Reati ambientali e responsabilità amministrativa degli enti
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- Enrico Innocenti
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1 CIRCOLARE N. 15 DEL 28 MAGGIO 2012 DIRITTO SOCIETARIO Reati ambientali e responsabilità amministrativa degli enti
2 ABSTRACT La circolare esamina il provvedimento legislativo che ha dato luogo ad una ulteriore modifica al d. Lgs. 231/01, estendendo la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ai principali reati ambientali (art. 25 undecies). Dopo aver illustrato le novità più significative della disciplina, per valutare le conseguenze dell applicazione della nuova normativa sull assetto organizzativo dell impresa, la Circolare affronta alcune questioni problematiche natura dei reati, coordinamento con le Direttive europee sulla tutela penale dell ambiente e con il Testo Unico dell ambiente e si sofferma, in particolare, sul rapporto tra sistemi di gestione ambientale e i modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire i reati previsti dal d.lgs. 231 al fine di esonero da responsabilità. PROVVEDIMENTI COMMENTATI Decreto legislativo 7 luglio 2011 n. 121 Decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202 Decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231 Art. 25 undecies Decreto legislativo 3 aprile 2006, n
3 INDICE Introduzione p Ambito di operatività dell articolo 25 undecies del d. lgs. 231/01 p Il sistema sanzionatorio. Criminalità d impresa e impresa criminale p Dalle Direttive comunitarie in materia ambientale al Decreto legislativo 121/11: peculiarità della disciplina italiana p Sistemi di gestione ambientale e modelli di organizzazione ex d.lgs 231/01 p I limiti del d. lgs. 121/11 nel confronto con il Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro p Specificità dei modelli organizzativi e spunti giurisprudenziali p L interesse e il vantaggio dell impresa p Prescrizione p.31 Allegato n. 1 p.33 3
4 Introduzione Per effetto di una modifica legislativa di luglio , i principali reati ambientali sono stati aggiunti nel catalogo dei reati da cui può derivare la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. All elenco dei reati previsto dal d. lgs. 231/01 si aggiungono, dunque: i reati in tema di specie animali e vegetali protette; distruzione di habitat all interno di un sito protetto; scarichi idrici; gestione dei rifiuti; bonifica dei siti inquinati; emissioni in atmosfera; riduzione e cessazione dell'impiego delle sostanze lesive per l'ozono; sversamento di idrocarburi e altre sostanze da parte delle navi nonché, i nuovi reati di cui agli articoli 727-bis e 733-bis del codice penale 2. Il provvedimento era atteso da un decennio e già la Legge Delega 300/2000 contemplava alcune fattispecie di reato in materia di tutela dell ambiente e del territorio, mostrando sensibilità per il tema della responsabilità dell impresa per i reati ambientali. Sebbene la legge delega sia poi rimasta sotto questo profilo inattuata dal momento che il Governo fece una scelta iniziale minimalista limitata ai reati di corruzione, concussione e frode la successiva progressiva estensione dell ambito di operatività del d. lgs. 231/01 ha reso inevitabile questo ulteriore ampliamento. Anche il rilievo che gli illeciti ambientali sono spesso di natura colposa e non dolosa non è più un argomento sufficiente per sottrarli alla disciplina del d. lgs. 231/01, il quale annovera tra i reati presupposto anche quelli, colposi, relativi alla sicurezza sul lavoro (omicidio colposo e lesioni gravi commessi in violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell igiene e della salute sul lavoro) 3. Peraltro, anche prima del decreto legislativo in commento, si era sostenuta l applicabilità del d. lgs. 231/01 agli illeciti ambientali sulla base di una norma del Testo Unico in materia di ambiente (D. lgs. 3 aprile 2006, n. 152) che, in relazione al (solo) divieto di abbandono e deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo, afferma la 1 Il decreto legislativo 7 luglio 2011 n. 121, in attuazione dell art. 19 della l. 4 giugno 2010, n. 96 (Legge Comunitaria 2009), ha modificato il decreto legislativo. 231/2001 introducendo il nuovo articolo 25 undecies. 2 Con il meccanismo dell inserimento di un articolo in coda al catalogo dei reati presupposto, restano ovviamente fermi per l attribuzione della responsabilità amministrativa agli enti, tutti i principi generali del D.Lgs. 231/01, quali, ad esempio, la necessità che si possa riscontrare nella fattispecie un interesse o vantaggio dell ente, che il fatto sia commesso da soggetti apicali o sottoposti, dopo il 16 agosto 2011, in assenza di un Modello effettivo ed efficace. 3 Si veda ad esempio Assonime, il Caso n. 3 del 13 maggio 2010, Sicurezza sul lavoro e specificità del modello
5 responsabilità solidale della persona giuridica qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti dell ente, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni (art. 192, comma 4, T.U Ambiente). Chiamata a pronunciarsi sull applicazione di questa norma, la Suprema Corte penale non ha tuttavia ritenuto sufficiente la previsione dell articolo 192 comma 4 per estendere all ente la responsabilità per gli illeciti ambientali connessi all esercizio dell impresa, e ha escluso l applicabilità del d. lgs. 231/01 in relazione ai reati ambientali previsti dal T.U. 4 La dottrina suggeriva di interpretare il rinvio delle norme ambientali al sistema previsto dal D.lgs 231/01 per attribuire all ente la responsabilità civile e non quella amministrativa o da reato 5. Si auspicava comunque un intervento riformatore che riordinasse la normativa esistente e delineasse con maggiore puntualità la struttura degli illeciti ambientali. Il decreto legislativo 121/11, anche se non ha realizzato l obiettivo sperato di riformare la materia 6, si è reso necessario per attuare la Direttiva n. 2008/99 CE sulla tutela 4 Cass. Pen., Sez. III, 7 ottobre 2008, n Il ragionamento condotto dalla Corte è da condividere, in quanto si fonda sul fatto che manca nel testo dell art. 192, comma 4, una compiuta descrizione delle condotte illecite e l indicazione delle sanzioni applicabili; il che, secondo l opinione dei giudici, indiscutibilmente contrasta con i principi di tassatività e tipicità che devono essere connaturati alla regolamentazione degli illeciti, quando si tratta di illeciti penali. 