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1 Materiale prodotto a fini didattici ad esclusivo uso interno 1

2 INDICE Di cosa parliamo quando parliamo di Comunicazione? pag. 3 Comunicazione come trasferimento di informazioni pag. 6 Comunicazione come processo di significazione pag. 11 Comunicazione come azione pag. 16 Comunicazione come evento prodotto dalla società pag. 23 Comunicazione come relazione e identità pag. 26 2

3 Di cosa parliamo quando parliamo di Comunicazione? Ci occupiamo di comunicazione. E la prima cosa che fa il bravo scienziato è definire il proprio oggetto di studio. Sembrerebbe scontato, facile farlo rispetto ad un oggetto così comune, quotidiano e alla portata di tutti come quello di comunicazione. Ma così non è. Il termine comunicazione ricade in quella categoria che qualcuno definisce parole profane, cioè parole utilizzate sia nel linguaggio comune, sia dagli addetti ai lavori di discipline accademiche. Nelle scienze di stampo sociale capita spesso di incontrarne: gruppo, comunicazione, affettività, emozioni, integrazione, interazione sono parole presenti sia nel linguaggio comune che in quello tecnico delle scienze sociali. Ha notevoli vantaggi l utilizzarle, in termini di comprensibilità, di fruibilità, di immediatezza; ma anche un limite: sono così diffuse e arricchite dall utilizzo comune da divenire troppo vaghe, troppo ricche di evocazioni semantiche per essere un oggetto di studio scientifico ben definito, per poter dire, senza grossi dubbi cosa fa parte e cosa no del fenomeno studiato. La parola comunicazione non ha una via d uscita semplice da questo problema, perché le varie discipline che l hanno osservata non hanno risolto l enigma. Non hanno cioè prodotto una definizione condivisa ed accettata su cosa sia la comunicazione (e, soprattutto, su cosa non lo sia). A prima vista può sembrare una questione di poco conto, io chiedo l ora ad un collega e lui mi risponde è evidente che sto comunicando, non ho bisogno, se non per vezzo accademico, di una definizione precisa. Ma non sempre è così chiaro; il rossore che prende qualcuno in situazioni di imbarazzo, e da cui l interlocutore inferisce ragionevolmente la situazione di imbarazzo, è comunicazione? Quando arrivo in ritardo o non preparato ad una riunione di lavoro sto comunicando che quella riunione non era per me importante? Queste risposte non sono altrettanto intuitive, e contengono il punto più discusso e meno condiviso, riassumibile più o meno in questa domanda: è comunicazione solo uno scambio intenzionale tra persone consapevoli di essere in comunicazione, oppure è comunicazione un qualunque comportamento da cui l interlocutore può, più o meno ragionevolmente, inferire informazioni? Il tema è quello dell intenzionalità intenzionalità. Qualche autore ci dice che non esiste comunicazione se non come scambio intenzionale e consapevole, e può produrre definizioni di comunicazione simili a quella proposta da Anolli: Uno scambio interattivo osservabile fra due o più partecipanti, dotato d intenzionalità reciproca e di un certo livello di consapevolezza, in grado di far condividere un determinato significato sulla base di sistemi simbolici e convenzioni di significazione e di segnalazione secondo la cultura di riferimento (Anolli, 2003). Notate che sul tema della consapevolezza accetta di modulare ( un certo grado di consapevolezza ) ma 3

4 non transige sulla intenzionalità, enfatizzandola come intenzionalità reciproca. C è comunicazione se entrambi i protagonisti intendono comunicare e focalizzarsi sullo scambio di contenuti oggetto della comunicazione. Sull estremo opposto vi è senz altro la visione proposta dalla scuola di Palo Alto che sviluppò le idee di Bateson producendo un noto libro, la pragmatica della comunicazione umana in cui si legge usiamo i termini comunicazione e comportamento praticamente come sinonimi: perché i dati della pragmatica non sono soltanto le parole, le loro configurazioni ed i loro significati ma anche i fatti non verbali concomitanti, come pure il linguaggio del corpo è chiaro dunque che in questa prospettiva tutto il comportamento, e non soltanto il discorso, è comunicazione. Qui la consapevolezza che tutto il nostro comportamento sarà osservato, interpretato dagli interlocutori e influenzerà l ambiente, fa dire che ogni comportamento è comunicazione. E ci si spinge così in là che, nel momento in cui gli autori vogliono mettere qualche punto fermo, vogliono dettare alcuni assiomi della comunicazione al numero uno mettono è impossibile non comunicare. Se il comportamento è comunicazione ed è impossibile avere un non-comportamento, allora si è sempre in comunicazione. Per eccesso, se voglio rinunciare a comunicare in una riunione di lavoro non solo non parlando, ma addirittura, per essere sicuro di non comunicare nulla nemmeno a livello non verbale, non andandoci, posso stare sicuro che qualcuno attribuirà un significato alla mia assenza, magari non voleva esporsi non gliene importava per cui addirittura la mia assenza diventa, da questo punto di vista, un gesto comunicativo. Un autore che non rinuncia all intenzionalità direbbe che senso ha avere un oggetto di studio (la comunicazione) che si sovrappone ad un altro (il comportamento) e che è così vago e complesso da non poter produrre osservazioni complete? ed avrebbe anche ragione ma un autore legato alla comunicazione in senso lato direbbe che senso ha definirlo in modo da rinunciare ad elementi che sappiamo benissimo essere determinanti nello svolgersi concreto degli eventi comunicativi? ed avrebbe ragione anche lui. Non che i primi non riconoscano questi elementi, ma li considerano informazioni frutto di un processo che riguarda solo il ricevente, non comunicazione, che prevede l intenzionalità di entrambi è solo questione di termini o è un ostacolo di sostanza? Non saremo certo noi a chiudere la discussione, o ad opporci ad essa, ma teniamo presente, nelle nostre discussioni che esiste questa doppia visione di cosa è comunicazione, una in senso stretto che prende in considerazione quel che accade quando due esseri umani sono in comunicazione, sapendo di esserlo ed essendo entrambi intenzionati ad esserlo e a produrre insieme dei significati; ed una in senso lato in cui è comunicazione un qualunque comportamento percepibile da altri esseri umani e dai quali gli altri possono inferire delle informazioni. Reputo che la prima (comunicazione in senso stretto) 4

