Ritualità ciclica del culto e del tempo in Matteo Salvatore

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1 Nicola Contegreco Ritualità ciclica del culto e del tempo in Matteo Salvatore di Nicola Contegreco I. All interno del vasto canzoniere di Matteo Salvatore 1 sono presenti anche brani di matrice religiosa popolare in cui è possibile rintracciare una chiave comune a partire dalla loro valenza simbolica in un percorso di ciclicità necessaria e rituale. I primi tre che sottoporremo ad analisi riguardano figure e ricorrenze della tradizione locale apricenese e, in parte, garganica: San Michele, Maria S.S. dell Incoronata di Apricena e San Lazzaro (con l accento sulla seconda a, in quanto dialettizzazione del nome Nazario); il quarto e il quinto, Il ricordo del giorno dei morti e La Santa Ora, si inquadrano invece nell ambito della devozione liturgica cristiano-cattolica nel suo insieme. Questo repertorio di canti religiosi è caratterizzato da un impostazione lirica e antinarrativa in relazione alla non recente, ma ancora utile, classificazione operata dal folklorista Paolo Toschi secondo il quale vi sono due grandi gruppi principali nel corpus religioso musicale italiano: il primo è costituito da brevi testi, lirici appunto, invocazioni a santi, alla Madonna o a Gesù, domande di grazia, come per i canti sopracitati; il secondo mette insieme brani che risultano più estesi, narrativi e ispirati alle agiografie dei santi, a storie bibliche o ai Vangeli, al ciclo natalizio o a quello pasquale (come le Passioni, un sottogruppo a loro volta), a leggende moraleggianti e a leggende sullo stato delle anime dopo la morte 2. Riguardo all oggetto dell analisi in questione, infine, bisogna ancora aggiungere due brani dedicati però ad un evento profano, il Carnevale, anch esso, come vedremo, momento cruciale per l esternazione e la reificazione di stereotipi riconducibili all immaginario culturale dei protagonisti delle ballate del cantastorie di Apricena. Come scrive Mircea Eliade nel Trattato di storia delle religioni, riferendosi alle forme e alle modalità in cui il tempo si immette nell universo umano, esiste un tempo sacro e un tempo profano. Quest ultimo è il tempo che noi viviamo 1 La discografia di riferimento è quella prodotta dalla Biblioteca Provinciale di Foggia e curata da Angelo Cava l l o e Rocco Fo r t e : Il banditore. Catalogo dell Opera omnia di Matteo Salvatore, Cfr. Paolo To s c h i, La poesia popolare religiosa in Italia, Firenze, Olschki,

2 Ritualità ciclica del culto e del tempo in Matteo Salvatore nel susseguirsi e concatenarsi degli attimi e nell espletamento delle relazioni di causalità, mentre l altro, il tempo sacro, rappresenta una breccia intervallare che porterebbe alle soglie di una diversa dimensione: il primo, quindi, si apre sul secondo producendo la manifestazione «dell assoluto, vale a dire il soprannaturale, il sovraumano, il sovrastorico» 3. Questo tempo sacro, ierofanico, può indicare, tra le sue molteplici varietà, un tempo in cui sia presente la celebrazione di un rituale e per questo la sua durata differisce da quella dell esistenza profana immettendosi in un presente al di fuori e al di sopra della storia. È un tempo che è reso presente dal rituale stesso e dalla sua durata che avvengono oltre la scansione ordinaria dei giorni dell anno. La ciclicità con cui questo tempo sacro si presenta è da collegarsi, sempre secondo lo studioso rumeno, al significato della ripetizione annua della cosmogonia, a causa della quale all orgia del Caos segue sempre una nuova creazione del Cosmo. Per questo non solo il Carnevale, già intrinsecamente capitolo di morte e rigenerazione, ma anche le ricorrenze dei nomi dei santi, invocati nei giorni a loro consacrati, direttamente dentro i santuari e attraverso i pellegrinaggi e le processioni, diventano eventi che assumono un significato rilevante nella cultura della civiltà rurale e preindustriale proprio in virtù dell attesa di questo tempo a-storico e nel desiderio di abolire il tempo profano mediante la trasfigurazione della durata in un istante eterno, oltre che in una dimensione futura travalicante l immanenza. A questo possiamo aggiungere quanto scrive Giovanni Vacca nel suo saggio Nel corpo della tradizione: La ripetizione dell evento iniziatico, individuale e poi collettiva nel giorno del pellegrinaggio e della festa [ ] costituisce l unica possibile forma di rinvio dinamico esistenziale di chi, all interno di una società che vede la norma sociale nel corretto decorso delle tappe della vita, vive una condizione bloccata, irrigidita, ripiegata su se stessa in un passato che non passa, cioè in un rito di passaggio non superato, che funge da catalizzatore simbolico di un esistenza per qualche motivo profondo turbata, inquieta, irrisolta 4. Nella ripetizione e nella ciclicità del rito si rigenerano i simboli potenziali della salvezza e della libertà da una condizione di perenne indigenza e sofferenza. Quando ciò non potrà più accadere, ovvero in conseguenza della morte fisica del corpo, il povero si abbandonerà ad un accesso di speranza e fiducia nella divinità, riscatterà come vedremo il prezzo della sua esistenza terrena nel carico di aspettativa per l ascensione diretta al paradiso. 3 Mircea El i a d e, Trattato di storia delle religioni, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, pp.352 e segg. 4 Giovanni Va c c a, Nel corpo della tradizione, Roma, Squilibri, 2004, p

3 Nicola Contegreco II. Ogni anno l 8 maggio - oltre che il 29 settembre -, giorni delle apparizioni, ricorrono i festeggiamenti per san Michele Arcangelo, icona fondamentale della sacralità garganica il cui santuario, situato a Monte Sant Angelo, è da diversi secoli meta di importanti pellegrinaggi popolari. Scrive Pasquale Corsi: L idea del pellegrinaggio, come è ben noto, è connaturata all essenza stessa del cristianesimo, che vede nell esistenza di ciascun credente una peregrinatio verso la patria celeste.[ ] Un ruolo di non secondaria importanza è stato svolto nel corso del Medioevo (per non parlare delle epoche successive o della più recente attualità) dall intera regione pugliese, ma con particolare rilievo al nostro Gargano. Ciò è stato determinato, se vogliamo semplificare al massimo, almeno da tre fattori: la presenza, dislocata nel tempo, di due grandi poli devozionali come la grotta dell arcangelo Michele a Montesantangelo e la basilica di san Nicola a Bari (costruita ovviamente dopo la traslazione delle reliquie del santi nel 1087); le vicende politiche e culturali, che hanno fatto di questa regione una importante zona di contatto tra Oriente bizantino e occidente latino; la posizione geografica, che[ ] fa della Puglia quasi un ponte tra i Balcani e il Levante in genere 5. A questo modello di devozione non si sottrassero nemmeno numerosi papi e sovrani - da Urbano II a Matilde di Canossa, da Celestino V a Carlo d Angiò, da Giovanni XXIII ad Alfonso d Aragona che attraverso la Strada Francigena e la Via Sacra Langobardorum si recarono in quelle terre attratti dalla sacralità suggestiva dei luoghi e dall Angelo vincitore del maligno. Tra gli illustri pellegrini medievali non si può non ricordare inoltre Francesco d Assisi che agli inizi del XIII secolo raggiunse la montagna sacra e che, secondo la tradizione, sentendosi indegno di accedere alla grotta dedicata a San Michele, sostò al suo ingresso in contemplazione e preghiera, baciò la terra adiacente alla soglia della cappella e lasciò infine come testimonianza della sua presenza il segno di una croce a T - il famoso e misterioso tau con cui firmava lettere e decorava le pareti delle celle - inciso su di una pietra. Il culto micaelico si fa risalire ai secoli IV e V (l 8 maggio del 490, secondo la tradizione è la data della prima apparizione) e con molta probabilità esso si sovrappose a culti di origine pagana già largamente diffusi sul Gargano come quelli di Calcante, Podalirio e Mithra dai quali trae probabilmente origine e con i quali appare fortemente imparentato 6. Dopo l avvento del Cristianesimo e il relativo 5 Pasquale Co r s i, (a cura di), Pellegrinaggi, pellegrini e santuari sul Gargano, San Marco in Lamis, Quaderni del Sud, 1999, pp Cfr. Franco Ca r d i n i, San Michele, l arcangelo armato, Fasano, Schena,

