MapPapers. mappa. Francesca Anichini, Gabriele Gattiglia, M.Letizia Gualandi (a cura di) Università di Pisa

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1 mappa metodologie applicate alla predittività del potenziale archeologico MapPapers Francesca Anichini, Gabriele Gattiglia, M.Letizia Gualandi (a cura di) Università di Pisa 5/2014

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5 MAPPAPERS 5, 2014 Opening the Past Immersivee archaeology Pisaa 23/05/2014 A cura di: Francesca Anichini, Gabriele Gattiglia, Maria Letizia L Gualandi Edizioni Nuova Cultura

6 COLLANA DIRETTA DA: Francesca Anichini Monica Bini Fabio Fabiani Gabrielee Gattiglia Maria Letizia Gualandi Progettoo editoriale a cura di: Laboratorio MAPPA (Metodologie digitali Applicate all Archeologia) Dipartimento di Civiltà e forme del sapere, Università di Pisa Hanno collaborato alla realizzazione di OP14: Francesca Anichini Antonioo Campus Luca Dieci Nevio Dubbini Fabio Fabiani Gabrielee Gattiglia Francesco Ghizzani Marcìa Maria Letizia Gualandi Lorenza La Rosa Claudiaa Sciuto Giulio Tarantino Progettoo grafico e copertina: Sandro Petri (PetriBros Grafica) Copyright 2015 Edizioni Nuova Cultura - Romaa ISBN: Questo libro viene distribuito con licenza CC BY 3.0

7 Indice Opening the Past Immersive Archaeology. Pisa 23/05/2014 Pre-atti Interventi: 1. La storia nascosta nei dati Anichini Francesca, Gattiglia Gabriele 2. Raccontare storie, raccontare Storia. La divulgazione del patrimonio nel solco delle tecniche narrative Palombini Augusto 3. Archeologi(a) e video: una questione di storie Ripanti Francesco 4. Da archeoblogger a museumblogger: fare esperienza per creare una professionalità Lo Blundo Marina 5. Natural Data Fruition: an Interactive Bridge between Science and Humanities Albertini Niccolò, Licari Daniele, Brogni Andrea, Barone Vincenzo 6. Il marinaio spiegò le vele al vento, ma il vento non capì. Riportare la divulgazione scientifica in Università Benedetti Claudio 7. Racconti dalla terra. L archeologia fra linguaggi, creatività e tecnologie De Felice Giuliano 8. Wiki Loves Monuments e Archeowiki, due modi diversi per raccontare e fare conoscere il nostro patrimonio culturale Tracanella Emma 9. Gamification in Archeologia Attrarre ed ingaggiare i visitatori Viola Fabio II Videocontest 36 #500NO Associazione Nazionale Archeologi, 36 Motel of the Mysteries (Mis) understanding Archaeology 36 Associazione Volo, La Valle dei Piccoli: Archeologia ad Akragas 37 Danile Laura, Parello Maria Concetta, Rizzo Maria Serena, Le relazioni pericolose 37 De Felice Giuliano, Ripanti Francesco, Tourdion 38 In vino Veritas Musici, A Roma con i Bentvueghels 38 The Walking media,

8 11. Comunicare l archeologia Gualandi Maria Letizia Narrare l archeologia con i dati aperti Anichini Francesca, Gattiglia Gabriele 13. Beni culturali aperti oltre la crisi dello Stato occidentale Curti Emmanuele 14. Storytelling mon amour Dal Maso Cinzia

9 Il Convegno Opening the Past è un appuntamento nato nel 2012 nell ambito di un progetto di ricerca denominato MAPPA Metodologie Applicate alla Predittività del Potenziale Archeologico, che aveva tra i suoi obiettivi l apertura del mondo dell archeologia a quella politica open data e open access, che l Unione Europea ha avviato fin dal 2009 con i progetti OpenAire e OpenAireplus e che negli Stati Uniti ha determinato nel 2012 il varo, da parte dell amministrazione Obama, di una Direttiva Federale che impone la pubblicazione in formato open dei risultati delle ricerche scientifiche finanziate con denaro dello Stato. Ai temi dell open data e dell open access sono state dedicate le prime due edizioni del convegno, nel 2012 e nel Quest anno si è deciso di andare oltre e di ampliare per così dire l idea di apertura del passato, dedicando la terza edizione di Opening the Past alla comunicazione dell archeologia: comunicazione scientifica, ma anche e soprattutto comunicazione al grande pubblico, comunicazione attraverso i mezzi tradizionali (monografie, riviste scientifiche, periodici e quotidiani) e comunicazione attraverso gli strumenti della contemporaneità (video, web, social network, realtà virtuale), esplorando anche nuove strade come quelle legate ai linked open data e alla gamification, utilizzando la scrittura, l oralità e le immagini per produrre un racconto efficace e coinvolgente. In questo quinto volume dei MapPapers si trovano raccolti i pre-atti degli interventi presentati a Opening the Past 2014 Immersive Archaeology, Pisa 23/05/2014 seguiti da quattro interventi di approfondimento sulle tematiche della comunicazione archeologica. Maria Letizia Gualandi I

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11 MapPapers 1-V, 2015, pp.1-3 doi: / La storia nascosta nei dati Francesca Anichini, Gabriele Gattiglia You need to think about the archaeological data as a common good (like the water!). To transform the data in a common good, in addition to open them (essential condition), it is also necessary that they are accessible to all. The archaeological data, as many of the raw data of other scientific disciplines, are cryptic words whose meaning is known only by a restricted community. Now, if an archaeologist does not need someone to explain him the story behind the Harris matrix because its expertise and background allow him to see what is written beyond numbers and links, for a non-archaeologist those same data are inaccessible and unusable. So it seems that a narrative passage is essential. In this way, the publication of open archaeological data, as well as being an important contribution to the archaeological community, could be a source of inspiration for different professions in the field of tourism, education, business, etc. Dialogo semiserio tra Io e Te. Io: Partiamo dal dato. Cos è? Come posso spiegare che avere a disposizione dati aperti consente di raccontare storie più grandi, più varie, più ampie e consente a più narratori di intervenire sulla stessa storia? Arriviamo allo storytelling. Perché sembra di moda, ma fa così paura? Ogni storia per essere tale dovrebbe poter essere raccontata e ogni archeologo dovrebbe saperlo fare... Gli strumenti (infografica, visualizzazione spaziale dei dati, ricostruzioni virtuali) si possono applicare anche ai dati chiusi, ai dati proprietari. Cosa cambia se abbiamo i dati aperti? Te: Cambiano due fattori: la scala e gli attori. Il fattore di scala è un fattore non secondario: pensa se avessimo solo i dati delle provenienze ceramiche, potremmo raccontare i commerci (o meglio parte dei commerci) testimoniati dal nostro scavo, se avessimo a disposizione i dati di un intero sito potremmo raccontare i commerci (o meglio parte dei commerci) che si svolgevano in quel sito in una determinata epoca, se avessimo i dati di una regione potremmo raccontare i commerci (o meglio parte dei commerci) che si svolgevano in quella regione, se avessimo i dati di una nazione o addirittura del bacino del mediterraneo potremmo raccontare i commerci (o meglio parte dei commerci) che coinvolgevano un area vastissima. Va da sé che nessun ricercatore potrebbe essere da solo il produttore e il proprietario di tutti questi dati, ma se fossero aperti, cioè proprietà comune di tutti i ricercatori, allora sarebbe possibile raccontare una storia vastissima. Io: Questa storia però interesserebbe solo altri ricercatori! Te: Non è vero, perché questa storia può essere raccontata a diversi livelli, sempre a partire dagli stessi dati, potrebbe essere raccontata per gli scienziati e per i bambini. Io: Prima parlavi di attori cosa intendevi? Te: Intendevo i narratori. Se i dati sono a disposizioni di tutti non avremo mai un unico racconto, ma avremmo dei racconti differenti, ognuno può fare il suo, vedere la storia da una prospettiva diversa, inaspettata, originale. Io: Ma la storia è un po una noia! Te: Che vuoi dire? Io: Non si possono raccontare anche delle cose più attuali? Te: E perché no! Ad esempio Pompei ora metterà open data tutte le gare per gli appalti del Grande Progetto Pompei, allora sì che si potranno raccontare delle storie attuali oppure il progetto MAPPA ha messo come open data i risultati di un suo sondaggio sugli open data in archeologia Vedi ci sono tante e diverse possibilità, è questo il bello di avere molti dati liberati, ognuno può cercarci dentro la storia che più gli interessa! Io:???? Te: Sono troppo autoreferenziale? La CIA (non le spie la Confederazione Italiana Archeologi) ha promesso di mettere come dati aperti i dati del suo sondaggio sul lavoro degli archeologi in Italia, confrontando i due sondaggi si potrebbero raccontare delle storie diverse, o più parti di uno stesso racconto, più punti MapPapers - 17 Pag. 1

12 di vista, quello di genere ad esempio. Io: Genere? Te: Sì, raccontare la stessa storia dal punto di vista delle archeologhe e degli archeologi Io: due storie del tutto diverse quindi Te: già! Io: Ok, posso anche essere d accordo, ma poi finisce sempre che gli archeologi quando ti raccontano una storia danno per scontato che tu sappia già un sacco di cose! Usano parole incomprensibili: Unità Stratigrafiche, Fasi (de che? lunari?), reperti Insomma, le persone non capiscono poi molto di quella storia! Te: Hai ragione! Il problema degli archeologi è che, in quanto umanisti, sono convinti che il loro linguaggio sia già chiaro ai più, ma in realtà non è così. Però vedi questa è (solo) una questione di linguaggio e di comunicazione, una questione di narrazione. Ci sono dei professionisti della narrazione che partendo dai dati riescono efficacemente a comunicare; pensa al regista di un film, a uno scrittore, a chi realizza game, libri ludici e didattici, a chi fa della museologia veramente efficace Se gli archeologi condividessero liberamente i loro dati, loro stessi e molti altri professionisti della comunicazione, potrebbero intravedere tante storie, forse con destinatari diversi, forse con messaggi diversi. Io: Non sono convinto. Continuo a pensare che il linguaggio archeologico sia una grossa barriera Te: Dai fai uno sforzo, pensa alle favole. C era una volta, Once upon a time è l incipit che ognuno di noi conosce, il più familiare, quello che immediatamente ci attrae perché presagisce un avventura, personaggi intriganti, luoghi affascinanti. C era una volta è l inizio di un racconto che quasi mai si rivela noioso, anzi, il più delle volte è talmente bello che non ci si stanca di riascoltarlo, arrivando a farlo nostro, a riconoscerne i protagonisti, ad amarli od odiarli, sentendoli familiari, apprendendone il messaggio che trasmette. Forse è dalle favole che gli archeologi dovrebbero ripartire per imparare a narrare, in modo efficace, il loro sapere; da quella struttura narrativa, che colloca al posto giusto ogni elemento all interno della trama personaggi, eventi, ambientazioni tanto da mantenere sempre viva l attenzione, così come da un linguaggio che possa essere compreso da tutti, a partire dai bambini, che si dovrebbe cominciare a divulgare l archeologia. Io: Si, ma non cadere nel generalista, mica tutti apprezzano le favole diciamocelo, sono per bambini! Te: attento, sto parlando di linguaggio, di comunicazione. Ogni comunicazione può attivare livelli diversi di comprensione, di curiosità Banalizzando potremmo dire che in una storia ci sono tre cose: la trama, le parole, i dettagli. Sono proprio in questi ultimi che l archeologo spesso si incaglia. Nella visione prettamente scientifica, tutto è importante; nella divulgazione archeologica prendiamo ad esempio i risultati di uno scavo - ogni particolare è legato a un altro e a un altro ancora in maniera inscindibile; si ha sempre la sensazione di non poter tralasciare nulla, di dover raccontare ogni dettaglio ponendo tutto sullo stesso piano, fosse anche solo per il fatto che un dato non spiegato possa essere maggiormente attaccato. I dettagli, se non sono essenziali possono sviare, spostare continuamente l attenzione di chi ascolta e far perdere il filo del racconto. Riuscire a raccontare ripulendo il racconto di tutto ciò che non è necessario (e con questo non si intende scarnificare fino a lasciare solo l indispensabile), vuol dire avere ben chiara l informazione che si vuole dare; aver già vagliato tutti i se e i ma e tutti i probabilmente e gli ipotizzati tanto cari agli archeologi (che lasciano sempre aperta una possibile via di fuga) quanto confusionari per chi li ascolta (e qui ti dò ragione). Solo dalla sintesi nasce la trama e su quella trama si possono scegliere i protagonisti e i fatti salienti, su quella trama si può scegliere la modalità di narrazione. Io: Mmm credi veramente che gli archeologi abbiamo la formazione giusta per fare tutto questo? Te: Beh se stiamo a guardare, gli archeologi sono dei letterati e dovrebbero saper raccontare una storia. Ma comunque non è detto che un buon archeologo sia necessariamente anche un buon narratore. In molti casi però è convinto di esserlo! E abituato per formazione e per non formazione a fare un po di tutto; negli anni ha dovuto lottare ( e lo sta ancora facendo) per affrancare la sua professione e le sue competenze che non gli sono state riconosciute e così si è trovato a fare anche mestieri diversi. Io: Quindi ho ragione io Dai l archeologo non è capace! Te: Ok, faccio un discorso che è un po idealista, ma solo un po. L archeologo è uno che dovrebbe saper fare gioco di squadra, il suo lavoro glielo richiede quotidianamente perché quotidianamente ha bisogno di confrontarci con specialisti di varie discipline a lui complementari e, sempre quotidianamente, deve rapportarsi con soggetti di settori diversi ( architetti, ingegneri, amministratori ). Insomma chi fa l archeologo dovrebbe sapere e capire qual è il confine delle proprie competenze anche quando si parla di raccontare. Esistono professionisti della comunicazione e della narrazione, lo sai bene, il cui mestiere è raccontare efficacemente storie che nascono in ambiti diversi, ma per farlo hanno bisogno di buoni consulenti che con chiarezza evidenzino concetti e obbiettivi. Mettiamo nel conto che ci sia l archeologo anche esperto di storytelling, fa da solo. Ma mettiamo anche nel conto che in molti non sono altrettanto capaci, ma possono essere degli ottimi mediatori, traduttori di dati criptici in favore di chi sa trasformare il dato in una divulgazione dell informazione attraverso varie forme narrative. Io: Si in effetti sulla necessità di buoni consulenti (come del resto avviene in tutti i campi) sono d accordo con te. Ma comunque sia, tornando al discorso dei dati che non sono sempre comprensibili, aperti o no, non c è differenza! MapPapers - 17 Pag. 2

13 Te: Non è del tutto vero. Cambia ottica: devi pensare ai dati archeologici come un bene comune (tipo l acqua!). Per far sì che i dati siano realmente un bene comune, oltre a tirarli fuori (condizione essenziale), è necessario anche che siano effettivamente accessibili a tutti. Un dato archeologico, come molti dei dati grezzi delle diverse discipline, è un linguaggio criptico, una parola il cui significato è noto solo ad una comunità ristretta (quella scientifica appunto). Per garantire una piena fruizione e consentire che i dati possano essere motori culturali e di sviluppo, è indispensabile che vi sia una traduzione. Facciamo un esempio. La pubblicazione aperta dei dati dello scavo di un determinato sito, oltre ad essere un contributo importante per la comunità archeologica, potrebbe essere fonte d ispirazione per professionalità diverse che in quei dati intravedono possibilità applicative nel campo del turismo, della formazione, del business, ecc Creare un app, un game, un brand sono possibilità economiche, culturali, di sviluppo sono possibilità comunicative. Ora, se l archeologo non ha bisogno che qualcuno gli illustri la storia che sta dietro ad un diagramma stratigrafico perché le sue competenze e il suo background gli permettono di vedere ciò che è scritto aldilà di numeri e collegamenti, per un non-archeologo quegli stessi dati risultano inaccessibili, inutilizzabili in qualunque nuova forma di comunicazione. Sembra quindi che un passaggio narrativo sia essenziale. Io:??? Te: Vedi alla fine tutto ruota sul ruolo che ricopre effettivamente la comunicazione nel settore archeologico. Se un ingegnere progetta un reattore e non lo racconta a nessuno (o lo racconta, ma nessuno capisce), il reattore funzione lo stesso. Se un archeologo fa una ricerca e non la comunica bene, l efficacia del suo lavoro è compromessa. La divulgazione intesa proprio come diffusione di un sapere attraverso una modalità narrativa - non è un di più, ma una parte sostanziale del lavoro dell archeologo. Io: però bisognerebbe pensare ad un nuovo paradigma. Te: un paradigma che non si fondi più sull archeologia come scoperta, sui beni culturali come oggetti, ma che faccia sua appieno la lezione degli anni 70, un nuovo paradigma fondato sul racconto, su una narrazione collettiva, su una narrazione stratigrafica, fatta da tutti gli attori dell archeologia, archeologi professionisti, universitari, ministeriali e semplici cittadini Io: allora ci vorrebbe qualcosa che nasca dal basso in modo aperto, qualcosa che possa essere di tutti e per tutti Te: già proprio così. Ti propongo questo: realizzare una carta archeologica d Italia completamente open data! Io: Forse ti sfugge che di dati archeologici aperti ce ne sono veramente pochi; in tanti parlano, ma alla fine quanti open data archeologici abbiamo realmente? Te: No, cambia ancora ottica. Rendiamo accessibile ciò che già è aperto, perché sotto gli occhi di tutti (pensa a WikiLovesMonuments e EAGLE con le epigrafi): le aree archeologiche, i monumenti, i castelli, i ruderi attraverso la partecipazione di tutti, archeologi e non, andando in giro in campagna o in città, durante una passeggiata in un bosco, in vacanza basta una foto, una geolocalizzazione, un app che renda facile l inserimento di alcune informazioni e potremmo creare un grande repository con un interfaccia semplice, un grande racconto collettivo. Io: e la qualità del dato chi la assicura? Te: la comunità tutta che partecipa, e gli archeologi in primis Io: Ok, mi hai convinto Te: Allora si fa! MapPapers - 17 Pag. 3

14 Raccontare storie, raccontare Storia. La divulgazione del patrimonio nel solco delle tecniche narrative Augusto Palombini CNR Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali MapPapers 1-IV, 2014, pp.4-6 doi: / After the digital revolution, which allowed scholars to manage and communicate high quantity and quality of data as never before, the representation of the past has become a fundamental aspect of the archaeologist s work. Archaeology can no more be a simple description of specific and isolated informations, and must become also narration, linking together those fragments through connections and relations, maybe arbitrary but not false, as in the fitting example of a restored pot, where the connecting paste (not original) is necessary to make understandable the isolated fragments, unable to communicate a readable message as single elements. The problems arising with the need of representing uncertain elements enlivened a debate at least twice in the past: about restoration techniques and about historical novel writing, so that many observations contained in essays on historical novel are still well fitting on the discussion around storytelling in the digital era. Such a situation makes relevant, for the scholars, the knowledge of narrative theory and techniques. Creating arbitrary narrative links among elements is as important as not creating false ones, whereas false is contradictory with historical facts as we know them, as arbitrary is not contradictory even if unproved (and probably unprovable). The storytelling skills may become an opportunity for creating new professionals and job positions, as well as enhancing Cultural Heritage audience, thanks to the enormous emotional power of every narration. La più significativa trasformazione che la rivoluzione digitale ha operato nella disciplina dello studio del passato è stata la possibilità di acquisire, gestire, elaborare e trasmettere enormi quantità di informazioni. In ciò è implicita un accresciuta facilità di rappresentazione della realtà antica in tutta la sua complessità. Questo aspetto solleva problematiche non del tutto risolte, ad esempio quella legata alla necessità di rappresentare scenari nella loro interezza, comprendendo quindi anche gli aspetti su cui non abbiamo certezze o addirittura non sappiamo nulla. Una tale trasformazione comporta un mutamento di approccio epistemologico della disciplina: l archeologia non può più essere semplicemente descrizione di informazioni specifiche e puntiformi, ma deve anche farsi narrazione, collegando fra loro quelle stesse informazioni attraverso nessi talvolta arbitrari ma non per questo falsi. L esempio più calzante è probabilmente quello del restauro di un vaso, nel quale parti non originali (la pasta che aggrega i frammenti) sono necessarie per rendere intellegibili le parti originali in un insieme coerente e comunicativamente funzionale, laddove i cocci sconnessi non trasmetterebbero altrimenti un messaggio immediatamente riconoscibile. Il medesimo fenomeno può essere assunto come valore paradigmatico della necessità di un approccio MapPapers - 17 Pag. 4