5 sia una visione accademicamente più utile ed utilizzabile, la seconda più credibile nel momento in cui si voglia occuparsi della comunicazione che concretamente avviene tra esseri umani. Questa difficoltà di definizione dell oggetto comunicazione è senz altro conseguenza della complessità dell oggetto; complessità che ha un altra conseguenza: la molteplicità dei punti di vista con cui possiamo guardarla. È necessario accettare l interdisciplinarietà dello studio della comunicazione, poiché molte discipline se ne sono occupate, e ciascuna di esse è portatrice di un punto di vista peculiare rispetto all oggetto di un approccio diverso. Ciascuna è portatrice di una propria visione di cosa è comunicazione e, probabilmente, da una loro intersezione possiamo avere una panoramica sufficientemente completa. Ecco le principali discipline ed i loro punti di vista sulla comunicazione. Vediamo di comprendere soprattutto l importanza della varietà rappresentata dalla seconda colonna, e di come una visione completa del fenomeno comunicativo richieda di integrare e considerare ciascuno degli approcci. Il nostro percorrerli terrà conto soprattutto, come criterio di aggregazione di autori e contributi, della concezione della comunicazione che non all appartenenza accademica ad una o all altra delle discipline indicate. 5

6 Comunicazione ne come trasferimento di informazioni Se per aprire uno spiraglio sul problema della definizione apriamo un vocabolario qualunque alla voce comunicazione troviamo come elemento di base per una definizione divulgativa il tema del trasferimento delle informazioni. Quello della comunicazione come trasferimento delle informazioni è il punto di vista dei primi modelli a cui si fa riferimento nei modelle matematici, il punto di partenza di ogni carrellata di modelli. Concetto di informazione L informazione, anch essa parola profana, trova una definizione condivisa in quella di Bateson: informazione è la percezione di una differenza. Esiste una informazione quando si realizzano queste condizioni: esistono almeno due possibili eventi se ne realizza uno qualcuno (o forse anche qualcosa, c è informazione anche nelle macchine ) ne prende atto Non a caso la minor informazione possibile è il bit utilizzato dall informatica, un codice binario (cioè costituito da due possibili eventi, uno 0 od un 1) diventa il massimo comun multiplo di una qualunque informazione. È intuitivo che dove non c è differenza non può esserci informazione, dove non ci sono alternative l informazione è l identità, che per definizione non è informativa. Se il monte bianco non si può spostare, il fatto che sia fermo non è una informazione. Si chiarisca subito che informazione è qualcosa che arriva prima dei suoi attributi e anche del significato. Un informazione non è né giusta né sbagliata, né buona né cattiva finchè non avvenga un nuovo confronto (una nuova differenza), ad esempio con altre informazioni, con le proprie aspettative ecc. Shannon e Weaver Così, alla fine degli anni 40, Shannon e Weaver proposero il primo modello del processo comunicativo, intendendo questo come il processo di trasferimento delle informazioni, il modello prevede un sistema di elementi ciascuno dei quali deve fare la sua parte perché l informazione parta dall emittente e arrivi integra al ricevente. 6

7 L emittente è chi produce l informazione e intende farne un messaggio, per fare questo deve codificarla, in un codice che supponga essere condiviso dal ricevente, affidarla ad un trasmettitore che lo trasformerà in un segnale fisico e trasmissibile (ad esempio l apparato vocale che trasforma in suoni le frasi pensate); produrrà in questo modo un segnale. Il segnale dovrà attraversare un canale (ad esempio l aria o un cavo telefonico), magari disturbato da un rumore (un qualunque evento che riduca la percepibilità del segnale) per raggiungere un recettore (ad esempio l apparato uditivo del ricevente). Il ricevente attraverso un processo di decodifica ritradurrà il segnale in un messaggio. Successivamente sono stati aggiunti altri due elementi: la ridondanza (la ripetizione del processo di codifica al fine di rendere più probabile il fatto che il segnale passi indenne il rumore e le fasi del processo) e, soprattutto, quello di feedback, cioè il segnale di ritorno che il ricevente, a sua volta, rimanda all emittente. L idea di feedback è importante perché trasforma il modello da processo lineare a processo circolare, ricollocando il ricevente da un ruolo passivo a parte attiva del processo. Si tenga conto che Claude Shannon, principale autore del modello era un ingegnere di una compagnia telefonica; il suo obiettivo era quello di studiare le migliori strategie affinchè il messaggio si trasferisca integro. Non stupisce che il modello, quindi, ancora ottimo per molti 7

8 punti di vista abbia dei grossi limiti nel momento in cui gli si chieda di essere esaustivo degli elementi che caratterizzano la comunicazione umana. Manca il tema del contesto. A parte l aspetto di ambiente prettamente fisico che condiziona la scelta del canale, non prende in considerazione l influenza dei dati di contesto. Solo per estensione bisogna considerare che nel concetto di rumore bisogna considerare molto più spesso distrazioni, incomprensioni, fenomeni quindi di stampo cognitivo che non di rumori fisici ambientali. Manca il tema dei significati. L informazione viene considerata come data e come automaticamente portatrice di significati univoci ed inequivocabili. È evidente all esperienza di tutti che non è così. Manca la consapevolezza che la codifica intesa in senso matematico è una cosa, il come gli esseri umani traducono in parole i pensieri e quanto possano contare che l interlocutore le intenda come loro avrebbero voluto, questa è un altra cosa. Non stupisce il suo modello era tecnologico, dava per scontatala produzione di un messaggio dotato di significato, il suo problema era trasportarlo! L insegnamento che ne derivò fu comunque importante; quello di considerare la comunicazione un sistema complesso, ad esempio, di modo che per essere efficace tutti gli elementi devono funzionare. Gli sviluppi Alcuni studiosi più votati alla comunicazione interpersonale rivisitarono questo modello in chiave più adatta, tra questi spicca senz altro la rivisitazione di Sperber e Wilson. Questa volta si va dai processi cognitivi centrali dell emittente a quelli dell interlocutore, di modo che il processo di codifica assume e accetta la complessità del legame tra pensiero e 8