4 Ritualità ciclica del culto e del tempo in Matteo Salvatore sincretismo rituale e cultuale, queste divinità entrarono in crisi lasciando comunque in eredità al santo una serie di caratteristiche quali il potere taumaturgico (lu sante meraculose) e demiurgico, la presenza del toro animale simbolico del culto di Mithra la collocazione temporale in un periodo equinoziale e la rivelazione in una tipologia di grotta-cappella ipogea, anche se sita in quota (Sante Mechéle de Monte / Sta sotte a na muntagna). Quest ultima a Monte Sant Angelo è una cavità naturale di origine carsica il cui soffitto stilla perennemente acqua (e chiove e nun ce bagna). Così l ha descritta Leandro Alberti, frate domenicano che la visitò nel 1525: «Per una porta lavorata di artificioso metallo s entra ne la santa spelunca[ ] meravigliosa, tutta di un pezzo, e viva pietra, sempre puro umore distillante, orrida, bassa e oscura» 7. Lombardi invece ci parla dei pellegrini apricenesi che «fino a pochi decenni addietro, agli inizi di maggio, sui lenti traìne (carro con due grandi ruote) o addirittura a piedi, si muovevano verso Monte, unendosi lungo la strada ai santemechelère, e cioè ai pellegrini micaelici provenienti spesso da molto lontano. [ ] a Monte Sant Angelo oltre che visitare il santuario e partecipare alla solenne processione si procedeva all acquisto [ ] persino di pietre carsiche della grotta santa le quali, secondo una diffusa credenza, possedevano la virtù di limitare i danni dei terremoti e, poste davanti alla porta, di far cessare i temporali» 8. A1 - Sante Mechéle de Mónte (bis) Sta sotte a na muntagna E chiove e nun ce bagna È Dio che lo creò B - Tutte lu Garghène jème a Sante Mechéle Jème a cercà la grazia ca ce la fa Jème a truvà lu Sante meraculose Jème a cercà la grazia ca ce la fa (ripete A1) A2 - Sante Mechéle nostre Ce ne jème a li chèse nostre E se ne ce vedime cchiù Mbaradise ce purte tu 7 Cit. in Cristanziano Se r r i c c h i o, La via dell angelo, in «Carte di Puglia», anno II n.2, Foggia, Edizioni del Rosone, 2000, p Antonio Lo m b a r d i, Dialetto e memoria. Vocabolario di Apricena, Apricena, Edizioni Malatesta, 2001, p

5 Nicola Contegreco (ripete A1) (ripete A2) (San Michele di Monte/ Sta sotto una montagna/ E piove e non si bagna/ E Dio che lo creò// Tutto il Gargano andiamo a San Michele/ Andiamo a cercare la grazia che ce la fa/ Andiamo a trovare il santo miracoloso/ Andiamo a cercare la grazia che ce la fa// San Michele nostro/ Ce ne andiamo alle case nostre/ E se non ci vediamo più/ In paradiso ci porti tu) San Michele Arcangelo resta una della figure più importanti per la devozione popolare almeno per tre motivi: era invocato per ottenere protezione contro la fame; la Santa Grotta dove è apparso è casa di Dio e porta del Cielo, quindi accesso alla libertà dalla miseria; e infine perché, pur assumendo connotati umani, rimane una creatura soprannaturale, non essendo vissuto in questo mondo 9. Matteo Salvatore parte da una forma di canto processionale molto utilizzato in onore del santo guerriero, insieme ad altri stilemi tipici delle formule di invocazione tramite le quali si esprimeva la devozione da parte dei pellegrini. Ci dice infatti ancora Lombardi che «durante il cammino un solista nominava una parte qualsiasi del corpo dell Arcangelo e il coro professava la sua adorazione, invocando il soccorso di San Michele a chiusura di ogni strofa: Sant Mechele de Mónt sta sott a na muntagna ca chiove e n nciabbagne. Ciadore lu bon Gesù e Sant Mechele, aiutece tu! Lu pede de Sant mechele e quant ciadore e quant ciadore Ciadore lu bon Gesù e sant Mechele aiuterei tu! La mène de sant Mechele e quant ciadore» 10. Partendo come spunto dal testo popolare ripreso fedelmente nei primi tre versi, Matteo Salvatore rielabora quindi una seconda quartina (B) nella quale, sotto l incedere abbastanza sostenuto degli accordi in 3/4, richiama in prima persona plurale il cammino delle genti garganiche verso il santuario; la successiva anafora evidenzia infine lo scopo del pellegrinaggio. Il brano in tonalità maggiore di DO si sviluppa sui tradizionali I, IV e V grado e alterna un coro a tre voci miste sulle prime due A per poi passare alla sola voce maschile sulla B. Fin qui il timbro chiaro e il ritmo deciso sembrano richiamare in senso connotativo l avanzare cadenzato del passo dei fedeli verso la meta, il procedere della folla verso l oggetto da implorare per ottenere benefici individuali o collettivi che instaura nell animo una tensione in itinere : lo stato d animo trasmesso sembra essere quello della serenità, della speranza e della fidu- 9 Cfr. Silvano Tr e v i s a n i, La Puglia dei Santi. I luoghi di culto, i riti, i monumenti, Lecce, Capone Editore, 2006, p Antonio Lo m b a r d i, Dialetto e memoria, cit., p.338. Per confronti e similarità con altri testi ved. la bibliografia riportata da Maria Luisa Sc i p pa, Canto tradizionale e cantautori popolari. Un esempio pugliese, in «Archivio Storico Pugliese», Bari, Società di Storia Patria per la Puglia, XLIV, 1991, p