5 Il richiamo al d. lgs. 231/01 effettuato dall art. 192 comma 4 era inteso dalla dottrina nel senso che occorre che il divieto di abbandono e deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sia commesso nell interesse o a vantaggio dell ente secondo quanto dispone l art. 5 del d. lgs. 231, ma che ciò comporti poi, come effetto, la sola responsabilità solidale dell ente in caso di condanna degli amministratori o rappresentanti dell ente al risarcimento dei danni. M. SETTIS, Le ricadute dell apparato sanzionatorio sul sistema produttivo: aspetti gestionali e modelli organizzativi ex d. lgs. 231/01, in La tutela dell ambiente. Profili penali e sanzionatori, a cura di D Agostino e Salomone, Tratt. di Dir. Pen. impresa, Padova, 2011, 934, osserva che: «Ad aumentare la stranezza di questa prima incursione del d. lgs. 231/01 in campo ambientale è la constatazione che essa riguarda un illecito che il legislatore non sembra considerare di particolare gravità, a giudicare dalle modeste sanzioni previste dall art. 255, sia pure con il ritocco recentemente apportato dal d.lgs. 205/2010: sanzione amministrativa pecuniaria da 300 a 3000 euro, con raddoppio in caso di rifiuti pericolosi. Solo in caso di mancata ottemperanza all ordinanza sindacale di rimozione o all obbligo di separazione di rifiuti illegalmente miscelati si applica una sanzione penale di una certa entità (arresto fino a 1 anno)» 6 In considerazione della limitazione derivante dall entità della pene previste dall art. 2 della legge delega n. 96/2010, il legislatore delegato ha preferito rinviare un più completo ripensamento del sistema dei reati 5
6 penale dell ambiente e la Direttiva n. 2009/123/CE (che ha modificato la direttiva n. 2005/35 CE) relativa all inquinamento provocato dalle navi. In particolare, si segnala l importanza della prima direttiva citata (2008/99 CE) che ha imposto agli Stati Membri di approntare sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive in relazione a condotte, offensive per l ambiente, imputabili a persone fisiche o giuridiche, idonee a provocare danni alla salute delle persone ovvero un significativo deterioramento della qualità dell aria, del suolo, delle acque o della fauna o della flora. Con riguardo a tali ipotesi si richiedeva agli Stati Membri di prevedere anche la responsabilità delle persone giuridiche, quando gli illeciti vengono commessi con dolo o grave negligenza 7. Proprio quest ultimo profilo è oggetto della presente Circolare, volta ad analizzare in che modo si è data attuazione a queste Direttive e quale sia l impatto di quest ulteriore estensione della responsabilità da reato degli enti sull organizzazione delle società interessate. 2. Ambito di operatività dell articolo 25 undecies del d. lgs. 231/01. In attuazione della Direttiva 8, il d. lgs. 121/11 ha introdotto nel codice penale una norma relativa all uccisione, distruzione, cattura, prelievo e detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette (art. 727 bis); e un altra norma che punisce la distruzione o deterioramento di habitat all interno di un sito protetto (art. 733 bis). E stato poi aggiunto l art. 25 undecies ai reati previsti dal d. lgs. 231/01 che, oltre ai due ambientali ad un successivo intervento normativo. Perciò, il decreto legislativo 121/11 include soltanto quelle disposizioni strettamente necessarie a garantire l adempimento agli obblighi comunitari scaturenti dalla direttiva 2008/99/CE. Del resto, l esigenza di rafforzare il sistema sanzionatorio introducendo sanzioni dotate di maggiore afflittività era stata già avvertita dal legislatore che, nel corso della precedente legislatura, conclusasi anzitempo nel 2008, aveva visto la presentazione del d.d.l. 24 aprile 2007 (recante Disposizioni concernenti i delitti contro l ambiente ) con cui si prevedeva l inserimento di un autonomo Titolo VI-bis del Libro Secondo del Codice Penale dedicato ai «Delitti contro l'ambiente». 7 La Direttiva 2008/99 CE lascia invece impregiudicati i sistemi relativi alla responsabilità per danno ambientale previsti dal diritto comunitario o dal diritto nazionale. 8 L attuazione della direttiva 2008/99/CE è stata però parziale, in quanto delle nove fattispecie ivi descritte la legge italiana ha espressamente riprese solo le due norme inserite nel codice penale. Non sono state prese in considerazione con la stessa formula (e ampiezza) prevista dalla direttiva le altre fattispecie, perché come si evince dalla Relazione illustrativa gran parte delle condotte sono già presenti nel nostro ordinamento nel codice dell ambiente e in altre leggi speciali. 6
7 nuovi reati del codice penale sopra menzionati, ha incluso altre figure di reato già disciplinate come illeciti nel Testo Unico dell ambiente e nelle altre leggi speciali 9. Le condotte considerate dall art. 25 undecies dal d. lgs. 231/01, sono quelle poste in essere da chiunque: - effettui lo scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose (art. 137 d. lgs 152/06); - raccolga, trasporti, recuperi, smaltisca, commerci ed faccia intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione (art. 256, comma 1); - realizzi o gestisca una discarica non autorizzata (art. 256, comma 3); - non osservi le prescrizioni contenute nell autorizzazione alla gestione di una discarica o alle altre attività concernenti rifiuti (art. 256, comma 4); - misceli in modo non consentito i rifiuti (art. 256, comma 5) - depositi temporaneamente presso il luogo di produzione rifiuti pericolosi sanitari (art. 256, comma 6); - predisponga un certificato di analisi dei rifiuti contenente indicazioni false sulla natura, composizione e caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti nonché, chi faccia uso di un certificato falso durante il trasporto (art. 258, comma 4); - effettui una spedizione di rifiuti costituente traffico illecito (art. 259 comma 1); - al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti (art. 260 commi 1 e 2); - nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, utilizzato nell'ambito del sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti (SISTRI) fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico- 9 L. 28 dicembre 1993, n. 549 a tutela dell ozono stratosferico e dell ambiente; l. 7 febbraio 1992, n. 150, sui reati relativi all applicazione in Italia della convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, nonché norme sulla commercializzazione e detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l incolumità pubblica. 7