9 linguaggio, che si rivelerà un elemento di difficile comprensione e terreno di confronto tra teorie e modelli anche molto differenti (ad esempio su quanto sia innato e quanto appreso, quanto ci sia di culturale e quanto di universale, quanto pensiero e linguaggio si sovrappongano come due facce dello stesso processo psicologico e quanto siano indipendenti ). Jakobson e l uscita dai modelli matematici Nel frattempo, però, attraverso Jakobson, quegli elementi furono rielaborati non solo in un adattamento contenutistico più adeguato alla comunicazione verbale, ma in un salto di qualità di stampo funzionale. Jakobson prima illustrò come di seguito gli elementi in campo, più o meno quelli suggeriti da Shannon e Weaver, con in più l attenzione al contesto che caratterizzerà gli approcci di pragmatica. L aspetto interessante è stato poi quello di suggerire che a ciascuno di questi elementi si potesse associare una funzione della comunicazione. 9

10 La funzione denotativa è quella legata alla trasmissione di un contenuto, quello esplicitato nel contenuto verbale, di norma. Può non essere immediato capire perché il collegamento è con il contesto, bisogna vederla in quest ottica: agire concretamente la comunicazione significa avere un sistema di potenzialità comunicativa (una lingua, una serie di convenzioni) ed applicarle ad un qui ed ora per dire una cosa specifica a qualcuno di specifico. In quest ottica è funzione di legame con il contesto. La funzione espressiva è quella che parla dell emittente, lasciandone traccia nel messaggio, soprattutto una traccia emozionale. Mi spiego con un esempio. Se uno studente allo scadere della lezione dice sono le sei ha puntato sulla funzione denotativa, ha trasmesso un contenuto. Ma poteva anche dire Evviva!!! Sono le sei, indicando chiaramente, accanto al contenuto (sono le sei) una traccia di sé, che dice sono contento che siano le sei. In questo caso, accanto alla funzione denotativa ha posto l accento su quella espressiva. La funzione conativa è il cosa l emittente vuole concretamente ottenere nel dire quella cosa. In che modo vuole manipolare la realtà. Comunicare è sempre compiere una azione, la funzione conativa è ciò che si tenta di fare. Restando nell esempio precedente, lo studente può alzare la mano dicendomi professore, sono le sei facendomi intendere chiaramente che è ora di chiudere la lezione e liberare gli studenti. In questo caso ha posto l accento non più sul contenuto (l ora) o su se stesso (la sua felicità per il fatto che siano le sei) ma su cosa voleva ottenere nel dire quella cosa (chiudere la lezione e andare a casa). La funzione fatica è finalizzata ad una analisi del canale, è l uno, due, tre prova che facciamo al microfono o il mi senti? quando abbiamo dubbi sulla tenuta della linea telefonica. La funzione metalinguistica è data dalla possibilità di parlare di come parliamo. Posso dire mi rendo conto di usare parole forti, oppure quando i giornalisti dicono il condizionale è d obbligo è porre l enfasi sul codice. La funzione poetica è l enfasi sul messaggio stesso, ad esempio della ricerca estetica. Come ci indica Amerio (nella slide) tale è la ricchezza funzionale di questo modello da portarci fuori dall approccio strettamente matematico. Il tema stesso delle informazioni deve avere un nuovo aspetto funzionale. C è la consapevolezza che nella condivisione dei significati e nella reale complessità della comunicazione umana, il problema non è (se non marginalmente) quello del trasferimento della informazione, ma quello delle sue trasformazioni. 10

11 Comunicazione come processo di significazione Segno e significazione Un approfondito studio dell approccio semiotico uscirebbe dai nostri obiettivi. Ma è interessante ed importante coglierne un aspetto: l articolazione del rapporto tra una parola (un enunciato) e la realtà che esso vuole rappresentare. La prima certezza è proprio quella dell inconsistenza di tale rapporto, perché una parola (in quanto simbolo, significante) è in relazione non con a realtà, ma con i significati, i quali trattano di una realtà in qualche modo già cognitivamente elaborata, così some rappresentata nelle menti degli interlocutori. Per raccontare tale rapporto si usa il diagramma della significazione, che nasce anticamente (da Aristotele) ed ha una sua versione recente e condivisa in Ogden e Richards (1923). Viene così rappresentato: Referenza Simbolo Referente Il simbolo è l immagine acustica (o iconica) di un oggetto (come ad esempio la stringa acustica l-u-n-a o un disegno della luna). Il referente è l oggetto nella sua realtà fisica (come la luna nella sua realtà) La referenza è una rappresentazione mentale (come l immagine mentale con i suoi connotati della luna che ciascuno di noi ha in mente) Quello che ne esce in modo chiaro è che non esiste mai un rapporto diretto tra simbolo e realtà, ma sempre mediato da un processo cognitivo. Nel 1975 Umberto Eco definì fallacia referenziale la convinzione di un rapporto diretto tra realtà e simbolo. Se si considera che il processo mentale della referenza è influenzato culturalmente, e che il simbolo è un fatto squisitamente convenzionale, si coglie immediatamente che il processo di creare significati (attraverso le parole) è strettamente legato a quello del condividerli. Si coglie che la complessità del cosa significa una parola non è un fatto della parola in sé ma del 11

12 delicato gioco di negoziazione dei significati e della reciproca determinazione tra realtà (rappresentata) e parole. Questa questione che può apparire un po accademica e retorica è in realtà molto pratica, perché arriva a farmi riflettere su domande come: quanto posso essere sicuro che una mia espressione sia intesa così come io voglio? Quanto, invece, può essere ambigua una parola o una espressione? Quanto è certo il significato? Vediamo brevemente due approcci di stampo semiotico che prendono in considerazione due punti di vista sul rapporto tra segno e significato. Segno come equivalenza (De Saussure) È come se ci dicessero: il rapporto tra segno e significato è, ovviamente, assolutamente arbitrario; non ha nulla di oggettivo o naturale, tant è vero che lingue diverse danno nomi diversi alle cose. Ma una volta che questo legame si è stabilito diventa forte, univoco, stabile. La relazione tra i due funtivi (significante e significato) diventano una relazione di equivalenza. Aggiunge che ciò che distingue un segno dall altro non è ciò che è, ma il fatto di essere diverso da ogni altro segno. Spiegandoci meglio: puoi decidere di dare all animale cane un nome diverso da cane. Puoi dargli come nome una parola qualunque (il fatto è, appunto, arbitrario) tranne una parola che significhi già qualcosa d altro. Puoi chiamarlo derfosto, ma non gallina. Pensate ad una situazione in cui dovete creare un simbolo: avete deciso di fare una partita a scacchi con un amico, ma vi accorgete che manca una torre bianca. Cosa potete usare, in modo efficace, come simbolo della torre bianca mancante? Qualunque cosa, un 12

