina dove ci siamo salutati quasi tre anni fa, quando sei partita per Milano.
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- Celia Pinna
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1 LIBERIAMO IL FUTURO! Cara Sara, Ti scrivo dalla panchina dove ci siamo salutati quasi tre anni fa, quando sei partita per Milano. Oggi a Casale c è il sole, il cielo è azzurro, l aria è fresca e dolce. Sembra una bella giornata, ma non lo è: questo cielo azzurro per me è nero come se fosse una notte buia; il Sole giallo è eclissato; l aria mi sta soffocando. Oggi non è una bella giornata per Casale, oggi è un giorno di lutto. Ancora non riesco a crederci, Sara, ma lo hanno ucciso: hanno ucciso il nostro Peppino! Stamattina ai funerali il paese, invaso da ventimila persone venute da tutta Italia, era silenzioso, di un silenzio assordante; io e noi tutti non riuscivamo a sopportarlo. Tutte le finestre, che affacciavano sulle strade di Casale, avevano tante lenzuola bianche appese, tutte per il nostro Peppino. In questo silenzio muto, in questa galleria candida di purezza e di innocenza, tra le strade polverose, ecco l ultimo tributo a Don Peppe Diana di noi Casalesi, di noi veri Casalesi, non di quei criminali che lo hanno ucciso così brutalmente. Sara, c eravamo tutti noi, i suoi scout: ti ricordi la prima volta che lo abbiamo incontrato? Come dimenticare: era quasi cinque anni fa, era proprio l anno in cui sei partita per la prima volta. Tutti, un po scettici, eravamo curiosi di conoscere il nostro nuovo capo-scout. Già disperati dicevamo: Che noia, un prete! Ci farà la predica ogni due minuti!. Non è mai stato così, mai una parola noiosa. Il fiume di parole che nasceva dalla sorgente di acqua limpida e serena del suo cervello, era un regalo. Ci ha conquistato subito con i suoi modi semplici e quel fascino da intellettuale per il quale spesso lo prendevamo bonariamente in giro. Non potrò mai dimenticare il coraggio e la speranza di Don Peppino: più difficoltà si presentavano, più non perdeva la speranza. Amava la vita e voleva che noi tutti la amassimo. Non dovevamo cedere al potere grigio della camorra; non dovevamo più tremare al suono della parola. Ci ha educato a reagire sempre, non come ci avevano insegnato, cioè con la violenza e la sopraffazione, ma con la parola, con l onestà e con la caparbietà. Non voleva che ci arrendessimo allo stato di cose; desiderava che noi tutti non fossimo più passivi e indifferenti come i grandi del nostro paese, ma che fossimo cittadini attivi, cittadini che amassero la propria terra e la coltivassero affinché da essa nascessero sempre di più alberi belli e forti senza le erbacce che da troppo tempo dilaniavano e dilaniano il nostro territorio. Sara, lo sai meglio di me quanto è stato difficile per Don Peppe essere il sacerdote della nostra parrocchia, la San Nicola di Bari: era come se Peppino si trovasse di fronte a sé un mare agitato e, dovendo oltrepassarlo, tutti quelli che gli erano attorno non avevano la minima premura
2 nell aiutarlo. Aveva solo noi, la sua famiglia, qualche amico e tutto un paese che, invece, storceva il naso davanti alle sue buone azioni. All inizio quelle stesse strade, dove adesso vedresti tutte queste lenzuola bianche, non sono state così buone con lui, non perché disprezzassero a priori il suo intento nobile, ma perché erano così intrise di paura che preferivano non reagire e rimanere mute e inerti davanti a quella guerra di camorra che aveva e ha luogo sulla nostra Terra. È stata proprio la camorra a dargli il benvenuto peggiore: inizialmente non ha detto niente rispetto a ciò che faceva Peppe, poi quando ha capito che dietro a quell abito da prete c era un uomo che definire coraggioso è poco, allora ha cominciato a temerlo. La stessa Chiesa non era poi così d accordo, anche se devo dire che non ha mai fatto una vera e propria opposizione: comunque, secondo me, avrebbe dovuto stargli più vicino da sempre e fargli capire che la Chiesa, la vera Chiesa, quella cristiana e che credeva nel Vangelo, avrebbe sicuramente aiutato chi avesse lottato contro l ingiustizia. Davanti a questo mare burrascoso di indifferenza, Peppino non ha avuto paura: certo probabilmente un po ne aveva perché era pur sempre un uomo, ma trasformò quella stessa paura in coraggio. Aveva detto in un omelia di qualche tempo fa: Non c è bisogno