I FATTORI FONDAMENTALI DELLA RELAZIONE ANALITICA. Laura Pistorio

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1 I FATTORI FONDAMENTALI DELLA RELAZIONE ANALITICA Laura Pistorio Premessa In questo lavoro intendo trattare, secondo un ottica storica, i fattori che supportano la relazione terapeutica: transfert, controtransfert, identificazione proiettiva, setting, campo. L obiettivo è quello di passare in rassegna l evoluzione dei concetti che fanno capo alle teorie della clinica partendo dal modello freudiano per arrivare fino alle teorizzazioni più recenti sul setting e sul modello di campo. Vorrei mettere in evidenza alcuni passaggi fondamentali, soffermandomi su quelle teorie che hanno dato un contributo sostanziale alla comprensione del lavoro analitico. Il primo paragrafo è dedicato alle idee di Freud sulla relazione psicoanalitica in cui si mette in risalto come esse facciano perno sul concetto di transfert (paziente-analista). I paragrafi successivi, sono volti a descrivere come la revisione teorica di Melanie Klein del concetto di transfert, in relazione alla scoperta dei meccanismi di difesa non nevrotici, sposta il vettore fondamentale della relazione psicoanalitica dal transfert al controtransfert, aprendo ad una visione più marcatamente relazionale dell esperienza analitica. Nei paragrafi a seguire, l attenzione si sposta verso i passaggi teorici che segnano l inclusione degli affetti dell analista nel campo dell esperienza analitica e l analisi dei movimenti di attrazione e repulsione tra paziente ed analista che consentono una lettura delle dinamiche attive nell hic et nunc. Questi paragrafi sono propedeutici alla descrizione delle teorie che si occupano delle condizioni in cui l analisi si svolge (setting) e alle influenze di queste sulla relazione e sul processo analitico. Alla fine di questo breve percorso, trova spazio una riflessione personale dedicata alla questione dell atteggiamento mentale dell analista. 1. Freud e la relazione di transfert Secondo il modello teorico pulsionale, il transfert è lo spostamento di un affetto da una rappresentazione ad un altra e, in seguito, secondo un accezione più specifica, designa il processo in virtù del quale elementi conflittuali dell inconscio del paziente vengono trasferiti nella persona dell analista. Il paziente entra in rapporto con l analista come se questi fosse una figura Rivista internazionale di psicoterapia e istituzioni numero 1 copyright

2 affettivamente significativa della sua infanzia. In altri termini, proietta sull analista, schermo neutro, antiche rappresentazioni oggettuali, frutto di precedenti e progressive introiezioni. Come sottolinea Ida Macalpine in un articolo del 1950, Lo sviluppo della traslazione, i meccanismi considerati da Freud operanti nella traslazione sono lo spostamento, la proiezione e l introiezione, l identificazione e la coazione a ripetere. R. Horacio Etchegoyen (1986), nel suo trattato sulla tecnica psicoanalitica, segue la linea teorica freudiana, facendo una descrizione dettagliata del concetto di transfert a partire dagli Studi sull isteria ( ) in cui Freud definisce il transfert come un falso nesso ovvero sia come una connessione erronea attraverso cui il paziente attribuisce al medico rappresentazioni (spiacevoli) che emergono durante il lavoro (analitico) (Etchegoyen,1986, p.101). Ne L interpretazione dei sogni (1900) Freud spiega il lavoro onirico facendo uso della parola transfert : il desiderio inconscio, investendo un resto diurno preconscio, elude la censura e arriva così alla coscienza. Etchegoyen (1986), sottolinea che Freud non stabilisce una uguaglianza teorica tra i due fenomeni, tuttavia, questa modalità di investimento energetico è collegabile ad un processo simile a quello del transfert. Nel poscritto al Caso di Dora (1905), Freud sviluppa la teoria del transfert poi consolidata nel Afferma che il transfert è un fenomeno peculiare del trattamento psicoanalitico che si presenta da una parte come qualcosa di inevitabile, e dall altra come qualcosa che viene usato dal paziente per rendere inaccessibile il materiale patogeno. In quanto tale, esso rappresenta al contempo un ostacolo e un agente della cura. In questo scritto Freud afferma che il trattamento psicoanalitico non crea il transfert ma lo scopre, lo rende visibile, come accade per altri processi psichici inconsci (Etchegoyen,1986, p. 104). Nella quinta della Cinque Conferenze sulla Psicoanalisi (1909), Freud dice che il transfert è alleato nel processo analitico e che e i parametri che lo definiscono sono: realtà e fantasia, conscio inconscio, presente e passato. L esperienza emotiva che il paziente non può ricordare viene rivissuta nel transfert ed è lì che deve essere risolta (Etchegoyen,1986, p. 105) In questa fase, Freud sembra sentire l influenza delle elaborazioni di Ferenczi. In Introiezione e transfert (1909) Ferenczi introduce il concetto di introiezione, distinguendo il meccanismo espulsivo della proiezione, tipica del paranoico, dall introiezione, processo psichico per cui un oggetto del mondo esterno viene assunto a livello di rappresentazione mentale, funzionante nell ambito dell isteria. Se la teorizzazione freudiana avanza l ipotesi che il transfert può essere compreso nella dialettica fantasia-realtà (Etchegoyen,1986, p.105), le elaborazioni di Ferenczi sul processo di introiezione, sostenendo che il rapporto del soggetto si sposta dall oggetto reale al nuovo oggetto interno, la supportano e la integrano. Rivista internazionale di psicoterapia e istituzioni numero 1 copyright