13 fagiolo, un tappo di bottiglia, una chiave ma non qualcosa che abbia già un altro significato, ad esempio un alfiere nero. In questo approcio, quindi si enfatizza da un lato il carattere di arbitrarietà del rapporto tra significante e significato, ma dall altro si dice che una volta che il rapporto esiste va trattato come corrispondenza piena e stabile tra espressione e contenuto, come una relazione di identità. Segno come inferenza (Peirce) Di altro parere era Peirce, che trattava il segno come qualcosa che rimanda a qualcos altro, lasciando molta flessibilità a tale funzione di rimando. Quello che viene messo in evidenza è il processo mentale (di inferenza) che sta tra segno e significato, poiché il segno è considerato un indizio da cui trarre conseguenze. Tale processo consente quindi di dare ragione ad elementi di flessibilità e plasticità nell uso dei significati. Soprattutto nella consapevolezza che in un enunciato viene comunicato molto di più di quanto viene esplicitamente detto. Si pensi al meccanismo della risemantizzazione contestuale in cui si negozia un significato in funzione del contesto; ad esempio in una situazione di trasloco posso attrezzarmi a pranzare sugli scatoloni e dire: passami la mia sedia riferendosi ad uno degli scatoloni. L interlocutore mi capirà senza grossi sforzi. Quanto sono solide le parole? Questi due approcci sono interessanti perché sembrano enfatizzare due aspetti in contraddizione, il primo (segno come equivalenza) sembra sottolineare gli aspetti di stabilità 13

14 nel rapporto tra segno e significato; il secondo (segno come inferenza) sembra sottolinearne gli aspetti di instabilità. Ma allora il rapporto tra segno e significato è stabile o no? Sembra che ci chiediamo: le parole sono affidabili come trasportatori di significato? Posso affidare un significato ad una parola contando sul fatto che evochi nell interlocutore il significato che intendevo trasmettergli? Questa è una ambivalenza cha va accettata, poiché sono veri entrambi i poli della dicotomia. Le parole sono instabili, il significato è un processo di negoziazione tra due individui, va sempre considerato a rischio, chiarito, confermato. Non può essere dato per scontato. Mi capitò di mandare nel panico alcuni conoscenti semplicemente dicendo che mia moglie era in ospedale per un emergenza. Subito pensarono stesse male mentre in realtà mia moglie lavora in ospedale ed era, semplicemente stata chiamata per una emergenza essendo reperibile. Esperienze e conoscenze diverse tra me e l interlocutore avevano fatto sì che attribuissimo significati diversi al significante essere in ospedale. Cosa significa l espressione essere in ospedale non è scontato; va negoziato, in funzione di ciò che gli interlocutori condividono come conoscenze, a ciò che si può dare per scontato, a ciò che lasciamo intendere senza averlo detto ecc. D altro canto bisogna essere consapevoli di come le parole possano essere così solide da creare realtà nella testa dell interlocutore. Elizabeth Loftus fece un esperimento volto a dimostrare come le domande potessero influenzare le risposte. Mostrò ad un pubblico un filmato di un incidente stradale, gli spettatori dovevano poi compilare un questionario riferendo ciò che avevano visto. Simulava così una situazione di testimonianza. I questionari erano tutti identici tranne che per un dettaglio: il verbo utilizzato nella domanda che riguardava la velocità a cui andavano le macchine. Ecco di seguito le diverse domande come vennero poste e le risposte medie in ciascun gruppo (espresse in miglia orari) 14

15 L evidenza è come aumentando in qualche modo il grado di violenza implicito nel verbo usato per porre la domanda si spingeva il rispondente ad attribuire una velocità più elevata ai veicoli. Fino a passare dalle 31,8 alle 40,8 miglia orarie! Provate a pensarci: il verbo usato per porre la domanda influenza retroattivamente la percezione di un evento. Ed era una domanda! Pensate a quanto condizionano le parole usate nel raccontare un evento. Evochi nell altro realtà diverse. Provate a pensare in situazioni emotivamente meno neutre rispetto all esperimento, come possiamo provocare reazioni diverse. Pensate se entrassero in gioco pregiudizi, questioni ideologiche o etiche se cambio la percezione di un evento a cui ho assistito possiamo immaginare quanto il processo di comunicazione, attraverso la scelta delle parole, crea un influenzamento di opinioni, una negoziazione nel definire una realtà. In conclusione se da un lato la fragilità del rapporto tra parole e significato ci spinge alla molta attenzione, al non dare per scontato, d altro canto la sua solidità ci responsabilizza molto. Ci costringe a sentirci responsabili di come scegliere le parole significhi scegliere una realtà che evocheremo nella mente dell interlocutore. Comunicare è necessariamente influenzarsi a vicenda, anche quando non abbiamo l esplicita intenzione di convincere qualcuno di qualcosa (intenzione persuasiva) stiamo comunque, come minimo, implicitamente cercando di convincere l interlocutore ad accettare la nostra definizione della realtà. 15

