LA DOMENICA. Cronache dal ring. Tutto gioca, a questo mondo: il sangue nelle vene di un CULT VLADIMIR NABOKOV

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1 LA DOMENICA DIREPUBBLICA NUMERO 403 CULT All interno La copertina Individui contro istituzioni: quando la società diventa orizzontale RECALCATI E TODOROV Il libro Teorie, macchine e lingue bizzarre tutti i mattoidi grandi inventori GIORGIO VASTA VLADIMIR NABOKOV Cronache dal ring Vi spiego perché un pugile vale più di un poeta Il racconto inedito di un grande scrittore Straparlando Giorgio Albertazzi: Il vero teatro è tradimento e io sono Re Lear ANTONIO GNOLI L attualità Carlos, il ragazzo che non voleva più sparare ATTILIO BOLZONI Spettacoli Da Lehman Brothers a Julian Assange, la realtà va in scena RODOLFO DI GIAMMARCO e LUCA RONCONI VLADIMIR NABOKOV Tutto gioca, a questo mondo: il sangue nelle vene di un amante, il sole sull acqua e il musicista con un violino. Tutte le cose buone nella vita l amore, la natura, le arti, o gli scherzi in famiglia sono gioco. E in realtà, quando giochiamo sia che buttiamo giù un battaglione di stagno con un pisello, sia che ci affrontiamo davanti alla rete da tennis ciò che sentiamo nei nostri muscoli è l essenza di quel gioco che domina il meraviglioso giocoliere, che lancia da una mano all altra in un ininterrotta e scintillante parabola i pianeti dell universo. L uomo gioca da quando esiste. Ci sono stati tempi giorni di festa dell umanità in cui l uomo era particolarmente appassionato ai giochi. Fu così nella Grecia antica, nell antica Roma, ed è così nell Europa dei nostri tempi. Un bambino sa che, per poter giocare in un modo soddisfacente, deve giocare con qualcun altro, o almeno immaginare un altro, deve diventare due. O, per dirla in altro modo, non c è gioco senza competizione; che è poi il motivo per cui un certo tipo di giochi, come quelle esibizioni di ginnastica in cui una cinquantina di uomini e donne, muovendosi come una cosa sola, formano delle figure su un terreno da parate, ci sembra insipido, perché privo dell unica cosa che dà al gioco il suo incanto, il suo fascino eccitante. Ed è per questo che il sistema comunista è così ridicolo, perché condanna ciascuno a fare gli stessi tediosi esercizi, non consentendo a nessuno di essere più in forma del proprio vicino. Non per nulla Nelson disse che la battaglia di Trafalgar fu vinta nei campi di calcio e da tennis di Eton [sic]. I tedeschi stessi hanno di recente capito che con il passo dell oca non si va lontano, e che il pugilato, il calcio e l hockey sono molto più utili di qualsiasi altro esercizio militare e non. Il pugilato poi è particolarmente prezioso, e pochi spettacoli sono sani e belli quanto un incontro di boxe. (segue nelle pagine successive) con un articolo di GABRIELE PANTUCCI DISEGNO DI GIPI LA REPUBBLICA Cinema I vecchietti british di Dustin Hoffman animano la serata al Festival di Torino ROBERTO NEPOTI La lettura Di che cosa parliamo quando parliamo di innamoramenti JAVIER MARÍAS DISEGNO DI MASSIMO JATOSTI

2 26 LA DOMENICA La copertina Vladimir Nabokov La passione ritrovata GABRIELE PANTUCCI N el 1924 Vladimir Nabokov viveva a Berlino dando lezioni private di russo, inglese, tennis. E pugilato. Il pugilato l aveva appreso da ragazzo nell augusta magione familiare di San Pietroburgo dallo splendido Monsieur Loustatot («un francese di guttaperca»). Poi, come si sa, con la rivoluzione bolscevica la famiglia di Nabokov lasciò la Russia per l Inghilterra. Ma prima di laurearsi a Cambridge, in zoologia e poi in lingue e letterature slave, il futuro autore di Lolita partecipò a molti incontri di pugilato. E al tema dedicò anche una