di essere eroi, basterebbe ritrovare il coraggio di avere paura, il coraggio di fare delle scelte, di denunciare. Questo ha fatto Don Peppe: ha denunciato i mali della sua società e ha cercato di cambiare quello che non andava nel suo paese. Ha cominciato innanzitutto con noi giovani: ha costruito l oratorio e ha soprattutto educato noi tutti al rispetto, al confronto e alla libertà. Era convinto e poi ha reso convinti allo stesso modo tutti noi, che non c è niente di più bello del vento fresco e piacevole della libertà; che la vita vada vissuta intensamente, certo, ma in ogni caso nel rispetto del prossimo; che davanti all ingiustizia un buon cristiano non può e non deve stare zitto. Sara, come ricorderai, il nostro paese dava a noi giovani due possibilità: o venivamo arruolati nell esercito della camorra, usati dai clan per qualsiasi illecito; o scappavamo via verso il Nord, come hai fatto tu qualche anno fa. Don Peppino voleva che nascesse una terza via, voleva che noi Casalesi potessimo vivere onestamente la nostra vita senza aver paura di ritorsioni, senza dover per forza scappare lontano dalle nostre radici. Così ci ha strappato dalla strada, noi che eravamo destinati a quell esercito. Non è stato facile nemmeno cambiare la mentalità di noi ragazzi educati all egoismo e alla lotta reciproca per vivere. Ha dovuto iniziare tutto da capo, ma era paziente, anche quando sbagliavamo. Non ci lasciava soli e noi abbiamo creduto davvero che quella terza via potesse realmente esistere. Peppino, però, non si è fermato solo ai giovani: aveva la speranza di cambiare il dogma dell indifferenza che campeggiava da sempre nella mente dei vecchi del paese: faceva opuscoli,
3 fiaccolate, manifestazioni anticamorra sempre con la stessa energia e voglia di vivere che lo contraddistinguevano. Non si scoraggiava mai sia quando a quelle manifestazioni non ci veniva nessuno, sia quando quei pochi che venivano, erano minacciati dai manovali della camorra che li seguivano durante tutto il percorso. Per lui anche un solo uomo, donna o bambino che manifestava contro i criminali e contro uno Stato e una Chiesa da sempre distaccati e silenziosi davanti ai problemi della nostra Terra, era una vittoria. Tuttavia la camorra continuava a vivere, i ragazzi a morire: così ha dato un segnale forte. Te lo ricordi, Sara, il Natale del 1991, quel Natale in cui scendesti a Casale? Quello è stato il Natale più caldo della mia vita, dove ho sentito la Speranza esplodere in me: in tutte le parrocchie del basso casertano è stata letta la lettera di Don Peppe Per amore del mio popolo. Quel testo è stato un segnale, anzi il segnale della volontà di rinascita di una terra: finalmente quelli che potrei chiamare gli indecisi, ovvero coloro che non accettavano il dominio camorrista, ma che allo stesso tempo non volevano esporsi, in quel momento trovarono il coraggio di schierarsi con Don Peppe. Nel documento Peppino aveva scritto: Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra. ( ) La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana. I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili. È oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l'infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. La Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi.( ) Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno. Dio ci chiama ad essere profeti. Le nostre Chiese hanno, oggi, urgente bisogno di indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla nuova realtà; in particolare dovranno farsi promotrici di serie analisi sul piano culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali finora troppo assenti da queste piaghe. Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa. Alla Chiesa che non rinunci al suo ruolo profetico affinché gli strumenti della denuncia e dell'annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili. Le parole di Don Peppe avevano avuto un effetto immediato: aveva denunciato il sistema corrotto in cui viveva e soprattutto aveva sottolineato le mancanze e le indifferenze dell Italia intera. Gli ostacoli moltiplicarono, ma adesso Peppino e tutti noi avevamo la forza e il coraggio di affrontarli. Vedevamo la luce della libertà in fondo al tunnel della criminalità dilagante. Non mancarono