15 narrativo: ciò che è incerto aiuta a creare nessi fra gli elementi certi e quindi a creare storie, a descrivere vicende che ci rendono più vicini e comprensibili i comportamenti di tempi che non abbiamo vissuto. Il dibattito che può scaturire da queste considerazioni sull opportunità o meno di divulgare attraverso simili strumenti è certamente articolato ma spesso fondato su un equivoco semantico che confonde i concetti di narrazione come oggetto e come tecnica (Narrazione vs. narrazione). Il primo caso (quello generalmente temuto dagli studiosi) richiama l idea di una composizione di fantasia che si sostituisce alla realtà storica, mentre la narrazione come tecnica è evidentemente un mero strumento comunicativo, che può veicolare qualunque contenuto formulato con più o meno correttezza da chi ne padroneggia l utilizzo. In ogni caso, tale dibattito non è affatto nuovo. Simili discussioni si sono accese in tutti i momenti storici in cui la necessità di comunicare il passato in modo vivido ha forzato i limiti delle poche e frammentarie certezze che abbiamo su di esso, e ciò è avvenuto almeno in due circostanze: a proposito delle tecniche di restauro e a proposito del romanzo storico. Non sorprende quindi che in un opera come il trattato Sul romanzo storico di Alessandro Manzoni, del 1830, si ritrovino molte osservazioni perfettamente attuali e applicabili alle moderne tecniche di comunicazione, a proposito della divulgazione storico-archeologica (non a caso, il titolo originale è Del romanzo e, in genere, de componimenti misti di storia e d invenzione :possiamo a buon titolo considerare le odierne tecniche multimediali dei componimenti misti): come l osservazione (anticipata sopra) che ciò che è incerto è necessario per connettere informazioni certe ma frammentarie, e che la trasmissione delle informazioni sul passato fra generazioni, nella storia dell umanità, è avvenuta per una parte assolutamente preponderante attraverso forme narrative (res gestae, canzoni popolari, racconti e leggende) rispetto alla storiografia propriamente detta. Questi aspetti ci richiamano alla necessità di una comunicazione storica e archeologica che tenga conto delle esigenze di un pubblico vasto e sappia costruire una comunicazione ad esso adatta e da esso fruibile, senza per questo perdere i crismi della correttezza. Un esigenza che sarà sempre più sentita nel momento in cui l esiguità crescente dei finanziamenti alla ricerca comporta la necessità di un chiaro valore sociale (e quindi di una fruibilità diffusa) dei risultati che essa persegue. E quindi importante che gli operatori degli studi sul passato riconoscano il rilievo di una formazione sulle tecniche specifiche che riguardano il narrare, e ciò almeno per due ragioni, la prima connessa alla possibilità di nuove professionalità e prospettive occupazionali che possono derivarne, la seconda perché siano gli archeologi a prendere l iniziativa nei contesti di divulgazione, anziché lasciarli in altre mani probabilmente meno scrupolose in termini di approccio metodologico. Padroneggiare una tecnica significa tuttavia affrontarla con l atteggiamento di un qualunque campo di studio, cioè come disciplina di ricerca, quale lo storytelling indubbiamente è. Peraltro, lo studio delle strutture narrative conosce negli ultimi decenni uno sviluppo significativo che porta a una continua innovazione delle forme, visti anche i campi molteplici delle sue applicazioni, dalla narrazione multimediale legata alla fiction (letteraria, cinematografica, televisiva, con le specificità di ciascuno di questi mezzi), alle più recenti strategie pubblicitarie o promozionali in senso lato (come il corporate storytelling) esplose in particolare con l avvento dei social network. Il fattore dell interattività infatti, con la possibilità degli utenti di non essere semplici fruitori passivi ma di condizionare lo sviluppo narrativo, ha dato vita a ulteriori forme di innovazione. Ciò che si può quindi indicare in questa sede è semplicemente uno spunto di partenza che permetta di mappare l articolazione delle fonti bibliografiche in questo campo. I filoni di studio sulla narrativa, per quanto riguarda l uso multimediale che può farne l archeologo o lo storico, si possono schematizzare in 3 grandi direzioni: - Quella più classica, degli studi narratologici, che parte idealmente dalla Poetica di Aristotele (Poetica, VII) e arriva ai giorni nostri passando per la scuola strutturalista e in particolare per le trattazioni novecentesche sul romanzo storico (fra gli altri: Propp 1928, Bachtin 1973). - Quella cinematografica, e in particolare la scuola hollywoodiana, a tutt oggi la più feconda di riflessioni e innovazioni sulle strutture narrative (McKee 1997, Truby 2007). - Il filone più recente e specifico sul mondo digitale, quello del Digital storytelling germogliato al MIT alla fine degli anni 90 (Murray 1998, Handler Miller 2008). Ciascuno di essi può dare un significativo apporto alla strutturazione di iniziative divulgative, con la consapevolezza che l importanza di saper creare elementi arbitrari, in questo tipo di comunicazione, è oggi pari a quella di evitare elementi falsi, laddove per falso si intende: in contraddizione con le conoscenze storiche in nostro possesso e per arbitrario: coerente con esse, anche se indimostrato (e generalmente indimostrabile). Il valore di questo approccio è più evidente allorché seguendo la classificazione delle narrazioni storiche proposta da Eco (1980) si costruiscano forme narrative impostate non su personaggi storicamente celebri ma su individui anonimi, attraverso i quali è decisamente più efficace trasmettere informazioni e suggestioni sulla vita quotidiana, sulla cultura materiale, sull organizzazione sociale delle società del passato. La padronanza di questi strumenti, oltre che aprire la strada a nuove prospettive professionali, può dare un impulso oggi largamente sottovalutato alla fruizione del nostro Patrimonio storico, come dimostrato dai flussi di visita in numerosi esempi italiani ed europei (Antinucci 2006, Palombini 2012), attraverso la capacità di coinvolgimento emotivo insita in ogni storia basata su fatti reali, in quanto metafora dell eterno dramma umano (Murray 1998). MapPapers - 17 Pag. 5

16 Bibliografia Antinucci F. 2006, Musei virtuali, Laterza. Aristotele, Poetica ( Bachtin M.M. 1973, Questions of Literature and Aesthetics, Moscow Eco U. 1983, Postille al Nome della Rosa, in: Alfabeta 49. Handler Miller C. 2008, Digital storytelling, II ed. Focal Press, Oxford Manzoni A. 1830, Del romanzo e, in genere, de componimenti misti di storia e d invenzione ( ; prosa/manzoni_romanzo_storico_02.htm ) McKee R.1997, Story, Harper Collins. (tr. it. Story. Contenuti, struttura, stile, principi per la sceneggiatura e per l arte di scrivere storie, Omero Editore, 2010) Murray J. 1998, Hamlet on the Holodeck, MIT Press, Boston Palombini A. 2012, Narrazione e virtualità: possibili prospettive per la comunicazione museale, In: DIGITALIA, vol. 1. Propp V. 1928, Morphology of the Folktale, Leningrad (tr.it. Morfologia della fiaba, Einaudi 1990) Truby J. 2007, Anatomy of a story. Faber and Faber, London (tr.it. Anatomia di una storia, Dino Audino Editore, 2009) MapPapers - 17 Pag. 6

17 MapPapers 1-IV, 2014, pp.7-12 doi: / Archeologi(a) e video: una questione di storie Francesco Ripanti Archaeology, video and storytelling are words that should go together in the world of heritage communication. Usually you don t see archaeologists with a camera in their hands just only because they don t know that videos can tell stories of archaeology in a very involving way. Video storytelling is part of Digital Narrative and Visual Narrative and archaeology is closely linked with these because it s a inexhaustible container of stories. In this paper you find different examples of video storytelling made by archaeologists. Docudrama is the genre more experienced in the Roman site of Vignale: archaeologists perform as actors, reenacting in a likely way an ancient event in front of the camera. Recording a story, they tell what has happened during the fieldwork in a narrative way. Other examples of video storytelling are some dialogues through archaeologists and the stories of professional archaeologists. Sit down and see some archeovideos! Stories love archaeology: video e Visual Narrative in archeologia Nell immaginario collettivo della nostra professione certamente non risiede la scena dell archeologo che utilizza una videocamera. L uso di questo strumento è infatti relegato ai margini sia nell ambito del lavoro sul campo che in quello della comunicazione. Raccontare l archeologia con i video non è una pratica molto comune, soprattutto tra gli stessi archeologi. Se i filmati non sono da tutti ritenuti indispensabili per la documentazione dello scavo, dovrebbero esserlo invece nella comunicazione della ricerca. Infatti, mettendo insieme immagine e suoni e costituendo allo stesso tempo un linguaggio in sé con un flusso di informazioni che ha una dimensione temporale, rispetto ad altri media il video ci restituisce la più semplice espressione di un processo in forma narrativa, una peculiarità specifica che ben si adatta a quelle che sono le potenzialità dell archeologia nel raccontare le sue storie. Oltre che nel digital storytelling / digital narrative, il video storytelling rientra nella visual narrative, termine più generico che definisce la narrazione di una storia attraverso un visual media. Con visual infatti si intende qualcosa che può essere visto dall occhio umano; con storia una serie di eventi legati da causalità, temporalità, sequenza o ordine di accadimento; con narrative, l azione di raccontare una storia, la storia stessa o l ordine di presentazione (Pimenta, Poovaiah 2010: 30). L archeologia risponde a tutte queste tre istanze: si presta ad essere visualizzata attraverso uno schermo perché ritrae luoghi concreti e lontani dalla quotidianità, riuscendo così ad esercitare attrazione; ha un bagaglio inesauribile di storie; queste storie non aspettano altro che essere raccontate. Le storie dell archeologia provengono per la maggiorparte dalla terra, frutto dello scavo, e dallo studio dei contesti e dei siti, ma non solo. Ad esempio, sono storie di archeologia anche quelle che riguardano i suoi protagonisti, gli archeologi, e tutte le persone che hanno a che fare con l archeologia, come i bambini. Vediamo come possono essere messe in scena. Dalla terra a YouTube: storie dallo scavo The site contains many potential stories, but every one is a product of the archaeological imagination that pulls together historical and archaeological facts into an interpretation that is more than the sum of the parts of which it is made and more than its excavator can document in the usual way. ( Why every archaeologist should tell stories once in a while, Adrian Praetzellis) Sul sito di Vignale (LI), dal 2004 oggetto di scavo dell Università di Siena in collaborazione con il MI- BACT e il Comune di Piombino - Quartiere Riotorto (Giorgi, Zanini c.s.), si è cercato di raccontare via video i temi di ricerca e il lavoro degli archeologi sul sito. Dal 2008 in poi, con la realizzazione di diversi generi di filmati, si sono sperimentati alcuni dei ruoli che un archeologo può avere in una comunicazione autoprodotta della propria ricerca. Il sito, fattoria nel III e MapPapers - 17 Pag. 7

18 Fig. 1: Snapshot da Il Vignale ritrovato Fig.2: Snapshot da Passaggi a Vignale MapPapers - 17 Pag. 8

19 Fig.3: Snapshot da Morte a Vignale nel II secolo a.c., villa nel I secolo a.c. e mansio dal I secolo a.c. al V secolo d.c., per la pluralità di temi di ricerca si è rivelato fonte di nuove storie ogni anno, storie di cui gli archeologi hanno curato la messa in scena, con le risorse e i tempi (ridotti) della singola campagna di scavo. Il genere che ha permesso di sviluppare al meglio le storie dello scavo è stato quello del docudrama. Questo si definisce come genere cinematografico che cerca di fondere documentario e cinema di finzione, attraverso la ricostruzione più realistica e circostanziata possibile di eventi realmente accaduti. Si distingue dal cinema di ricostruzione storica per l attenzione specifica a eventi legati ancora all attualità, per l ambientazione nei luoghi reali della storia e perché, quando possibile, utilizza come attori gli stessi protagonisti dell evento della vita reale. (Canova 2009: 326) A Vignale si è fatto proprio questo: sono state proposte delle storie a partire da quello che veniva scavato nel sito. Tutte le scene sono state girate negli immediati paraggi dell area di scavo, vale a dire nell area in cui in modo verosimile potrebbero aver avuto realmente luogo. Gli studenti di archeologia, nelle scene girate sullo scavo, hanno messo in scena a tutti gli effetti la propria professione, chi come attori, chi come comparse. In generale queste rappresentazioni con attori che inscenano un determinato episodio, definite anche dramatic performances (Piccini 2007: 227), sono fondamentali per accreditarsi la fiducia degli spettatori: infatti, attraverso di esse, il pubblico ha l impressione di star percependo qualcosa d attuale, perciò il gioco di credibilità funziona molto meglio rispetto a documentari strutturati tramite interviste ad esperti. Soffermandosi brevemente sulle storie raccontate, si nota subito come esse prendano spunto dal main theme della campagna di scavo. Nel 2008 l idea del docudrama è partita dalla volontà di descrivere alcuni aspetti del cantiere archeologico moderno. Questo obiettivo prende corpo con Il Vignale Ritrovato ( una storia che vede il direttore degli scavi del 1831 trasportato in sogno sullo scavo attuale. Dialogando con gli studenti, che interpretano se stessi egli scoprirà quali siano le differenze principali e le innovazioni dello scavo attuale rispetto a quello dei suoi tempi. A partire dall obiettivo principale del filmato, la trama permette quindi di venire a conoscenza anche di un tema fondamentale della ricerca a Vignale, ovvero gli scavi del La difficoltà nell identificare l area degli scavi ottocenteschi, in un paradossale gioco al contrario, viene invece facilitata al direttore del 1831 (Fig. 1) con la consegna di un accurata pianta del sito. Nel 2009 in Passaggi a Vignale ( HPVVJInnNZM), il tema centrale è la caratteristica di Vignale di essere un luogo di passaggio. Questa viene raccontata attraverso due scene, una introduttiva e l altra conclusiva, ambientate ai giorni nostri e altre due centrali ambientate in età romana e nell Ottocento. In questo caso sono stati messi in scena diversi personaggi realmente esistiti: nella sequenza romana, lo schiavo Menophilos, il cui nome ci è testimoniato da una firma graffita su una parete di anfora Dressel 2/4, Marcus Fulvius Antiocus, il gestore della fornace di mattoni ritrovata sul sito, attestato dai bolli, e Marcus Fulvius, l ex-padrone di Antiocus e proprietario della fornace (Fig. 2), che ci è testimoniato da un altra serie di bolli con il nome di suoi schiavi e MapPapers - 17 Pag. 9

20 Fig. 4: Snapshot da Raccontando la cisterna romana uno che lo identifica come officinator. Per la scena ottocentesca, la fonte principale è stata una tesi in cui veniva descritta la storia della fattoria nell età moderna e l organizzazione della sua produzione agricola; i personaggi (che portano nomi attestati nello studio per i contadini dell epoca), riportando considerazioni e dati presi dalla tesi, rendono un buon effetto d insieme e quindi la scena stessa verosimile (Zanini, Ripanti 2012: 15-17). Nel 2010 in Mansio ( GhGwQqAk72w) si è sviluppato il tema della funzione di stazione di posta del sito di Vignale attraverso una favola raccontata da una mamma ai suoi bambini. Ambientato intorno al 480 d.c., all interno di una cornice ottocentesca, la storia narra delle avventure di due personaggi fittizi, un avventuriero e il suo servo. Questi, arrivando alla mansio, scoprono che è stata distrutta e, dialogando con il praepositus e sua moglie, riescono a capire come poteva funzionare una stazione di posta come quella di Vignale. Se i protagonisti questa volta sono inventati, le notizie riportate sull organizzazione della mansio sono invece state rielaborate da una tesi incentrata sul tema. Il docudrama del 2011, Morte a Vignale ( non racconta un tema specifico dello scavo a Vignale, così come era avvenuto negli anni precedenti, ma la campagna di scavo in corso. L intento è stato quello di mostrare come lavorano gli archeologi per capire quello che stanno scavando: sono inquadrati mentre usano trowel e piccone, mentre scrivono, mentre parlano tra loro su ciò che hanno appena portato alla luce, e per la prima volta sono stati utilizzati anche alcuni appunti video che fanno parte della documentazione di scavo. La trama vede un continuo alternarsi di scene ambientate sullo scavo durante la campagna e altre nella zona della stazione di sosta nel V secolo d.c. (Fig. 3) con l obiettivo di creare un collegamento tra quello che si è trovato sullo scavo e una sua possibile ricostruzione. L alternanza delle scene ha proprio l obiettivo di far notare il passaggio dalla scavo all interpretazione e al racconto di una storia che non potremo mai provare ma che è senza dubbio verosimile. In questo senso i dialoghi nei titoli di coda sono intesi sia come parte integrante del processo conoscitivo (la storia raccontata è solo una delle ipotesi, quella che al momento ci sembrava la più verosimile ma ce ne sono altre) sia come parte della storia (ma qui non c era una sceneggiatura, sono improvvisati perché è come uno dei tanti dialoghi che si fanno mentre si scava, solo che in questo caso la telecamera era in funzione). Anche nel 2012, con Strada maestra ( be/sp2jc7_v-da), si racconta la campagna in corso, con lo scavo dell area del diverticolo che doveva portare alla via Aurelia. Nei tre brevi episodi si racconta in forma narrativa l idea che gli archeologi si sono fatti della storia di questo diverticolo, cercando di evidenziare come nelle varie epoche la strada fosse percepita in maniera diversa. Lo Storytelling a scuola: mettere in scena la propria storia Realizzare un docudrama, anche di livello amatoriale, comporta una serie di passaggi obbligati: dalla scelta allo studio del soggetto, dalla premessa dram- MapPapers - 17 Pag. 10

21 Archaeology and the media - Entertainment or edutainment?. In questo video vengono raccontati i lavori di scavo negli ultimi giorni della campagna 2012 nell ambiente 14. All interno del filmato, oltre all archeologa che racconta allo schermo che cosa si è scavato, sono stati inseriti una serie di media diversi, dalle voci degli studenti al time-lapse, da disegni ad appunti video fino a frammenti di diari di scavo. Questi hanno lo scopo di rendere il racconto più coinvolgente e, allo stesso tempo, di far entrare lo spettatore dentro lo scavo: frasi come che ore sono? o tra poco c è la pausa! aiutano a far sentire gli archeologi più vicini rispetto a come sono percepiti normalmente. Fig.5: Snapshot da Lo scavo e una sua storia maturgica (la storia racchiusa in una sola frase) alla definizione dei personaggi fino alla redazione di una sceneggiatura. In ultimo l organizzazione del set, con costumi, oggetti di scena e via dicendo. Nel 2011, la produzione del docudrama Raccontando la cisterna romana ( insieme alle classi quinte della scuola primaria Alighieri di Falconara Marittima (AN), ha avuto l obiettivo di coinvolgere i bambini nella realizzazione del filmato e soprattutto, attraverso esso, di conoscere in modo divertente la cisterna romana della loro città. Questo è stato possibile proprio per il lungo tempo impiegato ad organizzare il video, durante il quale si sono susseguiti incontri a scuola e visite alla cisterna. In questo caso fare video storytelling ha significato dare la possibilità ai bambini di mettere in scena una storia che li ha visti protagonisti non solo come attori (Fig. 4) ma anche nel dare nuova attenzione e nuovo valore a questa antica cisterna, che la maggiorparte di loro non conosceva. Ecco quindi che il medium video si caratterizza come un processo di manipolazione e traduzione, di mediazione ed interazione, ma anche come una modalità di partecipazione. Oggi che porzioni sempre maggiori della società e della cultura stanno affermandosi come soggetti primi della digitalizzazione di dati e informazioni, diventando essi stessi forme di mediazione, pensare i media come una modalità di partecipazione contribuisce a favorire la partecipazione attiva (Shanks 2007: 281). Un video-racconto dello scavo tra entertainment ed edutainment Parlare al pubblico di ciò che si sta scavando, se non viene fatto con una certa perizia, può diventare facilmente una lunga e inconcludente sequela di parola che, nella migliore delle ipotesi, le persone si dimenticano una volta arrivate a casa. Con questa considerazione in mente, è nato Last days of fieldwork in room 14 ( il titolo in inglese è dovuto al fatto di essere stato presentato al TAG 2012 alla sessione Da archeologo ad archeologo: il dialogo per le storie Un altro modo di raccontare sperimentato a Vignale è stato quello dei dialoghi, sempre all interno di una cornice narrativa. Il ricorso al dialogo è funzionale a tre specifiche istanze: spiegare al pubblico concetti più approfonditi e complicati; raccontare il dietro le quinte; mettere in scena un dibattito su un argomento specifico. In Lo scavo e la sua storia del 2011 ( be/sp2jc7_v-da), il protagonista è uno studente di archeologia che è in procinto di andare a scavare a Vignale. Prima dell inizio della campagna di scavo si reca a Siena, dove incontra il professore che dirige lo scavo e i suoi collaboratori (Fig. 5). L utilizzo del dialogo permette di gestire in maniera dinamica la spiegazione del sito e delle sue fasi e di approfondire usando comunque un linguaggio colloquiale. Non è un video per il grande pubblico ma è stato pensato per gli studenti universitari che vengono realmente a scavare a Vignale. Dialoghi itineranti, registrato nell ottobre scorso a Vignale e prossimo all uscita, racconta l ultima campagna di scavo attraverso monologhi e dialoghi degli archeologi. Il video ha l obiettivo di raccontare i dietro le quinte dello scavo: da quelli di Let s Dig Again, primo esperimento di racconto dell archeologia via web-radio, a quelli dei singoli archeologi che si interrogano sul lavoro che stanno facendo e, al termine delle operazioni, su quello che è stato fatto. Dialogando con altri (o con sé stessi) c è perciò anche la possibilità di raccontare in modo intimo ciò che non si può vedere, ovvero quello che pensa l archeologo mentre lavora e come organizza alcune sue attività. Cannoni e farfalle ( è stato prodotto a partire da un dialogo di Giuliano De Felice pubblicato sul blog Passato e futuro ( Anche nella versione ridotta che ha partecipato e vinto il Videocontest di Opening the Past 2013, è possibile apprezzare uno degli aspetti più interessanti dell uso del dialogo: arrivare a sviluppare nuova conoscenza a partire da un dibattito (con opinioni divergenti o meno) su uno specifico argomento. Non è un aspetto strettamente legato al video storytelling ma in modo indiretto ne fa capire le potenzialità. MapPapers - 17 Pag. 11