poesia, The Boxer Girlfriend. Del resto quanto l attività pugilistica fosse presente nella mente dello scrittore è dimostrato ora dai riferimenti letterari che Thomas Karshan ha rilevato nel dramma The Tragedy of Mister Morn, un importante lavoro teatrale apparso in pubblicazioni minori russe negli anni Novanta, oltre un decennio dopo la morte di Nabokov, e ora ritrovato e tradotto dallo stesso Karshan (in collaborazione con Anastasia Tolstoj, pronipote di Leo) per il Times Literary Supplement insieme alla cronaca dell incontro Breitensträter- Paolino che qui pubblichiamo per la prima volta in Italia. Quando Nabokov divenne uno scrittore famoso si compiaceva d affermare di non aver mai partecipato a nessun club o gruppo. Dimenticava però che da emigrato a Berlino aveva fatto parte di vari club letterari. Primo fra questi quello creatosi intorno al critico che dominava gli emigrati russi di allora: Iulii Aikhenvald. E fu proprio a questo gruppo che Nabokov offrì come prima conferenza nel dicembre 1925 il racconto di un incontro di boxe tra due pesi massimi che si era tenuto all inizio di quel mese allo Sport Palace di Berlino di fronte a quindicimila spettatori. Sul ring si erano affrontati il tedesco Hans Breitensträter e il basco Paolino Uzcudun. Di qui il titolo scelto da Nabokov: Breitensträter-Paolino. Dicembre 1925, a Berlino si affrontano due pesi massimi, il tedesco Hans Breitensträter e il basco Paolino Uzcudun. Tra la folla anche un giovane russo: con Lolita diventerà uno scrittore di fama mondiale, per ora si mantiene dando lezioni di pugilato. Ecco, per la prima volta pubblicato in Italia, lo straordinario racconto di quella serata Credetemi, non fa poi così male U VLADIMIR NABOKOV (segue dalla copertina) n rigido gentleman, a cui non piace lavarsi nudo al mattino, incline a mostrarsi sorpreso scoprendo che un poeta che lavora per due connaisseurs e mezzo guadagna meno di un pugile che lavora per una folla di diverse migliaia di persone (una folla che, per inciso, non ha nulla a che vedere con le cosiddette masse ed è trascinata da una passione molto più pura, più sincera e benevola di quella della folla che dà il benvenuto agli eroi nazionali che ritornano a casa), questo stesso rigido gentleman proverà indignazione e disgusto nei confronti di un combattimento con i pugni, così come a Roma, molto probabilmente, c erano persone che si accigliavano alla vista di due giganteschi gladiatori che esibivano il meglio delle arti gladiatorie, colpendosi a vicenda con tali mazzate d acciaio da rendere inutile il pollice verso, tanto si sarebbero finiti l un l altro comunque. (...). L importante è, innanzi tutto, la bellezza dell arte del pugilato, la precisione perfetta dell allungo, i salti laterali, i tuffi, la gamma dei colpi i ganci, i diretti, gli swipe e, in secondo luogo, la fantastica emozione virile che quest arte suscita. Molti scrittori hanno descritto la bellezza, il fascino del pugilato. (...). E ci sono rimasti dei ritratti dei pugili professionisti del XVIII e XIX secolo. I famosi Figg, Corbett, Cribb combattevano senza guanti e combattevano magistralmente, con tenacia ed onore molto più spesso fino al completo sfinimento, più che fino al knock-out. Né fu un senso di banale umanità che portò alla comparsa dei guantoni da boxe verso la metà del secolo scorso, piuttosto il desiderio di proteggere il pugno, che altrimenti poteva troppo facilmente fratturarsi nel corso di un incontro della durata di un paio d ore. Tutti loro sono da tempo scesi dal ring questi grandi pugili leggendari facendo vincere ai loro sostenitori un bel po di sterline. Vissero fino a tarda età e di sera, nelle