8 fisiche dei rifiuti e inserisce un certificato falso nei dati da fornire ai fini della tracciabilita' dei rifiuti (art. 260 bis comma 6) 10 ; - durante il trasporto fa uso di un certificato di analisi di rifiuti contenente false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimicofisiche dei rifiuti trasportati (art. 260 bis comma 7) o dal trasportatore che accompagna il trasporto di rifiuti con una copia cartacea della scheda SISTRI - AREA Movimentazione fraudolentemente alterata (art. 260 bis comma 8); - inquini il suolo, il sottosuolo, le acque superficiali o sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio, se l autore del reato non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall'autorità competente nell'ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti. Si applica una maggiore sanzione in caso diinquinamento determinato da sostanze pericolose(art. 257); - determini il superamento dei valori limite di emissione determinando anche il superamento dei valori limite di qualità dell'aria previsti dalla vigente normativa (art. 279 comma 5). - in violazione di quanto previsto dal decreto del Ministro del commercio con l'estero del 31 dicembre 1983, importa, esporta o riesporta, sotto qualsiasi regime doganale, vende, espone per la vendita, detiene per la vendita, offre in 10 Il decreto legge 13 agosto 2011 n. 138 recante "ulteriori disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo" (pubblicato sulla G.U. del 13 agosto 2011, n. 188 ed in vigore dallo stesso giorno) ha abrogato le disposizioni cardine del D.lgs. 152/2006 (cd. "Codice ambientale") e provvedimenti satellite relative al sistema di tracciamento telematico dei rifiuti (Sistri). In sede di conversione, è stato invece ripristinato il Sistri. La legge 148/2011 prevede che al fine di garantire un adeguato periodo transitorio per consentire la progressiva entrata in operatività del Sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti (SISTRI), nonché l'efficacia del funzionamento delle tecnologie connesse al SISTRI, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, attraverso il concessionario SISTRI, assicura, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e sino al 15 dicembre 2011, la verifica tecnica delle componenti software e hardware, anche ai fini dell'eventuale implementazione di tecnologie di utilizzo più semplice rispetto a quelle attualmente previste, organizzando, in collaborazione con le associazioni di categoria maggiormente rappresentative, test di funzionamento con l'obiettivo della più' ampia partecipazione degli utenti. Conseguentemente, fermo quanto previsto dall'articolo 6, comma 2, lettera f-octies), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, per i soggetti di cui all'articolo 1, comma 5, del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 26 maggio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 124 del 30 maggio 2011, per gli altri soggetti di cui all'articolo 1 del predetto decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 26 maggio 2011, il termine di entrata in operativita' del SISTRI e' il 9 febbraio
9 vendita, trasporta, anche per conto terzi, o comunque detiene esemplari di specie protetta (art. 1 e 2 L. 150/92); - detenga esemplari vivi di mammiferi e rettili di specie selvatica ed esemplari vivi di mammiferi e rettili provenienti da riproduzioni in cattività che costituiscano pericolo per la salute e per l'incolumità pubblica (art. 3, l. 150/92). Ci sono poi gli illeciti relativi alla tutela dell ozono, per cui: - è punito chiunque violi le disposizioni che impongono la cessazione delle attività di produzione, esportazione, importazione, detenzione, commercializzazione, riciclo e raccolta delle sostanze lesive dell ozono stratosferico e dannose per l ambiente, indicate nelle tabelle allegate alla legge (art. 3 l. 28 dicembre 1993, n. 549). Infine sono contemplate le condotte di: - inquinamento doloso o colposo del mare, in cui si punisce lo sversamento doloso o colposo in mare da navi di sostanze inquinanti (art. 8 e 9 d. lgs. 202/2007) 11. A queste condotte si aggiungono quelle relative all uccisione, distruzione, cattura, prelievo e detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette (art. 727 bis); e alla distruzione o deterioramento di habitat all interno di un sito protetto (art. 733 bis). 11 Art. 8. Inquinamento doloso 1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il Comandante di una nave, battente qualsiasi bandiera, nonché i membri dell'equipaggio, il proprietario e l'armatore della nave, nel caso in cui la violazione sia avvenuta con il loro concorso, che dolosamente violano le disposizioni dell'art. 4 sono puniti con l'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da euro ad euro Se la violazione di cui al comma 1 causa danni permanenti o, comunque, di particolare gravità, alla qualità delle acque, a specie animali o vegetali o a parti di queste, si applica l'arresto da uno a tre anni e l'ammenda da euro ad euro Il danno si considera di particolare gravità quando l'eliminazione delle sue conseguenze risulta di particolare complessità sotto il profilo tecnico, ovvero particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali. Art. 9. Inquinamento colposo 1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il Comandante di una nave, battente qualsiasi bandiera, nonche' i membri dell'equipaggio, il proprietario e l'armatore della nave, nel caso in cui la violazione sia avvenuta con la loro cooperazione, che violano per colpa le disposizioni dell'art. 4, sono puniti con l'ammenda da euro ad euro Se la violazione di cui al comma 1 causa danni permanenti o, comunque, di particolare gravità, alla qualità delle acque, a specie animali o vegetali o a parti di queste, si applica l'arresto da sei mesi a due anni e l'ammenda da euro ad euro Il danno si considera di particolare gravità quando l'eliminazione delle sue conseguenze risulta di particolare complessità sotto il profilo tecnico, ovvero particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali. 9