22 Voci di archeologi: storie di una professione Le storie da raccontare attraverso i video non sono solamente quelle di antichi siti, di scavi in corso o interessanti scoperte. Storie di archeologia sono anche quelle dei suoi professionisti, ad oggi ancora in attesa di veder concluso l iter legislativo per il loro riconoscimento. Il video 500 no: per la buona occupazione nei beni culturali ( è stato girato per l Associazione Nazionale Archeologi lo scorso 11 gennaio a Roma, in occasione della manifestazione dei professionisti dei beni culturali contro il bando 500 giovani per la cultura. Storie di vita vissuta, aneddoti e progetti per il futuro che racchiudono le motivazioni dei 500 no. Il filmato non è quindi un servizio giornalistico sulla manifestazione ma è nato con l obiettivo specifico di far parlare i protagonisti, sentire dalle loro voci cosa significa essere archeologi oggi, a partire da neolaureati fino ai ricercatori. Archaeologists love stories (?): la narrazione al servizio della conoscenza The best archaeologists are invariably the most skillful storytellers (The Archaeologist as Storyteller, Peter Young) Se nessun dubbio persiste sull affinità tra video, storie e archeologia, occorre capire che rapporto dovrebbe avere l archeologo con le sue storie. Nella maggiorparte dei casi, fino ad oggi l archeologo ha pensato alle storie solo come un utile strumento di presentazione della sua ricerca, soprattutto ad un pubblico di bambini. Per portare gli archeologi a dedicarsi di più alla comunicazione tramite (video) storie, forse occorre convincersi che queste abbiano una loro utilità anche nell interpretazione dello scavo. Infatti possiamo fare il percorso inverso e pensare che le storie rappresentino il culmine di quello che si è imparato e capito (Joyce 2002, ). Riuscire a raccontare una storia sulle tracce archeologiche che sono state scavate è il segno del successo del lavoro compiuto. Una cornice e una forma narrativa non solo non pregiudicano la trasmissione dei contenuti al livello di approfondimento necessario per qualsiasi tipo di pubblico a cui vogliamo rivolgerci ma, secondo studiosi dei sistemi cognitivi (su tutti Bruner 1991), aiutano anche ad arrivare alla costruzione della realtà. Un video che racconta una ricerca in forma narrativa non rimane solo un modo per comunicare all esterno ma riflettendo su ciò che si è scavato con l intento di definire una storia, porta ad approcciarsi ai problemi in maniera differente, a mettere a fuoco altri particolari, a porsi nuove domande. Anche inconsapevolmente, l archeologo è portato a creare una storia, a usare la narrazione per dare a ciò che ha scavato un ambientazione spazio-temporale. E allora forse all archeologo raccontare le storie piace davvero e non gli resta altro che rimboccarsi le maniche e metterle in scena. Bibliografia Bruner J., 1991, The Narrative Construction of Reality, in «Critical Inquiry», 18, p. 5. Canova G. 2009, Enciclopedia del cinema, Milano. Clack T., Brittain M. 2007, Archaeology and the Media, Walnut Creek. Costa S., Ripanti F. 2013, Excava(c)tion in Vignale - Archaeology on the stage, archaeology on the Web, in «AP Journal», 3, pp ( Giorgi E., Zanini E. in corso di stampa, Dieci anni di ricerche archeologiche sulla mansio romana e tardoromana di Vignale: valutazioni, questioni aperte, prospettive, in «Rassegna di Archaeologia», 24B. Joyce R.A. 2002, The languages of archaeology: dialogue, narrative, and writing, Malden - Oxford. Piccini A. 2007, Faking it: Why the Truth is so Important for TV Archaeology, in «Archaeology and the Media», pp Pimenta S., Poovaiah R. 2010, On Defining Visual Narratives, in «Design Thoughts», 3, pp ( idc.iitb.ac.in/resources/dt-aug-2010/on%20defining%20visual%20narratives.pdf) Praetzellis A. 1998, Why every archaeologist should tell stories once in a while, in «Historical Archaeology», 32, pp Shanks M. 2007, Politics of Archaeological Leadership, in «Archaeology and the Media», pp Ypung P.A. 2003, The Archaeologist as Storyteller, in «The SAA Archaeological Record», 3, pp ( Zanini E., Ripanti F. 2012, Pubblicare uno scavo all epoca di YouTube: comunicazione archeologica, narratività e video, in «Archeologia e Calcolatori», 23, p ( MapPapers - 17 Pag. 12

23 Da archeoblogger a museumblogger: fare esperienza per creare una professionalità Marina Lo Blundo MapPapers 1-IV, 2014, pp doi: / In this paper I talk about my experience as archaeoblogger and museumblogger: what I learned from this work and what I want to develop in the future. Archaeoblog and museumblog are two different ways to blogging, because the archaeoblogger talks about his experience, his ideas, his work; the museumblogger gives his voice to a museum, so the museum communicates to the public through him. But, even if archaeoblogger and museumblogger are different, they have got the same aim: the cultural communication. It s important to create a network between others cultural bloggers, museums and people through a correct use of social media. Blogger, archeoblogger, museumblogger Non ci si può inventare museumblogger. Ci vuole esperienza, maturata in anni di blogging e di blogging nella propria area di competenza in questo caso, archeologia o settore del patrimonio culturale e conoscenza del mondo del web 2.0, della sua storia, delle sue dinamiche, dei suoi comportamenti. Se si vuole diventare museumblogger, e prima ancora un archeoblogger consapevole, bisogna studiare, costruirsi un esperienza, osservare la rete e gli altri blog attinenti il nostro ambito. Scrivo su blog, non solo di archeologia, dal Può sembrare dispersivo avere più blog dedicati a svariati argomenti, eppure proprio il fatto di scrivere di temi totalmente differenti, dedicati ad un pubblico di volta in volta diverso e con problematiche di linguaggio e di visibilità specifiche caso per caso, mi ha permesso di comprendere dinamiche che, se avessi un singolo blog di settore, probabilmente non avrei colto. Il mio blog personale di archeologia, Generazione di Archeologi, esiste fin dal Nato per caso, si è rivelato una palestra eccezionale per comprendere come e cosa scrivere. È stato un luogo di sperimentazione, dove di volta in volta recensivo convegni, incontri, mostre, sparavo a zero sulla fantarcheologia e su svariati scandali di archeologia, approfondivo temi di comunicazione archeologica, argomento di cui mi stavo occupando nell ambito di un progetto unico all epoca: Comunicare l archeologia nato da un idea di Matteo Sicios del Gruppo Ricerche di Genova, del quale gestivo il blog. Proprio l esperienza di Comunicare l Archeologia è stata fondamentale. Il blog in sé era una vetrina delle ricerche che stavamo conducendo all epoca in materia di comunicazione su vari media, non solo internet, era il luogo depositario delle nostre riflessioni sul tema, era il primo ad affrontare l argomento comunicazione a proposito dell archeologia. Parallelamente a Comunicare l archeologia 1 cresceva uno specifico interesse per i blog di archeologia in genere. Ho così cominciato a studiare le dinamiche dei blog di archeologia, i contenuti, i linguaggi, gli autori 2. La visibilità su Google è un fattore fondamentale, ma ciò che conta è soprattutto l autorevolezza, che si costruisce sia producendo contenuti di qualità che, 1. Il blog Comunicare l Archeologia, che viveva su piattaforma Megablog, è andato perduto nel 2011 con la cancellazione della piattaforma Megablog. Alcuni post sono confluiti in Generazione di Archeologi, ma la gran parte dei contenuti non è più stata pubblicata altrove. 2. Questa ricerca è sfociata in un intervento su Archeologia e blogosfera al III Seminario di Archeologia Virtuale, Roma (gli atti del Seminario sono disponibili su comunicare_in_digitale), e in un articolo su Archeomatica: Archeologia e blogosfera. L attività dei blog di archeologia in Italia (Marzo 2013). MapPapers - 17 Pag. 13

24 Fig.1: Screenshot del blog di Archeotoscana soprattutto, dichiarando l autore. Costui dev essere sempre espresso, in modo da poter avere un autorità che possa rassicurare il pubblico nel mare magnum della rete. Anche un nickname va bene, purché ad esso corrisponda un profilo curato che faccia capire che l autore è degno di fede. I lettori vanno innanzitutto saputi conquistare, e poi mantenuti. Questo lo si fa attraverso i propri contenuti e il proprio linguaggio, studiando il proprio pubblico o avendo ben chiaro quale fetta di pubblico si vuole conquistare. Ogni blog ha il pubblico che si merita e che si costruisce, pertanto i suoi contenuti dovranno seguire un determinato stile. Un blogger, e in generale chi vuole lavorare sul web, deve tenersi costantemente aggiornato su ciò che accade in rete e, al di fuori di essa, su ciò che ha riflesso nel web 3. Esiste una sitografia piuttosto ampia che spazia su temi molteplici, dalla scrittura per il web ai modi per promuovere la propria attività sui social network, ai dibattiti sulla figura del blogger e sull utilità del blogging, ai consigli sul corretto uso dei social media, ai riflessi dell attualità sul web. È importante che un blogger, anche se di settore come l archeoblogger, sappia cosa succede intorno a sé. Conoscere la rete e le sue potenzialità è fondamentale. Non tutti gli archeoblogger sono uguali. Ciascuno ha le sue competenze, i suoi interessi, le sue motivazioni. Ognuno dà al proprio blog il taglio che preferisce, perciò risulta difficile proporre delle classificazioni, che risulterebbero quanto mai inutili. A grandi linee si possono distinguere blog di opinione, di informazione, di divulgazione e di ricerca. Queste categorie 3. Cito solo pochissimi nomi noti per l Italia: Riccardo Esposito di My social web ( Vincenzo Cosenza di Vincos.it; Stefano Epifani e Mariangela Vaglio di Techeconomy ( Francesco Russo di InTime ( e Nicola Carmignani di Uno spreco di bit ( it/). non vanno intese come compartimenti stagni, ma al contrario è molto facile che un blog che si occupa di informazione pubblichi anche post di divulgazione, così come chi si occupa principalmente di opinione possa anche fare informazione. L archeoblogger, se vuole diventare un professionista di cui il mercato, inteso come mercato culturale online, ha bisogno, deve uscire dal suo piccolo bozzo, guardarsi intorno, rendersi conto di cosa c è bisogno, cosa manca, e proporlo, facendo rete con gli altri archeoblogger. Il principale scopo di ogni blogger che non voglia scrivere per se stesso è ampliare il pubblico. Perché un conto è avere un blog personale per puro diletto e passatempo (buona parte dei blogger inizia così), ma tutt altro conto è voler diventare archeoblogger professionista, e scrivere per un pubblico. Un pubblico che non possono essere i 25 lettori dei Promessi Sposi di Manzoni, ma che vogliamo costituiscano una community, e soprattutto una community in costante crescita. Per far questo bisogna fare rete, e non tra pochi intimi, ma coinvolgendo, ampliando il raggio delle conoscenze. Non esistono solo blog di archeologia, ma anche blog culturali di più ampio respiro, o blog di musei, che sono in crescita e in aumento. Ogni blogger ha le sue specificità e il suo stile, i suoi interessi e il suo pubblico di riferimento. Ma nella diversità di ciascuno, l obiettivo di tutti deve, o dovrebbe, essere lo stesso: fornire una buona ed efficace comunicazione culturale. Nel frattempo, mentre mi formavo come blogger di archeologia e giungevo alle conclusioni di cui ho brevemente espresso sopra, la mia vita reale cambiava, ed io entravo a lavorare in un museo. Proprio col mio lavoro ho cominciato a capire che i musei hanno qualcosa da raccontare. Anzi, è proprio la mission di un museo quella di raccontare e comunicare i suoi contenuti, le sue mille storie, al pubblico. Anche, or- MapPapers - 17 Pag. 14

25 Fig. 2: Social media per la cultura (fonte: Generazione di Archeologi) mai sempre di più, attraverso il web. In più, ha una voce molto più autorevole di quella che posso avere io come persona singola. Allora, provare a far parlare un museo attraverso la mia voce ha cominciato ad essere un idea intrigante, da sviluppare. Serviva solo l occasione. Nel 2012 nasceva il blog del Museo Archeologico Nazionale di Venezia 4. Nel 2013, un anno fa di questi tempi, nasceva ArcheoToscana, il blog della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana 5. Il primo nasce dal desiderio della sua direttrice di dare più visibilità al Museo. Il secondo nasce da una mia proposta, forte dell esperienza di Venezia, che trova buona accoglienza presso il Soprintendente, il quale addirittura trasforma il progetto di un blog di museo, inizialmente limitato al Museo Archeologico Nazionale di Firenze, nel blog di tutta la Soprintendenza. Ai blog si sommano i social network: facebook e twitter per Venezia, anche Pinterest per Archeotoscana. Nei miei anni di blogging, dapprima come blogger generica, poi come archeoblogger, infine come museumblogger, mi sono formata, ho sperimentato, mi sono documentata, sono cresciuta, mi sono specializ zata in un settore della comunicazione approfondendone le dinamiche. Non ho seguito corsi universitari perché non ne esistevano e non ne esistono, sono in qualche modo un autodidatta, così come autodidatti sono tutti gli archeoblogger che conosco. Ma, se posso azzardare un opinione, nessuno studia per diventare blogger, ma da blogger ciascuno dovrebbe studiare per sviluppare meglio il proprio lavoro. Nella mia attività di museumblogger, che si può dire essere il punto di arrivo del mio percorso, le altre due anime, dell archeoblogger e della blogger generica, convivono e sono altrettanto importanti. Ognuna di esse è necessaria, perché ognuna scaturisce dall esperienza di quella precedente e non avrebbe forza né efficacia senza quella precedente. Progettualità di un blog (museale) In un blog niente è lasciato al caso, è necessaria l impostazione di una linea editoriale fin da subito. Se questo è vero per tutti i tipi di blog, nella scelta delle categorie e degli argomenti, nonché nello stile proprio di chi scrive, a maggior ragione ciò deve valere per i blog di musei, innanzitutto perché a meno che non siamo noi il direttore del museo, non dobbiamo esprimere la nostra opinione personale, ma prestia- MapPapers - 17 Pag. 15

26 mo la nostra voce ad un organo ufficiale o istituzionale di comunicazione. Il blog del museo deve contenere alcune informazioni essenziali, come i contatti, una presentazione istituzionale, un luogo di incontro e di compenetrazione con il sito web del museo o dell ente all interno del quale il museo è regolato. Il resto dei contenuti, quale indirizzo dare ai testi che si forniranno, il target di pubblico, sono tutte cose che vanno chiarite a priori. Quello che non deve fare un blog museale, però, è diventare una galleria di comunicati stampa: i comunicati stampa sono prodotti dall ufficio stampa del museo per essere pubblicati altrove, sui media di informazione tradizionali e online, mentre sul blog dovrebbe trovarsi lo spazio per approfondire questi temi. Il blog dovrebbe essere il posto in cui l utente di internet che ha letto il comunicato su una qualunque agenzia di stampa, trova un approfondimento ad esso. Se si vuole dare l annuncio di una mostra, non si pubblicherà semplicemente il mero comunicato stampa, ma si darà un informazione più ampia, più circostanziata, più ricca di informazioni: siamo blogger e siamo archeologi, dunque siamo preparati, o abbiamo modo di procurarci informazioni più dettagliate, e siamo creativi, quindi possiamo trovare una chiave di lettura originale per la notizia. Certo, essere blogger museali tarpa le ali della libertà di pensiero: da museumblogger non posso parlare di un opera esposta nel museo di cui scrivo e dire che secondo me è esposta male. Questo posso eventualmente farlo, in quanto archeoblogger, dal mio blog personale, ma non in un ottica di critica fine a se stessa, quanto piuttosto per stimolare un dibattito. La chiave sta nel tipo di pubblico al quale di volta in volta mi rivolgo: il pubblico cui è indirizzato il blog del museo dev essere invogliato ad entrare e a visitarlo, ma non per una mera questione di numero di visitatori o perché il visitatore è inteso come consumatore culturale (definizione orribile che però in molti usano), ma perché è lo scopo del museo far sì che il visitatore si senta a casa sua tra le sale, e che sia messo in condizioni di entrare in museo e di raccapezzarcisi. Il pubblico del blog museale è il pubblico dei potenziali visitatori, degli appassionati di archeologia, della gente che vuole conoscere il museo e le sue attività, e che cerca nel blog uno strumento di arricchimento culturale personale. Per questo, a mio parere, in un blog museale non può mancare una o più categorie o pagine dedicate alla divulgazione pura, con post sui singoli reperti, o sulle collezioni, o simili: perché il blog con i suoi post possa aiutare un futuro visitatore a preparare la sua visita. Il blogger museale non deve essere un mero esecutore, ma dev essere regista del blog per cui scrive. Siamo ancora in una fase in cui il direttore di museo, o d istituto, pensa che avere un blog per la propria struttura sia solo un modo in più per far circolare le informazioni. Ma attenzione! Il blog non è solo il luogo dove fare informazione, ma è anche e soprattutto il luogo dove far nascere un rapporto, dove avviare un interazione. Per questo vanno privilegiati testi che raccontino non solo le attività, ma anche le collezioni, che vadano oltre il semplice fare informazione. Un aspetto che piace tanto al pubblico, ad esempio, è il backstage, ciò che avviene a museo chiuso o nel dietro le quinte, ma anche il resoconto di eventi cui non ha potuto partecipare. Allora è il museo che si racconta, che racconta ai suoi lettori cosa succede al di qua delle sue porte, che tiene aggiornato il suo pubblico su quanto avviene, sui materiali che vanno in prestito, su quelli che rientrano, su cosa bolle in pentola. Potenzialmente tutti i testi si prestano allo storytelling, basta trovare la chiave da cui far scaturire il racconto. In questo la creatività del blogger è fondamentale: conoscendo l argomento a fondo, può trovare infiniti modi per raccontarlo, può trovare un tema di fondo, può inventare un incipit accattivante, può, e questo è un dono che mi piacerebbe tanto possedere, avere uno stile talmente curato da trasformare ogni post in un capolavoro capace di suscitare anche emozioni. Perché anche se il blog museale è un organo ufficiale di comunicazione, tuttavia consente una maggiore libertà di linguaggio rispetto al sito web, che è ancora più ufficiale. La creatività del blogger si esprime allora nello stile, nella creazione di contenuti di qualità in cui ad una buona penna si associa la corretta informazione archeologica. Da non sottovalutare, poi, l uso delle immagini. Foto, vignette, grafici, screenshot e altro, sono utili sia perché sono un ulteriore fattore di indicizzazione (sempre di più da quando c è Pinterest), sia perché snelliscono la pagina rendendo più scorrevole la lettura. I rimandi interni poi, i link, sono fondamentali, e andrebbero aggiornati ogni volta, per consentire una lettura sempre più approfondita. Accanto alla homepage il blog può arricchirsi di pagine di contenuti fissi che completano l offerta divulgativa 2.0 del museo. Archeotoscana per esempio ha un area download in costante aggiornamento, nella quale di volta in volta vengono caricate schede e altro materiale didattico utile a preparare una visita nei musei toscani, ed ha una sezione, in via di implementazione, dedicata ai bambini. Accanto a queste, ha una pagina per ogni luogo dell archeologia statale toscana, completa di scheda tecnica del museo/sito in questione e che funge da archivio per tutti i post dedicati a quel museo/sito. Non di solo blog vive l archeoblogger (e il museumblogger) Oggi il blog da solo non si regge più, ha bisogno dei social network per far sentire la propria voce. Senza il passaggio sui social rischia invece di rimanere un entità a se stante, tagliata fuori dalle conversazioni, dai dibattiti, in una parola dalla rete. Tutto deve essere messo in rete, e il blogger deve essere un vero social media strategist. La professionalità del blogger, archeoblogger o museumblogger che sia, deve andare ben oltre la pagina di Wordpress. Oggi un blog per vivere e per avere visibilità ha necessariamente bisogno di uno o più megafoni. Attenzione però, che lo scopo non è il blog, ma la totalità della comunicazione che si realizza. Se nel caso dell archeoblogger lo scopo in effetti può essere la visibilità del blog, anche se io non sono d accordo con questa visione, MapPapers - 17 Pag. 16

27 nel caso del museumblogger lo scopo non è il blog, ma tutto il sistema di comunicazione del museo attraverso la rete. I social network, che si tratti di facebook o di twitter, non devono solo pubblicare link al blog. Lo possono fare, ma non dev essere l attività preponderante. Allo stesso tempo i social network non sono soltanto luoghi in cui pubblicare brevi notizie sulle attività del museo: sono i luoghi in cui si stringono i rapporti, in cui si crea la rete. E come lo si fa? Innanzitutto conoscendo le caratteristiche di ciascuno dei social media che si intende attivare. Se l archeoblogger può, anzi deve, permettersi il lusso di sperimentare i vari social network per capirne le caratteristiche, i linguaggi, per verificare quali contenuti si adattano meglio, il museumblogger deve già aver acquisito queste competenze. Anche nella scelta e nell utilizzo dei social network adeguati ci vuole una progettualità. E l uso di un social network in modo sbagliato, o peggio ancora, abortito, da parte del museo è un biglietto da visita molto negativo. Se si guardano i social media si scopre che ognuno ha le sue caratteristiche, i suoi iscritti, e quindi si presta a determinati tipi di contenuti. Facebook è perfetto per le foto e per gli album fotografici, l avviso e il racconto fotografico o video - di eventi. Twitter è il luogo dell informazione veloce, 140 caratteri in cui dev essere espresso con chiarezza il messaggio che si intende diffondere. È anche il posto dov è più facile fare rete, soprattutto tra musei, e dove meglio si sviluppa la creatività. Facebook al contrario consente una maggiore partecipazione del pubblico a livello di organizzazione di eventi. Pinterest consente di creare gallerie di immagini che possono fungere sia da visita virtuale della collezione del museo, che da approfondimento di determinati temi che, ancora da galleria di eventi; con Instagram si può decidere di creare un diario per immagini della vita del museo. Perché però abbia senso il lavoro di museumblogger occorre che il blog del museo e tutto il suo apparato social non rimangano elementi fini a se stessi racchiusi e isolati nel web. Perché questo lavoro abbia un utilità è importante che non ci sia scollamento tra il museo reale e il museo in rete, ci sia collaborazione e coordinamento nelle attività: attività che possono anche nascere online e trovare compimento nelle sale del museo reale 6. La mia attività come museumblogger ora sta virando in questa direzione, ovvero a cercare di trovare soluzioni di compenetrazione tra il museo reale e il museo social, cercando di realizzare una buona promozione e una buona comunicazione: perché il blog è un mezzo, non il fine; perché lo scopo del mio lavoro non è il blog, ma il museo. 6. Un esempio è il Martedì Like di Palazzo Madama Torino: iniziativa nata sulla pagina facebook del museo, consiste nel chiedere ai visitatori di farsi una foto con la manina del like di facebook; le foto vengono poi pubblicate sulla pagina del museo. Per quanto riguarda il Museo Archeologico Nazionale di Firenze, per ora il museo ha aderito alla Giornata Nazionale delle Famiglie al Museo, promossa su internet, ed ha appena organizzato un Invasione Digitale, evento che nasce e si sviluppa proprio sui social network. MapPapers - 17 Pag. 17