taverne, davanti a una pinta di birra, raccontarono con orgoglio le loro passate imprese. Furono seguiti da altri, i maestri dei pugili di oggi: il massiccio Sullivan, Burns, che assomigliava a un dandy londinese, e Jeffries, il figlio di un maniscalco «la speranza bianca», come venne chiamato, da cui si comprende come i pugili neri stessero già diventando imbattibili. Chi sperò che Jeffries avrebbe battuto Johnson, il gigante nero, perse i suoi soldi. Le due razze seguirono da vicino questo incontro, ma nonostante la furiosa ostilità tra il gruppo dei bianchi e quello dei neri (l incontro si svolse venticinque o più anni fa), non fu infranta una sola regola del pugilato, per quanto Jeffries, ad ogni colpo che portava, continuasse a ripetere: «Yellow dog yellow dog». Alla fine, dopo un lungo, splendido combattimento, l enorme pugile nero colpì il suo avversario così forte che Jeffries volò all indietro fuori dal tappeto, oltre le corde del ring e, si dice, «si addormentò». (...). Ho avuto la fortuna di vedere Smith, e Bombardier Wells,

3 27 PUGILI Nelle immagini d epoca, in basso a destra il basco Paolino Uzcudun e a sinistra il tedesco Hans Breitensträter A ogni colpo che il biondo subiva il mio vicino faceva un fischio aspirato come se i colpi li prendesse lui mito che in Inghilterra viene chiamato funny bone, e in Germania osso musicale. Come tutti sanno, sbattendo forte il gomito si sente immediatamente una lieve scossa nella mano e un momentaneo intorpidimento dei muscoli. La stessa cosa avviene se si viene colpiti molto forte sulla punta del mento. Non c è dolore. Solo lo scampanellìo di un lieve ronzio e poi un istantaneo e piacevole sonno (il cosiddetto knock-out ), che dura dai dieci secondi alla mezz ora. Un pugno al plesso solare è meno piacevole, ma un buon pugile sa come tendere il suo addome, così da non batter ciglio nemmeno se un cavallo gli desse un calcio alla bocca dello stomaco. Ho visto Carpentier questa e Goddard, e Wilde, e Beckett, e il miracoloso Carpentier che sconfisse Beckett. Quel combattimento, che fece vincere cinquemila sterline al vincitore, e tremila sterline allo sfidante, durò esattamente 56 secondi, tanto che chi aveva pagato venti sterline per sedersi ebbe solo il tempo di accendersi una sigaretta e quando alzò gli occhi al ring Beckett giaceva già al tappeto nella commovente posa di un bambino che dorme. Voglio subito dire che in un colpo di quel genere, che comporta un istantaneo black-out, non c è nulla di grave. Al contrario. L ho sperimentato io stesso, e posso testimoniare che quel sonno è piuttosto piacevole. Proprio sulla punta del mento c è un osso, come quello del gosettimana, martedì sera. Faceva da allenatore al peso massimo Paolino e sembrava che gli spettatori non riconoscessero subito il recente campione del mondo Alla fine giaceva acciambellato come un brezel. L arbitro ha contato i secondi fatali, ma lui non si è rialzato in quel biondino dall aria modesta. La sua gloria oggi si è offuscata. Dicono che dopo il suo terribile combattimento con Dempsey singhiozzasse come una donna. Paolino si è presentato sul ring per primo e, come di consueto, si è seduto sullo sgabello nell angolo. Enorme, con una testa quadrata e scura, indossava uno splendido accappatoio che gli arrivava alle caviglie: il basco sembrava un idolo orientale. Solo il ring era illuminato e, nel cono bianco della luce che calava da sopra, la piattaforma sembrava d argento. Questo cubo argentato inserito in mezzo a un gigantesco ovale oscuro in cui le dense file di innumerevoli facce umane richiamavano alla mente dei chicchi di granturco DISEGNO DI GIPI maturo sparsi su uno sfondo nero questo