10 Le ipotesi di reato richiamate sono rilevanti per affermare la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, ogni volta che il reato sia stato commesso da un apicale dell impresa o da un soggetto a questi sottoposto, nell interesse o a vantaggio dell ente. Va peraltro precisato che la scelta operata dal d.lgs. 121/11 è stata nel senso di attribuire rilevanza solo ad alcuni reati ambientali contemplati nel Testo Unico ai fini della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. Su questo profilo si appuntano molte critiche. Non appare chiaro il criterio seguito nella selezione operata dal legislatore interno che, da un lato, attribuisce rilievo a condotte solo formali, mentre, dall altro lato, esclude fattispecie connesse a un possibile disastro ambientale riconducibili agli art. 434 (crollo di costruzioni e altri disastri dolosi) e 449 c.p. (delitti colposi di danno). 12 Neppure sono comprese fattispecie criminose quali: l abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti (articolo 256, comma 2, del d.lgs. 152/2006) 13, le violazioni inerenti ai criteri di accettabilità dei rifiuti in discarica (articolo 16 del d.lgs. 36/2003), alla condizione di impianti di incenerimento di rifiuti (articolo 19 del d.lgs. 133/2005), ad attività di gestione di rifiuti regolamentate da altre discipline di settore. Scelta minimalista sotto certi profili, ma estensiva, probabilmente anche in modo eccessivo, sotto altri, poiché la Legge Delega, in aderenza alle Direttive comunitarie che ha inteso recepire, aveva selezionato come rilevanti per la responsabilità delle persone giuridiche reati correlati ad effettive situazioni di danno o di pericolo. 3. Il sistema sanzionatorio. Criminalità d impresa e impresa criminale. Per quanto riguarda il sistema sanzionatorio (vedi tabella allegata), a carico degli enti sono previste sanzioni di carattere pecuniario, interdittive, di confisca e di pubblicazione della sentenza. 12 A. SCARCELLA, Responsabilità degli enti e modelli organizzativi ambientali: il recepimento della direttiva 2008/99/CE, in Resp. amm. soc e enti, 2011, 64 s. 13 A questo riguardo osservano M. BORTOLOTTO C. PARODI, Modello organizzativo e reati ambientali: luci e ombre dopo la riforma nel rapporto con il testo unico sull ambiente, in La resp. amm. della soc. e degli enti, 2012, 49, che statisticamente quest ipotesi è quella che trova maggiore riscontro nella casistica processuale. Questa dimenticanza sembra secondo questi autori dovuta a una svista del legislatore. 10
11 Le sanzioni pecuniarie si applicano secondo il meccanismo delle quote e vanno da un minimo di 150 a un massimo di 800 quote, applicabile ai casi ritenuti di maggior allarme sociale quale attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti ad alta radioattività, (art. 260 comma 2 d. lgs. 152/2006). Il valore di ogni singola quota va da un minimo di 250 ad un massimo di Le sanzioni interdittive previste (art. 9, comma 2, d. lgs. 231/01), per una durata non superiore a sei mesi, sono invece previste per gli illeciti più gravi, quali lo scarico di acque reflue industriali contenenti sostanze pericolose e in violazione dei limiti tabellari (art. 137 comma 2 e 5 del Testo Unico dell ambiente); la gestione di una discarica non autorizzata (art. 256 comma 3) e le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 260). La sanzione dell interdizione definitiva dell attività, disciplinata dall art. 16 del d.lgs. 231/01, è comminata se l ente o una sua unità organizzativa vengono stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di reati ad opera di chi, all interno dell impresa, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti (art. 260 d.lgs. 152/2006). La misura dell interdizione si giustifica in relazione all ipotesi di reato considerata, in quanto è lo stesso oggetto sociale dell impresa ad essere illecito. Il verificarsi del reato non è dunque tanto un problema di colpa da organizzazione quanto di condotta posta in essere dall imprenditore diretta a commettere un attività illecita. Vale dunque la pena di distinguere la criminalità di impresa dall impresa criminale. La varietà dei reati presupposto in materia ambientale, che estendono ulteriormente l ambito di applicazione del d.lgs. 231/01, induce cioè a distinguere le ipotesi in cui l evento dannoso o pericoloso può essere il risultato di un comportamento frutto di un occasionale negligenza oppure di un intenzionale condotta da parte di un impresa che, nell esercizio della sua attività, sia consapevole di incorrere in un reato ambientale. Si pensi, ad esempio, alla società che tratti sostanze ozono-lesive e che abbia fughe negli impianti non sottoposti a periodici controlli, oppure all ipotesi in cui una nave dolosamente inquini il mare per liberarsi di un carico che sarebbe smaltibile legittimamente solo a caro prezzo; all impresa che svolge sistematicamente un attività che integra un reato ambientale, come nel caso di chi realizzi o gestisca una discarica 11