3 Secondo Ferenczi, il transfert è un meccanismo per cui un esperienza specifica dimenticata viene messa in contatto con un evento attuale attraverso la fantasia inconscia. La nevrosi è connotata dalla sensibilità eccessiva del soggetto che distorce la realtà secondo i propri desideri (Etchegoyen,1986). Alla luce di quanto detto potremmo dire che il transfert del paziente, nell interazione con l analista, è la distorsione della situazione reale costruita nei termini dei propri desideri. Considerato inizialmente come un ostacolo alla cura, il transfert viene successivamente riconosciuto come parte essenziale del trattamento. Nelle formulazioni più mature, La dinamica del transfert (1912), Freud ne chiarifica la natura ambivalente e, su questa base, distingue tra transfert negativo e transfert positivo, a seconda che l analista venga vissuto come una figura ostile o, al contrario, amichevole. Il transfert è una sorta di messa in scena, una rappresentazione teatrale che permette all analista di conoscere un pezzo di storia della vita del paziente. Inoltre, Freud (1912) dice che se il bisogno d amore di un individuo non è stato soddisfatto egli si rivolgerà anche all analista secondo certi modelli inserendolo in una delle serie psichiche create fino a quel momento. Egli illustra anche la relazione esistente tra transfert e resistenza all analisi: le forze che hanno messo in moto il processo patologico si volgono adesso contro l analista in quanto fattore di cambiamento che vuole invertire il processo (Etchegoyen,1986, p. 110). Nel 1914, in Nuovi consigli sulla tecnica della psicanalisi, Freud sottolinea la relazione esistente tra tale fenomeno e la coazione a ripetere, relazione che è responsabile della sostituzione della normale nevrosi con una nevrosi di transfert, una sorta di malattia artificiale che con la terapia analitica può essere compiutamente attraversata e compresa nel suo significato profondo. Il transfert, dunque, si qualifica in modo contraddittorio: da una parte è una forma di resistenza alla cura, dall altra ne è la condizione necessaria affinché emerga il conflitto nucleare infantile. In Al di là del principio di piacere (1920), mette in relazione il rievocare con l agire: quanto più un contenuto psichico si sottrae alla rievocazione, tanto più comparirà come atto sostenuto dalla coazione a ripetere. Nel transfert si materializzano le relazioni del soggetto con i suoi oggetti, anche precoci, parziali. Il modello teorico basato sulla teoria delle pulsioni e sull uso della tecnica dell interpretazione pone al centro la tematica dell agire e al ricordare una funzione fondamentale. L agire, fenomeno che Freud connette alle resistenze al trattamento, prende il posto del ricordare e dell elaborare e si manifesta con la coazione a ripetere. Il transfert, allora, si manifesta come ripetizione, come agito, ovvero come qualcosa che non attiene al dominio del pensato, alla sfera dei processi di simbolizzazione. È necessario, per non fallire l analisi, trasformare l agire nel ricordare e l impulso all azione nella riflessione. Rivista internazionale di psicoterapia e istituzioni numero 1 copyright