cubo d argento non sembrava illuminato dall elettricità, ma dalla forza concentrata di tutti gli sguardi che dal buio lo fissavano. E quando l avversario del basco, il campione tedesco Breitensträter, è arrivato sul ring, biondo, indossando un accappatoio color grigio-topo (e per qualche ragione dei pantaloni grigi, che si è subito tolto) quell enorme massa oscura ha tremato con un ruggito di gioia. Il ruggito non si è spento quando i fotografi, saltando sul bordo del ring, hanno puntato le loro «monkey-boxes» (così le chiamava il mio vicino tedesco) sui pugili, sull arbitro, sui secondi, né quando i campioni «si sono infilati i loro guantoni da boxe». E quando i due contendenti hanno fatto scivolare l accappatoio (non «vellutate pellicce») dalle loro spalle possenti e si sono lanciati l uno contro l altro nel bianco scintillante del ring, un leggero gemito ha attraversato quell abisso oscuro, quelle file di chicchi di mais e le vaghe tribune superiori perché tutti hanno visto che il basco era molto più grosso e massiccio del loro favorito. Breitensträter si è lanciato per primo all attacco, trasformando quel gemito in un rombo estatico, ma Paolino, con la testa tra le spalle, gli ha risposto con dei ganci corti da sotto e già dal primo minuto o quasi la faccia del tedesco scintillava di sangue. Ad ogni colpo che Breitensträter subiva, il mio vicino faceva un fischio aspirato come se quei colpi li prendesse lui e tutta la massa oscura, tutte le gradinate emettevano una sorta di enorme, soprannaturale, rauco lamento. Al terzo round, si è fatto evidente che il tedesco si era indebolito, che i suoi pugni non potevano tener lontana quella montagna arancione protesa in avanti che avanzava verso di lui. Ha combattuto, tuttavia, con straordinario coraggio, cercando di rimediare, con la sua velocità, al maggior peso, circa sette chili, del basco. Intorno al cubo luminoso, sul quale i pugili danzavano mentre l arbitro serpeggiava tra di loro, la massa oscura si è raggelata e nel silenzio il guantone, lucido di sudore, ha colpito con vigore il corpo nudo. All inizio del settimo round, Breitensträter è caduto, ma dopo cinque-sei secondi, arrancando in avanti come un cavallo sul ghiaccio stradale, si è rialzato. Il basco si è gettato subito su di lui, sapendo che in queste situazioni devi agire in modo rapido e risoluto, mettendo nei tuoi pugni tutta la tua forza, perché a volte un colpo che punzecchia ma non è deciso, invece di finire il tuo avversario indebolito, lo rianima, lo risveglia. Il tedesco ha schivato, poi si è aggrappato al basco, cercando di guadagnare tempo, di arrivare fino alla fine del round. E quando è andato nuovamente al tappeto, il gong è stato la sua salvezza: all ottavo secondo, si è alzato con grande difficoltà e si è trascinato fino al suo sgabello. Per una sorta di miracolo, era sopravvissuto all ottavo round, a un fragore crescente di applausi. Ma all inizio del nono round, Paolino, colpendolo sotto la mascella, lo ha toccato proprio dove voleva. Breitensträter è crollato. Infuriata e scontenta, la massa oscura ha ruggito. Breitensträter giaceva acciambellato come un brezel. L arbitro ha contato i secondi fatali, ma lui non si è rialzato. Così, il match è giunto al termine e quando siamo usciti tutti per strada, nell azzurro ghiacciato di una notte nevosa, ho avuto la certezza che nel più fiacco padre di famiglia, nella gioventù più modesta, nelle anime e nei muscoli di tutta la folla, che all indomani, al mattino presto, si sarebbe dispersa negli uffici, nei negozi, nelle fabbriche, ci sarebbe stato lo stesso bel sentimento, per il quale era valsa la pena di far combattere due grandi pugili: un sentimento intrepido, di forza ardente, di vitalità, di virilità, ispirato dal gioco del pugilato. E questo bel sentimento è forse più prezioso e più puro di ciò che molti chiamano i piaceri elevati. Traduzione di Luis E. Moriones