12 non autorizzata, oppure all impresa che, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti. Il meccanismo premiale che è alla base della disciplina introdotta con il d. lgs. 231/01, e che può portare all esonero della responsabilità dell ente, è fondato sull idea che la società deve cercare di prevenire la commissione di reati, commessi da apicali o soggetti sottoposti all altrui direzione, nell interesse o a vantaggio dell impresa, attraverso la predisposizione di adeguati modelli organizzativi. Sull osservanza di questi è chiamato poi a vigilare l Organismo di Vigilanza. L ente andrà esente da responsabilità se dimostra, nel caso di reati commessi da soggetti in posizione apicale, di aver in tal senso: adeguatamente organizzato l impresa e vigilato sull attuazione dei modelli di organizzazione. Inoltre, è esonerato l ente se dimostra l elusione fraudolenta del modello organizzativi. La disciplina introdotta con il d.lgs. 231/01 è stata dunque originariamente creata con l obiettivo primario di contrastare la criminalità d impresa, prevenendo la commissione dei reati piuttosto che sanzionando l impresa, in quanto un adeguata organizzazione interna non appare sufficiente a impedire l attività dell impresa criminale. Appare difficile infatti che un modello organizzativo, per quanto ben strutturato, possa essere efficace se è l attività nel suo complesso ad essere illegale: se l ente ha, per esempio, come unico scopo il traffico illecito di rifiuti, tutta la catena produttiva sarà coinvolta sistematicamente nella violazione della legge. In questi casi l unica misura efficace può essere l interdizione definitiva dell attività. Tuttavia, la constatazione della progressiva estensione del d. lgs. 231/01 anche a tipi di reati caratteristici dell impresa criminale, dimostra che la finalità attuale del decreto è ormai tanto preventiva quanto punitiva. 4. Dalle Direttive comunitarie in materia ambientale al Decreto legislativo 121/11: peculiarità della disciplina italiana. L elenco delle condotte illecite rilevanti coincide sostanzialmente con quello contenuto nelle Direttive citate, ma il risultato interpretativo che ne deriva è fondamentalmente diverso e merita attenzione. 12
13 Il confronto tra normativa comunitaria e d. lgs. 121/2011 rivela infatti che le condotte contemplate dalla Direttive riguardavano reati di evento, ad eccezione della spedizione illecita di rifiuti (art. 3 lett. C) Direttiva 2008/99). In primo luogo, la Direttiva 2008/99 e la Direttiva 2009/123 subordinano l applicazione della sanzione penale all ipotesi in cui dalla commissione dell illecito derivi un danno o un pericolo per l ambiente e per la salute dell uomo. Si richiede dunque, ai fini della condanna, che venga dimostrata la relazione tra la condotta posta in essere e il pregiudizio sofferto dall ambiente e/o dalle persone. Nel nostro sistema, invece, le condotte che integrano i reati ambientali rilevano anche come violazioni formali, a prescindere dal verificarsi di un evento dannoso o pericoloso. Inoltre, la maggior parte dei reati contemplati hanno natura contravvenzionale. Si contrappone cioè un modello di reati di evento (voluto dalla Direttiva) a un modello di reati di pericolo presunto (attuato dalla legge italiana). La differenza tra l una e l altra ipotesi è rilevante sul piano delle conseguenze, dal momento che nel nostro sistema si è adottata una tecnica di tutela anticipata che punisce la condotta in quanto astrattamente pericolosa, prescindendo dall offesa ad un concreto bene giuridico. In secondo luogo, la Direttiva 2008/99, richiede che il reato sia posto in essere con dolo o grave negligenza, mentre il d. lgs. 121/11 non precisa nulla sul profilo psicologico della condotta con l effetto che, nel nostro sistema, nella parte in cui si prevede che i reati di cui si discute siano delle contravvenzioni (e non dei delitti) ad integrare il reato è sufficiente anche la colpa semplice, da intendersi come negligenza, imprudenza e imperizia nello svolgimento dell attività non connotata da alcun grado di gravità. Si afferma in dottrina che: «Data tale struttura, che non sempre li rende gravemente offensivi, i reati sono previsti in forma di contravvenzione, quindi imputabili indifferentemente a titolo di dolo e di colpa, e sono sanzionati con pene blande, di scarsa effettività, potendo godere, nella maggior parte dei casi, del beneficio dell oblazione e, sempre, della sospensione condizionale» 14. Dal punto di vista soggettivo, dunque, i reati ambientali rilevanti ai fini del D.lgs 231/01 finiscono per essere imputabili all ente talvolta a titolo di colpa; talvolta a titolo di dolo e talvolta, come si diceva, indifferentemente a titolo di dolo e di colpa. Si sottolinea, inoltre, che il diritto penale dell ambiente non è stato munito di quelle sanzioni proporzionate, efficaci e dissuasive volute dalla Direttiva né per quanto 14 A. Madeo, Un recepimento solo parziale della Direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell ambiente, in Riv. pen. e proc., 2011,
14 riguarda le condotte poste in essere da persone fisiche autori del reato né per le persone giuridiche chiamate a rispondere a titolo di responsabilità amministrativa. Da un lato, infatti, «si realizza, anche nei confronti degli enti, una forte anticipazione della tutela penale, estesa a comportamenti prodromici rispetto alla realizzazione di tali fatti dannosi, in quanto tali, sforniti di per sé di una diretta lesività per i beni giuridici tutelati, con un effetto moltiplicatore delle sanzioni a carico delle imprese palesemente sproporzionato» 15 ; dall altro lato, il sistema sanzionatorio delineato dall art. 25 undecies rivela come, in relazione ad alcune ipotesi, le sanzioni siano previste nella medesima misura per reati di gravità notevolmente diversa, con difetto di proporzione. Nel complesso, il quadro normativo appare disallineato rispetto alle Direttive: alcune condotte possono essere sanzionate anche se in concreto possono rivelarsi inoffensive per l ambiente e per la salute, (come nelle ipotesi in cui difetti l autorizzazione in caso di raccolta, trasporto, smaltimento dei rifiuti, ecc..); altre condotte sono sanzionate anche se il pericolo per l ambiente c è, ma non è grave (ad es., superamento minimo dei valori di qualità dell aria); altre ancora sono sanzionate anche se preposte più a tutelare la pubblica fede che l ambiente 16. Inoltre, la maggior parte delle norme che prevedono reati ambientali sono costruite con una tecnica di rinvio ad atti amministrativi, esterni al precetto penale, che per loro natura non sono sempre puntuali nella