4 La visione freudiana propone concetti che si collocano lungo il contesto storico della teoria che fonda un modello eminentemente intrapsichico. E se i parametri di riferimento dell esperienza analitica sono individuabili nella possibilità di instaurare transfert e nella valenza positiva dell investimento pulsionale, essa sembra essere destinata essenzialmente ai pazienti nevrotici ed escludere i pazienti narcisisti e i pazienti psicotici. Nel caso dei pazienti narcisisti, l assenza o carenza libidica e oggettuale non consente l instaurarsi del transfert; nel caso degli psicotici la valenza negativa dell investimento pulsionale ostacola l alleanza terapeutica. In tal senso, il modello freudiano si presenta come poco attenta alla dimensione affettiva intersoggettiva data la natura esclusivamente intrapsichica attribuita ai conflitti patogeni e alla loro riedizione nella relazione di transfert (Sarno, 2000). 2. Melanie Klein e la relazione transferale Melanie Klein propone un modello della vita psichica come organizzata in base al rapporto con l'oggetto, al contrario di Freud che la fonda sulla dinamica pulsionale. Il modello pulsionale e la teoria del transfert di Freud non contemplano il trattamento di pazienti gravi. Nello scritto Le origini della traslazione Melanie Klein, (1952) specifica da cosa ha origine la traslazione inaugurando la possibilità di trattare le psicosi. A differenza di Freud, la Klein ritiene che vi siano una relazione oggettuale interna anche nello stadio del narcisismo e dell autoerotismo perché sin dalla nascita è presente, contemporaneamente, una relazione oggettuale esterna: quella con il seno della madre. Il seno della madre è l oggetto cui il bambino proietta la libido e l aggressività per tollerare l angoscia persecutoria provata alla nascita per le difficoltà di adattarsi a condizioni totalmente nuove (Klein, 1952). L unica fonte di sicurezza è data dalla possibilità di trasformare l oggetto buono in un oggetto ideale che lo protegge dall oggetto persecutore. Melanie Klein sostiene che il transfert si genera a partire dagli stessi processi che nei primissimi stadi di sviluppo determinano le relazioni oggettuali. Esso consiste nella proiezione di oggetti edipici e di oggetti preedipici, parziali e permette di rivivere le relazioni precoci con il seno. Secondo la Klein, il transfert entra in gioco in tutte le relazioni umane. In analisi emergono dagli strati più profondi dell inconscio, oltre agli impulsi, specifiche relazioni oggettuali, emozioni, affetti, conflitti, che vengono affrontati attivando i sistemi di difesa utilizzati nel passato. Perciò è fondamentale l analisi delle difese contro le angosce che insorgono nella situazione di traslazione (Klein, 1948, p. 534). L aver attribuito un bipolarismo funzionale alle pulsioni ed un oggetto interno cui possono rivolgersi, rivoluziona le idee sulla relazione di transfert. La prima infanzia sarebbe il luogo dove Rivista internazionale di psicoterapia e istituzioni numero 1 copyright

5 prendono forma e contenuto degli oggetti interni che prima avevano solo una dimensione fantasmatica. Nella relazione di transfert prendono vita non solo la ripetizione di modalità relazionali della prima infanzia, ma la vita di fantasia che in analisi può essere inferita dalla globalità del materiale che il paziente porta. Perciò la caratteristica del transfert è il trasferimento dal passato al presente di situazioni globali (emozioni, difese, relazioni oggettuali). La relazione con l analista è determinata dall hic et nunc transferale che attualizza le dinamiche inconscie che regolano le relazioni d oggetto primitive del paziente nella relazione analitica (Sarno, 2000). 3. Il controtransfert Per decenni, in psicoanalisi ci si è riferiti al controtransfert come ad un potenziale ostacolo al progresso della terapia. I contributi teorici scelti, tentano di fare luce sulle questioni nodali che hanno attraversato la ricerca sul concetto di controtransfert inaugurato da Freud. Dagli anni 50 in poi, il controtransfert viene considerato non già come ostacolo al lavoro analitico, piuttosto come strumento di indagine privilegiato e prezioso per la comprensione di ciò che accade nel processo analitico, diviene la premessa essenziale per attribuire ad esso la funzione di strumento terapeutico (insieme all interpretazione) e per sancire l apertura ad una visione del rapporto analitico come esperienza relazionale. Il contributo teorico di Paula Heimann (1950), inaugura un nuovo filone di analisi del problema. Il controtransfert viene trattato non unicamente come reazione negativa dell analista ai vissuti del paziente, piuttosto come l insieme dei vissuti emotivi che il paziente evoca nell analista che rappresentano un indizio utile a comprendere i vissuti profondi del paziente e il processo analitico in corso. Nell articolo Sul controtransfert (1950), la Heimann sostiene, infatti, che molti analisti hanno paura di provare dei sentimenti nei confronti dei loro pazienti per paura di allontanarsi dall ideale interiorizzato di analista specchio che mantiene un atteggiamento neutrale. Invita piuttosto a percepire, riconoscere e non reprimere tali sentimenti perché sono fondamentali per la comprensione di cosa il paziente vuole comunicare inconsciamente. Come diceva Freud, riconoscere e padroneggiare il controtransfert è un operazione indispensabile per non agire i sentimenti che l analista prova ma contenerli ed essere capaci di osservarli ed interpretarli alla luce del processo in atto, nel calore della relazione. Per fare questo, l analista deve risolvere i propri conflitti con l analisi personale per riconoscere questi sentimenti e non attribuirli al paziente col rischio di comprendere in modo distorto quanto il paziente cerca di comunicare. Racher (1960), nell articolo su Il significato e l impiego del controtransfert, descrive i meccanismi del controtransfert mettendone in risalto il significato di correlazione con il transfert del Rivista internazionale di psicoterapia e istituzioni numero 1 copyright