16 Comunicazione come azione In linea con la distinzione di Morris, con gli approcci pragmatici entriamo nel campo dell azione. Comunicare è sempre azione, è fare qualcosa nei confronti di qualcuno; l approccio pragmatico indaga ciò che succede quando, in situazioni reali due interlocutori utilizzano la comunicazione e fanno qualcosa. Detto in altri termini indaga il rapporto tra il testo ed il contesto. L attenzione si sposta dai sistemi di comunicazione analizzati attraverso l astrazione e le potenzialità dei sistemi linguistici all atto concreto e situato del comunicare. Austin (e Searle) La comunicazione è processo e dunque non può essere studiata solo attraverso l osservazione dei suoi prodotti cristallizzati (ad esempio il sistema linguistico). Per focalizzare l attenzione su questi aspetti Austin propone la teoria degli atti linguistici. Egli iniziò a riflettere su enunciati che definì performativi, frasi che per il fatto stesso di essere pronunciate determinano una realtà. Si pensi al sindaco o al sacerdote che pronunciano la frase vi dichiaro marito e moglie, l esatto istante in cui viene pronunciata la frase è quello in cui le due persone sono marito e moglie; ne sono altri esempi Ti battezzo Luigi dichiaro l imputato colpevole La proclamo Dottore in Psicologia ecc. A differenza dalle affermazioni vere e proprie (nel linguaggio di Austin gli enunciati Constativi) queste frasi (enunciati performativi) non hanno una condizione di verità, non sono vere o false, ma determinano una realtà per il fatto stesso di essere pronunciate. 16

17 Presto Austin abbandonerà questa netta distinzione per allargare ad ogni evento comunicativo l idea che gli enunciati realizzano una azione, determinano un effetto sulla realtà. Suggerisce che ogni volta che pronunciamo un enunciato compiamo contemporaneamente tre atti, un atto locutorio, un atto illocutorio ed un atto perlocutorio. Pronunciando una frase compio un atto locutorio, ad esempio che ore sono?, attraverso questo compio un atto illocutorio (chiederti l ora), attraverso questo compio un atto perlocutorio (ottenere una risposta che mi informi dell ora). La distinzione meno immediata è forse tra illocutori e perlocutori, si pensi che nel primo caso ci riferiamo all intenzione comunicativa, l efficacia illocutoria sta nel comportamento del comunicante, sono stato efficace nel momento in cui ti ho chiesto l ora. Nel caso del perlocutorio ci riferiamo all intenzione di produrre un cambiamento nella realtà, sono stato efficace quando ho ottenuto una risposta informativa dell ora. Un altro esempio: Atto locutorio: corri, corri! C è un incendio! Atto illocutorio: informarti del pericolo e spronarti a metterti in salvo Atto perlocutorio: che tu corra fuori dall edificio Lo stesso atto illocutorio (ad esempio chiederti di tacere) può essere prodotto da atti locatori diversi ( vuoi star zitto per favore! taci! posso chiederti, per cortesia, un momento di silenzio ). Produrrò enunciati che avranno diversa forza, in funzione del contesto diverse probabilità di realizzare l atto perlocutorio. Searle si preoccupò di produrre una tassonomia dei principali atti illocutori 17

18 Si noti che quelli che chiama esercitivi sono gli enunciati performativi da cui era partito Austin. Grice: il principio di cooperazione e le massime Il punto di partenza di Grice (filosofo del linguaggio) è di stampo semiotico, la distinzione tra significato naturale e significato convenzionale. Il segno con un significato naturale è simile ad un sintomo, qualcosa da cui io deduco qualcosa d altro. Come il fumo è indizio naturale del fuoco. Il significato convenzionale ha come elemento distintivo il voler dire. Se qualcuno lo usa implica la sua intenzione di agire sul ricevente, quantomeno causando in lui un pensiero. Questo sembra implicare nel processo comunicativo, da un lato una intenzione informativa (se dico sono le 4 la mia intenzione informativa è informarti che sono le 4), dall altro una intenzione comunicativa; nell esempio la mia intenzione comunicativa (la mia intenzione comunicativa è intendo parlare con te per avere la tua collaborazione in un gesto comunicativo in cui agirò la mia intenzione informativa ). Questo è già implicito nel fatto che sto usando un linguaggio non naturale, ma convenzionale. Se io arrossisco forse quello ha come significato naturale il fatto che io provi imbarazzo, ma non vi è alcuna intenzione comunicativa. Sulla base di questo Grice distingue informazione e comunicazione. 18

19 Il successo della comunicazione si baserebbe, allora, sul fatto che durante un evento in cui entrambi gli interlocutori hanno espresso intenzione comunicativa, questi si impegnano in un processo che, convenzionalmente, prevede l impegno reciproco alla comunicazione. Tale impegno viene chiamato da Grice principio di cooperazione ed espresso in questo modo: dai il tuo contributo al momento opportuno, così come è richiesto dagli scopi e dall orientamento della conversazione in cui sei impegnato. Le regole del gioco, a cui i comunicatori si impegnerebbero, vengono declinate da Grice in 4 massime: 19

20 Queste 4 massime, a volte utilizzate come prontuario di buona pratica della comunicazione (quasi le regole che ci insegnarono alle medie su come scrivere il tema), indicherebbero nell idea di Grice qualcosa di molto più forte di un suggerimento per l efficacia o per l estetica. Si propongono come ciò che determina significato. Il punto chiave è che l accordo implicito tra due interlocutori sarebbe rispettiamo entrambi le massime, e l applicazione delle massime al testo sarebbe l artefice della parte più importante della comunicazione: ricostruire la parte non detta. Immaginiamo questo piccolo evento comunicativo: Luigi: cercavo Gianni, ma vedo che non è alla scrivania. Sai se è già arrivato in ufficio? Mario: l Audi gialla è parcheggiata qua fuori Luigi (ma anche noi che leggiamo il testo) senza alcuna difficoltà capirà che la risposta di Mario è affermativa, o almeno che l informazione data da Mario serva ad avvalorare l ipotesi che Gianni sia già in ufficio. Ma perché è così evidente? Da una lettura semantica delle frasi non c è nulla che ce lo indichi. Il fatto è che Luigi supporrà che Mario abbia aderito alle massime dando una informazione adeguata, implicando che 1. L informazione che la frase l Audi gialla è parcheggiata qua fuori sia sufficientemente informativa (massima di quantità) 2. Che ciò che dice Mario sia vero o che, almeno, Mario lo creda vero (massima di qualità). Notate che il rispetto della massima di qualità è, forse il motivo principale per cui Mario ha preferito quella frase ad un diretto sì. Non era sicuro che Gianni fosse già in ufficio, ma aveva un indizio che ha condiviso con Luigi. 20