6 Ritualità ciclica del culto e del tempo in Matteo Salvatore cia nell attualizzazione di un processo di risoluzione verso uno status superiore. Il fedele attraverso il pellegrinaggio, come avviene per ogni altra forma di ritualizzazione simbolica dell evento nella ciclicità annuale, tende a spostare la condizione esistenziale in cui si trova bloccato, oltre la soglia che consentirebbe il naturale decorso degli stadi della vita. Il pellegrinaggio si impone quindi nel bisogno di oltrepassare una frontiera, nel concretizzarsi di un superamento del contesto reale del vissuto quotidiano; per questo mette in gioco una totale partecipazione fisica il cammino a piedi o su piccoli mezzi lungo e faticoso, la strada irta, il disagio e, a volte, il digiuno. E la dimensione del cammino non può essere che plurale in quanto il senso di appartenenza ad una classe sociale subalterna è alla base del processo dialettico e religioso di richiesta-speranza. Le sezione B e A2 sono infatti recitate in prima persona plurale: è un noi che si esprime in una chiave di fratellanza, in una comunanza profonda di intendi ed emozioni che ritroveremo anche negli altri canti di natura religiosa analizzati di seguito. Nell ultimo verso della quartina invece (jème a cercà la grazia ce la fa), a livello agogico si evidenzia un segno rilevante: la voce va in falsetto e, insieme alla chitarra, sfuma rallentando su un pianissimo molto delicato, quasi sommesso; l armonia, inoltre, se riusciamo a distinguere bene il basso, per risolvere sulla tonica si sposta sul II grado minore invece del solito V grado. È la speranza sussurrata, l afflato che arriva dal cuore, il filo di voce nella richiesta di procurare la grazia. È la vicinanza quasi fisica col santo. È come un parlargli in privato, senza che gli altri possano ascoltare. Dal punto di vista interpretativo la stessa cosa succede nella ripetizione di A1 alla quale segue infine proseguendo oltre la parentesi intimista - un ulteriore ripresa in coro (la processione riprende il ritmo, non c è più tempo per le richieste intime) che porta verso la conclusione del brano. Lu péde de Sante Lazzère Quant c adore, quante c adore C adore lu bon Gesù Sante Lazzèro aiutece tu (bis) Sante Lazzèro (bis) Sante Lazzèro ora pro nobis III. (Il piede di San Nazario/ Quanto si adora, quanto si adora/ Si adora il Buon Gesù/ San Nazario aiutaci tu) 122

7 Nicola Contegreco San Lazzaro è il terzo brano della facciata A del disco dedicato all Estate nelle Quattro stagioni del Gargano. È una nenia lenta in DO maggiore, interamente costruita su un breve testo di adorazione al santo e, insieme, a Gesù Cristo. Il tremolo della chitarra, pur nitido nell esecuzione, non scandisce precisamente un unico tempo anche se questo, dalla scansione di alcune frasi della melodia ad esempio quelle iniziali - potrebbe rivelarsi come un 6/8. Questa sorta di inno in onore del martire che si venera nell omonimo santuario - una cappella rurale sita ad otto chilometri da Apricena e vicina al lago di Lesina e al mare è, da un punto di vista dell elaborazione musicale, più espressivo e meditativo rispetto ai brani dedicati a san Michele e alla Madonna dell Incoronata di cui si tratterà più avanti. Salvatore riprende, restringendole in un breve testo, antiche formule salmodiate dai pellegrini (la ricorrenza è il 28 luglio) da cui emerge subito la somiglianza con lo stilema riguardante l adorazione delle singole parti del corpo, già evidenziato in precedenza per il corpo dell arcangelo. In questo canto però, il riferimento si focalizza unicamente sul simbolismo del piede e ciò deriva in modo diretto dalla tradizione che vuole che il santo (martirizzato nel 304 insieme al giovane discepolo Celso nei pressi di Milano), attraversando il territorio garganico, dove scorre ancora oggi il piccolo corso d acqua del Caldoli 11, vi abbia sostato per bagnarvisi i piedi e curarsi le piaghe che li ricoprivano, seduto sopra un masso. Questa pietra, venuta a contatto direttamente col santo e divenuta quindi anch essa sacra e portatrice di energia benevola e potere, è ancora conservata all interno della piccola chiesa, consumata dalle innumerevoli mani che l hanno toccata nel corso degli anni. Il corpo di san Nazario è quindi adorato attraverso la sineddoche del piede che «è parte essenziale del corpo essendo il sostegno della persona» 12, per questo può anche essere considerato simbolo dell anima come accadeva nelle leggende greche ad esempio, dove il fatto di zoppicare era preso a simbolo di solito di una deformazione dell anima, di una grave colpa dello spirito. Jung conferma questo concetto aggiungendo che Efesto, Weland il fabbro e Mani avevano piedi deformi (Trasformazioni e simboli della libido, 1912, citato in Zolar) Già citato da Strabone nella sua Geografia (cfr. Giovanni Sa i t t o, Poggio Imperiale. Storie, usi e costumi di un paese di Capitanata, Foggia, Il Rosone, 1997, p.145). 12 Zo l a r, Dizionario delle superstizioni, Milano, Pan Libri, 1991, p Cfr. Zo l a r, ibidem. È da ricordare, infine, che «in ambito simbolico, come pure in certe medicine, si pensa che i piedi contengano integralmente il corpo» (Morel, 2006, p. 661). 123

8 Ritualità ciclica del culto e del tempo in Matteo Salvatore Un ulteriore e significativo elemento è qui rappresentato dalla presenza salvifica dell acqua, sottintesa ancora nell adorazione del piede guarito attraverso il potere della sorgente, anch essa come la pietra, venuta in contatto col corpo del santo e, per questo motivo, ancora oggi frequentata da una moltitudine di persone, soprattutto in estate, che si reca sul luogo per bagnarsi in quelle acque a causa del senso di rigenerazione della pelle che se ne ricava dopo l abluzione. Scrive Catherine Pont-Humbert: «In Europa l integrazione del cristianesimo su uno sfondo pagano più antico ha dato origine a credenze, a pratiche e a riti in cui il culto dei santi attesta una sacralizzazione in prossimità delle sorgenti, delle foreste, delle colline e delle grotte. I santi hanno recuperato i poteri protettori delle forze positive più arcaiche» 14 (1997, p. 67). Ora cerchiamo invece di analizzare il significato di certe scelte operate sul piano armonico-melodico e dell arrangiamento. L armonia maggiore, aperta e sognante, si sviluppa sui gradi I, IV e V, il tremolo conferisce continuità e significato nel lento incedere, quiete e distensione nella pulsazione ininterrotta: ritroviamo ancora la separazione dal contesto abituale di vita, problematico e doloroso, il distacco dalla terra. Così come san Michele, anche san Nazario si trova in una posizione intermedia fra Dio e gli uomini: nel percorso verso il santo, l uomo si appropria di una piccola parte di divino, mentre Dio, rivelando il suo potere e la sua grazia attraverso la tipologia umana del santificato e riducendo la distanza tra cielo e terra, diventa egli stesso più umano affratellandosi soprattutto con i diseredati; per entrambi, Dio e l uomo, si compie un processo che, seppure di segno inverso, è necessario per raggiungere quel punto d incontro in grado di aprire il varco al tempo sacro di cui parlava Mircea Eliade. Tornando alla melodia, il sentimento della voce orante sembra raggiungere un fulcro luminoso e intensificarsi nel momento dell invocazione proprio del nome del santo: il canto, partendo dalla tonica, scende di una quarta al Sol3 attraverso un melisma che è poi l arpeggio dell accordo - e, sviluppandosi su un intervallo di un intera ottava, salta verso il Sol4 più acuto sul quale, in falsetto, si fermerà per tre lunghe battute, con alla base l accordo di dominante, creando un incredibile tensione carica di religiosa umiltà. Possiamo parlare di «totalità, amplificazione, grande slancio, massimo spostamento [ ]» 15, oltre che di madrigalismo 16, in quanto la figurazione del significante le note si accordano intimamente col contenuto del significato la richiesta dell uomo che sale al cielo attraverso l intercessione del santo, o forse un inconfessata esternazione d amore. p Catherine Po n t -Hu m b e rt, Dizionario dei simboli, dei riti e delle credenze, Roma, Editori Riuniti, 1997, 15 Gino St e fa n i, Luca Ma r c o n i, Franca Fe r r a r i, Gli intervalli musicali, Milano, Bompiani, 1990, p Cfr. Elvidio Su r i a n, Manuale di storia della musica: dalle origini alla musica vocale del Cinquecento, vol I, Milano, Rugginenti,