6 paziente, e l impiego come strumento per comprenderlo. Egli, individua nell identificazione il meccanismo base. Questa specificazione, pone le basi per un analisi degli aspetti relazionali del fenomeno in questione. Ne distingue due tipi rispetto alla dinamica, complementare e concordante, e due tipi rispetto all intensità, pensieri o posizioni, ne spiega la dialettica mettendo in evidenza come esso possa essere un ostacolo, uno strumento e come possa influenzare la relazione analitica. Il controtransfert, secondo Racker, deve essere usato come strumento (Racher, 1960), anche se intenso e rischia di disturbare il processo, poiché le caratteristiche specifiche dei meccanismi controtransferali ci fanno risalire a specifiche conoscenze sul paziente. Occorre mantenere una giusta distanza dai sentimenti controtransferali che non bisogna reprimere ma nei quali non bisogna affogare. A tal proposito nell articolo, L odio nel controtransfert, Winnicott (1949) sostiene che vi sono pazienti che suscitano sentimenti negativi di odio intenso derivanti dall effettivo carico emozionale che il paziente richiede. In questi casi, Winnicott sostiene che l analista deve essere capace di sopportare, contenere la tensione senza che il paziente se ne accorga. In questo stesso articolo descrive, inoltre, due importanti aspetti del controtransfert: uno riguarda i sentimenti di controtransfert anomali, vale a dire quelle identificazioni stabilmente rimosse dell analista che dovrebbero comportare una ripresa dell analisi personale; l altro riguarda invece quelle identificazioni e tendenze collegate alle esperienze personali dell analista che forniscono le condizioni positive per il lavoro analitico e che qualitativamente lo connotano, rendendolo unico. Ancora, nell articolo Il controtransfert, Winnicott (1969) sottolinea come esso debba essere messo in relazione all atteggiamento professionale che l analista deve riuscire a mantenere nei confronti del paziente. L atteggiamento professionale non deve però derivare da difese, inibizioni e pignolerie ossessive che invece finiscono col creare pressioni, col diminuire la capacità di affrontare il lavoro analitico, col disturbarne il suo corso. Per tali ragioni, è indispensabile per l analista un analisi personale volta a risolvere i conflitti più arcaici, che riemergono specie con i pazienti più difficili, e a rafforzare l Io. Leon Grinberg (1958), nel contributo Controtransfert e controidentificazione proiettiva, fornisce ulteriori possibilità di analisi di alcuni aspetti della relazione analitica. Egli mette in guardia l analista dalle violente identificazioni proiettive di alcuni pazienti, in special modo quelli con personalità borderline e narcisistiche, descrivendo la reazione di controidentificazione proiettiva distinguendola dalla reazione di controtransfert. Il controtransfert deriva principalmente dai conflitti personali dell analista la controidentificazione proiettiva è una risposta inconscia dell analista che dipende dalle intense e violente identificazioni proiettive del Rivista internazionale di psicoterapia e istituzioni numero 1 copyright

7 paziente. Essa ha come conseguenza quella di interrompere la comunicazione tra l inconscio dell analista e quello del paziente, e si caratterizza per il suo essere indipendente dai conflitti personali dell analista. Mentre nel controtransfert la risposta al paziente è del tutto personale, nel caso della controidentificazione proiettiva diversi analisti risponderanno allo stesso modo allo stesso paziente. Emerge come, attraverso questi contributi che prestano attenzione all analisi degli aspetti relazionali del controtransfert, esso venga accostato al meccanismo dell identificazione proiettiva. La definizione primaria di identificazione proiettiva viene data da Melanie Klein (1946), tuttavia anche le teorizzazioni intorno a questo concetto si evolvono verso un ottica più relazionale spostando, gradualmente, il fattore fondamentale della relazione psicoanalitica dal transfert al controtransfert. Secondo la Klein (1946), l identificazione proiettiva si configura come un meccanismo impiegato dalla psiche per liberarsi di quelle parti scisse che l Io rifiuta in sé prodotte dalla sua distruttività che genera l illusione di realizzare una sorta di controllo onnipotente sull oggetto, allo scopo di negare la mancanza di potere su di esso. Tale definizione, pur se apre nuovi scenari alla scoperta delle relazioni che dominano la vita emotiva e caratterizza i meccanismi di difesa non nevrotici, tuttavia mantiene il focus di analisi puntato sul piano dell intrapsichico. Le successive revisioni di W. Bion, H Rosenfeld e T. Ogden, contribuiscono, altresì, ad una progressiva definizione dell identificazione proiettiva come un meccanismo relazionale. Questi autori, prendono in considerazione il fatto che l identificazione proiettiva è una modalità di comunicazione inconscia che costituisce un aspetto essenziale dello sviluppo normale, pertanto, si riconosce nella comunicazione preverbale e verbale. La comunicazione degli elementi emotivi, trasmesse attraverso parole e segni, danno significato alla relazione poiché essa stabilisce delle correlazioni tra fenomeni così da poterli esprimere in un enunciato (Bion, 1959). Essa, inoltre non è solo una fantasia inconscia ma anche una forma di interazione interpersonale caratterizzata dalla manipolazione di una persona da parte di un altra. È la forma più importante di comunicazione tra terapeuta e paziente. Rosenfeld (1980), tra i primi a dedicarsi alle applicazioni cliniche della teoria sull identificazione proiettiva alla schizofrenia, la considera come una modalità di comunicazione che subentra alla consueta e più logica comunicazione verbale con il rischio, se eccessiva, di interromperne il flusso e di ostacolare la capacità di pensiero verbale e astratto portando ad una concretezza dei processi psichici che provoca confusione tra realtà e fantasia (Rosenfeld, 1980). Ogden (1991), considera l identificazione proiettiva come una formulazione ponte (Ogden, 1991) che consente di descrivere l interazione tra l intrapsichico e il mondo esterno. Essa è un processo Rivista internazionale di psicoterapia e istituzioni numero 1 copyright