28 Natural Data Fruition: an Interactive Bridge between Science and Humanities Niccolò Albertini, Daniele Licari, Andrea Brogni, Vincenzo Barone DreamsLab - Scuola Normale Superiore Piazza dei cavalieri, 7 - Pisa, Italy MapPapers 1-IV, 2014, pp doi: / Scientific data storage and manipulation are becoming more and more important, as well as the way researchers interact with them. Fruition, of course, is not only a visual act, especially when dealing with scientific data, where the key point is letting the researcher understand and manipulate the data, test hypotheses and look for results. To this purpose, the interaction with the system becomes very important. DreamsLab is a Research Center of the Scuola Normale Superiore in Pisa, and it is a place where different research activities, in the fields of computational chemistry, bio-medicine and cultural heritage, are merged with the most innovative technologies for 3D visualizations and virtual reality applications. In this paper, we describe the results of some fruitful collaborations within the cultural heritage area, where the fruition of the scientific data is made effective by natural interactions and immersive virtual environments. Introduzione Negli ultimi anni, la tecnologia si è sviluppata a velocità sempre maggiore, aumentando la sua diffusione non soltanto in aree più abituate all innovazione, ma anche nel nostro quotidiano. Dal punto di vista della ricerca, si sono aperte nuove possibilità per la gestione delle informazioni, aprendo a nuovi protocolli investigativi in differenti campi. La produzione di sempre più complessi ed eterogenei dati scientifici ha reso necessario un ripensamento anche delle strategie di fruizione e manipolazione del dato stesso, cercando di offrire al ricercatore nuovi strumenti non solo per visualizzare i dati, ma anche per accelerare il processo di comprensione, elaborazione e di attribuzione di significato ai dati osservati. Un esempio di innovazione è la visualizzazione 3D, che ha introdotto un nuovo elemento nel processo di osservazione, permettendo al ricercatore di percepire i dati in una maniera più naturale. L ipotesi ricostruttiva di un sito archeologico o di un vaso, la struttura di una molecola o semplicemente una rappresentazione in tre dimensioni di una grandezza fisica sono esempi di come una rappresentazione tridimensionale e grafica possa aiutare nella comprensione del dato e nella comunicazione dello stesso al pubblico. Chiaramente, la fruizione di un dato non è solo un atto visivo, specialmente quando trattiamo dati scientifici: il punto principale è sempre quello di permettere al ricercatore di capire e manipolare i dati, testando ipotesi e cercando risultati significativi: a questo scopo, il metodo di interazione diviene di fondamentale importanza. Negli ultimi anni, sono nati molti sistemi di interfacciamento uomo computer che, in modo efficiente, intuitivo e semplice, permettono un approccio verso i dati più naturale. La Realtà Virtuale è il campo applicativo che più di altri ha beneficiato di queste innovazioni, perché per sua stessa natura già prevede una visualizzazione tridimensionale e più naturale di un semplice monitor. Interazione naturale non significa interagire come fanno gli umani o imitare il mondo fisico, ma significa progettare un tipo di interazione che sia invisibile ed efficiente per l utente, nello specifico compito sul quale sta lavorando. Gesti e manipolazioni sono azioni che ogni giorno compiamo in modo spontaneo, e MapPapers - 17 Pag. 18

29 sono anche la migliore soluzione per alcuni tipi di interazione: trascinare un immagine su uno schermo touch, ruotare un oggetto 3D afferrandolo con le mani o muoversi in una ambiente virtuale. L esperienza e l abilità quotidiana nel compiere il medesimo gesto aiuterà sicuramente ad attuarlo in modo intuitivo ed efficiente anche in un ambiente virtuale. Il Centro DreamsLab Il Centro DreamsLab (Dedicated Research Environment for Advanced Modeling and Simulations) della Scuola Normale Superiore, in Pisa, è guidato dal Prof. Barone. Il centro ha due anime scientifiche, quella della chimica teorica e computazionale e quella della Realtà Virtuale, che insieme lavorano nella produzione e fruizione di contenuti scientifici e nella collaborazioni con ricercatori umanistici. L attività di ricerca prevede lo sviluppo di sistemi general-purpose, che, nei differenti campi di ricerca, possano essere utilizzati con mezzi di registrazione, immagazzinamento dati, analisi, conservazione e visualizzazione di dati dal contenuto più eterogeneo. La natura del dei dati e la loro origine determinano la struttura delle applicazioni di visualizzazione. Il centro dispone di sistemi immersivi quali Oculus Rift, una teca per ologrammi, tavoli touch, monitor 3D ed un CAVE, una stanza di 3x3x3 m 3, retroproiettata sulla parete frontale, le due laterali ed il pavimento, che, con l uso di sensori ed occhialini speciali, permette un immersione totale nella ambiente virtuale stereoscopico. Sistemi innovativi di motion capture garantiscono interazioni di tipo naturali. All interno del gruppo vi sono competenze sia artistiche che tecniche, che coprono i vari aspetti di un applicazione di RV interattiva, quali la grafica 3D, gestione database, modellazione, definizione e progettazione di interfacce ed usabilità. I database e le simulazioni computazionali vengono sviluppate da un gruppo di High Performing Computing (HPC) del DreamsLab, gestendo un centro di calcolo all avanguardia composto da 115 nodi computazionali. Realtà Virtuale e Beni Culturali Realtà Virtuale (RV) e Beni Culturali (BC) sono due mondi che spesso si sono trovati in contatto negli ultimi anni, creando progetti molto utili ed interessanti, ma non sempre sfruttando al meglio i vantaggi di una collaborazione così creativa. L abitudine alle tecnologie più avanzate, quali smartphone, tablet o cinema 3D, ha sviluppato un utenza abituata a vedere e manipolare informazioni grafiche interattive nelle attività quotidiane, e quindi è stato naturale pensare ad un passaggio non solo in musei e mostre, ma anche tra chi la ricerca la pratica sul campo. Il livello di collaborazione tra RV e BC è aumentato in modo consistente, portando ad una completa e fruttuosa sinergia tra i due mondi. Le idee nascono da questa forte collaborazione, ed il dialogo interdisciplinare permette ha permesso lo sviluppo di applicativi sempre più innovativi ed efficienti. Da un lato gli esperti di BC mostrano i limiti delle attuali tecniche di ricerca, delimitandone i limiti e le necessità per un passo ulteriore, e dall altro i ricercatori di RV possono offrire soluzioni tecnologiche, che aiutano senza imporsi, e sono stimolati nello sviluppare nuove tecnologie effettivamente utili alle necessità richieste. In quest ottica, il centro DreamsLab si pone come collettore di queste competenze, offrendo le più avanzate soluzioni di visualizzazione e manipolazione di dati scientifici, non solo nella chimica e nella bio-medicina, ma anche nel campo dei BC, sempre in stretta collaborazione con la controparte umanistica. Di seguito, proponiamo una rivista di significative collaborazioni del gruppo, che hanno portato a sistemi innovativi ed esemplificativi della forte sinergia in atto con la componente umanistica. La ricostruzione virtuale 3D dell Agora di Segesta Nell ambito della collaborazione con il Laboratorio di Scienze dell Antichita (LSA) della Scuola Normale Superiore di Pisa e Università di Pisa, è stato sviluppato un ambiente virtuale immersivo dedicato allo studio delle ricostruzioni dell Agorà di Segesta. L applicazione sviluppata consente di immergersi all interno dell Agorà apprezzandone i vari dettagli, in modo da poterla ammirare così come si presentava in età Ellenistica. Il DreamsLab si è occupato inoltre della visualizzazione del modello e della sua fruizione sia su monitor 3D che all interno del CAVE. Una volta ottenuto il modello dell Agora si è provveduto a realizzare il contesto. Partendo da foto reali, si è riusciti ad ottenere 6 immagini che rappresentano il paesaggio circostante; queste immagini sono state usate per creare la skybox all interno dell ambiente virtuale. Un ulteriore ricostruzione è stata fatta sul territorio collinare circostante, popolato di alberi e vegetazione; grazie all impianto audio spazializzato è stato possibile riprodurre i suoni naturali dell ambiente circostante. Ottenuti i dati della ricostruzione in maniera più fedele possibile si è passati all importazione su Game Engine Unity 3D, creando un ambiente virtuale che si interfacciasse con strumenti molto diversi tra loro e visibile su vari dispositivi, quali il CAVE, la teca per ologrammi e Oculus Rift. In particolare per il CAVE si sono sviluppate delle metafore di interazione più naturali possibile. L utente si muove all interno del CAVE partendo dal centro e camminando verso i lati; questo movimento è trasposto nell ambiente virtuale grazie ad un tracker ad ultrasuoni montato sugli occhialini 3D; in questo modo si ha una naturale interazione con l Agorà, in cui è possibile camminare come se si fosse nell età ellenistica. Con questo tipo di applicazione si può letteralmente navigare nello spazio e nel tempo, osservando l Agorà in tutta la sua grandezza e attraverso le sue evoluzioni nel tempo. All interno di uuna teca olografica è stata sviluppata un applicazione di realtà aumentata dove sono stati messi a confronto il modellino stampato in 3D dell agorà e le informazioni virtuali, che comprendono sia la ricostruzione 3D che l acquisizione 3D fatta sul luogo dello scavo. Oltre che fare un confronto si può MapPapers - 17 Pag. 19

30 quindi interagire con i dati visualizzati, selezionando quelli che interessano di più. La visualizzazione non è quindi fine a se stessa, ma entra nel processo costruttivo e di verifica delle ipotesi scientifiche. System to Integrate Art and Science: database eterogeneo per Beni Culturali Le attività di studio e di salvaguardia del patrimonio culturale hanno una spiccata natura multidisciplinare ed interdisciplinare, nella quale confluiscono costantemente competenze ed informazioni eterogenee provenienti sia da settori scientifici che umanistici. Purtroppo l integrazione di dati eterogenei e l interazione tra le differenti unità che lavorano alla manutenzione e prevenzione del patrimonio culturale non sono semplici e immediate. In questo contesto e stato sviluppato un nuovo strumento informatico flessibile di consultazione, gestione delle scelte conservative, analisi scientifiche ed interventi di restauro in grado di attuare meccanismi per la gestione collaborativa e la condivisione della conoscenza attraverso le più recenti tecnologie di realtà virtuale ed aumentata. Il sistema, chiamato SIAS (System to Integrate Art and Science), consente ricerche incrociate a più livelli sugli artisti, sulle opere, sui materiali, sulle scelte conservative, sulle analisi scientifiche, sulle strutture molecolari e sui pigmenti e permette una continua immissione di nuovi dati da parte dei restauratori, dei funzionari dei musei, storici, esperti e scienziati che studiano una particolare opera od uno specifico materiale. La piattaforma SIAS presenta un interfaccia di facile accesso e comprensione per le varie categorie di utilizzatori, offrendo la possibilità d interazione diretta con le opere. Per semplificare lo studio e l analisi di dati scientifici, gli utenti di SIAS possono avvalersi di strumenti grafici integrati che permettono la visualizzazione e manipolazione di dati spettroscopici e strutture molecolari. Il sistema consente di acquisire, visualizzare e manipolare modelli tridimensionali provenienti da scanner 3D o da software di modellazione. Grazie ad un avanzato software per la realtà virtuale (RV), sviluppato dai ricercatori del centro, le informazioni virtuali (modelli 3D) e reali (metadati e analisi su un opera) possono essere visualizzate contemporaneamente e comparativamente in un ambiente virtuale interattivo. Sistemi interattivi per la tutela e la diagnostica dei beni culturali Lo sviluppo di sistemi avanzati dedicati alla gestione, tutela e valorizzazione del Patrimonio Culturale è una delle attività principali del centro. Si sviluppano, in particolare, modelli di simulazione computazionale per interpretare i dati sperimentali relativi a sistemi chimici esistenti, predire proprietà di sistemi molecolari e progettare nuovi sistemi chimici con specifiche proprietà chimico-fisiche. Tali sistemi sono estremamente funzionali alla progettazione razionale degli interventi di restauro e di conservazione, nella caratterizzazione analitica e nell interpretazione dei dati strumentali (ad es. spettroscopici) relativi a materiali MapPapers - 17 Pag. 20

31 complessi. La diagnostica del patrimonio culturale si basa in buona parte su tecniche spettroscopiche. In tale contesto è stato sviluppato un vero e proprio laboratorio virtuale di spettroscopia, detto VMS (Virtual Multi-frequency Spectrometer), un sistema in grado di fornire all utente un ambiente completo per l analisi di differenti tipi di spettroscopie computazionali e sperimentali facilmente accessibili anche ai non specialisti. Nei Beni Culturali, VMS è utilizzato per lo studio dei fattori ambientali responsabili dell invecchiamento e dei cambiamenti cromatici di antichi pigmenti, nella pianificazione di interventi di restauro e nell interpretazione dei dati sperimentali mediante confronto con dati computazionali. Caverna dell Antimateria DreamsLab ha partecipato al progetto CoPAC (Conservazione Preventiva dell Arte Contemporanea), dedicato all acquisizione di una visione globale degli aspetti materici della pittura contemporanea per quanto attiene sia la sua costituzione sia i fenomeni di degrado che solitamente la interessano, allo scopo di sviluppare conoscenze e strategie utili alla sua conservazione che risultino funzionali alla sua valo- rizzazione, con particolare attenzione alle realtà presenti in Toscana. Fra le opere studiate nell ambito di tale progetto, la Caverna dell Antimateria del pittore piemontese Pinot Gallizio ( ) è stata selezionata per una ricostruzione virtuale. La Caverna è un installazioneambiente di grandi dimensioni composta da dieci tele in tecnica mista. Esposta solo per brevi periodi, non ha un installazione fissa. La disposizione delle tele e la percezione originale dell opera sono ancora oggetto di discussione. L applicazione virtuale per il CAVE consente di fruire l opera in maniera naturale e di valutare le ipotesi di allestimento e percezione, stando completamente immersi nella sua rappresentazione tridimensionale. L utente entra dotato di un tablet che gli permette di cambiare dinamicamente la disposizione delle tele e delle luci, il tipo di materiale e il colore delle luci. L interazione con l ambiente virtuale avviene trasponendo fedelmente nello spazio simulato i movimenti naturali del corpo associati all azione del camminare. Ipotesi ricostruttive di manufatti e loro contestualizzazione Nell ambito di una collaborazione con l Università MapPapers - 17 Pag. 21

32 degli Studi di Firenze, sono state utilizzate innovative tecnologie digitali per presentare per la prima volta al pubblico una eccezionale collezione di ceramiche argentate Etrusche sita nei magazzini del Museo Archeologico Nazionale di Firenze. La collezione è composta da reperti di straordinario valore, ma che, a causa del precario stato di conservazione in cui versano a seguito dell alluvione del 1966, non sono fruibili al pubblico e sui quali i tradizionali metodi di restauro non possono essere praticati senza incorrere in operazioni di alto rischio per il manufatto stesso. Sono state impiegate le nuove tecnologie virtuali per ricostruire virtualmente sia la geometria dei manufatti che il rivestimento argentato, determinato dalle analisi chimiche. Il restauro virtuale è stato eseguito partendo da frammenti di ogni singolo reperto ed i manufatti restaurati saranno presentati al pubblico attraverso applicazioni di realtà virtuale. Un operazione simile è stata fatta per la ricostruzione e contestualizzazione storica di alcuni sigilli documentari di età Ellenistica, provenienti dal sito di Hagia Triada. I sigilli, ricostruiti virtualmente, sono stati collocati in un ambiente virtuale storico totalmente ricostruito, in modo da avere informazioni sui reperti in un contesto attinente. Tramite applicazioni interattive 3D che ricostruisco- MapPapers - 17 Pag. 22

33 no il sito di Haghia Triada sotto diversi punti di vista (ambiente interno ed esterno, sigilli documentari), è possibile avere una panoramica completa della storia passata di questo scavo. In primo luogo sono state fatte una serie di scansioni con laser scanner 3D dei sigilli documentari conservati in due musei italiani (Museo Archeologico di Firenze, Museo Pigorini di Roma). Dopo la geometria si è passati alla fase di acquisizione del colore, acquisendo immagini dei manufatti, poi allineate con la geometria. Per la struttura delle stanze ci si è basati direttamente sulle piantine di scavo mentre per soffitti, infissi, porte, e tutte le parti che non erano più presenti si è fatto affidamento su reperti simili nel resto dell edificio. Attraverso il confronto fotografico con le foto reali di scavo è stato possibile definire l aspetto delle pareti e dei pavimenti. Oltre alla struttura, abbiamo ricostruito gli oggetti presenti all interno delle stanze e la loro disposizione. Alcuni elementi, come le tavolette di argilla, sono stati creati utilizzando foto di oggetti reali, per aumentare l accuratezza della ricostruzione. Inoltre, per arricchire la comprensione del contesto, abbiamo ricreato il paesaggio che circonda l esterno dell edificio. Una volta che i modelli 3D sono stati elaborati, si è proceduto a costruire l applicazione interattiva. L esplorazione dell edificio è dinamica: l utente può navigare attraverso le stanze ricostruite e può interagire con gli oggetti semplicemente avvicinandosi, ottenendo informazioni aggiuntive ed immagini relative ai reperti reali. Tavolo virtuale di lavoro La collaborazione con il Museo Nazionale di San Matteo di Pisa riguarda lo sviluppo di vari tipi di applicazioni interattive dedicate all analisi delle opere e al supporto alle attività di restauro. L applicazione dedicata al supporto, la cui interfaccia grafica sarà progettata appositamente per essere impiegata su schermi multi-touch di grandi dimensioni, consentirà al restauratore di analizzare e confrontare fotografie relative alle differenti fasi di restauro di un opera d arte. In particolare, il restauratore potrà manipolare in maniera naturale un insieme di fotografie, affiancarle con precisione e sovrapporle in trasparenza. Avanzate modalità di manipolazione consentiranno inoltre di allineare con precisione i vari contenuti, bloccare la cornice esterna dell opera in modo da poterne ingrandire liberamente il contenuto, sul quale potranno essere facilmente aggiunte annotazioni grafiche e testuali. Sia le opere che le relative annotazioni verranno memorizzate in una apposita base di dati, in modo da mantenere uno storico dell attività di restauro e da poter reperire e modificare tali dati anche da altre applicazioni, correlando dati di natura diversa. L impiego di uno schermo multi-touch di grandi dimensioni e di una innovativa interfaccia grafica appositamente progettata, consentiranno a più utenti di interagire contemporaneamente con il sistema, in maniera naturale ed intuitiva. MapPapers - 17 Pag. 23

34 Conclusioni Tecnologie innovative e beni Culturali sono ormai compagni di lavoro in moltissime delle fasi di ricerca, dalla definizione delle campagne di scavo e la ricostruzione dei siti archeologici, alle analisi ed il restauro di dipinti e manufatti, fino alla gestione dei dati raccolti ed alla loro visualizzazione. DreamsLab si pone come soggetto fortemente attivo in questo processo, offrendo competenze trasversali che ben si coniugano con le componenti umanistiche nelle varie collaborazioni e progetti. L idea di base di questo articolo è stata quella di mostrare, tramite la descrizione di fattive e fruttuose collaborazioni, mostrare come sia possibile unire questi due mondi, progettando soluzioni applicative che si pongono all avanguardia nel panorama della ricerca. La Realtà Virtuale e la visualizzazione 3D permette una fruizione dei dati completamente nuova rispetto al passato, ed, unita alle indicazioni ed alle necessità degli esperti umanistici, sta rivoluzionando il modo di diffondere i risultati della ricerca, sia tra chi lavora nel settore che tra il pubblico, sempre più incline ed abituato all uso di nuove ed interattive tecnologie. Bibliografia Albertini N., Barone V., Legnaioli S., Licari D., Taccola E., Brogni A. 2013, The Agora of Segesta in immersive virtual environments, 6th International Congress Science and Technology for the Safeguard of Cultural Heritage in the Mediterranean Basin, Athens Albertini N., Jasink A.M., Montecchi B. 2013, Digital acquisition and modeling of the Minoan seals and sealings kept in two Italian Museums, CHNT 18, Vienna Licari D., Dionisio G. 2013, Silvered ceramics in the National Archaeological Museum of Florence: virtual technologies in analysis and restoration, CHNT 18, Vienna MapPapers - 17 Pag. 24