9 Nicola Contegreco In questo punto la cifra interpretativa di Matteo Salvatore si configura emblematicamente oltre la tradizione dei cantori, dei cantastorie e degli esecutori di testi e melodie popolari in genere. Un semplice canto popolare di natura religiosa si trasforma nelle sue corde vocali e sulla sua chitarra in un suggestivo inno che schiude un immagine musicale piena di sorprendente bellezza e spiritualità. È un momento di massima espressione in cui lo slancio quasi spersonalizzante (poiché l uomo va nella direzione di una terra celeste) è predisposto dalle tre note dell arpeggio discendente di SOL maggiore come se questo rappresentasse, all interno del percorso, uno spazio di rincorsa in cui preparare il salto. E la valenza potente di questa figurazione è avallata dal fatto che essa avviene sulla tonica dell accordo, posizione ottimale per l identificazione di un intervallo di ottava 17. Subito dopo, l invocazione viene ripetuta, ma questa volta finalmente per distendersi sull accordo di tonica, verso una posizione che permette di raggiungere una tappa di stasi. Segue quindi un apertura sul IV grado in un moto quasi di tenerezza come a voler far intendere che quel momento di vicinanza sta proseguendo e si sta intensificando e, mentre le parole si rivolgono stavolta all adorazione buon Gesù (che però andrà direttamente a rimare comunque con l aiutece tu, quindi ancora con san Nazario), la tensione sulla melodia si rilassa ulteriormente incamminandosi in direzione discendente. L ultima invocazione (Sante Lazzèro ora pro nobis) segue in parte la struttura della precedente ma questa volta lo spazio di estensione, pur ampio, è ridotto fino al Mi4. Madonna de l Incurnèta Vergina Santa Ce vedime na vota l anne Vergina Santa IV. 17 [ ] potremmo dire che quanto più un intervallo di 8 si trova su un grado forte della scala che cioè supporta una funzione tonale forte tanto più la sua identità tende ad essere in sintonia con tale funzione [ ] Di conseguenza potremmo ipotizzare che nella musica più marcatamente tonale quella colta dei secoli XVIII XIX e vari generi popolari troveremo l 8 con la massima frequenza sulla tonica (I grado), poi sulla dominante (V grado), e molto più raramente sugli altri gradi. (St e fa n i, Ma r c o n i, Fe r r a r i, Gli intervalli musicali, cit.,1990, p. 49) 125

10 Ritualità ciclica del culto e del tempo in Matteo Salvatore Madonna quante si bbella T amma purtète li verginelle Te l amma purtète scapellète Dinde la chiesa ngenucchiète Palummella bianca bianca Che ce fa dinde a sta lampa? Ce facce l olie sante Battezzà lu Spirite Sante Statte bbone Madonna mia L anne che vene ce vedime E se n n ce vedime cchiù Mbaravise ce purte tu Mbaravise è na bella cosa Chi va ce va a repose Mbaravise è na bella cosa Chi va ce va a repose (Madonna dell Incoronata/ Vergine Santa/ Ci vediamo una volta l anno/ Vergine Santa// Madonna quanto sei bella/ Ti abbiamo portato le verginelle/ Te le abbiamo portate rasate/ Dentro la chiesa inginocchiate// Colombella bianca bianca/ Cosa ci fai dentro questo lume?/ Ci faccio l olio santo/ Battezzare lo Spirito Santo// Stai bene Madonna mia/ L anno che verrà ci vedremo/ E se non ci vediamo più/ In paradiso portaci tu// In paradiso è un bella cosa/ Chi va si va a riposare/ In paradiso è una bella cosa/ Chi va si va a riposare) Il brano dedicato alla santa patrona di Apricena è costruito sulla spola di accordi del I e V grado, SOL e RE, organizzati sul continuum del tremolo, la cui scansione temporale è costantemente variabile anche se, considerate alcune linee della melodia come già in San Lazzaro - sembra emergere una sorta di 6/8. La Madonna dell Incoronata, assisa su una frondosa quercia e con una imponente corona dorata sul capo, è icona e simbolo molto amato dal popolo apricenese fin dal XIX secolo e spesso, gli stessi fedeli, ne hanno sottolineato la bellezza 126

11 Nicola Contegreco e la limpidezza dei tratti e dello sguardo proveniente dallo splendore del volto. Mentre l iconografia generale sembra derivare direttamente dalla omonima patrona di Foggia 18, anche se quest ultima è di pelle nera ed è rappresentata col bambino nel braccio sinistro, il culto della patrona di Apricena trova origine in quello della Vergine di Loreto cui era precedentemente dedicato il santuario che sorgeva dove è stato costruito quello attuale a lei intitolato 19. La sua proclamazione a santa patrona, fissata per il maggio del 1940, in occasione dello scoppio della seconda guerra mondiale, fu in seguito rimandata all anno successivo: «È stato l 11 maggio del 1941 che la Beata Vergine Maria, sotto il titolo di Incoronata, fu incoronata ufficialmente da Pio XII patrona principale di Apricena, unitamente a san Michele Arcangelo che era stato fino a quel momento il nostro protettore. La festività, fissata in un primo momento al 10 maggio, fu poi spostata all ultima domenica del mese, per evitare la coincidenza con le feste patronali dei comuni circonvicini» 20. Anche questo canto religioso si eleva puro e sereno, la linea del tema pacata e colma di gratitudine e lode, una preghiera in musica. Nelle note all interno del libretto contenuto nelle Quattro stagioni del Gargano viene riportato il seguente testo: La seconda domenica di maggio, la patrona del paese viene portata in solenne processione. Ogni figlia di Maria, a capo scoperto, con i lunghi capelli sciolti e in abito candido, reca in un caratteristico recipiente di terracotta il proprio contributo in olio d oliva, in misura delle possibilità familiari. Verso il tramonto, la statua verrà provvisoriamente collocata nella chiesa Madre, per essere poi ricondotta il giorno successivo nella sua sede abituale: il santuario campestre a tre chilometri fuori delle mura del paese 21. Cinque quartine uguali di versi irregolari senza variazioni, espirati all interno di una melodia che si sposta su un reiterato e debole saliscendi e in cui la ritualità circolare dell anno è esplicitata questa volta in modo chiaro nel testo: ce vedime na vota a l anne (terzo verso della prima quartina) e l anne che vene ce vedime (secondo verso della penultima strofa). Ci troviamo di fronte a formule già diffuse nella salmodia e nella liturgia popolare, topoi testuali e letterari che si ritrovano largamente in area meridionale, come si può riscontrare dalla raccolta di 18 Il brano in questione compare, quasi identico, anche se con titoli diversi ma comunque riferiti alla Vergine. È il caso proprio di Santissima Incoronata di Foggia, sul 33 giri Brutta cafona. 12 canzoni folkloristiche pugliesi della CGD, 1965, oltre che di Pellegrinaggio a Monte Vergine, lato B di un 45 della Pic-Nic Records che aveva sull altra facciata San Nicola di Bari, registrato anch esso negli anni Nicola Pi t ta, Apricena, 2 voll., a cura della Banca Popolare di Apricena, edizione fuori commercio, 1984, pp Lo m b a r d i, Dialetto e memoria, cit., p Matteo Sa lv a t o r e (con Adriana Do r i a n i ), Le quattro stagioni del Gargano, Milano, Amico, 1973, 4 dischi sonori. 127