formulazione come, invece, è richiesto alle norme penali in virtù del principio di tassatività e tipicità. Ne consegue che le condotte illecite non sono descritte puntualmente e devono essere costruite, di volta in volta, mediante integrazione di precetti extrapenali. Questo problema è tuttavia ormai conosciuto nel diritto penale dell economia, che sempre più frequentemente utilizza la tecnica del rinvio a provvedimenti amministrativi per riempire di contenuto la norma penale. Il costo di questa tecnica di legificazione è quello di rendere meno incisivo il divieto stesso e più difficile la conoscenza del divieto penale. Nella prospettiva della costruzione di modelli organizzativi adeguati a prevenire gli illeciti ambientali, questa difficoltà si traduce in un ulteriore sforzo da parte dell impresa nell individuazione concreta delle condotte vietate e, in conseguenza di ciò, nell attività di monitoraggio delle aree di rischio. 15 Così si legge nelle Osservazioni di Confindustria allo Schema di decreto legislativo di recepimento della Direttiva 2008/99/CE e della Direttiva 2009/123/CE che modifica la Direttiva 2005/35/CE relativa all inquinamento provocato dalle navi, del 29 aprile A. MADEO, op. cit., 1063 s. 14
15 L estrema eterogeneità dei reati presupposto rappresenta inoltre, in concreto, la maggiore difficoltà che si pone all impresa che intenda adeguarsi all art. 25 undecies del d. lgs. 231/01. Può perciò essere utile razionalizzare le diverse tipologie di illecito sistematizzando la materia per attività e considerando che, sotto il profilo quantitativo, i reati più frequentemente contestati alle imprese sono quelli relativi ai rifiuti. 5. Sistemi di gestione ambientale e modelli di organizzazione ex d.lgs 231/01. Fino ad oggi, l attenzione da parte delle imprese all ambiente è rientrata tra gli obiettivi di Responsabilità sociale dell impresa (Corporate Social Responsability) 17. Con questa espressione si fa riferimento, stando alla definizione inizialmente data dalla Commissione europea, all «integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate. Essere socialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche andare al di là investendo di più nel capitale umano, nell ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate». Si tratta comunque di Soft Law, nel senso che è una scelta dell impresa quella di adeguarsi alla best practice di settore quando essa viene tradotta in norme, seppure non vincolanti in quanto non emanate dal legislatore. Nel carattere non vincolante della disciplina si coglie un tratto comune con il d. lgs. 231/01 che prevede la possibilità di essere esonerati dalla responsabilità amministrativa per gli enti che abbiano osservato le prescrizioni in esso contenute, ma non prevede alcuna sanzione per il fatto di non adeguarsi 18. Le imprese, specie di grandi dimensioni, partecipano alla Responsabilità sociale di impresa mediante l adozione di bilanci, rapporti sociali, ambientali, di sostenibilità. Assumono rilievo anche la creazione di sistemi di gestione socialmente responsabili per i quali si prevede il meccanismo delle certificazioni rilasciate da Enti terzi indipendenti. 17 Va peraltro segnalato che, di recente, il tema della Responsabilità sociale di Impresa è indicato come una priorità nell azione della Commissione Europea. Vedi EU COMM, 25 ottobre 2011 che offre una definizione di RSI più ampia guardando agli impatti dell attività d impresa sulla società nel suo complesso. 18 Per un confronto tra RSI e filosofia 231 si veda C. MANACORDA, Responsabilità amministrativa e responsabilità sociale delle imprese: divergenze e convergenze, in Resp. Amm. soc., 2007, p
16 Il ricorso alle certificazioni si sostanzia nell attribuzione a tali Enti (organismi di certificazione) del compito di verificare il rispetto delle norme tecniche di settore da parte delle imprese che si sottopongono (su base volontaria) a queste verifiche 19. Una volta certificata la qualità del sistema di gestione ambientale da parte di questi enti si rafforza la fiducia degli stakeholders dell impresa, con conseguente miglioramento dell immagine di essa. La normativa tecnica che occorre prendere in considerazione è duplice, dovendosi fare riferimento quantomeno allo Standard ISO elaborata dalla International Standardization Organization e al Regolamento europeo EMAS che istituisce un sistema comunitario di ecogestione e audit al quale possono aderire volontariamente le organizzazioni per valutare e migliorare le proprie prestazioni ambientali. Il miglioramento riguarda il profilo della sostenibilità degli impatti ambientali della attività dell impresa, secondo il costante adeguamento alle più avanzate tecniche disponibili. Va peraltro ricordato che mentre la certificazione ISO è rilasciata da un organismo privato, l organismo che rilascia la certificazione EMAS ha natura pubblica e di conseguenza offre maggiori garanzie di imparzialità. Sia nello standard ISO sia in EMAS si stabiliscono i requisiti per elaborare un Sistema di Gestione Ambientale (SGA) 20 che è quella parte del sistema di gestione di un organizzazione utilizzata per sviluppare e attuare la propria politica ambientale, standardizzando le attività gestionali 21. L obiettivo dei Sistemi di Gestione Ambientale è 19 Si definisce una norma tecnica quella specifica tecnica, approvata da un organismo riconosciuto, per l applicazione ripetuta o continua, la cui osservanza non sia obbligatoria. Cfr. E. BELLISARIO, Certificazioni di qualità e responsabilità civile, Milano, 2011, La norma ISO definisce il Sistema di Gestione Ambientale come la parte del sistema di gestione generale che comprende la struttura organizzativa, le attività di pianificazione, le responsabilità, le prassi, le procedure, i processi, le risorse per elaborare, mettere in atto, conseguire, riesaminare e mantenere attiva la politica ambientale. Una definizione del tutto analoga è contenuta nel regolamento EMAS (art. 2, lett. k) secondo il quale il Sistema di Gestione Ambientale è la parte del sistema complessivo di gestione comprendente la struttura organizzativa, le attività di pianificazione, le responsabilità, le pratiche, le procedure, i processi e le risorse per sviluppare, mettere in atto, realizzare, riesaminare e mantenere la politica ambientale. 