4 momenti di incertezza e dubbio: alcuni di noi sono morti, uccisi dalle mani criminali. Davanti a queste tragedie Peppino soffriva terribilmente: ricordo l omelia del funerale di un nostro amico innocente ucciso per sbaglio dalla camorra. In quell omelia Peppe alzò lo sguardo e con voce tonante chiese al Cielo: A me non importa sapere chi sei Dio! A me importa sapere da che parte stai!. Quando ha detto questa frase, tutti siamo rimasti in silenzio, in un silenzio comprensivo perché capivamo e condividevamo il dolore di Don Peppe. Negli anni successivi non ha smesso di lottare, continuava la sua attività con noi giovani, con gli scout; aiutava gli immigrati che appena arrivati in Italia, rischiavano di essere catturati dai tentacoli camorristici: questo Peppe lo aveva capito, come aveva capito che il nuovo interesse dei clan era per i rifiuti tossici che la camorra avrebbe interrato nella nostra terra. Aveva capito anche che la camorra faceva quello che voleva perché nessuno a livello politico la contrastava. E nel momento in cui la popolazione di Casale stava di nuovo crollando nell indifferenza più totale per i nuovi omicidi di stampo camorristico o per la famosa sfilata con armi e fucili della famiglia vincitrice della guerra tra clan, ecco che Don Peppe trovò nuovamente la forza di lottare: così fondò insieme a Renato Natale una lista civica che vinse le successive elezioni. Casale sembrava riprendere vita. Così Peppe ha fondato il comitato Liberiamo il futuro! : questo slogan è stato il motivo per cui lottare; la forza nei momenti difficili. Dovevamo combattere per un futuro migliore, ma non lontano dalla nostra terra, ma nella nostra terra, per la nostra terra. Laddove mancava lo Stato, dovevamo fare in modo che arrivasse. Laddove mancava la Chiesa, lo stesso. Laddove mancava la scuola, il rispetto, l amore, il conforto, la libertà, lo stesso. Però, Sara, dopo che lo hanno ucciso in maniera così barbara con cinque colpi di sparo nella sagrestia, mentre metteva l abito talare per dire la messa, dove lo troveremo il coraggio? Peppino è stato un amico, un fratello, un padre per noi; è stata la guida della nostra lotta contro la camorra e soprattutto un pastore della nostra vita: come faremo senza di lui? Non lo so, Sara. So solo che non riesco a smettere di piangere. Ho pensato di trasferirmi e lasciare questa terra che uccide i suoi frutti migliori. Voglio lasciare tutto e raggiungerti lassù a Milano, stare un po con te, tu amica mia che probabilmente riuscirai a farmi sorridere un po. Forse a Milano troverò quella libertà che Peppino ci ha insegnato ad amare. Chiudendo gli occhi e ascoltando il leggero tocco del vento, ripenso a lui, a lui che dal Cielo ci starà guardando. Ti ricordi Sara quando ai raduni degli scout nel momento in cui vedeva il nostro volto triste, ci dava una pacca sulla spalla? Poi ci sorrideva. Quanto ci voleva bene Don Peppe! Quanta energia ci donava con quel suo semplice gesto. Trasformava con una battuta una giornata grigia in una variopinta. E te lo ricordi quando giocava con noi a pallone? Che ridere, mamma mia!
5 E mentre parlandoci di filosofia, noi non ce la facevamo più ad ascoltarlo e, sorridendo, la smetteva? Te lo ricordi, Sara? Quanti ricordi, quanti bei ricordi! Penso che io devo molto e forse dobbiamo tutti molto a Peppe: se non fosse stato per lui, forse oggi non sarei vivo; forse non potrei nemmeno apprezzare le cose piccole e semplici della vita che grazie a lui ora amo; forse non saresti stata mia amica e non avrei potuto scriverti come faccio ora; forse non avrei lottato la camorra, o addirittura ci sarei immischiato; forse non sarei la persona che in questo momento scrive. E se sono così, lo devo solo a Peppino, al nostro caro Don Peppe. Sento, ora, in questo vento che mi sfiora, la stessa dolce mano paterna che mi incoraggia. Apro gli occhi: vedo Peppino che sorride di fronte a me, a fianco a me, nel cielo azzurro, nel sole splendente. Mi sbagliavo poche righe fa: non devo partire, la mia missione è proprio qui a Casale. Don Peppe non avrebbe voluto che ci arrendessimo, non adesso. Dobbiamo continuare a contrastare il potere camorristico. Sara, adesso ho capito cosa fare. Adesso devo andare, amica mia. Ti riscriverò presto! Devo andare a continuare quello che Don Peppe Diana ha cominciato. Devo e dobbiamo andare a liberare il futuro!
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