12 Ritualità ciclica del culto e del tempo in Matteo Salvatore canti popolari operata all inizio del secolo scorso da Luigi Molinaro Del Chiaro nel territorio di Napoli 22. Stessa cosa si può affermare per i versi dedicati allo Spirito Santo nella terza quartina, simili in maniera quasi integrale ai seguenti riportati nella raccolta sopracitata 23 : Palummella ianca ianca Che ce puort int a sta lampa? I ce puorto l uoglio santo P abbattià lu Spiritu Santo. Lu Spiritu Santo s è abbattiato, Pe tutto lu munno s è nnumenato, S è annumenato pe cosa vera Aummaria razia prena. Matteo Salvatore, infatti, come la maggior parte dei cantori e dei cantastorie e come già in origine gli aedi della Grecia antica, ma anche i griot dell Africa occidentale usa uno stile formulaico, tipico dei testi orali, necessario affinché i racconti abbiano una qualche durata temporale. Tale prospettiva fa largo uso di epiteti, frasi fatte, costruzioni di tipo paratattico e ridondanze per favorire la memorizzazione del testo e far rivivere ogni volta il contenuto della narrazione in tempo presente 24. È utile ricordare inoltre, come scrive l antropologo inglese Maurice Bloch, che la «comunicazione rituale è di natura linguistica» e che «il significato è in primo luogo trasmesso dal modo in cui le unità lessicali possono essere combinate in enunciazioni» 25. Da ciò, parlando dei testi dei canti religiosi che qui si stanno analizzando, deriverebbe una sostanziale equivalenza di sintassi e semantica dal punto di vista delle potenzialità, la forza di poter veicolare quasi sempre il contenuto da parte della sintassi quando questa viene lasciata libera di operare. E quindi, dice ancora Bloch, «nel rituale la libertà sintattica e le altre libertà linguistiche sono limitate perché il rituale comporta un uso speciale del linguaggio: il parlare specificamente stilizzato e il canto» 26. È dunque un parlare povero, scarno e modesto, ma anche primitivo, se così possiamo dire. Lo spazio affidato alla parola, in un contesto di religiosità popolare simile a quello di cui ci stiamo occupando, è da considerarsi sacro, nel senso della distanza che interviene tra esso e lo spazio 22 Luigi Mo l i n a r o De l Ch i a r o, Canti popolari raccolti in Napoli con varianti e confronti nei vari dialetti, (ristampa anastatica 1916), Sala Bolognese, Forni, pp Mo l i n a r o De l Ch i a r o, Canti popolari raccolti in Napoli, cit., p Cfr. Walter J. On g, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Bologna, Il Mulino, Maurice Bl o c h, Simboli, canto, danza e tratti di articolazione linguistica. La religione è una forma estrema di autorità tradizionale?, in «EM-Rivista degli archivi di etnomusicologia», Accademia di Santa Cecilia, anno II num. 2, Roma, Squilibri, 2006, p Maurice Bl o c h, ibidem. 128

13 Nicola Contegreco fisico della quotidianità, e quindi dal linguaggio stesso della quotidianità utilizzato allo scopo primariamente comunicativo. Risulta infatti evidente che la comunicazione che, al contrario, verrebbe a crearsi nell invocazione cantata al santo è di tutt altra natura, e per questo abbisogna di una diversa lingua, di un codice che non sia esclusivamente delegato all interazione tra uomini, ma che possieda anche a livello sintattico delle peculiarità: in fondo è una lingua attraverso la quale dovrebbe avvenire l incontro tra l uomo e la divinità. In essa la parola non ha più funzione comunicativa o significativa, ma è preposta ad una carica evocatrice ed allo squarcio della realtà temporale 27. Arriviamo infine ad esaminare qual è il senso della scena che viene a delinearsi sullo sfondo della tessitura musicale e testuale. Essa appare subito costruita come una sorta di quadro rinascimentale, costituita da forme e tinte espressamente delicate, diafane, ibernata in quel tempo ierofanico di cui si diceva sopra: la Madonna è bella, fisicamente bella 28 ; lo Spirito Santo si materializza attraverso una colomba bianca alla presenza di bambine caste nell abito e nell animo; sembrano materializzarsi anche l odore dell incenso e la penombra mentre il tremolo crea un ovattato perpetuum mobile e il falsetto ricama linee semplici attorno ad immagini contemplative ed evanescenti. Siamo lontani dalla religiosità morbosa di certi culti mariani, violenta o patologica di quel Sud descritto in alcune pagine di De Martino, D Annunzio o Domenico Rea. Il discorso comunicativo tra i fedeli e la Vergine sembra in questo caso vertere sulla vicinanza di un punto tangibile, pur se poco concreto, un lembo di terra salvifico; tutto, in questo canto, sembra essere costruito attorno alla veracità e alla prossimità di questa speranza. Anche a livello armonico è da osservare che, come nel canto su san Michele, il tremolo su tonalità maggiori viene utilizzato per evocare e invocare presenze divine, senza narrazioni ma rimanendo in una sorta di limbo, di dormiveglia del corpo e dello spirito, luogo incantevole che infonde appagamento risultando distante dalla cruda realtà vissuta quotidianamente dalla povera gente. Possiamo dire che in questo senso funziona, da un punto di vista connotativo, la scelta della tipologia di accompagnamento unita alla tonalità: effetto sfumato ed elusivo del tremolo, eufonia ed apertura tipiche delle armonie maggiori. Quando il pellegrinaggio termina i fedeli ritornano alle loro case e, non sa- 27 È quanto si può dire per il racconto del mito nelle società primitive: «Il mito però non ha bisogno di essere rappresentato da una vera e propria azione (dalla quale storicamente avrà origine il dramma), in quanto la parola stessa, come sappiamo, è evocarice di immagini; basta perciò che sia narrato, e la narrazione in sé sprigionerà l azione magica voluta raggiungendi il fine di rendere presente il mito» (Anita Se p p i l l i, Poesia e magia, Torino, Einaudi, 1962, p.103). 28 Forse anche perché, prima di un discusso restauro operato sulla statua tra il 2002 e il 2003, il volto sacro appariva truccato, a causa dei continui rimaneggiamenti avvenuti nel tempo, come quello di una comune donna mortale dei nostri giorni conferendo quindi alla Vergine un espressione fin troppo terrena e umana. Per la questione del restauro del simulacro ved. Gaetano Lo Zi t o, L Incoronata. Storie e restauri, Apricena,