35 Il marinaio spiegò le vele al vento, ma il vento non capì. Riportare la divulgazione scientifica in Università. Claudio Benedetti Laboratorio di Cultura Digitale Università di Pisa MapPapers 1-IV, 2014, pp doi: / The mediatic power of technology has lead to a wide diffusion of scientific divulgation. However, over the last 20 years, academic research has lost its leadership in divulgation, as it has been substituted by the press and the television. This led to the realization of enjoyable and easily accessible products which often privilege the impact of the history and the images rather than the contents, in order to be profitable. Innovative channels and editorial possibilities now available allow the research centres, with the aid of multimedia experts, to create effective and independent communication systems. A possible work-flow for the creation of an autonomous system of scientific divulgation, developed by the Laboratorio di Cultura Digitale of the Università di Pisa, will be illustrated. The presented project is adaptable to every single research experience; it starts with a public presentation, followed by the collection of multimedia data with the creation of an archive. All the collected material may be used for divulgation, for peer reviewed scientific communication and may have a commercial application, e.g. in the tourism sector, allowing to attract potential sponsors. La forza mediatica della tecnologia e la necessità di soddisfare ogni possibile interesse umano, contemporaneamente alla quasi scomparsa della televisione generalista, hanno portato alla necessità di trasformare anche la divulgazione scientifica in un prodotto vendibile. Questo ha però comportato un evidente crollo della qualità dei contenuti. La Ricerca ha gradualmente perso autorità nel settore, trovandosi a confrontarsi alla pari con programmi televisivi, fatti sulla base del sensazionalismo. Partendo dalle prime grandi Esposizioni Universali, nate sull ottica dell esaltazione del potere della scienza, passando per Jules Verne e arrivando a Peter Kolosimo, si può osservare come la scienza e il mercato della letteratura fanta-divulgativa si sono sempre incontrati. Ma è solo da quando le masse hanno iniziato ad avere la possibilità di accedere a grandi quantità di informazioni, determinando al contempo la creazione di un importante mercato, che si è assistito ad una produzione industriale di prodotti di divulgazione scientifica. Si può affermare che, sebbene la divulgazione commerciale sia sempre esistita, in precedenza abbia goduto di una diffusione assai minore di oggi. Tuttavia, la ricerca ha perso il primato di divulgatore. Questo è avvenuto principalmente per l impossibilità di reggere il divario dei mezzi e il know how a disposizione, ma anche per non aver rivendicato il posto che le spetta nella divulgazione. Infatti, negli ultimi vent anni, la ricerca universitaria ha delegato la divulgazione a strutture esterne come riviste e televisioni. Questa scelta ha portato alla realizzazione di ottimi prodotti di divulgazione, anche se per quanto riguarda la televisione, va precisato che in Europa la qualità è più elevata nei prodotti delle televisioni pubbliche, piuttosto che in quelle gestite da privati. La gestione imprenditoriale aggressiva dei produttori MapPapers - 17 Pag. 25

36 privati ha puntato sopratutto su prodotti facilmente commerciabili che si propongono più come interpreti della fonte primaria che non come agglomerato di fonti, privilegiando l impatto della storia e delle immagini che la raccontano piuttosto che il valore contenutistico. Il risultato è, ovviamente, un prodotto piacevole per un grande pubblico, godibile e di facile consumo per chi ne usufruisce, ma specialmente è un prodotto riproducibile in serie e conseguentemente redditizio per chi lo produce. Demandare l aspetto della divulgazione è ha fatto sia che questa sia stata sottoposta alle esigenze commerciali, come i tempi televisivi o le restrizioni tecniche dell editoria privata. Ma non solo, ha completamente estromesso la ricerca dai ricavi del mercato della divulgazione, lasciando però gli oneri dei costi di ricerca. Nel 2014 abbiamo a disposizione canali di informazione e possibilità editoriali impensabili anche solo 5 anni fa. Le Università e i centri di ricerca possono ora creare dei sistemi comunicativi autonomi e realmente efficaci, indipendenti dalle necessità del mercato e quindi gestibili seconde le reali esigenze della ricerca. Non è necessario, e in alcuni casi, a seconda dell argomento trattato e del target, nemmeno utile, inserire tutte le ricerche in un sistema autonomo di divulgazione. Ma chi fosse interessato, ha le condizioni per poter creare un proprio sistema. L esperienza accumulata dal Laboratorio di Cultura Digitale dell Università di Pisa, ha permesso di sviluppare un possibile work-flow di lavoro per la creazione di un sistema autonomo di divulgazione scientifica. L idea che si possa divulgare più o meno autonomamente il proprio lavoro non è esente da costi e investimenti e non va intesa come un metodo a costo zero per aumentare la propria visibilità o i propri profitti. È infatti necessario integrare o affiancare una figura specifica alla ricerca, una figura professionale che sappia tradurre la ricerca in un linguaggio comprensibile dagli utenti. Affiancato da un comparto di produzioni multimediali, il gruppo di ricerca può tradurre il proprio lavoro in un prodotto dall immagine concorrenziale ma con il rispetto dei proprio contenuti, riaffermando la propria autorità in questo settore. È interessante notare che diverse università e istituzioni stanno creando canali autonomi di comunicazione, sfruttando piattaforme dedicate 7. Il problema principale è la creazione di format godibili dal pubblico che possano essere diffusi su canali ampiamente frequentati. I primi esperimenti sono stati eseguiti o da singoli pionieri 8 o da collaborazioni tra sponsor tecnici e università 9 ; attualmente un certo grado di autonomia nella divulgazione e la capacità di divulgare iniziano ad essere richieste come capacità lavorativa ed inserite nelle voci del curriculm vitae. La ricerca sulla comunicazione scientifica del Laboratori di Cultura Digitale, ha avuto come focus principale una divulgazione legata alle materie umanistiche, pertanto questa presentazione sarà improntata su questo settore. Il video che viene presentato narra un progetto ideale, poiché non si basa sulla specificità della ricerca ma sull applicazione di metodologie di lavoro. La prima fase di questo procedimento nasce insieme alla ricerca e inizia dall individuazione di un pubblico a cui presentarsi, spiegando di cosa tratta la ricerca mediante la realizzazione di video introduttivi, poster, infografiche o testi facilmente comprensibili, mostrando sin da subito un apertura nei confronti del pubblico. Successivamente sarà necessario raccogliere materiali nel corso del progetto e diffonderli adeguatamente, ovviamente senza rivelare dati sensibili per la ricerca (es. metodologia di lavoro, anche con funzione didattica, presentazioni a convegni...). La raccolta funziona da archivio che però deve essere già pensata in funzione divulgativa. Alla fine del processo tutto il materiale raccolto potrà essere usato sia per la divulgazione che per la comunicazione scientifica peer reviewed tra gruppi di ricerca Inoltre i prodotti divulgativi possono avere un facile risvolto commerciale nel turismo, potendo anche così attrarre potenziali sponsor. Va però sottolineato la fondamentale importanza di adattare questo processo e la sua relativa divulgazione a ogni singola esperienza di ricerca id ; MapPapers - 17 Pag. 26

37 Racconti dalla terra. L archeologia fra linguaggi, creatività e tecnologie. Giuliano De Felice MapPapers 1-IV, 2014, pp doi: / Archaeological storytelling is a complex operation because there are many different ways to do archaeology and many possible languages that can be used to describe them. Nowadays, in archaeological communication the connection with the deep roots of the discipline (the process from analysis to synthesis and from interpretation to reconstruction) often remains unexpressed. New elements such as a conscious use of technology, the accuracy of the contents and the involvement of the public are strongly needed to achieve new forms of archaeological storytelling and trigger new opportunities of development for the entire sector of cultural heritage. But above all it is mandatory for archaeologists to recuperate their right to tell their own stories. «rendere semplice ciò che è complesso, continuo ciò che è lacunoso, completo ciò che è parziale questo è il modo di invogliare il pubblico ad avventurarsi nel mondo antico» (Carandini A. 2012: 25). 1. Raccontare l archeologia è un operazione complessa: esistono infatti tanti modi diversi di fare archeologia, e tanti sono i linguaggi possibili per descriverli. Anche nelle scienze umanistiche, proprio come avviene nel momento in cui si tenta di comunicare i temi di una qualsiasi disciplina scientifica, la principale difficoltà risiede nella necessità di declinare i contenuti secondo modalità che risultino tanto corrette scientificamente quanto accattivanti per un pubblico eterogeneo, quasi sempre distante culturalmente dalle specificità del dominio di conoscenza. Nel caso specifico dell archeologia, questa necessità significa istituire un legame fra la componente scientifica e quella pubblica disegnato sulla disciplina stessa, finalizzato cioè a valorizzare verso il futuro la matrice profonda di quel processo di analisi-sintesiinterpretazione-ricostruzione che è la ragion d essere dell archeologia da sempre. Se è vero che il narratore prende ciò che narra dalla sua esperienza e lo trasforma in esperienza di quanti lo ascoltano, riuscire a trasformare i contenuti scientifici nei protagonisti di una narrazione costituisce una vera e propria sfida, cui è possibile rispondere efficacemente non solo mettendo in campo tecnologie di comunicazione che propongano forme di interazione innovative e dense (dalla visualizzazione alla socializzazione), ma soprattutto rendendo protagonista un idea e i suoi possibili sviluppi, ragionando cioè su soggetto, sceneggiatura, temi e contenuti. Solo così è possibile valorizzare adeguatamente, all altezza delle attese diffuse nel sociale, l enorme potenziale espressivo di una disciplina scientifica moderna come l archeologia: svincolandola dai canoni attualmente dominanti, che preferiscono utilizzare gli stilemi del mistero o della contemplazione; l idea mitica dell antichità che pervade la comunicazione e la divulgazione dei beni culturali, dalle didascalie dei musei alle produzioni televisive, ripropone infatti un idea antiquata del passato, che sembra suggerire come principale forma di interazione ancora e solo la contemplazione. Negli anni recenti l avvento e la definitiva consacrazione delle tecnologie digitali come punto di riferimento indiscusso in tutto ciò che riguarda la comunicazione dei beni culturali ha in molti casi paradossalmente approfondito queste problematiche, proponendo spesso una sorta di neoclassicismo virtuale (De Felice G. 2012), in cui ad esempio la valorizzazione del patrimonio archeologico è identificata tout-court con la sua spettacolarizzazione, che spesso altro non è che una versione tecnicamente evoluta del solito meccanismo di contemplazione, in cui all ammirazione per le ricostruzioni del passato si è facilmente sommata quella per le potenzialità visive delle tecnologie di- MapPapers - 17 Pag. 27

38 gitali, considerata la perfezione formale che oggi la visualizzazione digitale è in grado di realizzare. La non completa interazione fra tecnologie e dominio anche nel campo della comunicazione è una delle conseguenze della lunga stagione positivista dell interazione fra archeologia e informatica. L approccio sostanzialmente technology driven (De Felice G. 2012) da un lato ha imposto una vertiginosa crescita metodologica, ma dall altro non ha saputo integrare e far dialogare le ICT con la radice profonda dell archeologia (De Felice G. 2008; De Felice G., Volpe G., Sibilano M. G. 2008; Valenti M.2009). 2. Un uso più consapevole delle tecnologie è solo uno di una serie di elementi da tenere in considerazione nella ricerca di una metodologia per lo storytelling archeologico, elementi riguardanti lo statuto scientifico della disciplina, il coinvolgimento del pubblico (e non solo), ma soprattutto la capacità di proporre un racconto (Volpe G., De Felice G. 2014). Ogniqualvolta si intraprende la realizzazione di un progetto di comunicazione in archeologia la prima domanda da porsi dovrebbe essere che cosa possiamo raccontare? In questa maniera, da archeologi, possiamo cominciare a riappropriarci delle peculiarità del nostro dominio di conoscenza, e a fare nostra quella sfida di rappresentazione e ricostruzione del grande viaggio dell archeologia nel tempo e nello spazio che costituisce il fine ultimo del nostro lavoro, ma che troppo spesso tendiamo a racchiudere nella sola sfera della ricerca, sottraendolo al resto del mondo. E da questo punto di vista che abbiamo iniziato le attività del Laboratorio di Archeologia Digitale ormai quasi 10 anni fa. Erano gli anni in cui dilagavano il 3D e la ricerca del realismo, e di conseguenza l attenzione era concentrata sulla tecnologia, sulla tecnica, sul virtuosismo grafico che sembrava una risposta efficace e sufficiente a descrivere il tema della ricostruzione del passato e della sua visualizzazione (Barcelò J.A. 2001). Da subito infatti le tecnologie digitali sono state impiegate per le loro capacità evocative, trascurando spesso di accordare i linguaggi e l espressività dei modelli ricostruttivi con le radici dell archeologia, le sue istanze metodologiche, i suoi linguaggi, le sue finalità (Barcelò J.A. 2009). Di conseguenza proprio a causa di questo nesso mancante, il soggetto di ogni ricostruzione virtuale è stato spesso identificato nella visualizzazione del dualismo monumento/ricostruzione. Un dualismo che, da archeologi, ciascuno sa non esistere, dal momento che all unicità dello stato di conservazione attuale (di un sito, non di un monumento) corrispondono, secondo un alternanza al tempo stesso logica ed astratta, numerose fasi di vita e molteplici possibili anastilosi. La nostra decisione allora fu di provare a raccontare questa complessità mettendo in evidenza le sfide dell archeologia, usando come sperimentazione una delle tante archeologie possibili, quella del metodo della stratigrafia (Manacorda D.2008), cercando di rendere visibili e coinvolgenti le sue diverse componenti: l esistenza di una documentazione parziale (lacunosità): nell archeologia stratigrafica esiste una forte cesura fra le tracce residue degli oggetti ed il loro aspetto e funzione originari. Nessun elemento è utilizzabile attraverso un semplice rilievo del suo stato di conservazione, ma richiede un elaborazione ricostruttiva mediata fra attendibilità e istanze di comunicazione che ne restituisca un immagine comprensibile. la possibilità di giungere solo ad ipotesi (astrazione), considerato che la lacunosità della base di conoscenza implica l impossibilità di giungere a risultati certi e di proporli per la fruizione. i molteplici rapporti fra fonti e interpretazione (complessità); diversi tipi di oggetti (stratigrafie di accumulo, negative e murarie, reperti, ecc.) richiedono metodi e tecniche di elaborazione differenti, che rispettino da un lato il valore scientifico e dall altro ne permettano la fruibilità. il tempo come un elemento fortemente caratterizzante (diacronia): la sovrapposizione topografica non è di per sé sinonimo di identità di forma e funzione e la dimensione temporale richiede l elaborazione di una strategia di comunicazione in grado di esprimerla in modo adeguato. procedure di indagine composte da metodi vecchi e nuovi (metodologia di dominio): la quantità e la qualità degli elementi che strutturano il sistema di conoscenza è espressione diretta delle metodologie e delle tecniche impiegate durante le fasi di analisi ed elaborazione, che costituiscono un elemento del sistema stesso. Quando abbiamo realizzato il nostro primo progetto, la TimeMachine (De Felice G. 2012), l intento era esattamente quello di provare a non accettare il dualismo monumento/ricostruzione come scopo del nostro lavoro, e di costruire invece un racconto che rendesse protagonista la natura stessa del lavoro dell archeologo, convinti che in questo modo si potesse interessare il pubblico e trasmettere messaggi corretti e accattivanti. La stessa scelta di utilizzare la tecnologia della realtime animation (che probabilmente oggi non rifaremmo) è stata la risposta alla ricerca del linguaggio più adatto a consentire la fruizione in prima persona di dimensioni fortemente virtuali e immaginarie: le ricostruzioni ovviamente, ma anche lo spazio della documentazione delle piante di strato e di fase, oggetti appartenenti ad una dimensione surreale che non è fruibile se non in uno spazio virtuale (Manacorda D. 2007: 102). In questo modo la tecnologia si riduce ad un veicolo, utile perché in grado di trasportare adeguatamente un messaggio scelto dagli esperti, ma reso comprensibile al pubblico vasto. Nella TimeMachine non c è un operazione di storytelling vera e propria, ma piuttosto un matching fra linguaggi espressivi e tecnologie, finalizzati alla trasmissione di un idea narrativa: la complessità del lavoro dell archeologo sul campo. Una possibile declinazione dell incontro fra tecnologie (di produzione ed erogazione) di linguaggi (espressivi e di dominio) e di creatività. Questa stessa idea-guida è stata alla base di progetti MapPapers - 17 Pag. 28

39 portati avanti negli anni successivi: progetti completamente diversi di comunicazione archeologica ma sempre elaborati con una metodologia partecipata. Una vera co-creazione di contenuti fra i diversi tecnicismi, ovvero una forma di interazione densa e potente fra saperi e competenze, in grado di produrre un flusso di lavoro efficiente ma soprattutto condiviso, da intendersi come il superamento della logica multidisciplinare che spesso prende la forma banale della giustapposizione di saperi. Questa metodologia di co-creazione ci ha portato in anni più recenti a raccontare il difficile museo di Palazzo Branciforte a Palermo (Volpe G., Spatafora F. 2012), pieno di reperti apparentemente muti, operando delle scelte coraggiose in termini di stile, di immediatezza d uso, di linguaggi semplici e a volte ironici (De Felice G. 2013a). Recentemente questa metodologia ha trovato la sua sistematizzazione confluendo nella realizzazione del progetto Living Heritage, primo LivingLab per le ICT applicate alla narrazione dei Beni Culturali (De Felice G. 2013b; De Felice G., Santacesaria V. 2013), finanziato con un recente bando promosso dalla Regione Puglia ( in cui stiamo collaborando con una rete di imprese per la realizzazione di un progetto pilota, il cui fine ultimo è la realizzazione di una NewCo. che possa ereditare le competenze di quanti hanno lavorato con il Laboratorio e trasformarle in un idea di business. Ci ha stupito non poco vedere che quanto avevamo creato, un laboratorio in cui l energia creativa fosse generata da un continuo flusso di creatività e da diverse competenze, somigliava ad una metodologia già applicata da anni ad ampi settori del design industriale. 3. Se le attività sviluppate in questi anni in Laboratorio ci hanno portato a sviluppare alcuni dei temi possibili che ruotano intorno alla questione centrale del nostro discorso (come fare storytelling in archeologia?) alla fine di questo ragionamento rimane però ancora aperto un interrogativo importante: perché lo storytelling in archeologia? Introdurre i concetti di conoscenza, linguaggi e creatività nel campo della valorizzazione dell archeologia costituisce un imperativo di estrema importanza per una svariata serie di motivi. Innanzitutto rinnovare la comunicazione dando importanza alle storie vuol dire contribuire a rinnovare in toto il modo di fare archeologia che oggi è tutto orientato alla ricerca e collegare le vigenti teorie di complessità e globalità con la funzione sociale verso il grande pubblico. Perché dovrebbe essere considerato un problema non secondario che se da un lato il dibattito scientifico-metodologico oscilla fra diverse prospettive per la definizione dell archeologia del MapPapers - 17 Pag. 29

40 futuro fra globale (Mannoni T. 1997, Manacorda D e 2008), globale dei paesaggi (Volpe G. 2008), della complessità (Brogiolo G. P. 2007), quello che arriva al grande pubblico è ancora sostanzialmente un messaggio di tipo antiquario che segue approcci superati a dir poco da decenni nell ambito della ricerca. L archeologia ha imparato molto dalle hard sciences e dalle scienze naturali. Ma uno dei tasselli mancanti per la definizione di archeologia come disciplina pienamente scientifica rimane una moderna componente divulgativa che la porti al livello di altre discipline (altrettanto e forse più complesse) in cui la tradizione della comunicazione con il vasto pubblico è impostata su basi molto più moderne e mature. Immaginare una nuova modalità di valorizzazione dei beni culturali attraverso il racconto significa necessariamente anche rinnovare la formazione universitaria, secondo criteri diversi dalla proliferazione di corsi e presunte specializzazioni, ma inserendo la comunicazione e le sue tecniche (e non le tecnologie come si fa ora) nei corsi di laurea e specializzazione come parte integrante di percorsi di formazione che siano da subito profondamente professionalizzanti. Non è più il caso di farsi illudere dalla possibilità di creare figure di archeoinformatici o altre figure tecniche di cui ormai è provata l inutilità sul mercato del lavoro. Costruire nuove modalità di valorizzazione vuol dire infine anche e soprattutto poter utilizzare diverse professionalità già esistenti e realizzare nuove possibilità immediate di sviluppo ed occupazione. Non possiamo infatti certo aspettare una nuova riforma che ci porterebbe a dover aspettare altri dieci anni per vedere i primi effetti: di questo passo fra dieci anni l archeologia italiana sarà sparita, e non parlo di muri crollati e affreschi rubati, ma del dissolvimento di una intera generazione di archeologi. Io sono personalmente convinto che, al di là di un legittimo riconoscimento professionale, il settore della comunicazione possa offrire agli archeologi la possibilità di impiegare le proprie competenze, ad esempio mettendoli nella condizione di partecipare attivamente alla co-creazione e della co-progettazione dei prodotti di comunicazione superando il ruolo di cercatori di fonti e di dati, o di redattori di contenuti. Basterebbe potenziare il ruolo degli archeologi nei bandi di valorizzazione per trasformare tanti professionisti sottoimpiegati in ingranaggi strategici di un meccanismo inedito che sappia immaginare forme di interazione fra patrimonio e pubblico che non anche se, ma piuttosto proprio perché consapevoli e rispettose della dimensione scientifica, risultino dinamiche, coinvolgenti e moderne. Bibliografia Barcelò J.A. 2001, Virtual reality for archaeological explanation. Beyond picturesque reconstruction in Archeologia e Calcolatori 12, 2001, pp Barcelò J.A. 2009, Computational Intelligence in Archaeology, Hershey. Brogiolo G.P. 2007, Dall Archeologia dell architettura all Archeologia della complessità, in Pyrenae 38, 1, pp Carandini A. 2012, Il nuovo dell Italia è nel passato, Roma-Bari. De Felice G. 2008, Il progetto Itinera. Ricerca e comunicazione attraverso nuovi metodi di documentazione archeologica, in atti del workshop digitalizzare la pesantezza - l informatica e il metodo della stratigrafia (Foggia 2008), Bari, pp De Felice G. 2012, Una macchina del tempo per l archeologia. Metodologie e tecnologie per la ricerca e la fruizione virtuale del sito di Faragola, Bari. De Felice G. 2013a, Il nuovo allestimento della collezione archeologica della fondazione Sicilia fra tecnologie e creatività, in Archeologia e Calcolatori 24, 2013, pp De Felice G. 2013b, Living Heritage A living lab for digital content production focused on cultural heritage, in DigitalHeritage Proceedings of the 1st International Congress on Digital Heritage (Marseille, France, 28 Oct. 1 Nov. 2013), pp De Felice G., Santacesaria V. 2013, A living lab for digital content production focused on cultural heritage, in Marchegiani L. (ed.), Proceedings of the International Conference on Sustainable Cultural Heritage Management, Societies, Institutions and Networks, Roma, pp De Felice G., Volpe G., Sibilano M.G.2008, Ripensare la documentazione archeologica: nuovi percorsi per la ricerca e la comunicazione, in Archeologia e calcolatori 19, 2008, pp Manacorda D. 2004, Prima lezione di archeologia, Roma-Bari. Manacorda D. 2007, Il sito archeologico: fra ricerca e valorizzazione, Roma. Manacorda D. 2008, Lezioni di archeologia, Roma-Bari. Mannoni T. 1997, Archeologia globale e archeologia postmedievale, in Archeologia Postmedievale 1, pp Valenti M. 2009, Una via archeologica all informatica (non una via informatica all archeologia), in Fronza V., Nardini A., Valenti M. (eds.), Informatica e archeologia medievale. L esperienza senese, Firenze, pp Volpe G. 2008, Per una archeologia globale dei paesaggi della Daunia. Tra archeologia, metodologia e politica dei beni culturali, in Volpe G., Strazzulla m.j., Leone D. (eds), Storia e archeologia della Daunia, in ricordo di Marina Mazzei, Atti delle giornate di studio (Foggia 2005), Bari, pp Volpe G., Spatafora F. (eds.) 2012, La collezione archeologica della Fondazione Banco di Sicilia a Palazzo Branciforte, Milano. Volpe G., De Felice G. 2014, Comunicazione e progetto culturale, archeologia e società, in European Journal of Post-Classical Archaeologies 4, 2014, pp MapPapers - 17 Pag. 30