4 28 LA DOMENICA L attualità Andata & ritorno A sei anni iniziò la sua carriera criminale a Rio Blanco, Città del Messico. A quindici aveva una banda e una pistola Quando si accorse che i suoi amici erano quasi tutti morti decise di salvare quelli ancora vivi. Ora è in Italia, per raccontare la sua seconda vita ai ragazzi di Scampia Carlos che un giorno disse io non voglio più sparare ATTILIO BOLZONI ROMA Si sente ancora uno di loro, uno della pandilla. La banda. E la sua casa è sempre là, fra le baracche sgangherate e colorate del quartiere dove è nato, ai confini dell inferno, la colonia del Rio Blanco. È uno di loro: è Carlos. Non ha mai rinnegato le sue origini e nel cuore porta il ricordo degli amici che non ci sono più, ragazzini e anche bambini, morti a undici o a dodici anni, sgozzati o fucilati, uccisi per tutto e per niente sulle strade feroci di Città del Messico. «Eravamo ventitré all inizio, siamo sopravvissuti solo in tre», ricorda lui che dalla terrazza di un palazzo dietro piazza Venezia sta guardando le cupole di Roma al tramonto. Da qualche giorno è rifugiato qui, lontano dal suo barrio e lontanissimo dalle paure che l inseguono dall altra parte del mondo, minacce, avvertimenti, pedinamenti. I suoi nemici sono poliziotti corrotti e criminali di varia risma, quelli che una volta lo consideravano un capo, il più sfrontato, il più temerario, il più duro dei pandilleros. Non è un traditore e non è un pentito Carlos Alberto Cruz Santiago, ultimo di cinque figli cresciuti nelle miserabili periferie di una metropoli dove spadroneggiano fra le settecento e le mille gang, uno sterminato esercito di assassini adolescenti che un giorno ammazzano e il giorno dopo vengono ammazzati, che rubano, trafficano, fanno sequestri di persona, vendono e comprano armi, vendono e comprano vite. Questo messicano di trentotto anni, corpulento, i capelli color pece, una faccia da indio e una malinconia che i suoi occhi non riescono a nascondere, oggi è un altro uomo che richiama il suo passato per spiegare che si può e che si deve cambiare. Da fuorilegge è diventato il più famoso «educatore di strada» IL PROTAGONISTA Carlos Alberto Cruz Santiago, 38 anni, fotografato a Roma. Le altre immagini fanno parte di un fotoreportage di Javier Arcenillas sulla violenza delle gang nelle metropoli sudamericane del suo Paese, senza avere mai dimenticato da dove viene e come ha consumato la sua prima esistenza. È in Italia protetto dalla rete Alas di don Tonio Dell Olio, un network latino-americano contro il narcotraffico. Nei prossimi giorni Carlos scenderà a Napoli per avventurarsi nei labirinti di Scampia e parlare del suo Messico dal 2006 ci sono stati 136 mila omicidi, ventimila di delinquenza comune e tutti gli altri collegati ai cartelesdella droga e alla criminalità organizzata ai ragazzi del paradiso dello spaccio. E rivelare anche l altro volto che sta scoprendo la sua Rio Blanco. «Se si trasforma il mio barrio, ce la può fare anche Scampia», sussurra mentre guarda le foto dei palazzi «tutti grigi e tutti uguali» del quartiere napoletano in mezzo alla putrefazione di uomini e cose. A Scampia racconterà la mattanza messicana. E se stesso. La rivoluzione di Carlos. Tepito, Vaje Gomez, Bondojito, tutte le altre infelici colonie che confinano con le costruzioni a forma di cubo dove sono intrappolati i quarantamila abitanti del Rio Blanco. In fondo a un polveroso viottolo abita Carlos. Il