14 Ritualità ciclica del culto e del tempo in Matteo Salvatore pendo quanto tempo ancora rimane loro da vivere, dopo il trapasso, sperano di essere portati - così come già richiesto al santo psicopompo - in paradiso. L ipotesi di una morte improvvisa che possa mettere fine alla ciclicità annuale del culto, sembra non preoccupare chi parla chi prega poiché la morte potrebbe equivalere alla fine del travaglio terrestre e all inizio della quiete attesa in un oltreluogo dove governa la giustizia divina. Potrebbe essere questa la risoluzione del superamento della liminalità fissata 29, la profonda trasgressione in grado di sciogliere il nodo di una posizione dinamicamente inceppata. Il paradiso, per il povero, il subalterno, lo sfruttato, per colui che ha vissuto un intera esistenza in condizioni di sofferenza e lavorando fino allo sfinimento e alla morte, rappresenta il topos materiale della pace del corpo, la sede del riposo. Almeno quello. Solo in paradiso si potrà finalmente mettere fine alle vessazioni e al logoramento del fisico e dello spirito. È chiara la contrapposizione tra la fatica del vivere e la quiete della morte che, anche se non esplicitamente richiesta, è quasi sottintesa come desiderio. Un ultima nota, a livello testuale: anche la formula ripresa nei due versi conclusivi rimanda ancora ad un canto di origine napoletana pubblicato sempre da Molinaro Del Chiaro nel suo studio: Mparaviso e bbelli ccose/ Chi nce va se ne arreposa [ ] 30. V. Altro brano relativo alla cadenza annuale del rito è Il ricordo del giorno dei morti. Melodia ancora più elementare delle precedenti, in DO maggiore e interamente cantata sul modo ionico di cui però vengono toccati soltanto alcuni gradi (I, II, III e V), una forma di tetratonica che conferisce all esecuzione un tono quasi ipnotico di salmodia, rinforzato dall incedere lento del 3/4 della chitarra e dall emissione pacata della voce. Questa connotazione a livello musicale ci ricorda in qualche modo, nonostante le condizioni di pena e afflizione della donna che intona il canto e di cui ci occuperemo nell analisi del testo, lo stadio di serenità cui la morte conduce; si viene così a creare un evidente contrasto tra musica e testo. L accompagnamento, anch esso ridotto ad una meccanica ripetizione senza varianti, si snoda quasi interamente sull accordo maggiore di tonica, sporadicamente intervallato dalla dominante; l accento è sul primo e terzo tempo con una pausa costante sul levare del secondo: Sullo stesso profilo ritmico inoltre si presenta il canto. Stilisticamente sembra 29 Cfr. Va c c a, Nel corpo della tradizione, cit. 30 Mo l i n a r o De l Ch i a r o, Canti popolari raccolti in Napoli, cit., p.97. Per confronti e similarità con altri testi relativi allo stesso tema ved. la bibliografia riportata in nota da M.L. Sc i p pa (1991, pp ) 130

15 Nicola Contegreco che questa scelta connoti un andamento che evoca calma e placidità, o forse indolenza, direttamente riscontrabile nelle parole del testo che parlano anche qui di un lento pellegrinaggio operato dalle vedove del paese nel giorno della ricorrenza dei defunti. Possiamo parlare in questo caso di quel meccanismo semantico che è l imitazione musicale o, meglio ancora, dell analogia: non tanto quindi una copia diretta di un immagine o di una situazione reale immediatamente riconoscibile, ma «un disegno complessivo parziale e stilizzato, preoccupato più dei rapporti che delle cose stesse, e che riproduce solo dei tratti incisivi, non la totalità di ciò che imita» 31. Il brano è pubblicato sul 33 giri Storie e melodie d amore del Sud edito dalla Royal nel Sulle note esplicative di copertina, presenti per ogni singola canzone, ritroviamo la seguente didascalia: Durante i tre giorni che precedono la ricorrenza dei Defunti tutte le vedove del paese osservano il più stretto digiuno, al termine del quale, si avvieranno a gruppi, sottobraccio una all altra, verso il Cimitero; vestite rigorosamente di nero, mormorando una nenia dedicata ai Morti. Al centro del Campo Santo, si prostrano dinanzi alla statua della Madonna della Scapunia, che benedice tacitamente il loro sacrificio, dopo di che, ognuna di loro si dirige verso le tombe dei propri cari, per onorarli con preci ed alte grida. A sera il suolo è cosparso di ciocche di capelli che le donne, nella viva manifestazione del dolore, si sono strappate. Il guardiano, raccoltele, ne fa grossi mucchi che depone ai piedi della Madonna, dove verranno bruciati 32. Il testo è costituito da quattro quartine di endecasillabi con qualche assonanza e qualche rima baciata, più o meno regolari, nelle quali ogni verso è in realtà ripetuto due volte, ad eccezione dell ottavo che è una variazione del precedente. N voje né magnà e né bevià N voje né magnà e né bevià Me ne vaje alla Madonna della Schiapunia Me ne vaje alla Madonna della Schiapunia E ogge è lu ricorde delli morte E ogge è lu ricorde delli morte Jema a purtà li fiure a lu campesante 31 Michel Im b e rt y, Suoni Emozioni Significati. Per una semantica psicologica della musica, Bologna, CLUEB, 1986, p Matteo Sa lv a t o r e, Storie e melodie d amore del Sud, S.l., Royal, 1963, 33 1/3 rpm. 131