8 complesso che assume contemporaneamente diverse funzioni: di difesa, funzionale a distanziare aspetti indesiderati del Sé; di comunicazione, atta a indurre nell altro il sentimento provato da chi proietta col fine ultimo di stimolare nell altro la comprensione; come forma di relazione oggettuale primitiva che costituisce un modo di rapportarsi ad un oggetto vissuto come parzialmente separato; come strada verso il cambiamento psicologico mediante la quale, l elaborazione di quei sentimenti di cui ci si vuole sbarazzare vengono preparati, in una forma mutata, per la reinteriorizzazione. 4. Dalla relazione alla situazione psicoanalitica al setting La teorizzazione kleiniana dà l avvio agli studi sulla personalità psicotica, a seguire le revisioni di Bion, Grinberg, Segal, Rosenfeld fanno luce sull azione massiva della identificazione proiettiva nella relazione analitica e preferiscono parlare di parte psicotica della personalità. Queste riflessioni teoriche, connesse alla riflessione sulla pratica analitica, spingono a pensare sulle condizioni in cui la relazione psicoanalitica si svolge in quanto, queste, risultano coinvolte nel processo analitico. Gli autori che portano avanti la riflessione in merito a tale questione sono i Baranger (1961) per quel che concerne la cosiddetta situazione analitica e Bleger che ha avuto una grossa influenza nello studio della situazione analitica, per quel che riguarda il concetto di setting (Bleger, 1967). La situazione analitica è definibile come quel luogo, spazio senza tempo, dove si stabilisce la relazione tra terapeuta e paziente finalizzata al compimento di un dato lavoro. Gli studi di Bleger (1966) dunque segnano in letteratura il cambiamento del modo di intendere il concetto di setting: da quel qualcosa che fa semplicemente da sfondo ai movimenti esperenziali a qualcosa di vivo e mobile che, in quanto tale, favorisce o inibisce l interazione affettiva della coppia in relazione. Egli denomina situazione analitica l insieme di relazioni che includono il processo e il setting. Il concetto di setting, dunque, deriva dalla situazione analitica. Esso, è l ambito in cui si situano le norme che rendono possibile il lavoro analitico. Tali norme provengono dalla psicoanalisi e dalle teorie dello psicoterapeuta e sorgono da un accordo tra le parti che costituisce il contratto analitico. Il setting è il dispositivo fondamentale che fa si che il lavoro analitico si sviluppi attraverso il tempo, configurando e mantenendo il processo analitico. Dunque, affinché il processo analitico si sviluppi, è necessario un setting che lo contenga (Etchegoyen,1986). Poiché la relazione e il processo analitico sono in stretto rapporto con le funzioni del setting, l eventuale variazione di un singolo elemento del setting, induce cambiamenti nella relazione con effetti a livello transferale e controtransferale e sul processo analitico. Gli elementi invarianti del setting, la stanza, l orario, il pagamento, la programmazione delle ferie, il ruolo dell analista, hanno la funzione di deposito delle angosce psicotiche della identità e della parte del Sé non sottoposta a cambiamento. Nella formulazione del concetto di setting muto, Bleger Rivista internazionale di psicoterapia e istituzioni numero 1 copyright