21 3. Che l affermazione sia pertinente (massima di relazione) per cui, anche noi che non abbiamo quella informazione, supponiamo che l Audi gialla sia di Gianni e che là fuori sia il posto dove la parcheggia quando va in ufficio 4. Che la risposta non contenga lati oscuri o ambigui e che, se così fosse, Mario li avrebbe chiariti (massima di modo) Utilizzare le massime diventa efficace perché quelle stesse procedure logiche le utilizzerà chi interpreta la mia frase. Se infrango le massime lo faccio o per errore (causando informazioni false, che io non ho detto ma che sono inferite da ciò che ho detto), o per inganno (con lo stesso meccanismo) o, ancora, per un utilizzo volontario ed esplicito, ad esempio nella comunicazione ironica; in questo caso, per essere efficace segnalerò la mia intenzione comunicativa di infrangere le massime, ad esempio con una strizzata d occhio, con un enfasi nel tono di voce ecc. (se dico ad un amico, con enfasi teatralmente eccessiva oh, ma come sei stato bravo a dare quella risposta intendo comunicare l esatto opposto). Comunque sia si noti questa enfasi dell approccio di Grice su come il significato di una frase è molto di più di quanto emerge dall analisi semantica e sintattica della frase stessa. Si usa chiamare frase ciò che è stato detto ed enunciato ciò che è stato comunicato (l enunciato comprende la frase ma non si riduce ad essa). Lo scarto tra frase ed enunciato è il fattore chiave della comunicazione. Il processo di estrazione di questo non detto viene chiamato da Grice implicatura conversazionale e sostanzia il contributo particolare di un approccio semantico. Dall utilizzo concreto e reale di una frase in un contesto specifico e da due interlocutori reali emerge un significato, non dalla frase stessa. Altri autori propongono modelli con obiettivi simili, definendo cioè il criterio di concretizzazione della comunicazione nel contesto (i più noti e attuali sono forse Sperber e Wilson ed il criterio di pertinenza). Non andiamo ad analizzarne altri; segnaliamo solo un contributo che ritengo significativo per andare a coprire un rischio epistemologico negli eccessi di pragmatismo della pragmatica. Tale rischio è quello di eccedere nel togliere da una frase o da un linguaggio un significato in sé per attribuire ogni potere di creazione del significato al contesto e ai parlanti. Levinson sostiene che esistono dei significati presuntivi, cioè delle interpretazioni per default prodotte dalla semantica, dalla sintassi e dalle convenzioni comunicative. 21

22 Come dire che ogni enunciato ha (nel senso, sia chiaro, esclusivamente convenzionale) un significato in sé, cioè quello più probabile. Se il contesto e le inferenze che l evento comunicativo ci suggerisce né coerente con questo allora lo accettiamo, altrimenti procediamo a produrre altre ipotesi. 22

23 Comunicazione come evento prodotto dalla società Si è soliti distinguere la sociologia in macrosociologia e microsociologia; la prima si occupa di istituzioni, di organizzazioni complesse e, in riferimento alla comunicazione, ci porterebbe a parlare di mass media (e recentemente di nuovi media) riflettendo sui loro effetti nella società. Stando ad un livello di comunicazione più interpersonale ci è più utile ciò che riguarda la microsociologia, che si occupa di processi di vita quotidiana. Un contributo originale ed interessante (per noi) è quello di Erving Goffman e della sua prospettiva drammaturgica. Questo autore parte da alcuni presupposti: quando un individuo ividuo si trova in presenza di altre persone queste cercano di avere informazioni sul suo conto; generalmente per motivi molto pratici, soprattutto per il bisogno di definire la situazione, sapere cosa aspettarsi gli uni dagli altri. Per questo con una serie di variabili come le conoscenze pregresse sull individuo (se ne hanno), il presupposto di una certa costanza nel suo comportamento, la lettura dei suoi atteggiamenti e delle sue parole, cercheranno di riportare una impressione sul suo conto. L individuo ha il compito di esprimersi, cioè di esprimere sé stesso nella azione sociale (che diventa una rappresentazione di una situazione e dei sé che ne prendono parte), sia attraverso simboli e linguaggi verbali, usati deliberatamente ed espressamente, e questa è la comunicazione in senso stretto, sia attraverso comportamenti che gli osservatori considerano più spontanei, attraverso una espressione di sé non deliberatamente dichiarata, ma lasciata trasparire. L individuo ha sempre (al di là dell obiettivo specifico della situazione) buoni motivi per avere un qualche controllo sull impressione che gli altri hanno di lui; così che la sua comunicazione diviene il suo tentativo di dare agli altri l impressione di sé che è suo interesse trasmettere. Gli studi dell autore divengono spesso uno studio su come le persone agiscono la loro rappresentazione teatrale nel tentativo trasmettere una definizione della realtà quanto più adeguata ai suoi bisogni. Nelle parole di Anolli: Goffman esplora ed esamina in modo innovativo una serie di fenomeni sociali della vita quotidiana come l etichetta, contrapposta a etica e intesa come il codice formale che governa gli 23