21 Afferma M. DE ROSA, Le certificazioni ambientali e la responsabilità sociale del territorio, in Ianus, 2, 2010, p. 19 che l ISO: «è un ente privato e le norme tecniche, come la 14001, da essa elaborate e pubblicate, hanno la caratteristica di non essere obbligatorie bensì ad adozione volontaria. Un organizzazione, infatti, che decida di progettare e rendere operativo un sistema di gestione ambientale è libera di adeguarsi o meno alle prescrizioni della per intraprendere un percorso gestionale conforme agli standard ambientali da rispettare nella struttura organizzativa. E vero, però, che la possibilità di ottenere, da parte di un terzo indipendente, la certificazione del SGA e di dare a tale evento visibilità esterna rende maggiormente appetibile, per un organizzazione, conformare il proprio sistema di gestione ambientale ai requisiti di standard». 16
17 quello di identificare i principali aspetti ambientali dell azienda, di tenerli sotto controllo, di coordinare tutte le attività con impatto ambientale e distribuire responsabilità specifiche per la loro realizzazione. In questo modo le aziende sono singolarmente responsabilizzate e portate ad adottare un approccio preventivo nella tutela ambientale. Attraverso l implementazione di un SGA è peraltro possibile monitorare costantemente il rispetto della normativa in materia ambientale. Per costruire un SGA l impresa deve dunque osservare alcune procedure che prevedono passaggi obbligati. Innanzitutto deve: predisporre un documento di politica ambientale (per certi versi assimilabile al codice etico); prevedere l attività di pianificazione con identificazione dei più significativi aspetti ambientali dell organizzazione, al fine di valutare quali tra i propri aspetti ambientali può determinare impatti ambientali rilevanti (il criterio di identificazione e valutazione deve essere definito sulla base di elementi oggettivi). Occorre cioè svolgere un analisi sulle attività aziendali dirette ed indirette che mostrino possibili interazioni con l ambiente. A questa fase segue quella fondamentale di ricognizione degli obblighi giuridici che incombono sull impresa previsti per legge o assunti con l autoregolamentazione. Completata l analisi, l impresa deve stabilire gli obiettivi che intende raggiungere e la tempistica, i responsabili del sistema di gestione ambientale, i processi di formazione del personale e le procedure di gestione ambientale che intende attuare. L ultima fase è rivolta alla creazione dei meccanismi per il monitoraggio delle attività, per tenere sotto controllo il mantenimento e l efficacia del SGA 22. Inquadrate le fasi più rilevanti dell attività di progettazione ed attuazione di un sistema di gestione ambientale, va precisato che nella prospettiva di conformità ai requisiti del Modello organizzativo 231, vi sono alcune attività integrative che è comunque necessario realizzare per potenziare il sistema. Si tratta in particolare di: integrare l analisi ambientale iniziale con una specifica identificazione degli ambiti aziendali di interesse rispetto ai reati ambientali; valorizzare le sinergie tra Politica ambientale e Codice Etico; curare ed evidenziare maggiormente, nell ambito dell assetto organizzativo e delle responsabilità, la separazione tra compiti e funzioni per le attività a rischio, evitando l eccessiva sovrapposizione su singole figure; arricchire le procedure e gli strumenti di gestione ambientale, di controllo e monitoraggio, con misure dedicate specificatamente alla prevenzione dei reati; istituire l OdV e definirne 22 Su questi aspetti si veda anche M. PANSARELLA, Reati ambientali: il set dei controlli a presidio, in La resp. amm. della società e degli enti, 2012, 241 ss. 17
18 chiaramente i compiti, soprattutto in rapporto alle attività dei certificatori/verificatori e degli auditor interni. A quest ultimo riguardo, se la società decidesse di attribuire i compiti dell OdV al collegio sindacale, esercitando la facoltà concessa dall art. 14, comma 12, L. 183/11, è possibile per l organo di controllo avvalersi di consulenti esperti in materia ambientale 23. Inquadrate le specificità dei sistemi di gestione ambientale, uno degli aspetti più importanti da chiarire è quello relativo al rapporto che si pone tra questi e il modello di organizzazione e gestione finalizzato alla prevenzione dei reati, secondo quanto stabilito dal art. 6 del d. lgs. 231/01. La giurisprudenza sebbene chiamata a pronunciarsi in relazione all idoneità dei modelli organizzativi in materia di sicurezza sul lavoro e a tracciare la distinzione tra questi e i documenti di valutazione del rischio ha chiarito, con un ragionamento di carattere generale che può essere esteso anche ai reati ambientali, che un modello di organizzazione è ispirato a diverse finalità che debbono essere perseguite congiuntamente: quella organizzativa, orientata alla mappatura e alla gestione del rischio specifico nella prevenzione del reato che si vuole evitare; quella di controllo sul sistema operativo, onde garantirne la continua verifica e l effettività. Esso è inoltre caratterizzato dal sistema di vigilanza che, pure attraverso obblighi diretti a incanalare le informazioni verso la struttura deputata al controllo sul funzionamento e sull osservanza, culmina nella previsione di sanzioni per le inottemperanze e nell affidamento di poteri disciplinari al medesimo organismo dotato di piena autonomia. Il modello organizzativo è infatti sempre funzionale al raggiungimento dell obiettivo di prevenire la commissione di reati e dunque normalmente impone all impresa che voglia rispettare il d. lgs. 231/01 adempimenti specifici. In particolare, esso «non potrebbe limitarsi a favorire la riduzione dei potenziali rischi per l ambiente di un determinato processo produttivo, in termini di efficienza e sostenibilità, ma dovrebbe costituire un modello di diligenza vincolante ed autosufficiente sotto il profilo della effettività, per i soggetti in posizione apicale e i dipendenti, eludibile solo in modo fraudolento» Su cui si rinvia a Circolare Assonime sull attribuzione delle funzioni dell OdV all organo di controllo, in corso di pubblicazione. 24 V. VENEROSO, I modelli di organizzazione e gestione, ex d. lgs. n. 231/2001, nella prevenzione dei reati ambientali (parte II), in Ambiente e Sviluppo, 2012, p