9 fa riferimento ad una teoria della psicosi e dello sviluppo secondo cui all inizio l Io e il non-io sono indifferenziati: è dal processo di differenziazione, di scioglimento della simbiosi, che nasce l Io. La parte psicotica della personalità proietta la parte della personalità non differenziata (il non-io) e approfitta della immobilità del setting per stare in silenzio. Questa parte muta del setting contiene e ripete la realtà simbiotica iniziale (Etchegoyen, 1986, p.592). Pertanto, in quanto dispositivo stabile, esso struttura e contiene la relazione, per alcuni pazienti, dice Winnicott (1964), il fatto di strutturare e di mantenere il setting è più importante del lavoro interpretativo. Studi più recenti, (A.Green,1990), portano avanti la riflessione secondo cui il setting è prima di tutto il luogo del transfert. La riflessione su queste due entità è indissociabile" (Green, 1990, p. 52). Il setting è uno spazio depositario delle angosce primarie evocate dalla relazione affettiva, consente al paziente la possibilità di costruire uno spazio mentale, attraverso un gioco di rimandi e di significati che derivano dalla relazione transferale, per favorire l'avvio o il ripristino dei processi di elaborazione degli elementi inconsci. 5. La nozione di campo analitico Seguendo le linee teoriche tracciate in precedenza, potremmo dire che la situazione analitica rappresenta una esperienza relazionale che racchiude in sé elementi derivanti dalla coppia analistapaziente, dalle condizioni in cui essa si svolge (setting e contratto) e dalla ricezione e lettura delle emozioni espresse ma non agite. Essa implica il riconoscimento e, dunque la consapevolezza, sia dei limiti sia delle possibilità di agire storicizzando l esperienza relazionale, conferendole una sua struttura temporale e finita. La situazione analitica ha dunque un riferimento spaziale, il processo include la dimensione temporale. Se uniamo le due variabili in gioco potremmo dire che la situazione analitica è un campo, ovvero la zona di interazione tra l organismo e il suo ambiente (Lewin, 1935). Il campo analitico è lo spazio di interazione del paziente e dell ambiente che include il ruolo e la persona dell analista. La nozione di campo, che prende in considerazione in modo simultaneo i fattori coesistenti nella situazione analitica, segna il passaggio ad un modello concettuale più complesso che non pone al centro lo studio della struttura della relazione analitica e le sue dinamiche. Il dibattito sulla questione del modello di campo ruota intorno alla possibilità di considerarlo una evoluzione del modello relazionale o un sistema concettuale autonomo. Alcuni autori, sottolineano come ricondurre i significati dell esperienza analitica nell hic et nunc possa rischiare di appiattire o ridurre l esperienza stessa a mera situazione attuale a discapito della Rivista internazionale di psicoterapia e istituzioni numero 1 copyright

10 dimensione storica; altri, ritengono che il modello di campo sia una possibilità di allargare lo sguardo analitico attraverso l analisi di uno spazio-tempo emotivo, il campo appunto, che si attiva e si trasforma in base al funzionamento mentale della coppia analista paziente (Ferro,1996). Tra i primi contributi al modello di campo troviamo quello dei coniugi Baranger (1961), viene messo in evidenza come la situazione analitica si configuri come campo dinamico bi-personale, caratterizzato, cioè, da reciproca interazione e azione degli attori coinvolti. Essa, si struttura a partire da una diversa valutazione delle reazioni transferali del paziente e, soprattutto, dal coinvolgimento dell analista nello stesso processo dinamico che egli stesso ha contribuito a creare. La dinamica della situazione analitica viene costruita da una fantasia condivisa, da una fantasia di coppia che, attraverso il gioco delle identificazioni proiettive e controidentificazioni proiettive che agiscono su paziente ed analista, rende l analista un osservatore partecipe che attivamente contribuisce alla formazione della nevrosi da transfert del paziente attraverso una micronevrosi da controtransfert. In essa confluiscono non solo i movimenti espulsivi del paziente, ma anche i conflitti e le macchie cieche dell analista. Quindi, secondo tale elaborazione teorica, il vettore fondamentale della relazione tra analista paziente è dato dall identificazione proiettiva che rappresenta il meccanismo di base della formazione del campo. Pur se i Baranger non tennero in considerazione i contributi di Bion sull identificazione proiettiva, emergono evidenti corrispondenze tra le rispettive teorizzazioni. Parallelamente a queste ricerche si svolge, dunque, quella di Bion il quale a partire dalla revisione dei concetti di identificazione proiettiva, fino alla teoria dei legami e alla teoria sul pensare, costruisce un modello clinico di campo che si connota per il carattere costruttivista e trasformazionale (Gaburri 1997; Riolo, 1997). Il carattere costruttivistico è presente in quanto i fenomeni del campo sono generati dalle condizioni artificiali (setting) e dalle modalità di funzionamento della mente del paziente e dell analista. L esperienza assume un carattere trasformativo poiché, attraverso l esercizio di una funzione empatica e metabolica volta al riconoscimento dei vissuti inconsci di natura proiettiva intensamente attivi nella relazione, vi è la possibilità di produrre cambiamenti nello stato mentale del paziente e dell analista a partire dalle comunicazioni fatte in seduta e trasformate dall analista attraverso l interpretazione (Sarno, 2000). Francesco Corrao negli anni 80 introduce la sua riflessione sul modello di campo sulla base della pratica clinica con i gruppi. Secondo Corrao, il cosiddetto campo della relazione si configura come ciò che consente il crearsi e il mantenersi di uno spazio potenziale che favorisca la conoscenza. Il valore potenziale di tale spazio si può connettere al concetto di campo bipersonale, caratterizzato dalla complementarietà e dalla poiesis cooperativa della coppia, e all idea di un contesto in cui si Rivista internazionale di psicoterapia e istituzioni numero 1 copyright