16 Ritualità ciclica del culto e del tempo in Matteo Salvatore Jema a purtà li fiure a tutte quante E lu marito mio m ha lassète E lu marito mio m ha lassète Ji so rumèsa sola sola sola Ji so rumèsa sola sola sola Ji tutte li capille m aja teraje Ji tutte li capille m aja teraje Annanze alla Madonna l aja ppicciaje Annanze alla Madonne l aja ppicciaje (Non voglio né mangiare né bere/ Non voglio né mangiare né bere/ Me ne vado alla Madonna della Scapunia/ Me ne vado alla Madonna della Scapunia// E oggi è il ricordo dei morti/ E oggi è il ricordo dei morti/ Andiamo a portare i fiori al Camposanto/ Andiamo a portare i fiori a tutti quanti// E il marito mio mi ha lasciato/ E il marito mio mi ha lasciato/ Io sono rimasta sola sola sola/ Io sono rimasta sola sola sola// Io tutti i capelli devo tirarmi/ Io tutti i capelli devo tirarmi/ Davanti alla Madonna devo bruciarli/ Davanti alla Madonna devo bruciarli) Contrariamente agli altri testi fin qui analizzati, in questo caso ci troviamo di fronte ad una narrazione, seppure atemporale, in prima persona singolare. Il racconto appartiene fedelmente a chi lo compie perché lo ha vissuto, perché ha attraversato quel limite (il lutto e lo strazio) e ne porta con sé le inevitabili conseguenze e i segni sul fisico; ha la necessità di verbalizzare la propria sofferenza, oltre che di elencare i gesti rituali che sta compiendo uno dietro l altro, affinché essa venga riconosciuta dalla comunità. L uomo, da sempre impotente di fronte al grande mistero della morte, esorcizza il proprio dolore formalizzandolo attraverso il rituale del lamento funebre: «Fonti scritte e materiali attestano la presenza del lamento funebre in Egitto, in Mesopotamia, Israele, Grecia, Italia, etc., a dimostrazione della sua enorme importanza tra i rituali funerari. È stato rilevato come in passato tale lamento rasentasse il parossismo, per il fatto che nelle società primitive e nel mondo preindustriale le insidie alla vita erano molto più numerose, i momenti critici più intensi e la presenza dell uomo nel mondo l esserci fortemente minacciata. [ ] l origine della vita religiosa come ordine mitico-rituale scaturirebbe proprio dall esigenza di proteggersi dal rischio di non esserci nel mondo» 33. Nel brano di Matteo Salvatore la morte del marito è sentita come evento funesto e causa di disperazione. La perdita dell uomo all interno del contesto famigliare assume 33 Leonarda Cr i s e t t i Gr i m a l d i, Bbèlla te vu mbarà a ffà l amóre, Foggia, Centro Grafico Francescano, 2004, p

17 Nicola Contegreco significati di perdita a diversi livelli per la condizione della donna: perdita di amore e affetto, perdita di protezione dalle angherie dei prepotenti e, soprattutto, perdita dell unica fonte di cibo ovvero un estremizzarsi delle condizioni di miseria affettiva e materiale; non a caso alcuni personaggi descritti nella loro indigenza e subalternità nelle ballate di Salvatore, rientrano nella categoria delle vedove. La solitudine rappresenta inoltre, la fase irreversibile dell esistenza in cui la vedova entra dopo la morte del coniuge: nel suo lamento declamato nel testo, questo stato è ben presente nella triplicazione, non solo con valenza musicale, dell aggettivo sola, mentre il dolore porta alla distruzione della propria immagine da un punto di vista estetico, al rifiuto di cibo e acqua (n voje né magnà e né bevià 34 ), al deperimento volontario verso una lunga morte. Già Ernesto De Martino aveva parlato di una fase di accentuata tendenza autolesionistica 35 riportata da chi subisce il lutto. Nel testo in questione ciò è evidenziato dalla eliminazione della fonte simbolica e stereotipa della bellezza i capelli lunghi (quasi sempre ricci e neri ) 36 prima col taglio poi con il fuoco; la vedovanza ha in effetti delle regole ben precise da rispettare nel codice di vita del sottoproletariato e mi riferisco all abito nero accompagnato dal fazzoletto dello stesso colore col quale coprire proprio i capelli: «Il fatto di nascondere i capelli in una copertura, un cappello o un foulard rappresenta la volontà di dominare questa forza vitale contenuta nella capigliatura, e contemporaneamente indica un gruppo, una casta, una funzione, uno stato o una vocazione. [ ] Durante i riti di iniziazione è di rigore una rasatura destinata a purificare i corpi alle forze vitali non sacralizzate. Si compie lo stesso rito alla fine e all inizio del trattamento rituale di una vedovanza» 37. Scrive inoltre Corinne Morbel: «Se i capelli lunghi, folti e sciolti esprimono la forza selvaggia, i capelli pettinati e legati rinviano al controllo volontario o imposto dall energia. I riti della tonsura e le acconciature (trecce, chignon) traducono concretamente imperativi di ordine morale come il dominio dei sensi, il controllo delle pulsioni, talvolta la rinuncia alla sessualità, o ancora sono il segno dell obbedienza assoluta e dell abbandono definitivo delle proprie forze a Dio (tonsura religiosa) o al proprio paese (taglio severo e rigoroso tipico 34 L infinito bevià, bere, non è utilizzato nel dialetto di Apricena dove si usa invece véve, il quale ha molta più attinenza col corrispondente in lingua italiana perché anch esso classificabile, come il corrispettivo italiano, nella seconda coniugazione. La voce usata da MS è chiaramente di prima coniugazione e fa pensare più ad abbeverare che a bere. Si tratta molto probabilmente di una forma arcaica o di una contaminazione (cfr. Francesco Gr a n at i e r o, Vocabolario dei dialetti garganici, Foggia, Grenzi, 2012). 35 Cfr. Ernesto De Ma r t i n o, Mondo popolare e magia in Lucania, Roma-Matera; Basilicata Editrice, 1975, p Jean Eduardo Ci r l o t, Dizionario dei simboli, Milano, Pan Libri, 1996; ZOLAR, Dizionario delle superstizioni, cit. 37 Po n t -Hu m b e rt, Dizionario dei simboli, cit., pp