41 Wiki Loves Monuments e Archeowiki, due modi diversi per raccontare e fare conoscere il nostro patrimonio culturale Emma Tracanella MapPapers 1-IV, 2014, pp doi: / In 2008 the American Alliance of Museums has identified a process known as Creative Renaissance activated by technological tools and other online tools for the promotion of cultural contents that are reshaping the centrality of the human in the process of education and narrative. According to a longitudinal analysis conducted by Wikimedia Italy, among the immense resources that Wikipedia provides, there is a lack of content about archeology. This is due both to technical difficulties and to the lack of information on the topic. In addition, we have seen how the presence of pictures and photographs is a valuable stimulus for better utilization of assets. In this context, Wikimedia Italy has promoted two projects: Wiki Loves Monuments, a photo contest dedicated to the monuments that invites all citizens to document their cultural heritage throught their photos, in full respect of copyright and Italian law and Archeowiki, a project to promote the lesser-known archeological heritage. Introduzione Per avvicinare le persone alla cultura oggi si possono e si devono utilizzare tutti i mezzi più avanzati e di largo utilizzo, quali Wikipedia e i social network. Internet infatti costituisce il più potente ed economico mezzo di comunicazione e divulgazione a disposizione delle Istituzioni culturali per presentare al pubblico le proprie attività e Wikipedia è forse il progetto che meglio incarna la libertà d informazione e di libera circolazione di contenuti culturali. Nonostante alcune opinione contrarie (Lovink, Metitieri, Lanier), che affermano che l accesso libero porti ad un distaccamento dall opera d arte, nel 2008 l America Alliance of Museums ha identificato un processo noto come Rinascimento Creativo attivato dagli strumenti tecnologici ed altri strumenti online per la promozione dei contenuti culturali che stanno ridisegnando la centralità umana nei processi di istruzione e narrativi. Secondo un analisi longitudinale condotta da Wikimedia Italia, tra le immense risorse che Wikipedia mette a disposizione vi è una carenza di contenuti riguardanti l archeologia, dovuta sia al limitato numero di addetti ai lavori che siano informaticamente preparati ad arricchire il sito, sia alla difficoltà di trovare informazioni sull argomento, specie se si tratta di realtà meno conosciute. Inoltre si è visto come la presenza di immagini e di fotografie sia un valido stimolo per una migliore valorizzazione dei beni. Certamente l archeologia è una forma d arte meno presente e meno frequentata perché è soggetta ad un processo di fruizione e interpretazione più complesso rispetto ad altre forme e dimensioni artistiche più immediate. L archeologia infatti richiede un certo bagaglio di nozioni e conoscenza per essere contestualizzata ed apprezzata. In questo contesto Wikimedia Italia si è fatta promotrice di due progetti: Wiki Loves Monuments, un concorso fotografico dedicato ai monumenti che invita tutti i cittadini a documentare la propria eredità culturale realizzando fotografie con licenza libera, nel pieno rispetto del diritto d autore e della legislazione italiana e Archeowiki, un progetto per raccontare e fare conoscere il patrimonio archeologico meno noto. MapPapers - 17 Pag. 31

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43 Perché Wikipedia? Wikipedia è un mezzo molto utilizzato da tutti, è infatti il sesto sito più visitato al mondo, e è popolare specialmente tra i ragazzi e i giovani in cerca di informazioni. Come dimostrato da diverse statistiche la fascia d età fino a 34 anni è sovrarappresentata rispetto alla media dei siti internet così come le pagine viste da computer situati a scuola: infatti il 25% degli utenti di Wikipedia ha meno di 18 anni, percentuali che salgono rispettivamente al 50% e 75% per le fasce d età fino a 22 anni e fino a 30 anni [1]. I progetti che riescono a sfruttare al meglio le potenzialità offerte dalla più grande enciclopedia si possono quindi rivelare vincenti per fare avvicinare il grande pubblico e i giovani al nostro patrimonio culturale. Proprio per questo motivo, Wikimedia Italia l associazione di promozione sociale finalizzata alla diffusione della conoscenza libera che è attiva dal 2005 nell ambito dell Open Culture in qualità di corrispondente italiana ufficiale di Wikimedia Foundation, e che persegue esclusivamente obiettivi di solidarietà sociale nel campo della promozione culturale, si è prefissa come scopo principale quello di contribuire attivamente alla diffusione, al miglioramento e all avanzamento del sapere e della cultura attraverso la produzione, la raccolta e la divulgazione gratuita di contenuti che incentivino le possibilità di accesso alla conoscenza e alla formazione. L associazione sostiene nel nostro Paese sia Wikipedia sia i progetti Wikimedia, tra i quali si annovera questo contest dedicato ai monumenti che invita tutti i cittadini a documentare la propria eredità culturale realizzando fotografie con licenza libera, nel pieno rispetto del diritto d autore e della legislazione italiana in merito. Wiki Loves Monuments Wiki Love Monuments ( è un concorso fotografico internazionale per documentare, valorizzare e proteggere il patrimonio culturale italiano. Con il termine monumento s intende, adottando la definizione dell UNESCO, un insieme molto ampio di opere: edifici, sculture, siti archeologici, strutture architettoniche, siti naturali e interventi dell uomo sulla natura che hanno grande valore dal punto di vista artistico, storico, estetico, etnografico e scientifico. Gli obiettivi di Wiki Loves Monuments sono: 1. valorizzare e documentare l immenso patrimonio culturale del Belpaese sul Web, promuovendo la sua ricchezza artistico-culturale presso una vasta platea internazionale, 2. invitare tutti i cittadini a documentare la propria eredità culturale, realizzando fotografie con licenza libera, nel pieno rispetto del diritto d autore e della legislazione italiana, 3. aumentare la consapevolezza della necessità di tutela dei monumenti, preservandone la memoria. L edizione italiana del concorso Wiki Loves Monuments deve attenersi a un vincolo importante dettato dal Codice Urbani (ovvero il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio stilato da Giuliano Urbani, Ministro per i Beni e le Attività Culturali dal 21 giugno 2001 al 23 aprile 2005), secondo il quale per poter fotografare un qualsiasi monumento italiano e pubblicarne l immagine, occorre ottenere l autorizzazione da parte del legittimo proprietario, sia esso ente statale o meno, qualora lo scopo dello scatto non sia personale o di studio [2]. E quindi per pubblicare le foto dei monumenti italiani su una qualsiasi delle 280 edizioni di Wikipedia e rilasciarle con una licenza Creative Commons, CC-BY- SA 3.0, e farle partecipare al nostro concorso è stato necessario contattatare 8100 comuni, 20 regioni, 110 province, oltre a privati e enti. Il primo concorso italiano, che ha avuto come main partner Eni, si è svolto nel 2012: la lista dei monumenti fotografabili era composta da 936 beni, sono state caricate quasi fotografie da 803 partecipanti. L Italia si è classificata al 13 posto per numero di immagini caricate. Due delle foto vincitrici del concorso italiano si sono anche ottimamente classificate nel concorso internazionale, giungendo al 5 e al 15 posto. Il nostro sito è stato visitato nel 2012 da quasi mezzo milione di visitatori unici e abbiamo raccolto più di 450 articoli o citazioni di blogger. Wiki Love Monuments 2012 è stato proclamato il concorso fotografico più grande dal Guinnes dei Primati. La quarta edizione del concorso internazionale e la seconda edizione del concorso italiano si sono svolte nel 2013 e hanno avuto una vastissima eco internazionale: hanno partecipato 52 nazioni, le immagini sono state quasi , caricate da persone. Per quel che riguarda il concorso italiano, i partecipanti sono stati 527 e hanno caricato fotografie per illustrare i monumenti he hanno partecipato all edizione C è stata anche una grande partecipazione da parte delle istituzioni: oltre a 15 patrocini, abbiamo avuto 6 partner di progetto e 222 adesioni da parte di enti pubblici, istituzioni e privati. Archeowiki 10 Archeowiki ( è un progetto nato per stimolare la partecipazione delle persone comuni alla costruzione della cultura e per aumentare il numero di visitatori nei musei. In base ai bisogni rilevati nel contesto d azione, il progetto si pone quindi i seguenti macro obiettivi: 1. Avvicinare alla cultura e alle realtà museali legate al mondo dell archeologia nuove fasce di pubblico con particolare riferimento agli studenti delle scuole 10. Questa sezione è derivata da una presentazione realizzata da Anna Antonini e Sara Chiesa alla conferenza Museums and the Web 2014 ( a Firenze il 19 febbraio Un articolo dal titolo Archeowiki: when open source strategies incentive visitors presence in museum. A project for the enhancement of archaeological heritage in Lombardia. è in preparazione da parte di Anna Antonini, Dante Bartoli, Sara Chiesa, Cristian Consonni, Rossella Di Marco, Sara Franco e Carolina Orsini. MapPapers - 17 Pag. 33

44 medie inferiori e superiori, agli anziani e ai disabili. 2. Promuovere l affluenza di nuovo pubblico alle istituzioni culturali pubbliche e private del territorio Lombardo. 3. Moltiplicare le informazioni relative al patrimonio e il numero di utenti raggiunti mediante la condivisione dei saperi tra gli utenti di Wikipedia. 4. Pubblicazione su Wikipedia delle risorse archeologiche relative alle collezioni degli enti beneficiari del progetto. 5. Formare personale volontario in grado di implementare le voci e i materiali di Wikipedia in ambito archeologico. 6. Sperimentare, dimostrare e comunicare la facilità con cui si possono diffondere e condividere i contenuti culturali attraverso Wikipedia. In particolare, Archeowiki coinvolge sei istituzioni museali della Lombardia ed organizzato da Wikimedia Italia in collaborazione con altre associazioni attive in campo archeologico, culturale e sociale. I partner di progetto sono: Wikimedia Italia Associazione MiMondo Associazione per la promozione delle culture materiali e immateriali del mondo Gruppo Archeologico Ambrosiano (G.A.Am.) Raccolte Extraeuropee del Castello Sforzesco Fondazione Passaré Il progetto è stato reso posisibile grazie ad un co-finanziamento di Fondazione Cariplo. Le sei istituzioni beneficiare delle azioni di Archeowiki sono le seguenti: Raccolte Extraeuropee del Castello Sforzesco di Milano; Civico Museo Archeologico di Varese; Fondazione Passaré di Milano; Civico Museo Goffredo Bellini di Asola; Museo Archeologico G. Rambotti di Desenzano; Civico Museo Archeologico di Castelleone Il progetto ha permesso la digitalizzazione di circa 1000 immagini e documenti appartenenti alle istituzioni museali beneficiarie, che sono state condivise con una licenza libera su Wikimedia Commons, il repository digitale dei progetti Wikimedia, e utilizzate su Wikipedia. Una delle azioni del progetto è la realizzazione di Wikigite ( che consistono di tour guidati attraverso le collezioni archeologiche dei musei beneficiari, in particolare esistono due forme rivolte a pubblici specifici: Wikigita va scuola : si rivolge a studenti delle scuole secondarie Lombarde, ai quali viene offerta una attività che consta di tre momenti: un corso iniziale (2 h) di formazione sulle collezioni archeologiche che saranno visitate durante la gita da parte di un esperto ed una introduzione a Wikipedia da parte di un contributore esperto di Wikipedia, in un secondo momento viene svolta la visita di istruzione presso il museo selezionato (5 h) e infine gli studenti, facendo uso del laboratorio informatico, possono partecipare alla scrittura di Wikipedia (2 h). Wikigita viene a te : Wikigita viene a te è una modalità di Wikigita che si rivolge a un pubblico debole (persone cieche ed ipovendenti, anziani) per cui gli esperti archeologi e Wikipediano fanno lezione sul posto portando anche materiali (copie delle opere realizzate tramite scansioni tridimensionali). Le attività di archoewiki hanno ricevuto il supporto della Soprintendenza Archeologica della Lombardia. Riferimenti [1] Infografica preparata dal Children Museum di Indianapolis - commons/4/48/glam-wiki_infographic.png [2] Brioschi F. Chi mi aiuta a liberare i monumenti italiani per fare una foto wiki? MapPapers - 17 Pag. 34

45 Gamification in Archeologia - Attrarre ed ingaggiare i visitatori Fabio Viola MapPapers 1-IV, 2014, pp.35 doi: / Le trasformazioni sociali, demografiche e tecnologiche intervenute nell ultimo decennio hanno radicalmente rivoluzionato il modo di attrarre, ingaggiare e fidelizzare il consumatore. I nati dopo il 1980 (Generazione Y), presentano forti distacchi nei modi e comportamenti rispetto ai padri ed i nonni e si aspettano nella vita reale quell interazione che provano quotidianamente all interno dei videogiochi. L industria video-ludica, in soli 40 anni di vita è riuscita a diventare la forma primaria di intrattenimento superando, per fatturato e tempo medio speso, colossi storici come editoria, musica e cinema. La domanda cruciale è perchè i giochi riescono a essere così straordinariamente divertenti ed instaurare un dia- logo laddove altri media falliscono? La risposta che cercheremo di dare si baserà sul modo attraverso il quale i giochi vengono disegnati, essi sono prodotti scientificamente studiati per generare stati d animo e comportamenti facendo leva su set di meccaniche e dinamiche. Su questo grande patrimonio di tecniche di engagement si basa il concetto di Gamification, disciplina sempre più utilizzata da aziende ed enti pubblici per raggiungere obiettivi concreti ed entrare in sintonia col bacino tecnologicamente più avanzato della propria utenza. Attraverso alcuni esempi capiremo come è possibile estendere al mondo dell archeologia questo nuovo paradigma. MapPapers - 17 Pag. 35

46 [1] #500NO II Video Contest Associazione Nazionale Archeologi [2] Motel of the Mysteries (Mis) understanding Archaeology Associazione VOLO MapPapers 1-IV, 2014, pp doi: / Il video che presentiamo racconta un evento assai singolare, quasi un unicum storico: la manifestazione di tutti i professionisti dei Beni Culturali tenutasi sabato 11 gennaio 2014 a Roma, nella piazza del Pantheon. Per la prima volta, infatti, l universo frastagliato dei professionisti del patrimonio è stato capace di formare un ampia coalizione e di scendere in piazza per reclamare i propri diritti. Il casus belli è stato il varo nell agosto 2013 del decreto Valore Cultura (col quale l allora Presidente del Consiglio Enrico Letta aveva annunciato con grande enfasi la volontà del Governo di creare nuovi posti di lavoro in ambito culturale) cui fece seguito nel dicembre successivo il bando 500 giovani per la Cultura, promulgato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Tale bando prevedeva l istituzione di uno stage formativo di 12 mesi presso istituti, siti e musei statali per 500 laureati under 35 e con un compenso lordo annuo di 5000, misura ritenuta iniqua dai professionisti. A seguito delle prime proteste il bando venne in parte modificato per eliminare alcuni profili di più chiara illegittimità, tuttavia la sua stessa impostazione, paternalista e assistenzialista, rischia di penalizzare la tutela del nostro patrimonio e l'occupazione nel settore: ai professionisti appare tuttora irragionevole la scelta di impiegare due milioni e mezzo di euro per promuovere un'iniziativa di formazione anziché stimolare buona occupazione presso tutti i soggetti pubblici e privati detentori di beni culturali. Perché non può esserci piena tutela se non si valorizzano le competenze e la professionalità degli specialisti. Abbiamo cercato di raccontare non tanto l archeologia quanto gli archeologi in lotta assieme a restauratori, storici dell arte, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, conservatori scientifici. Un unione nata attraverso la rete ed i social network e approdata in piazza, una nuova dimensione nei rapporti tra i professionisti della cultura finora separati. Il presente video trae spunto dal romanzo Motel of the Mysteries, pubblicato nel 1979 da David Macaulay. La storia prende avvio da un gruppo di archeologi che in un lontano futuro si trovano a riscoprire e scavare i resti di un motel del XX secolo, giungendo poi a sorprendenti conclusioni su ipotetici rituali cerimoniali praticati in quest antica struttura. La satira di Macaulay offre, dunque, l opportunità di esplorare le sfide e i limiti della ricerca archeologica. La scelta di trasporre sullo schermo quest opera, di per sé di grande impatto, è dettata dall intento di raccontare l archeologia come un processo di scoperta e ricostruzione della realtà attraverso l interpretazione di dati. Motel of the Mysteries, utilizzato nella didattica e nei programmi di outreach anglosassone già da parecchio tempo per spiegare e raccontare il mestiere dell archeologo, offre una versione umoristica, a tratti dissacrante, dell interpretazione archeologica. In tal senso si è cercato di problematizzare la questione dell interpretazione di un contesto archeologico, non sempre chiaro o di immediata comprensione; i dati che si ricavano dall indagine e dall attività di scavo non sempre consentono una ricostruzione fedele di ciò che era reale e all archeologo non rimane che immaginare i possibili contesti originari, giungendo spesso a conclusioni errate o fuorvianti. Lo scopo dell archeologo è di interpretare i dati ed i contesti e solo attraverso la condivisione di tutte le informazioni in un sistema libero e aperto si può arrivare ad un interpretazione il più possibile realistica, evitando errori spesso dettati dall ingenuità, dalla complicata presentazione dei contesti e dalla parziale disponibilità dei dati. Gli oggetti e i dati rischiano di raccontare solo una minima parte della storia se interpretati al di fuori del proprio contesto, come mostrato nel finale del nostro video. Per delinearne la trama e a volte intuirne il finale occorre ascoltare tutti i protagonisti: oggetti, contesti, dati e condividere le informazioni. Symbols do not reflect but they play an active part in forming and giving meaning to social behaviour (Hodder I.1982, Symbols in Action. Ethnoarchaeological Studies of material Culture, Boston.). MapPapers - 17 Pag. 36

47 [3] La Valle dei Piccoli: Archeologia ad Akragas Laura Danile, Maria Concetta Parello, Maria Serena Rizzo [4] Le relazioni pericolose Giuliano De Felice, Francesco Ripanti Il video illustra i punti salienti del progetto La Valle dei templi dei Piccoli, nato al Parco Archeologico Valle dei Templi di Agrigento nel 2013, con lo scopo di coinvolgere i bambini in attività ludico-culturali. Attraverso le immagini scelte abbiamo voluto raccontare il lavoro dell archeologo, faticoso ma affascinante, che permette di portare in luce tracce di civiltà ormai sepolte e di viaggiare nel tempo alla scoperta di un passato lontano. Il nostro viaggio ci riporta a 2500 anni fa, quando Akragas era così ricca e potente da poter essere definita la più bella città dei mortali. L immaginazione, unita alle testimonianze archeologiche e letterarie, permette di ricostruire l aspetto della colonia greca ornata da numerosi templi policromi. Il più grande era dedicato a Zeus, padre di tutti gli dei, e ornato da statue colossali di giganti che si potevano ammirare allineate lungo il perimetro dell edificio. I giganti di pietra ricordavano la vittoria di Zeus sui telamoni che avevano osato sfidarlo e celebravano la vittoria degli Akragantini ad Himera contro un nemico considerato invincibile: i cartaginesi. In città erano molto venerate anche Demetra e Kore; al loro altare circolare le donne portavano numerose offerte, come maialini e prodotti dei campi, per ingraziarsi le dee che regolavano il ciclo delle stagioni e i raccolti. Gli akragantini indossavano abiti molto diversi dai nostri, come mostrano le immagini sui vasi figurati che tornano in luce nel corso degli scavi. Se l archeologo è in grado di decifrare gli indizi nella maniera corretta, i rinvenimenti diventano oggetti parlanti, che raccontano storie sulla vita quotidiana dell epoca, i riti, gli dei e ci aiutano a conoscere meglio la storia greca. Questi vasi di terracotta, creati nei laboratori degli infaticabili ceramisti e decorati da abilissimi ceramografi, ancora oggi sono degli autentici capolavori. Akragas era circondata da possenti mura, costruite per difendere la città dagli attacchi dei nemici. Tuttavia, quando nel 406 i Cartaginesi riuscirono a entrare, nonostante lo sforzo dei valorosi guerrieri, della città rimase soltanto un cumulo di rovine. Akragas non tornerà mai più al suo antico splendore. Oggi, grazie al lavoro degli archeologi, tornano in luce le testimonianze della storia della città che abbiamo voluto raccontarvi. Il video, tratto dall'omonimo blog post su Passato e Futuro ( le-relazioni-pericolose.html), racconta in modo autoironico come sia facile per gli archeologi arrivare ad interpretazioni fuorvianti. In questo caso due archeologi, procedendo alla pulizia di un muro maldestramente, portano la responsabile di scavo sulla strada sbagliata. Di solito le parole di un'archeologa esperta non si mettono in discussione e, alla fine, anche loro sembrano essere convinti della sua spiegazione. O almeno così preferiscono pensare. MapPapers -17 Pag. 37