11 verifica un dialogo infinito, infingibile, sempre aperto, senza prima, né ultima parola. (Corrao, 1991 op. cit. in Sarno, 2000). 6. L atteggiamento mentale dell analista Per atteggiamento mentale dell analista si intende la sua disposizione a lavorare col paziente per esplorare i processi mentali inconsci del pazienti e farglieli comprendere (R. H. Etchegoyen, 1986, p. 583). Con questa definizione, l autore mette in evidenza come il lavoro analitico consista nell esplorazione dell inconscio, ciò provoca angoscia e suscita resistenze nel paziente poiché tutto passa attraverso la realtà della dimensione transferale, e l analista deve mantenersi un osservatore sereno, imparziale e coinvolto. Etchegoyen (1986) dice che Freud rappresentò in due norme fondamentali l atteggiamento che si richiede all analista: la regola dell astinenza e la riservatezza analitica. Sin dal passaggio dal setting dell ipnosi al setting delle libere associazioni, Freud si pone delle questioni non solo di carattere tecnico ma anche di carattere etico e, infatti, egli riconosce implicazioni ad entrambi i livelli: sul piano tecnico, l ipnosi non garantiva risultati del trattamento a causa della scissione tra coscienza ed inconscio mentre le libere associazioni, mentre l uso del lettino e la sottrazione dello sguardo, mettono in comunicazione conscio ed inconscio attraverso la creazione di una area transizionale che assume una funzione di contenimento. Sul piano etico, invece, l uso dell ipnosi attraverso la suggestione dello sguardo impone il potere del medico, l uso delle libere associazioni, piuttosto, lascia al paziente la libertà di decisione e di scelta in qualsiasi momento del trattamento, non impone le convinzioni del terapeuta. In questo clima democratico il paziente ha una parte attiva e significativa nel trattamento e può condividere simmetricamente col terapeuta la responsabilità della cura. La riflessione sul significato del setting interno inteso come assetto mentale che caratterizza lo psichismo dell'analista e come strumento di conduzione del rapporto terapeutico, prende spunto dalle teorizzazioni di Winnicott (1941), il quale, nell articolo, The observation of infants in a set situation, usa per primo il termine setting in un accezione che rimanda non solo alle condizioni esterne (contesto ambientale, aspetti spazio-temporali e sociali) ma, soprattutto, al contesto relazionale. In questa accezione, il setting viene definito come un area transizionale che consente ai soggetti della relazione di pensare i fenomeni ed i sintomi, di dare loro significato e di creare nuove possibili connessioni. Il setting dunque può essere inteso come un dispositivo mentale che contiene l insieme delle modalità e il senso di rapporti che il terapeuta struttura con il paziente: regole del setting, uso che il terapeuta fa delle informazioni raccolte, assetto mentale dell analista. L atteggiamento mentale Rivista internazionale di psicoterapia e istituzioni numero 1 copyright