18 Ritualità ciclica del culto e del tempo in Matteo Salvatore dei militari)» 38. Oltre ad un gran numero di canti popolari 39 con tematica amorosa, lo stesso MS ritorna alla sineddoche dei capelli nella dichiarazione d amore della ballata intitolata proprio Capelli neri (presente sul disco Autunno, Le quattro stagioni del Gargano, Milano, Amico, 1973): Oi né bella mia So nnammurète De li capille toje La vedova, in quanto tale, appartiene ad un nuovo gruppo sociale e, oltre ad incarnare una nuova funzione, compie una sorta di iter involutivo verso la verginità. Una serie di diritti le vengono sottratti sia in relazione ai suoi comportamenti, atteggiamenti e meccanismi relazionali, sia riguardo al suo aspetto fisico. Il dolore deve essere manifestato, deve essere visibile, riconoscibile e codificato, per questo i capelli non vengono semplicemente tagliati, ma strappati addirittura, in un estremo gesto di dissacrazione della propria immagine. Infine verranno bruciati e questo rituale non può che avvenire davanti al simbolo sacro della verginità e della femminilità per antonomasia, la Madonna 40. Il pezzo viene inciso anche all interno delle Quattro stagioni, sul lato A del disco dedicato all Autunno del 1973 (il riferimento qui è chiaramente legato alla posizione del giorno dei morti all interno del calendario) col titolo Il pianto delle vedove. La tonalità è LA maggiore, mentre l impianto ritmico rimane lo stesso; sono invece presenti alcune variazioni sia nell arrangiamento (motivetto con la fisarmonica nell introduzione) che nel testo. Le modifiche più rilevanti riguardano il 38 Corinne Mo r e l, Corinne, Dizionario dei simboli, dei miti e delle credenze, Milano, Giunti, 2006, p Cfr., tra gli altri, la manuuètta (tipico canto di Cagnano Varano, in provincia di Foggia) Nennèlla ne nde mètte cchiù a lla pòrta (Cr i s e t t i Gr i m a l d i, cit., 2004, p.125); A Mariuncella di Candela e un sonetto di San Giovanni Rotondo: È fatte l ucchie de la negra serpe/ E li capille a seta retorta./ Vurria sapé chi jè che te li ndrezze raccolti da Michele Ma r c h i a n ò agli inizi del secolo scorso (Testi popolari di Capitanata. Canzoni, poesie e proverbi, Foggia, Atlantica, 1984, p.17 e p. 61), così come Capiddi niri, da Ischitella (p. 98). Fuori dal contesto pugliese possiamo ricordare almeno Dammi un riccio dei tuoi capelli, canto di origine settentrionale diffuso dal Piemonte al Trentino, nel quale il giovane soldato chiede un ciuffo di capelli all amata per tenerli per memoria/ quando sarem sul campo della vittoria/ i tuoi capelli sì sì li bacerò (Franco Ca s t e l l i, Emilio Jo n a, Alberto Lo vat t o, Senti le rane che cantano. Canzoni e vissuti popolari della risaia, Roma, Donzelli, 2005, p.468). Quest ultimo canto ha tratti in comune per la tematica della partenza con Addio all amata raccolto ancora da Ma r c h i a n ò a Troia (FG), soprattutto nei versi Damme nu ciuffe de capille/ Che sop u core aje pusà (1984, p.46). 40 Nel brano si parla della Madonna della Scapunìa. Questo termine non indica né un appellativo né un toponimo realmente esistenti, e con molta probabilità è da riferirsi alla distorsione del termine Schiavonìa. Anche in questo caso però non è chiaro a quale Vergine si stia riferendo l autore. Alcune ipotesi plausibili potrebbero ricondurre al santuario rurale della Selva della Rocca presso Apricena o a quello di Montevergine in provincia di Avellino, grande meta tradizionale di pellegrinaggi anche dalla provincia di Foggia. Entrambi questi santuari infatti, hanno dedicato il loro culto ad una madonna nera, schiavona, appunto. 134

19 Nicola Contegreco passaggio dalla prima persona singolare alla terza plurale all inizio e poi singolare - nelle ultime due strofe: Dinte a lu cimitero chiàgnene li vedove Dinte a lu cimitero chiàgnene li vedove Sopa a la tomba ce sciòppane li capilli Sopa a la tomba ce sciòppane li capilli La védeve giovane ce l ha sciuppète tutte E chiagne a lu marite e sta sembe a lutte La védeve giovane ce l ha sciuppète tutte E chiagne a lu marite e sta sembe a lutte Il punto di vista ora diventa oggettivo abbandonando una prospettiva più intimista e regolandosi dentro una dimensione più aperta, di gruppo d appartenenza. In questa versione del testo viene inoltre inserito l aggettivo giovane con riferimento alla vedova, quasi ad esacerbarne la condizione, e, dove nell altra versione comparivano, riguardo ai capelli, i verbi teraje e ppicciaje (tirare e bruciare) in questo caso abbiamo il participio sciuppète, strappati. VI. È arrevèta la Santa Ora Gesù Bambino nda la magnatora Nui tutti quanti nui tutti quanti (bis) Nui tutti quanti jème a pregà Sona lu ntocco de la mezzanotte Tutti alla chiesa de Sante Rocche Gesù Bambino nuje jème a pregà (bis) Tutte lu monno jè venute a salvà Già è sunèto lu mattutine Dorme e reposa Gesù Bambine Nuje zitte zitte lu jème a vedè (quater) Nun ce stà nisciune cchiù belle de te È arrevèta la santa ora (È arrivata la santa ora/ Gesù Bambino nella mangiatoia/ Noi tutti quanti noi tutti quanti/ Noi tutti quanti andiamo a pregare/ Suona il rintocco della mez- 135

20 Ritualità ciclica del culto e del tempo in Matteo Salvatore zanotte/ Tutti alla chiesa di San Rocco/ Gesù Bambino noi andiamo a pregare/ Tutto il mondo è venuto a salvare/ Già è suonato il mattutino/ Dorme e riposa Gesù Bambino/ Noi zitti zitti lo andiamo a vedere/ Non c è nessuno più bello di te) Il testo è composto da tre strofe di quattro decasillabi in ognuna delle quali vengono poi ripetuti due volte il terzo e il quarto verso, la rima è baciata e compare una coda che riprende direttamente il primo verso. La melodia è in MI maggiore ed è sostenuta anche qui da un tremolo in 12/8. A volte, tra due strofe, così come nella breve introduzione, la chitarra va su un più conciso e chiaro 6/8 arpeggiato. Ci sono più voci femminili quasi a voler rimarcare l atmosfera natalizia, notturna, ma di una notte magica, serena, di silenzio e di pace. In questi brani religiosi Matteo Salvatore tende sempre a trasmettere un sentimento di armonia e serenità, è come se il tempo si fosse fermato e con esso le ingiustizie e le sopraffazioni. Scompaiono le figure dei padroni e dei soprastanti, scompaiono i conflitti di coppia e la presenza universale del male sulla Terra: ora è la figura del bambino Gesù che sovrasta tutte le altre. I simboli religiosi, proprio in quanto segni di natura energetica e culturale riescono a trasmettere dispositivi di significato anche semplicemente attraverso il veicolo del simulacro. Già Freedberg ha fatto notare come l efficacia delle immagini religiose scaturisca dall identificazione del devoto-fruitore con il modello rappresentato, passando così dalla contemplazione all identificazione e all elevazione dello spirito 41. Le effigi di san Michele Arcangelo, della Madonna dell Incoronata, di san Nazario o di Gesù Bambino sono, per il popolo e per la cultura della società preindustriale, legata ad una visione magico-religiosa e priva dei mezzi per interpretare il mondo attraverso chiavi di natura scientifica o filosofica, indispensabili alla comprensione della macchina narrativa messa in atto dalla fede nel trascendente. La gente del volgo, senza istruzione, senza cultura, senza pensiero critico e senza mezzi di sostentamento, è molto più simile ad un bambino con la cui natura condivide l innocenza, la purezza, la fiducia in una giustizia che ricompenserà chi non ha avuto modo di difendersi e ha dovuto soltanto subire. Con l iconografia di Gesù Bambino che nasce in una mangiatoia, e quindi in condizioni di estrema indigenza, attraverso un chiaro processo di individuazione, il povero condivide la condizione di stare al mondo: il Figlio di Dio - anch egli sottoposto ad un destino di povertà e dolore è visto come un sodale e in questa similitudine, ci sembra di capire, ci si sente privilegiati. La Santa Ora è densa di attesa poiché con essa dovrebbe portarsi a compimento la speranza della salvezza che, come il testo sembra suggerire, dovrebbe cominciare già su questo mondo proprio nella rivelazione ciclica del dio sulla terra (tutte lu monne jè venute a salvà). Non a caso il titolo non è riferito al nome della festività, il Natale, né all atto che in quella notte si avvera per cambiare le sorti del 41 David Fr e e d b e r g, Il potere delle immagini, Torino, Einaudi, 1993, pp

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