padre Adulfo, ragioniere in un impresa di costruzioni, non c è mai. Lavora giorno e notte per sfamare la famiglia. La madre Hermilla s arrangia con qualche lavoretto. Carlos non ha niente. Cinque pesos al giorno gli sembrano una fortuna. Ha appena sei anni quando glieli mettono in mano per correre su una bici da una parte all altra del quartiere. E portare un «sacchettino» a qualcuno. È già un corriere. Marijuana. È già segnato Carlos Alberto Cruz Santiago. A tredici anni il bautizo, il battesimo. Il giro del perimetro di un campo, inseguito da una trentina di ragazzi più grandi che lo prendono a bastonate con le canne di bambù. «Se resistevi per un giro intero entravi, se non resistevi non ti prendevano nella banda io di giri ne ho fatti due», dice Carlo che in-

5 29 Ieri Io e tutti quelli della mia pandilla rubavamo, rapinavamo banche, assaltavamo per strada i poliziotti per portare via le loro armi e per poi rivenderle, alla fine ci siamo anche conquistati el derecho de pizo in tutto il nostro quartiere: la quota che tutti i negozianti devono pagare al racket Oggi Io non ho tradito nessuno, non ho ripudiato nessuno, non ho abbandonato nessuno. Io ho soltanto rinunciato alla vendetta. E ho deciso di fare il possibile per strappare i ragazzi alle bande. Se le cose possono cambiare in un quartiere come il mio, possono cambiare ovunque 136mila gli omicidi in Messico dal 2006: la maggior parte legati a droga e crimine organizzato 4mila i bambini morti ammazzati in varie città del Messico negli ultimi quattro anni 7 milioni i giovani messicani tra i 15 e i 19 anni, detti ninis, che non studiano né lavorano 700 il numero di gang di Città del Messico Altre stime parlano di mille bande 230mila gli sfollati per motivi legati al narcotraffico, ai quali si aggiungono 10mila desaparecidos tanto spiega cosa significava «entrare» là dentro. Baci. Abbracci. Promesse solenni: «Non eri più uno in più ma eri parte, si parlava di lealtà. Degli amici che dovevano essere considerati come fratelli, che dovevi rispettare tua madre e le donne degli altri». A tredici anni nel primo cerchio, a quattordici nel secondo, a quindici anni in quello più alto, il terzo. È ormai un capo della pandilla Carlos. In tasca ha sempre una pistola automatica marca Astra. La usa «per difendere il territorio» dalle altre bande. Il suo quartiere generale è nell Escuela Vocacional numero 10, un impasto di politica e di violenza, delegati governativi in contatto con i pandilleros studenti per controllare potere e voti. In cambio libertà di scorribanda per Carlos e i suoi amici: «Rubavamo, rapinavamo banche, assaltavamo per strada i poliziotti per portare via le loro armi e poi rivenderle, alla fine ci siamo anche conquistati el derecho de pizo in tutto il quartiere». La renta come la chiamano in Messico, la quota che tutti i negozianti devono pagare al racket. La rata ogni settimana, una speciale a Pasqua e a Natale. A Città del Messico come nelle borgate di Palermo. È la seconda metà degli Anni Ottanta. I cartelli della droga non sono ancora forti e ricchi come lo saranno dieci anni dopo, la guerra nella capitale messicana è affare delle pandillas per il controllo dei commerci illegali delle zone di appartenenza. È nel 1987 Carlos è da quasi due anni nella banda che comincia a vedere morire i suoi compagni. Gli tornano in mente i momenti più dolorosi: «Dal 1987 al 1991 sono stati uccisi quei venti, ma per me sono ancora tutti vivi, non passa mese che non vado a casa dei loro familiari». Scontri a fuoco. Agguati. Fino a quando si muove qualcosa dentro il ragazzo del Rio Blanco. Si rompe qualcosa anche con i delegati governativi dell Escuela Vocacional