48 [5] Tourdion In Vino Veritas Musici [6] A Roma con i Bentvueghels The Walking media Eʼ quasi il vespero del due di gennaio di un freddo inverno. Nei giorni scorsi è caduta molta neve e giù da me ho finito tutto quello che avevo da mangiare. Ho camminato da stamattina attraverso le colline del sole senza incontrare anima viva. Sono molto stanco e infreddolito e mi si torcono le budelle dalla fame. Sento che la fine è vicina. Ecco il castello Malaspina, forse qui trovo qualcuno o qualcosa di caldo da desinare. Mah...che diavolo è questo frastuono, questo rumore? Viene da giù, dietro quella porta, mi avvicino, nessuna sentinella. TOC.. non mi sentono dannazione. TOC! TOC! Aprite là dentro mi sentite? Per Dio! Aprite! Chi é? Sono un povero pellegrino, per favore datemi qualcosa da mangiare. Sto per morire. SKREK! NO! PILADE? SEI PROPRIO TU? Allora non sei morto nelle Bretagne! Ma cosa ci fai allo castello del Fosdinovo? E chi son codesti figuri che spernacchiano? Son amici tui? Ah caro messere! Fatti abbracciare! Sapessi sapessi qual viaggi ho compiuto e quali prodigi ho visto con questi occhi! ma vieni! Vieni allo desco prendi della salama. Hai sentito? Dico hai sentito che note celestiali? Questa caro è la MUSICA! Questi maestri son di codeste parti, della Lunigiana, si fan chiamare In Vino Veritas, vanno di corte in corte, di paese in borgo, di vicolo in piazza per allietare li animi e ristorare gli spiriti con le loro dolci note. Bevi un gotto, siedi caro amico. Essi sono in codesti giorni al castello e lʼonnipotente ha voluto che io tornassi proprio iersera dalli miei viaggi a settentrione e li trovassi già qui a sonar e far baldoria. Che spasso! Unisciti, unisciti a noi a cantare e sonare PER BACCO! Il lavoro che vi presentiamo nasce come prodotto di gruppo per il corso di Mediologia all Università La Sapienza di Roma. Lo scopo era dare vita ad un progetto di promozione turistica di un area di Roma meno visitata rispetto al celebre Municipio I, che racchiude le maggiori attrazioni. La prima fase del lavoro, a seguito della decisione di dedicarci all area del secondo municipio, è stata la selezione di sette PoI (Points of Interest), che sarebbero dovuti essere illustrati brevemente e collegati da una storyline accattivante. Vi era completa libertà sulla scelta del tema e la nostra è ricaduta sull ambientazione storica della Roma seicentesca, nella quale un gruppo di artisti ci avrebbe fatto da guida: i Bentvueghels. La scoperta del gruppo è avvenuta mentre raccoglievamo informazioni riguardo la Chiesa di S. Costanza, nella quale gli artisti che ne facevano parte erano soliti tenere riti di iniziazione per i nuovi membri a base di vino e usanze bacchiche. Lo spettatore ha il ruolo di un aspirante membro del gruppo che viene accolto da Michelangelo Cerquozzi, il quale lo guiderà per diversi luoghi celebri dell area del Municipio II (in questa versione solo tre), alla conoscenza di Roma e di altri membri dell organizzazione, fino a giungere alla famosa chiesa, dove si concluderà il tour e avrà luogo l iniziazione. La narrazione avviene grazie all uso di dipinti degli stessi autori alternati a immagini moderne, mentre i personaggi, che appaiono come sagome agli angoli dello schermo, illustrano i luoghi in questione. Infine la voce del narratore integra la storia dei monumenti con gli eventi che li hanno riguardati dal 1700 al presente. Il video, montato con Sony Vegas, è stato riassunto in tre minuti cercando di mantenere il più possibile intatta parte della storyline originale. Partecipanti: Riccardo Sonnino, Davide Spinogatti, Esmeralda Grispigni, Alice Maniscalco, Silvia Austini, Michela Mariani, Hane Hajavi, Farideh Ghorbani MapPapers - 17 Pag. 38

49 MapPapers 1-IV, 2014, pp doi: / Comunicare l archeologia Maria Letizia Gualandi As the take up of new media and convergence increases, the world of communication is changing substantially. In this rapidly changing environment, it becomes necessary to reassess the role that media and information and communication technologies can play in engaging the public with archaeology, if, as archaeologists, we wish to communicate effectively. Keywords: archaeological communication, archaeology and new media Avendo gli uomini come oggetto di studio, come potremmo non avere la sensazione di compiere solo a metà il nostro compito, se gli uomini non riescono a comprenderci? Marc Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico, [1949], trad. it. Einaudi, Torino, 1998, p. 67. Il patrimonio culturale è un bene comune, come sancisce l art. 9 della Costituzione, non appartiene né agli studiosi, né ai funzionari preposti alla tutela; è «un dato essenziale dell essere italiani che, come i gesti e la lingua, si trasmette e si radica senza che ce ne accorgiamo», come da tempo non si stanca di ripeterci Salvatore Settis. Quei ruderi che fanno capolino lungo le vie e nelle piazze delle nostre città e campagne (figg. 1, 2), davanti ai quali passiamo ogni giorno, spesso ignorandone l esistenza, talvolta invece maledicendone l esistenza, perché tolgono spazio ai parcheggi, ci costringono a complicate gimkane, condizionano scelte urbanistiche e ambientali che incidono anche pesantemente su interessi pubblici e privati, raccontano frammenti di storie che appartengono a noi tutti e hanno contribuito nel tempo a creare la nostra identità culturale. Far conoscere quelle storie, farle diventare parte integrante di un patrimonio condiviso di valori e significati è un elemento importante per la crescita culturale della collettività: nei primi anni Settanta del secolo scorso Ranuccio Bianchi Bandinelli scriveva che «l essere tagliati fuori, esclusi dalla possibilità di comprendere certi valori culturali» è per le fasce più basse della società «un ingiustizia e una sofferenza non minore di quella dovuta alla diseguaglianza economica e sociale» (Bianchi Bandinelli, 1974, p. 23). E del resto la Convenzione quadro del Consiglio d Europa sul valore del patrimonio culturale per la società (nota come Convenzione di Faro) 36 muove proprio dall idea che la conoscenza e l uso dell eredità culturale rientrano fra i diritti dei cittadini a prendere parte alla vita della propria comunità, sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell uomo di Parigi del 1948 e successivamente ribaditi dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, stipulato anch esso a Parigi nel Tra gli obiettivi della Convenzione di Faro vi è pertanto la promozione di un processo di valorizzazione partecipativo e condiviso, fondato sulla sinergia fra istituzioni, privati e associazioni, poiché il ruolo del patrimonio culturale è considerato fondamentale per costruire una società pacifica e democratica, per favorire uno sviluppo sostenibile che porti benessere e qualità della vita, per promuovere e valorizzare le diversità culturali tra i popoli. Oltre a ciò, è ormai opinione comune che senza conoscenza non può svilupparsi quella percezione diffusa del valore del patrimonio culturale che costituisce l imprescindibile premessa per un attività di tutela che sia realmente efficace. E senza tutela non vi può essere una valorizzazione che non tenda inevitabilmente a scadere in una mercificazione selvaggia e volgare del patrimonio culturale (Volpe 2013, p.57). Da tutto ciò consegue che «il problema della comunicazione, della trasmissione delle informazioni, dei racconti che gli oggetti tutelati possono consentire, dovrebbe rivestire un carattere di urgenza e di importanza pari a quello della tutela medesima, perché di essa (e forse non solo agli occhi dell opinione pubblica) finisce per essere condizione e giustificazione» La convenzione (STCE n 199) è nota come Convenzione di Faro, dal nome della città portoghese dove il 27 ottobre 2005 si è tenuto l incontro di apertura alla firma degli Stati membri del Consiglio d Europa e all adesione dell Unione europea e degli Stati non membri. È entrata in vigore il 1 Giugno L Italia l ha firmata a Strasburgo il 27 febbraio MapPapers - 17 Pag. 39

50 Fig. 1 Pisa, acquedotto mediceo, fine del XVI secolo. Fig. 2 Roma, sepolcro di Elio Callistio, prima metà del II secolo d.c. MapPapers - 17 Pag. 40

51 (Ricci 1996, p. 52; Ricci 2006). Ma così non è, o almeno non sempre. «Se il passato è di tutti, il problema si sposta sulle forme in cui mettere tutti in condizione di possederlo, cioè di conoscerlo» (Manacorda 2007, p. 118). La questione, infatti, è che i ruderi raccontano storie, ma lo fanno in modo frammentario e disorganico, bisbigliando, parlando una lingua che non è sempre facile comprendere. È compito degli archeologi interpretare-tradurre-ricomporre-raccontare i messaggi che arrivano dalle tracce lasciate dagli uomini del passato, per rendere quei messaggi comprensibili agli uomini del presente. Purtroppo gli archeologi, e quelli italiani in modo particolare, tendono a scrivere prevalentemente per un pubblico di addetti ai lavori, senza curarsi delle esigenze di un uditorio più vasto. Lo dimostrano in modo inequivocabile certe pubblicazioni e certi pannelli, didascalie, cataloghi di mostre, musei e siti archeologici che quando ci sono con il loro sfoggio di un linguaggio oscuro e verboso, tanto iperspecialistico da sfociare nel gergo, rispondono palesemente più all esigenza dei ricercatori di esibire la propria erudizione di fronte alla comunità scientifica requisito indispensabile per fare carriera all Università che non a quella di trasmettere conoscenza all esterno dell accademia: «Aryballos quatrefoil tardo corinzio II è scritto su una didascalia, mentre, nello stesso museo, un fitto pannello posto accanto ad una scultura recita il trattamento del modellato, morbido [...], il plasticismo delle masse muscolari e l equilibrio del disegno anatomico [...], documentano il superamento delle convinzioni arcaiche e la transizione allo stile Severo. Si dà per scontato che un qualsiasi visitatore, un bambino, un turista conosca a menadito la tipologia della ceramica corinzia e che sappia che esiste uno stile severo ma non uno stile bonario» (Volpe, De Felice 2014). Di fronte a didascalie e pannelli come questi, la reazione della maggior parte dei lettori/visitatori è sostanzialmente di due tipi: rinunciare a cercare di capire, sentendosi inadeguati di fronte a tanto scibile e, di conseguenza, sviluppare un po alla volta un senso d indifferenza che finirà per sfociare nel disinteresse (non è roba per me); oppure limitarsi a un approccio all archeologia di tipo esclusivamente estetico (che bello) o emozionale (che impressione sapere che ha più di 2000 anni). Del tutto improbabile, in queste condizioni, è che si realizzi quello che invece dovrebbe essere il primo obiettivo della comunicazione, e cioè l apprendimento di qualcosa di nuovo, che a sua volta costituisce la premessa per l insorgere di nuove curiosità e dunque per un reale accrescimento culturale. Gli studiosi, d altra parte, sono i primi a non voler uscire dal circolo autoreferenziale dei colleghi-specialisti e guardano con sufficienza qualunque forma di divulgazione che non sia un testo accademico o la comunicazione a qualche importante congresso, ritenendola irrilevante per il progresso scientifico e pertanto riduttiva in termini di prestigio personale. Un caso esemplare di mancanza di comunicazione tra studiosi e società è quanto avvenne in Italia a seguito del rinvenimento in mare, nel 1972, dei due Bronzi di Riace. Nonostante si trattasse di una delle più straordinarie scoperte archeologiche del Novecento, per ben nove anni la notizia rimase confinata nella ristretta cerchia degli addetti ai lavori e nulla trapelò all esterno. E anche quando i Bronzi furono esposti temporaneamente al pubblico a Firenze, dov erano stati restaurati, prima di essere ricollocati nel Museo Archeologico di Reggio Calabria, loro sede definitiva, l evento avvenne come scrisse Antonio Pinelli su «Il Messaggero» il 17 marzo 1981 «quasi di soppiatto (non un catalogo, nessun avviso alla stampa, pochi manifesti), sotto le spoglie ipocritamente minimizzatrici di una mostra di documentazione del restauro compiuto sulle statue. Non fosse stato per l afflusso inarrestabile di un pubblico che ha saputo fiutare ugualmente la grande occasione, imponendo il rinvio della data di chiusura della mostra, l esposizione fiorentina [...] si sarebbe consumata senza quasi lasciar traccia di sé» 37 (figg. 3, 4). A relegare in un rango subalterno qualunque forma di comunicazione a un pubblico di non specialisti concorrono, oltre al permanere in gran parte degli accademici di una concezione élitaria del sapere, due altri fattori: 1. la convinzione che per fare divulgazione non occorrano competenze particolarmente sofisticate. Niente di più sbagliato giacché, al contrario, per divulgare bene non basta saper padroneggiare i contenuti del proprio ristretto campo d interessi, ma occorre spingersi oltre quel familiare e rassicurante recinto per inquadrare ciò che si sta illustrando all interno di un contesto culturale di più ampio respiro (Manacorda 2008, p. 233); occorre «rendere semplice ciò che è complesso, continuo ciò che è lacunoso, completo ciò che è parziale» (Carandini 2012, p. 25); occorre saper selezionare con cura che cosa dire, per non rovesciare sul povero lettore/ascoltatore/visitatore miriadi d informazioni tra le quali, in mancanza di un opportuno filtro gerarchico, egli tenderà inevitabilmente a smarrirsi (ma a ben vedere questo vale anche per la comunicazione scientifica: quanti articoli o monografie hanno note eruditissime che sono lunghe il doppio del testo, con riferimenti bibliografici sconfinati, il cui unico scopo è esibire l erudizione dell autore o rendere omaggio con una citazione a maestri e potenziali commissari di concorso!); 2. una generale impreparazione culturale degli studiosi a utilizzare in modo adeguato tutti gli strumenti della comunicazione e i linguaggi oggi disponibili e a sfruttare le enormi possibilità di coinvolgimento offerte dai nuovi media. Conseguenza diretta della scarsa attenzione prestata dalla comunità scientifica al ruolo della divulgazione è che il più delle volte questa oscilla tra messaggi criptici, compitini noiosi e scontati e il sensazionalismo esasperato di quelli che sono stati definiti i fantarcheologi (Pucci 2000), sempre pronti a eccitare l interesse del pubblico meno avveduto evocando misteri da svelare e proclamando scoop a ripetizione. 37. Cfr. anche Settis MapPapers -17 Pag. 41

52 Fig. 3 Mostra I Bronzi di Riace, , Firenze, Museo Archeologico Nazionale (foto: Archivio Soprintendenza Beni Archeologici della Toscana). Fig.4 La folla assiepata all ingresso della mostra I Bronzi di Riace, , Firenze, Museo Archeologico Nazionale (foto: Archivio Soprintendenza Beni Archeologici della Toscana). MapPapers - 17 Pag. 42

53 Del resto, che il tema della divulgazione abbia scarso rilievo all interno delle Università italiane è dimostrato dal fatto che nessun Corso di Laurea o Scuola di Specializzazione in Beni culturali o Archeologia prevede insegnamenti o laboratori dedicati alla comunicazione. Nessuno fornisce ai giovani archeologi metodi, tecniche e tecnologie che, oltre ovviamente ai contenuti, consentano loro di fare una comunicazione di alto livello in modo corretto, efficace e coinvolgente, sia che scrivano un articolo, un testo di catalogo, una didascalia, un pannello, una brochure. In altri termini, nessuno insegna agli studenti a rispettare quella sorta di implicito contratto che s instaura fra chi comunica e chi ascolta e in virtù del quale chi comunica chiede all ascoltatore/lettore che gli conceda un po del suo tempo e della sua attenzione, impegnandosi in cambio a offrirgli informazioni chiare, concise e mirate al punto. Tuttavia da questo punto di vista qualcosa sta finalmente cambiando nell Università. L ANVUR, l Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (fig. 5) costituita nel 2006 per valutare l attività delle Università e degli enti di ricerca destinatari di finanziamenti pubblici ha individuato accanto alle due missioni tradizionali dell Università, la «ricerca» e la «formazione», una terza missione, che è stata definita «trasferimento di conoscenza alla collettività»: vale a dire diffusione, valorizzazione e impiego della conoscenza prodotta dalla ricerca allo scopo di contribuire allo sviluppo sociale, culturale ed economico della società. Se per i settori scientifici le attività di terza missione sono facilmente identificabili con la creazione di start-up, spin-off e brevetti, per le discipline che si occupano di Beni culturali esse consistono proprio nel diffondere la conoscenza del patrimonio: vale a dire nel comunicare alla collettività le storie che i Beni culturali raccontano e nel far capire che, quando si parla di valore dei Beni culturali, non s intende il valore materiale che pure esiste e può creare sviluppo economico, sia pure rifuggendo dall errore, più volte fatto in passato e anche in tempi recenti, di considerare il patrimonio culturale alla stregua di un giacimento di petrolio, ma s intende il valore che esso ha per la crescita civile e democratica della società. Per definire i contorni e precisare le caratteristiche delle attività di terza missione, le principali Università italiane e i più importanti enti pubblici di ricerca hanno costituito un associazione denominata NETVAL (Network per la Valorizzazione della ricerca) (fig. 6), il cui scopo è promuovere l uso dei risultati MapPapers - 17 Pag. 43

54 Fig. 7 Olbia, Museo archeologico, pannelli 24 e 25. della ricerca anche di quella umanistica attraverso la collaborazione con il sistema economico e le istituzioni. L obiettivo è rinforzare la relazione tra scienza e società, rinsaldare la fiducia collettiva nella ricerca, massimizzare anche in termini di consenso il ritorno dell investimento pubblico in ricerca, accrescere la competitività del Paese attraverso l innovazione. Ma ancora non basta. Occorre infatti che le Università si attrezzino anche sul piano della didattica prevedendo, all interno dei percorsi formativi degli studenti di Beni culturali, appositi laboratori che forniscano loro gli strumenti, una volta usciti dall Università, per fare corretta informazione, sapendosi destreggiare tra logiche di business e logiche di mass media. Resistenze all innovazione, concezione élitaria del sapere e logiche concorsuali che penalizzano, come abbiamo detto, le forme di comunicazione diverse dalla monografia o dall articolo sulla prestigiosa rivista scientifica non hanno impedito tuttavia agli archeologi di avviare in questi ultimi anni un dibattito sul tema della comunicazione, nel quadro di quel profondo rinnovamento che ha investito la disciplina archeologica negli ultimi decenni e che ha interessato tanto i metodi quanto gli obiettivi della ricerca. Un ruolo non secondario in questo contesto lo hanno avuto certamente i nuovi media che, con le loro straordinarie potenzialità, da un lato impongono radicali trasformazioni delle forme e delle regole della comunicazione, dall altro hanno determinato la proliferazione delle fonti d informazione, con la conseguenza che comincia ad affacciarsi un ulteriore problema, che è quello di riuscire a farsi ascoltare da un pubblico distratto da un costante e sovrabbondante bombardamento d informazioni. E questo vale si badi bene anche all interno della stessa comunità scientifica: chi, tra gli studiosi, non si appunta da qualche parte elenchi di titoli di estremo interesse, la cui lettura è rinviata al primo momento di tempo libero? Ma spesso il tempo non arriva mai. Per di più, oggi molte ricerche archeologiche sono svolte da team di studiosi appartenenti ad ambiti disciplinari estremamente diversificati archeologi, geologi, informatici, paleobotanici e paleozoologi, antropologi, matematici, architetti, restauratori ecc. e la collaborazione impone di trovare un registro comunicativo condiviso, che consenta di dialogare, superando le difficoltà derivanti dalle diverse mentalità e abitudini di ogni gruppo a utilizzare un proprio linguaggio. In altri termini, prima ancora di farsi capire dal grande pubblico, occorre in molti casi farsi capire dai compagni di lavoro, MapPapers - 17 Pag. 44