12 dell analista, è quell atteggiamento etico, ovvero quella dimensione interiore di onestà e correttezza grazie alla quale il terapeuta preserva il paziente dalle conseguenze di azioni, stimoli che posso pregiudicare il processo analitico e per la persona del paziente. Il setting, può essere inteso anche come fatto di comportamento (Etchegoyen, 1986, p. 584), vale a dire come quell insieme di azioni/prescrizioni che permettono il dispiegarsi degli interventi, ma ciò non mi sembra un fatto sufficiente perché si sviluppi veramente una relazione autentica. Per dare vita ad una relazione autentica sono fondamentali la disponibilità del terapeuta ad ascoltare, a mantenere cioè, il contatto con le emozioni suscitate dal paziente, ed una disposizione mentale del terapeuta libero da moralismi e da atteggiamenti oggettivanti e/o etichettanti. Questa visione del setting come insieme di principi che fanno parte dello strumentario di un terapeuta sembrerebbe appartenere, più che all ordine dell etica, a quello della morale intesa come la possibilità di emettere giudizi sulla giustezza o meno delle azioni implicate nella cura. Pertanto, anche questo rappresenta una garanzia per il paziente. Uno dei rischi maggiori può essere quello di ritualizzare il setting seguendo schematicamente procedure convenzionali e ruoli ben definiti strutturando qualcosa di simile ad un cerimoniale. Un analista autenticamente disponibile a lavorare con i propri pazienti è quella persona che, avendo fatto un percorso di analisi personale, è attrezzato per lavorare in un certo modo con la propria mente e per mettere a disposizione di un altro il modo in cui essa funziona. L analisi personale rappresenta pertanto un prerequisito fondamentale alla formazione di un terapeuta affinché egli sia formato all uso dello strumentario interno di cui dispone affinché possa esprimere il proprio modo di essere persona in modo funzionale ed autentico assumendo quegli atteggiamenti emotivi che risultino positivi sia per il paziente che per se stesso, sia per la relazione (Ferro, 2002). BIBLIOGRAFIA Bion W. R. 1967, Il pensare: una teoria. In Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico. Armando, Roma, 1970 Ferro A. 2002, Fattori di malattia, fattori di guarigione. Genesi della sofferenza e cura psicoanalitica. Milano,Raffaello Cortina, 2002 Freud S. ( ), Tecnica della psicoanalisi. La dinamica della traslazione. In Opere, vol. 6 Bollati Boringhieri, Torino, 1989 Freud S. ( ), Nuovi consigli sulla tecnica della psicoanalisi. Ricordare, ripetere, rielaborare In Opere, vol. 7., Bollati Boringhieri, Torino, 1989 Gaburri, E. 1997, Emozione e Interpretazione, Bollati Boringhieri, Torino Rivista internazionale di psicoterapia e istituzioni numero 1 copyright

13 Greenberg J. R.- Mitchell S. A. 1983, Le relazioni oggettuali nella teoria psicoanalitica, Il Mulino, Bologna, 1986 Green A., 2002, Idee per una psicoanalisi contemporanea, Milano, Raffaello Cortina, 2004 Gringberg L., 1958, Controtransfert e controidentificazione proiettiva. In Rivista di Psicoanalisi, XV, 1958 Heimann P., 1950, Sul controtransfert In Int. J. Psycho-Anal., 31 Etchegoyen R. H., 1986, I fondamenti della tecnica psicoanalitica, Roma, Astrolabio, 1990 Joseph B Il transfert come situazione totale. In: International Journal of Psycho-Analysis, 1985 Klein M. 1946, Note su alcuni meccanismi schizoidi. In Scritti , Boringhieri, Torino, 1978 Klein M., 1952, Le origini della traslazione. In Scritti , Torino, Bollati Boringhieri, 1978 Macalpine I., 1956, Lo sviluppo della traslazione. In Setting e processo psicoanalitico. Saggi sulla teoria della tecnica, a cura di C. Genovese, Raffaello Cortina, Milano, 1988 Mc Williams N., 1999, La diagnosi psicoanalitica. Astrolabio, Roma 2000 Ogden. T.1990, Il concetto di identificazione proiettiva. In Soggetti dell analisi. Masson, Milano 1999 Racker H, Il significato e l impiego del controtransfert. In : Studi sulla tecnica psicoanalitica, Armando, Roma, 1970 Rosenfeld H., Comunicazione ed interpretazione, Torino, Bollati Boringhieri Sarno L, 2000, Il transfert e la relazione psicoanalitica:modelli a confronto (Freud, Klein, Winnicott e Bion) In: Scritti non pubblicati Vegetti Finzi S., 1986, Storia della psicoanalisi. Oscar Saggi Mondadori, Milano, 1990 Winnicott D.W., (1956). On transference. Intern. Journal of Psychoanalysis, 37, 3 386/88. (Trad. it.) In. Genovese C. (a cura di) (1988): Setting e processo psicoanalitico. Raffaello Cortina Milano Winnicott D.W., 1949, L odio nel controtransfert. In Dalla pediatria alla psicoanalisi, Feltrinelli, Firenze, 1975 Winnicott, D.W.,1960 Il controtransfert. In Sviluppo affettivo e ambiente, Armando editore, Roma 1983 Winnicott D. W. (1964). L importanza del setting nelle situazioni regressive in psicoanalisi. In Esplorazioni psicoanalitiche, 1989, Raffaello Cortina Milano,1995 SITOGRAFIA Rivista internazionale di psicoterapia e istituzioni numero 1 copyright

14 Carere Comes T., Il campo della psicoterapia: un modello a quattro vertici. Psychomedia (Online). Available: Rugi G., 1998 Riflessioni sul modello psicoanalitico di campo Psychomedia (Online). Available : Pesce G. Piacentini T. Modificazioni teoriche e cliniche riguardanti l agire nello sviluppo della concettualizzazione psicoanalitica. Psychomedia (Online). Available : Rivista internazionale di psicoterapia e istituzioni numero 1 copyright

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