19 6. I limiti del d. lgs. 121/11 nel confronto con il Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro. Come si è visto, il SGA dedica grande attenzione all analisi della normativa ambientale e a predisporre le cautele necessarie a garantirne l osservanza. Ci si può perciò chiedere se l impresa che adotti un efficace SGA sia tenuta anche a predisporre un separato modello di organizzazione e controllo 231 oppure se questo possa essere contenuto all interno del SGA. La soluzione nell uno o nell altro senso non è priva di conseguenze. Qualora, ad esempio, si ritenga possibile implementare il SGA con il modello organizzativo 231 e si sottoponga poi il SGA alla procedura di certificazione, una questione che pone è se operi una presunzione di conformità anche del modello organizzativo. La risposta sembra dover essere negativa, considerando che l obiettivo dell impresa nel sottoporre a certificazione il SGA è quello di garantire la fisiologia, gestendo al meglio gli aspetti ambientali e non quello di prevenire eventuali patologie legate a comportamenti criminosi, dolosi o colposi. Tuttavia entrambi i sistemi sono orientati alla prevenzione e ciò apre la via alla possibilità di valutare le integrazioni tra i due 25. Il dialogo tra standard internazionali e modelli organizzativi è peraltro già stato sperimentato con successo nella materia della sicurezza sul lavoro quando l art. 25 septies ha esteso l ambito di applicazione del d. lgs. 231/01 ai reati di omicidio e lesioni colpose sul lavoro 26. L art. 30 del TUS (d. lgs. 81/2008) precisa, infatti, che il modello di organizzazione e di gestione idoneo ad avere efficacia esimente deve essere adottato e attuato assicurando un sistema aziendale per l adempimento di tutti gli obblighi giuridici 27. In questo modo la normativa sulla sicurezza sul lavoro dimostra di essere attenta 25 Sul punto v. M. SETTIS, op. cit., 957 s. 26 L articolo 25 septies del decreto 231, prevede l applicazione di gravi sanzioni pecuniarie e interdittive in caso di omicidio colposo (art. 589 c.p.) o di lesioni colpose gravi o gravissime (art. 590 c.p.) commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell igiene e della salute sul lavoro. La scelta di includere questi reati tra quelli rilevanti ai fini dell applicazione del sistema 231 è particolarmente significativa nella recente storia della legge sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, dal momento che l articolo 25 septies introduce il primo caso di reato colposo per il quale sia contemplata la responsabilità dell ente. Tutti gli altri reati ritenuti rilevanti ai fini della legge presuppongono, infatti, per quanto riguarda l elemento soggettivo del reato, una condotta dolosa e non meramente colposa. Sul tema v. A. ALESSANDRI, Reati colposi e modelli di organizzazione e gestione, in Analisi giuridica dell Economia, 2009, 337 ss. 19
20 all interazione efficiente tra regole di organizzazione di impresa e obblighi normativi. Tuttavia, mentre l art. 30 del TUS, individua un contenuto minimo dei modelli organizzativi ritenuti idonei a prevenire i reati rilevanti, e stabilisce una presunzione di conformità legale per i modelli di organizzazione aziendale definiti conformemente alle Linee guida UNI INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGLS) del 28 settembre 2001 o al British Standard OHSAS 18001:2007, il d. lgs. 121/11, nell estendere la responsabilità amministrativa agli enti per i reati ambientali, non fa invece riferimento alcuno alle certificazioni volontarie ambientali (ISO Emas). Manca, dunque, nel d. lgs. 121/11 una norma analoga all art. 30 del d.lgs. n. 81/2008, la quale indichi, almeno per la prima fase di applicazione della legge, le linee guida cui uniformare i modelli di organizzazione aziendale ai fini della loro presunta idoneità a prevenire reati ambientali. I reati ambientali considerati dall art. 25 undecies possono riguardare, come si è detto, anche le piccole imprese. A questo riguardo, ancora una volta, il decreto correttivo al TUSL, (d. lgs. 106/09) si è mostrato più sensibile alle realtà aziendali del d. lgs. 121/11, dal momento che aveva inserito nell art. 30 un ulteriore disposizione secondo la quale: «La commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro elabora procedure semplificate per l adozione e l efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese. Tali procedure sono recepite con decreto del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali». 27 Art Il modello di organizzazione e di gestione idoneo ad avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, deve essere adottato ed efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale per l adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi: a) al rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici; b) alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti; c) alle attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; d) alle attività di sorveglianza sanitaria; e) alle attività di informazione e formazione dei lavoratori; f) alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori; g) alla acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge; h) alle periodiche verifiche dell applicazione e dell efficacia delle procedure adottate. 2. Il modello organizzativo e gestionale di cui al comma 1 deve prevedere idonei sistemi di registrazione dell avvenuta effettuazione delle attività di cui al comma 1. L articolo 30 quinto comma precisa poi che in sede di prima applicazione se i modelli di organizzazione sono definiti conformemente alle Linee Guida UNI INAIL o al British Standard OHSAS 18001:2007, si presumono conformi ai requisiti prescritti. 20
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