24 incontri e come pratica in cui gli attori hanno modo di coniugare in modo contingente aspetti etici e aspetti estetici. Parimenti egli si sofferma a lungo sul concetto di salvare la faccia definito come un insieme di modalità per proteggere la propria immagine, per recuperare gli errori e le gaffe commesse, nonché per salvare la situazione. Perché tutto questo è sociologia? perché ogni forma di linguaggio verbale o non verbale, di codice comportamentale, di indizio significativo, di norma comportamentale che consente la costruzione sociale della realtà in questo modo è senz altro prodotto della società e si realizza all interno di specifici contesti, chiamati frame (cornici). Di nuovo Anolli: A suo modo di vedere, esistono delle regole precise entro cui inquadrare le proprie sequenze comunicative ed esse consentono di definire la situazione, stipulando congiuntamente il significato e la struttura dell interazione e della comunicazione in corso. Tali regole organizzano, per esempio, il modo di iniziare e di terminare uno scambio comunicativo, il comportamento adeguato in relazione allo spazio, al tono della voce ecc. La scelta delle regole è determinata dal frame frame, vale a dire dalla cornice (o contesto) entro cui si realizza lo scambio comunicativo. Il frame consente, pertanto, ai partecipanti di sapere in ogni momento che cosa stia accadendo o quale sia la condotta da seguire. Sotto questo profilo la comunicazione risulta essere un processo ritualizzato, poichè è regolato da rituali. Si tratta di sequenze di atti attraverso i quali un soggetto controlla e rende visibili le implicazioni simboliche del suo comportamento quando si trova direttamente esposto a un altro soggetto. Gli atti del rituale svolgono una funzione comunicativa, poiché forniscono informazioni sul carattere e sul giudizio dei partecipanti, nonché sugli eventi in corso. Immaginatevi che mentre aspettate l inizio di una lezione entri in aula una persona che non conoscete; ritengo che in pochi istanti tutti avranno capito se si tratta di una persona che vuole ascoltare la lezione o di una persona che la terrà in vece del professore atteso. Da cosa tutti lo capiranno? Dall età? Da come è vestito? Da come si dirige verso la cattedra? Ha uno zaino da studente o un borsa da professore? sta giocando la sua parte, facendo questo suggerisce una definizione della realtà. E questa definizione della realtà suggerisce aspettative reciproche. Il concetto di ruolo nelle organizzazioni è definito come insieme di aspettative, e notiamo come la parola ruolo si presti sia al linguaggio organizzativo che a quello teatrale. Nelle parole di P. Amerio l applicazione del punto di vista di Goffman all organizzazione lavorativa: L organizzazione è vista come un insieme di riti e di recite sulla ribalta che operai e capi diligentemente osservano, e di modi concreti di definire i ritmi di lavoro in cui dietro alla ribalta gli operai si impegnano, di interessi reali dietro le quinte e di deferenze sulla scena: deferenze cui nessuno crede, ma che valgono a mantenere la realtà stessa dell organizzazione in quanto tale. 24

25 Tutto ciò propone un analisi suggestiva dell organizzazione come realtà che tende a deificarsi nei suoi riti, a riprodursi in funzione di questi Mi pare che questa bella sintesi di Amerio metta in luce al tempo stesso l importanza ed il limite dell approccio di Goffman. Da un lato mette in evidenza come la realtà in cui l essere umano si muove non sia la realtà fisica, con la caratteristica di oggettività, ma un processo di continua costruzione della realtà attraverso l interazione, una realtà fatta di simboli e di rappresentazioni, che con il carattere della convenzione crea significati e consente all uomo una conoscenza del mondo in cui si muove, glielo fa riconoscere, sa cosa aspettarsi dal mondo (sociale) e cosa questo si aspetti da lui. Un punto di vista che in questi anni andrebbe forse rivalorizzato in coerenza con il dilagare del pensiero di Weick che vede l organizzazione come luogo di condivisione dei processi di sensemaking, di costruzione di senso. Dicevamo che le parole di Amerio mettono in luce anche il limite della visione di Goffman, che nella bella intuizione della interazione come occasione di rappresentazione del sé eccede in una visione cinica e utilitaristica, per cui la metafora teatrale comprende appieno il suo aspetto di finzione di ruolo come artefatto puro. Preferiamo tener presente la possibilità di vedere questo aspetto (la rappresentazione sociale di sé) in modo meno cinico, legato al bisogno umano di conoscenza di sé e dell interazione come unica possibilità di realizzare questo bisogno. Molti altri hanno usato metafore teatrali in questi termini; si pensi, su tutti, a Moreno, che ideò e sperimentò le tecniche di psicodramma. Con questa visione, che ci porta alla comunicazione in stretta relazione al tema dell identità ci portiamo nel punto di vista francamente psicologico. 25

26 Comunicazione come relazione e identità Sicuramente le discipline più psicologiche non possono ignorare il tema della comunicazione. Dice Anolli: Esse hanno esaminato come la comunicazione entri nell esistenza del singolo soggetto, dei gruppi e delle istituzioni non solo attraverso i processi di significazione, di trasmissione delle informazioni e di connessione interpersonale, bensì anche come dimensione intrinseca che fonda ed esprime l identità personale e la posizione sociale di ogni soggetto. In sostanza la comunicazione per la psicologia (o per le psicologie) diviene oggetto centrale soprattutto in relazione a due temi: l identità e la relazione. Interessanti per i nostri scopi i modelli in cui i due temi diventano, tutto sommato, due facce della stessa cosa, poiché considerano l identità come prodotto delle relazioni e le relazioni come prodotto dell incontro tra identità. Prendiamo in considerazione, come esempio, un modello che risponde a questa caratteristica e che viene frequentemente citato nei contesti organizzativi quando si tratta (in seminari, consulenze ecc.) di comunicazione interpersonale: la scuola di Palo Alto. Il testo di riferimento, entrato di prepotenza tra i libri più noti in assoluto sul tema della comunicazione è pragmatica della comunicazione umana di Watzlawick, Beavin e Jackson. Il presupposto è che un fenomeno rimanga inspiegabile fino a che non si consideri il rapporto con il contesto in cui avviene. Non fa eccezione il comportamento umano, compreso quello patologico. Si propone allora di passare dall analisi deduttiva della mente all analisi di manifestazioni osservabili. Dalla persona isolata, concepita come monade alle relazioni. Il fatto osservabile ha, allora, come elemento costitutivo la comunicazione, come veicolo della relazione. Così facendo gli autori collocano esplicitamente se stessi in un ottica pragmatica, prestando attenzione a ciò che le persone fanno quando comunicano. Nelle loro parole la comunicazione influenza il comportamento ed è questo l aspetto che noi definiamo pragmatico in poche righe passano dall affermazione per cui la comunicazione influenza il comportamento a quella (basilare per il modello) per cui comunicazione e comportamento sono la stessa cosa: vorremmo che fosse chiaro fina da ora che usiamo i termini comunicazione e comportamento praticamente come sinonimi. Su questi presupposti, e sviluppando il pensiero di Gregory Bateson, gli autori si propongono di fissare alcuni assiomi sulla comunicazione, eccoli: 26