55 superando gli iperspecialismi, giacché all interno di gruppi di ricerca compositi ogni studioso finisce col diventare non specialista di fronte agli specialismi dei compagni di lavoro (Zanini, Ripanti 2012). Chiarezza espositiva, abbandono di espressioni gergali, capacità di sintesi e uso sapiente di tutti i più moderni mezzi di comunicazione allo scopo di diffondere idee e notizie, coinvolgendo chi ascolta/legge: tutto ciò deve caratterizzare qualunque livello di comunicazione, sia la produzione scientifica, sia una divulgazione di alto livello. Ciò che cambia è solo il quadro di riferimento generale all interno del quale vengono raccontate le storie, ma in entrambi i casi il risultato finale dev essere lo stesso: la produzione di conoscenza, ovvero di risposte a domande che siano in grado di generare nuove domande. Un museo archeologico concepito in modo esemplare, da questo punto di vista, è quello di Olbia, in cui è illustrata la storia della città dalla sua origine fenicia ai giorni nostri, attraverso le fasi greca, punica, romana, vandala, bizantina, pisana, aragonese, piemontese. Tutto il museo è stato pensato dal suo curatore, Rubens D Oriano, funzionario della Soprintendenza archeologica di Sassari e Nuoro, con grande attenzione alla comunicazione a un pubblico estremamente variegato, che va dagli studiosi, agli appassionati, ai cittadini di Olbia e anche a coloro che varcano la soglia del museo solo per ingannare il tempo che li separa dall imbarco su un traghetto (il museo sorge infatti a poche decine di metri dalla Stazione Marittima). Il racconto storico si dipana tra relitti di antiche navi e oggetti di vario genere ed epoca, ricostruzioni 24) A Olbia si sa... dove scavi scavi... Questo il commento che più di frequente si ascolta durante gli scavi archeologici d urgenza in città. Il problema degli abitati pluristratificati come Olbia è il più scottante della tutela dei beni culturali: la città antica è compatta, continua e ben conservata appena poche decine di centimetri sotto i piani di calpestio attuali. Al di là delle norme, nessuna tutela è possibile alla lunga senza la concordia tra gli Enti Pubblici e senza il consenso diffuso del corpo sociale, beneficiario ultimo dei beni. [ ] I momentanei disagi derivanti dagli scavi archeologici di salvataggio e d urgenza non paiono prezzo troppo oneroso a fronte dell acquisizione di dati che ricostruiscono un percorso storico tanto significativo, giusto motivo d orgoglio di appartenenza. La sfida è ora quella di individuare, col consenso di tutti, un settore della città antica da portare alla fruizione, affinché di essa non solo si sappia indirettamente da questo Museo ma si veda direttamente sotto il cielo. e video di grande suggestione, come quello sull invasione dei Vandali del 450 d.c., che mise a ferro e fuoco la città, segnando la fine dell antichità e l inizio del medioevo. Testi e immagini non si limitano a fornire dati e informazioni, ma orientano l attenzione dei visitatori anche su questioni di carattere più generale. Significativi, a questo proposito, sono i due pannelli 24 e 25, che concludono il percorso museale (fig. 7). Il pannello 24 spiega perché è importante scavare nel sottosuolo, anche se ciò può provocare ritardi nella realizzazione delle opere pubbliche e private e disagi per la popolazione, e perché è importante che la ricerca archeologica sia condivisa da tutti, istituzioni e singoli cittadini. Il pannello 25 invita infine i visitatori, ormai prossimi ad uscire, a riflettere su come la conoscenza del passato aiuti a leggere più chiaramente il presente e quindi ad affrontare con maggior consapevolezza le sfide del futuro. 25) Mater Olbia Negli ultimi cinquanta anni Olbia ha attraversato una fase di espansione economica, urbana e demografica esplosiva [ ]. Il consistente inurbamento di genti da un altrove prima sardo e via via sempre più remoto fino, negli ultimi anni, agli estremi confini del mondo fa dire agli olbiesi di più antico radicamento che Olbia non è più la stessa. Infatti, o al contrario, solo cosi e solo ora Olbia è di nuovo se stessa. La sua storia antica è una storia di avvicendamento e stratificazione di genti neolitiche, nuragiche, fenicie, greche, puniche, romane, vandale, bizantine, pisane, aragonesi, delle quali tutte siamo eredi e figli noi uomini del Mediterraneo. È una storia di apertura a contatti del più ampio raggio, di multietnicità e multiculturalità, di incontro e scambio fecondo di uomini e idee. Essa insegna che questa città portuale [ ] trova proprio nell apertura, nell accoglienza e nell integrazione dell altro la sua vera identità e le sue vere fortune, quando realizza la sua tri-millenaria vocazione a guardare verso i più ampi orizzonti geografici e umani, valorizzando ora come nel passato ciò che accomuna, al di là delle lingue, dei colori e delle fedi, per il reciproco benessere e progresso. Spesso si ritiene che lo studio del passato sia necessario perché la storia si ripete e possiamo così volgerci indietro alla ricerca di soluzioni per il presente. No, la storia non si ripete mai. Essa è però fonte di conoscenze sull uomo, sulla specie umana, insomma su noi stessi. La vicenda di Olbia antica e odierna sottolinea il valore del rapporto inter-culturale come risorsa primaria, prezioso insegnamento per questo presente e per un futuro già incombente. MapPapers - 17 Pag. 45

56 Bibliografia Bianchi Bandinelli R. 1974, AA., BB.AA. e B.C. L Italia storica e artistica allo sbaraglio, Bari. Carandini A. 2012, Il nuovo dell Italia è nel passato, Roma-Bari. Manacorda D. 2007, Il sito archeologico: fra ricerca e valorizzazione, Roma. Manacorda D. 2008, Lezioni di archeologia, Roma-Bari. Pucci G. 2000, Fantarcheologia, in Francovich R., Manacorda D. (a cura di), Dizionario di archeologia, Roma- Bari. Ricci A. 1996, I mali dell abbondanza. Considerazioni impolitiche sui beni culturali, Roma. Ricci A. 2006, Attorno alla nuda pietra. Archeologia e città tra identità e progetto, Roma. Settis s. 1981, Introduzione, in N. Himmelmann, Utopia del passato. Archeologia e cultura moderna, Bari, pp Volpe G. 2013, Le Vie Maestre, Bari. Volpe G., De Felice G. 2014, Comunicazione e progetto culturale, archeologia e società, in «PCA- European journal of PostClassical Archaeology», 4, pp Zanini E., Ripanti F. 2012, Pubblicare uno scavo all epoca di Youtube: comunicazione archeologica, narratività e video, in «Archeologia e calcolatori», 23, pp MapPapers - 17 Pag. 46

57 Narrare l archeologia con i dati aperti Francesca Anichini, Gabriele Gattiglia MapPapers 1-IV, 2014, pp doi: / To tell stories is one of the missions of archaeology, a mission that can be better accomplished with open data. In fact, data are what economists call a non-rivalrous good, in other words, they can be processed again and again and their value does not diminish, on the contrary, the value itself arises from what the data reveal in the aggregate, namely we have the possibility to combine data, and to tell new stories, or to tell old stories in new ways. So let s start to share archaeological data and to hear new stories! Keywords: archaeology, open data, storytelling, data visualisation 1.Gli open data archeologici in Italia: stato dell arte Raccontare la storia dall inizio, può sembrare noioso, ma risulta utile. Utile perché fare open data, non è la strampalata idea di qualche folle, ma oltre ad essere un equivocabile segno del nostro presente, poggia su una lunga tradizione scientifica. Viviamo in un epoca di condivisione (sharing), quasi tutti abbiamo un profilo su un social network attraverso cui condividiamo esperienze, immagini, video, link, insomma, più o meno consapevolmente condividiamo dati. Lo facciamo perché questo è ormai parte integrante del nostro essere animali sociali, ed essere animali sociali vuol dire anche rendere partecipi gli altri del nostro patrimonio di conoscenze. Dalla messa in comune delle singole conoscenze, nasce quella che potremmo definire come conoscenza. Questa, soprattutto dall Illuminismo in poi, si configura come un sapere comune messo a disposizione di tutti, in altre parole un bene comune: un bene non rivale (non-rivalrous good) (Samuelson 1954; Mattei 2011), cioè un bene non esauribile di cui tutti possono godere, anche contemporaneamente. Da questo principio discende come corollario che se molti hanno accesso alle informazioni esiste la possibilità di accrescere la conoscenza (Hesse, Ostrom 2007). È quello che Surowiecki (2004) ha definito come la saggezza della folla e di cui più comunemente sentiamo parlare con il termine di crowdsourcing. Tramite il crowdsourcing è stato possibile realizzare Wikipedia, un enciclopedia in cui ogni individuo, entrando a far parte di una comunità, condivide la propria conoscenza personale, trasformandola in bene comune. Questo processo intenzionale, continuo, centrato sulla comunità, che comporta rispetto reciproco, riflessione critica, attività di cura e partecipazione di gruppo, mediante il quale le persone prive di una giusta quota di risorse valide possono raggiungere più facilmente l accesso a tali risorse e accrescere il loro controllo su di esse (Cornell Empowerment Group 1989), viene definito empowerment ed è reso molto più forte dalla condivisione facilitata del web 2.0. Questa consente di sviluppare quella cultura partecipativa (Jenkins, Ford, Green 2013) nella quale la partecipazione del singolo all interno di una community, intesa come somma di singoli atti individuali, genera conoscenza portatrice di valore collettivo. Questo concetto di community si lega a quello, sviluppato da Stewart (1997), di comunità di pratica, espressione con la quale si intende la rete di comunicazione informale che si innesca all interno di un gruppo di lavoro, solitamente formata da specialisti (nel nostro caso archeologi) che imparano insieme, basandosi ciascuno sul sapere degli altri In campo archeologico la comunità di pratica non sarebbe soltanto quella costituita dall equipe di scavo, ma una comunità virtuale che diventa internazionale e multidisciplinare. Ne è un ottimo esempio Micro- Past ( una piattaforma web, realizzata da UCL e British Museum, che ambisce a riunire archeologi e cittadini per collaborare a nuovi tipi di ricerca sull archeologia, la storia e il patrimonio culturale in genere. I concetti di conoscenza come bene e comunità di pratica rafforzano l idea che l apprendimento (e quindi la conoscenza) nasca, come sottolinea Wenger (2006) dalla partecipazione sociale. Nel caso dell archeologia, questo processo cognitivo lascia una traccia nella documentazione prodotta, che non è solo redazione di un articolo o di un volume, ma produzione di materiali grezzi, ossia di dati: il dato non è altro che l unità minima di conoscenza. Sempre nel caso archeologico, il dato ha MapPapers - 17 Pag. 47

58 valore solo se riferito a un modello teorico di riferimento (D Andrea 2006; Lock 2009; Llobera 2011), non è infatti sufficiente l osservazione sistematica, la misurazione e la registrazione in senso quantitativo di un oggetto per avere l oggettività del dato (D Andrea 2006: 36), che risulta sempre soggettivo e legato alle conoscenze e alle competenze dell archeologo (Anichini, Gattiglia 2014; Anichini, Gattiglia c.s). Il dato raccolto è anche formalizzato per poter essere sottoposto ad un trattamento informatico dal momento che la codifica deve essere appropriata per evitare una manipolazione eccessiva della realtà e di questo passaggio non deve essere sminuita l importanza. Fermi restando questi presupposti, il dato si pone alla base del processo conoscitivo: dall aggregazione dei dati nascono le informazioni e solo dall aggregazione di queste ultime nascono le interpretazioni, e solo dalla condivisione partecipativa di questi elementi, nasce la conoscenza, intesa come sapere organizzato e strutturato. Con questa premessa è in parte desolante dover dire che gli open data archeologici italiani continuano ad essere al palo rispetto al panorama internazionale. L unica realtà di repository per dataset aperti nel nostro paese è il MOD (MAPPA Open Data), ma come tutte le innovazioni in questa disciplina, fatica a decollare su larga scala. Il problema che permane è la diffidenza della stessa comunità archeologica che, ancora, sembra ostinarsi a rimanere ancorata a vecchi modelli di divulgazione, pubblicazione, promozione, tutela, valorizzazione e comunicazione del patrimonio archeologico nazionale. Forse ancora convinti che le singole carriere possano avere uno slancio solo grazie a meccanismi che la tecnologia e la ricerca in senso di network globale hanno ormai reso obsoleti, gli archeologi che non partecipano a questo processo di condivisione (la maggior parte) si dividono tra chi è assolutamente contrario all apertura dei propri dati (pochi, fortunatamente) e chi non si sente ancora abbastanza libero e garantito per farlo (Anichini 2013: 121 ). I motivi sono diversi, per lo più legati a condizioni lavorative precarie e regolate da rapporti condizionanti rispetto ai propri superiori (siano essi funzionari ministeriali o docenti universitari), dove forti sono i ricordi di mancati diritti ed equi riconoscimenti subiti nel passato. La strada degli open data sembra quindi più faticosa di quello che realmente è. Il progetto MAPPA ha dimostrato che è possibile percorrerla, ha definito chiaramente quali sono i diritti di ciascun soggetto implicato nella realizzazione di un indagine archeologica, dettagliandone i riferimenti normativi (Ciurcina 2013) che perimetrano i confini della proprietà e della paternità dei dati. Ciò nonostante sembra sfuggire ancora l opportunità che l archeologia italiana sta perdendo. Il popolamento di un database nazionale che consenta il libero accesso a chiunque voglia, a qualunque livello, occuparsi di archeologia, è indiscutibilmente la base dalla quale partire per ridare vita e sviluppo a una disciplina che, nel corso degli anni, sembra sempre più allontanarsi dal compimento della sua missione essenziale: raccontare storie. E altresì l ostacolo più grande affinché la stessa disciplina riesca finalmente a uscire da logiche di nicchia, dove il confronto appare spesso autoreferenziale e dove, con sempre maggiore difficoltà, si riesce ad attrarre fondi e investimenti tali da permettere, non solo il costoso mantenimento di un patrimonio, ma lo slancio verso idee capaci di traghettare realmente l archeologia italiana nel XXI secolo. Non bastano infatti piccoli spiragli, gruppi di ricerca o singoli professionisti che faticosamente si affacciano sulla scena internazionale con competenza e innovazione, occorre una politica strutturata e strutturale a livello nazionale. L apertura dei dati archeologici in modo sistematico è la più grande occasione di sviluppo che la comunità archeologica nazionale ha da decenni, un opportunità relativamente poco onerosa in termini economici, ma sicuramente rivoluzionaria in termini culturali. Abbattere le barriere della proprietà e del personalismo, attivare finalmente quel propulsore gratuito che è la libera condivisione dei dati, vuol dire proiettarsi non già nel futuro, quanto nel presente. Per quanto ormai la pubblica amministrazione si stia confrontando con le problematiche legate alla gestione e alla produzione di dati aperti (numerosi in questi ultimi anni gli interventi e i convegni dedicati alle diverse sfaccettature dell approccio open data, da quello più partecipativo, alla trasparenza dei processi di governance, alla formazione del personale addetto nel pubblico impiego, ecc..), non già avendo politiche realmente incisive a livello nazionale, ma comunque iniziando ad allargare su più fronti le esperienze concrete sul territorio e in vari settori, il MIBACT resta tra i ministeri più conservatori. Si rimane perplessi sulle impostazioni generali riguardanti le politiche open data; solo a spot sembra essersi attivata una discussione che però continua a rimanere di nicchia e soprattutto non ha ancora portato risultati concreti. Se l idea massima di Open è la scelta della licenza CC-BY-NC-SA con la quale l Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione pubblicherà i propri dati (Costa 2014), di strada da percorrere ce n è ancora molta. L ultima proposta (ottobre 2014), un incrocio tra una riflessione aperta (attraverso anche lo strumento del wiki) e una forma provocatoria di accendere il dibattito su queste tematiche, è il Manifesto Open Data Archeologici (MODA - nato dall esperienza della Open School of Archaeological Data (vedi oltre),promosso da un gruppo di archeologi che si sono autodefiniti folli e sostenuto da Wikimedia Italia, dal Laboratorio MAPPA (Università di Pisa) e dal Laboratorio Archeo&Arte (Università di Roma La Sapienza). Il Manifesto, sintetizzando tutti i benefici che l archeologia italiana potrebbe trarre dall intraprendere la strada degli Open Data, chiede esplicitamente agli archeologi di aderire muovendosi in prima persona, aprendo i dati dei quali sono autori e divulgando la cultura open data. Chiede inoltre che ( ) il MIBACT faccia degli Open Data archeologici una propria bandiera di trasparenza e qualità, richiedendone con forza la produzione, incentivandone il riuso, aprendo senza limiti i propri archivi; che gli enti di formazione e ricerca si impegnino a dare conto della pro- MapPapers - 17 Pag. 48

59 pria attività in modo aperto e accessibile, e concorrano a promuovere la filosofia open attraverso una didattica che miri a formare le competenze necessarie agli archeologi di domani. 2. Aprire i dati richiede formazione: l esperienza dell Open School of Archaeological Data (OSAD) di Pisa Nell approccio degli archeologi agli open data manca l esperienza, intesa come conoscenza diretta, e manca la formazione, intesa come competenze acquisite e necessarie a fare proprio uno strumento tanto da metterlo al servizio della propria disciplina e declinarlo sul proprio lavoro. E innegabile che queste due carenze rendano più difficile la diffusione della filosofia open data in ambito archeologico come pratica quotidiana. L offerta universitaria contempla, nel migliore dei casi, una formazione di carattere metodologico per creare buoni archeologi da campo e buoni futuri (e disoccupati) ricercatori, specializzati in singoli settori. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un proliferare di corsi post laurea, il cui obbiettivo sembra essere quello di fornire conoscenze tecnologiche di grado avanzato, quasi a confermare una lacuna all interno dell offerta formativa universitaria sia sui percorsi triennali, sia biennali. Spesso molto impegnativi, per numero di ore e costo da sostenere, appare difficile che i master possano essere lo strumento più adatto a costruire una nuova e completa figura di archeologo professionale. Partendo da queste riflessioni, nell estate 2014, il Laboratorio MAPPA ha aperto una Open School of Archaeological Data, una settimana di formazione gratuita aperta a studenti (con laurea triennale) e professionisti, interamente dedicata all approccio verso gli open data in archeologia. A fronte di una disponibilità di 10 posti, sono state oltre 40 le domande di iscrizione provenienti da tutta Italia, sintomo di un crescente interesse verso le problematiche trattate e anche di una reale necessità di confronto e apprendimento. La scuola, svoltasi a Pisa nel mese di luglio, ha offerto a tutti i partecipanti un quadro complessivo delle tematiche connesse con l approccio open data all archeologia. Partendo dalla scoperta della filosofia open data e della stessa declinata nel mondo dei beni archeologici, sono stati affrontati nel dettaglio tutti gli aspetti collegati al ciclo di vita dei dati dalla loro creazione, all apertura e al riutilizzo: dove reperire i dati (con una panoramica sui principali archivi di dati archeologici aperti a livello internazionale); come leggere e ripulire i dati (cosa contengono i dati, quali formati vengono utilizzati, cosa bisogna fare per rendere dati che sono pubblicati in diversi formati realmente riutilizzabili e interoperabili con altre banche dati); come riutilizzare i dati (a cosa servono i dati prodotti e come si possono utilizzare per creare nuove ricerche); data visualisation (come rendere visibili i dati); come far parlare i dati (partendo dalle basi dello storytelling per scoprire i metodi di narrazione delle storie nascoste nei dati); come produrre e pubblicare dati aperti; come affrontare le questioni etico e legali implicate con l apertura dei dati. L approccio della scuola è stato di carattere fortemente sperimentale: a fianco di basi teoriche, sono state dedicate molte ore alla pratica diretta attraverso laboratori mirati ad approfondire le diverse tematiche, facendo lavorare i partecipanti su dati e casi reali. Ciò che è emerso è stata la voglia e la necessità dei partecipanti di rendere propri sia la filosofia open, sia gli strumenti per renderla applicabile; la spinta di trasporre l insegnamento nella pratica quotidiana di ciascuno, rovesciando vecchi e nuovi pregiudizi e rendendosi padroni e promotori di un diverso modo di concepire l archeologia (da qui lo slancio alla scrittura del MODA, cfr. infra). 3. Fare comunicazione utilizzando i dati aperti: opportunità e limiti Raccontare storie a chi di storia si occupa per mestiere, fornendo l interpretazione della fonte materiale; a chi della storia stessa fa la fonte per analisi e visioni su macro e micro scala; a chi sta costruendo le proprie basi formative, il proprio background di conoscenze; raccontare a chi la storia contribuisce a costruirla tutti i giorni, a tutti i cittadini, fruitori consapevoli o inconsapevoli del patrimonio che li circonda nel loro vivere quotidiano. Da questa missione l archeologia tutta non può esimersi perché è ciò che dà senso all oneroso investimento che viene sostenuto per garantire la tutela, la valorizzazione e la conoscenza del patrimonio archeologico. Purtroppo, proprio su questo fronte la comunità archeologica italiana si rivela carente. La comunicazione è decisamente una delle falle più grandi nella gestione dei Beni Culturali italiani e delle potenzialità a loro connesse. Pochi sono ancora gli esempi di istituti culturali che riescono veramente a raccontare il proprio patrimonio in modo da coinvolgere e rendere partecipe il pubblico, centrando raramente l obbiettivo di allargare una platea realmente consapevole. Ancora oggi il bene archeologico è associato quasi esclusivamente al tesoro sfavillante e il mestiere dell archeologo ad un hobby avventuroso. La comunità scientifica negli ultimi decenni ha scelto di delegare la comunicazione lasciando sempre più spazio agli stereotipi e alla cattiva informazione che riempie le piramidi di alieni e le tombe di tesori scoperti in diretta tv. La stessa comunità ha scelto di non investire sull arte del raccontare, di non cercare nuove formule, di non promuovere la formazione, bensì si è accontentata di chiudersi in se stessa, nella tranquillità del proprio linguaggio specialistico, criptico ai più. Difficoltà di linguaggio e di narrazione che si possono superare aprendo i dati e lasciandoli parlare. Il tema del riuso, anche narrativo è, ad esempio, alla base del progetto #beniculturaliaperti ( che si batte per la distribuzione come dati aperti delle immagini relativi ai beni culturali, proprio per consentire a tutti di farne (ri)uso. Non è difficile immaginare a quale molteplicità di narratori e di narrazioni per immagini si potrebbe giungere avendo a disposizione libera- MapPapers -17 Pag. 49

60 Fig.1 Infografica che mostra il numero di uomini dell esercito di Napoleone durante la campagna di Russia, i loro movimenti, così come la temperatura che hanno incontrato sul percorso di ritorno. Litografia, 62 x 30 cm, di Charles Minard, via Wikimedia Commons[Public domain]. Fig. 2 Narrazione grafica realizzata da Randall Munroe delle interazioni dei personaggi dei film del Signore degli Anelli e di Star Wars ( [CC-BY-NC 2.5]. mente le immagini del nostro patrimonio archeologico. Ugualmente si possono far parlare in maniera affascinante i dati stessi, anche quelli più ostici come i numeri, attraverso l utilizzo di tecniche come la data visualisation, più comunemente conosciuta come inmappapers - 17 fografica. Non si tratta, di una nuova tecnologia, dal momento che i primi esempi risalgono alla metà del XIX secolo (fig.1), ma di una tecnica che le applicazioni informatiche e la possibilità di avere molti dati a disposizione rendono facilmente accessibile. La Pag. 50

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