27 1. Non si può non comunicare Un comportamento non ha un suo opposto, non esiste un non-comportamento, non ne esiste l assenza. Il non fare niente, al limite, non è assenza di comportamento, ma un preciso comportamento. Se si accetta che l intero comportamento è comunicazione, bisogna accettare che è impossibile non comunicare. Come faccio a non comunicare. Se non voglio comunicare con il mio vicino in treno terrò atteggiamenti riservati, agirò in modo da isolarmi, da non mostrare aperti canali di comunicazione (leggerò, dormirò, eviterò sguardi prolungati alle altre persone), posso dire che in quel momento non sto comunicando? Secondo questo approccio no, tanto è vero che sto comunicando un messaggio ben preciso: non intendo interagire con alcuno, e altrettanto è vero che il messaggio sarà colto dai viaggiatori. Sappiamo tutti quanto possono essere comunicativi certi silenzi. Diciamo in caso estremo che ad una certa riunione di lavoro io non voglio comunicare proprio nulla, nemmeno la mia intenzione di non comunicare, possono non andarci ma so per certo che qualcuno darà un significato alla mia assenza, dandole valore di messaggio. Esplicitamente si nega che la comunicazione sia solo quella intenzionale. Tutto diviene messaggio e quindi comunicazione. L ipotesi è proposta in modo così forte da ipotizzare, quando si parla di psicopatologie, il comportamento schizofrenico come un vano tentativo di non comunicare e di negare che il proprio comportamento sia, esso stesso, comunicazione. 27

28 2. Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed un aspetto di relazione di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione. Gli autori si rifanno al pensiero di Bateson, per il quale ogni atto comunicativo ha un aspetto di notizia ed uno implicito di comando, su cosa fartene della notizia. Così che è tardi, credo sia opportuno andare e sbrigati, per la miseria, è tardi!! hanno tutto sommato lo stesso contenuto, ma evocano il comando in modo molto diverso, definendo diversamente la relazione. Così su ogni informazione è presente una meta-informazione (cioè una informazione sull informazione stessa). Eventuali contrasti insanabili tra i due livelli stanno alla base di ciò che chiamiamo paradossi, si pensi a questo esempio questa frase è falsa se è vero che è falsa, allora dice il vero dunque diviene falsa ma in questo caso dice il vero non se ne esce. Così nella comunicazione l aspetto metacomunicativo può contraddire il contenuto comunicativo creando comunicazione paradossale. Il caso più significativo è quello di una ingiunzione che per essere obbedita deve essere disobbedita. Si pensi a questa situazione: una madre passeggia con il bimbo di 4 anni ed incontra un collega di lavoro, il bambino, invitato a presentarsi e a salutare, si intimidisce e si nasconde dietro la madre. La madre dice non essere timido, sii spontaneo senza rendersene conto ha ficcatoli bambino dentro un paradosso. Per lui essere spontaneo era esattamente ciò che ha fatto quando si è nascosto per obbedire all ingiunzione sii spontaneo deve fare qualcosa (presentarsi e salutare) che per lui è tutt altro che spontaneo. Per cui per obbedire deve disobbedire. Non c è via d uscita, non tanto da un punto di vista comportamentale (il bambino saluterà e accontenterà la mamma, fingendo spontaneità), quanto da un punto di vista relazionale, poiché l ingiunzione è paradossale. Molti sono i capi nelle organizzazioni lavorative che considerano capaci di autonomia i collaboratori che fanno esattamente quello che avrebbe fatto lui 3. la natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti Un osservatore che assista ad una conversazione può considerarla come una sequenza ininterrotta di scambi. Ma i partecipanti aggiungono alla loro percezione di quell evento un elemento importante: la punteggiatura. Se consideriamo la sequenza: A: Che ore sono? B: la 10 e mezza 28

29 Possiamo senz altro considerare A come stimolo e B come risposta. Ma di solito assistiamo e partecipiamo ad eventi comunicativi più lunghi e articolati, così che ciascun evento può essere considerato stimolo dell evento che segue ma anche risposta dell evento che lo precede. La punteggiatura organizza gli eventi. Una barzelletta racconta di un topo da laboratorio che si vanta con un altro topo, dicendo ho addestrato il mio sperimentatore, ogni volta che premo la leva mi dà da mangiare. Rispetto ad una visione ortodossa del rapporto tra sperimentatore e topo egli non ha alterato gli eventi, ne ha alterato la punteggiatura. Diviene causa ciò che era effetto e viceversa. Seguiamo l esempio proposto dagli autori: si trova alla radice di innumerevoli conflitti di relazione un disaccordo su come punteggiare la sequenza di eventi. Supponiamo una coppia che abbia un problema coniugale di cui ciascun coniuge è responsabile al 50%: lui chiudendosi passivamente in sé stesso e lei brontolando e criticando. Quando spiegano le loro frustrazioni, l uomo dichiara che chiudersi in sé stesso è la sua unica difesa contro il brontolare della moglie, mentre lei etichetta questa spiegazione come una distorsione grossolana e volontaria di quanto realmente accade nel loro matrimonio: vale a dire che lei critica il marito a causa della sua passività. Se li sfrondiamo di tutti gli elementi effimeri e fortuiti, i loro litigi si riducono allo scambio monotono dei messaggi Io mi chiudo in me stesso perché tu brontoli e Io brontolo perché tu ti chiudi in te stesso. 4. Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico. Il linguaggio numerico ha una sintassi logica assai complessa e di estrema efficacia ma manca di una semantica adeguata nel settore della relazione, mentre il linguaggio analogico ha la semantica ma non ha alcuna sintassi adeguata per definire in un modo che non sia s ambiguo la natura delle relazioni. Nella comunicazione umana si hanno due possibilità di riferirsi ad un oggetto, rappresentarlo oppure dargli un nome. Nel primo caso avremo una comunicazione analogica; una rappresentazione con forma discreta dell oggetto; nel secondo una comunicazione numerica (fatta di tutto o niente). Se dico mi sono fatto male utilizzo la comunicazione numerica, se emetto un urlo di dolore uso una comunicazione analogica. Nel primo caso avrò la possibilità di descrivere l oggetto più dettagliatamente, in modo più complesso; nel secondo avrò l opportunità di evocare l oggetto anche in intensità. se urlo ahi, mi sono fatto male sto usando entrambe le forme contemporaneamente, descrivendo l oggetto dolore con codice numerico e trasmettendone l intensità attraverso il tono di voce, l esclamazione ecc. 29

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