numero 10 («I loro figli non venivano ammazzati come noi, non andavano mai in carcere come noi»), ma è un viaggio sulle montagne del Guerrero che divide per sempre in due la vita di Carlos. Con lo zaino in spalla decide di passare qualche mese in una comunità indigena e si accorge che là, nella foresta, uomini e donne e bambini muoiono anche senza le fucilate o le coltellate. Ricorda ancora lui: «Morivano di malattia, morivano anche di fame. E quando un bambino soffriva perché era malato non sentivo mai dire C è un bambino malato, ma tutti dicevano La nostra comunità è malata. Quel modo di pensare ha modificato il mio modo di pensare, ho capito che non era più importante vivere meglio, avere una bella macchina o tanti soldi, ma era più importante vivere da giusti». Carlos torna a Città del Messico e parla con i superstiti della sua pandilla. Molti lo seguono, alcuni non capiscono, altri cominciano a odiarlo. Lo accusano di voler abbandonare i compagni della banda, che sta venendo meno al giuramento di fedeltà. Ci ripensa Carlos a quei giorni e dice: «Io non ho lasciato e ripudiato nessuno, ho soltanto abbandonato la vendetta per diventare un pandillero costruttore di pace». Rimane a Rio Blanco, nella casa della vecchia nonna in Calle Oriente 85 numero Lì vicino apre Cuace Ciudadano, che significa Canale cittadino, un associazione per strappare i ragazzi alle bande e che ha ormai volontari in sessantasei municipi di Città del Messico e in più di settecento scuole. Indaga sui crimini governativi, sui traffici di coca, sulle crudeltà contro gli immigrati. Carlos comincia a denunciare le scorrerie della polizia, le uccisioni di massa di ragazzi. Come quella del 2008 nella discoteca New Divine di Città del Messico, nove adolescenti scambiati per trafficanti e massacrati. O come quella del 2010 a Ciudad Juarez in località Villas De Salbarca, quattordici morti e ventisette feriti, tutti minoren- ni. Mattanze governative. Con gli altri 144 volontari di Cuace Ciudadano Carlo Alberto Cruz Santiago è diventato bersaglio di reparti speciali polizieschi e boss mafiosi. Telefonate nel cuore della notte: «Carlos sappiamo dove sei», «Carlos strappiamo il cuore a te e ai figli dei tuoi amici», «Carlos, sei condannato a morte». Lui, che era entrato nella pandilla nel 1985 e ne è uscito quindici anni dopo, l altro mese è andato a parlare in una caserma di polizia di Città del Messico, un corso di formazione sulla legalità. In prima fila ha riconosciuto un vecchio capitano. «Era là che mi fissava, all inizio non era sicuro che fossi davvero io. Si è avvicinato e mi ha detto: Non sono riuscito ad arrestarti e adesso ti ritrovo pure mio maestro...». La sua prossima lezione è fra i più disperati ragazzi di Napoli. Carlos è pronto per il suo nuovo viaggio. Andata e ritorno Rio Blanco-Scampia. FOTO DI JAVIER ARCENILLAS / LUZPHOTO

6 30 LA DOMENICA Il documento Coppie non celebri Lei sartina, lui operaio. Si sposano nel 26, ma appena un anno dopo la favola finisce: per lui iniziano sedici anni di carcere fascista e di confino, per lei altrettanti di straziante lontananza Ora un libro raccoglie ciò che resta di quella passione: un diario e tante lettere SIMONETTA FIORI Emma ha continuato a scrivergli per anni, come se le sue lettere potessero oltrepassare ogni barriera, anche quelle impossibili. Prima la galera, poi il confino, ora perfino la morte. Così era stato nella loro giovinezza, i sedici anni vissuti nella separazione, tra il 1927 e il 1943, Giulio prigioniero del fascismo ed Emma costretta a lunghe peregrinazioni pur di vederlo venti minuti su una panca. Fu allora che Emma imparò a riempire i vuoti con le parole scritte, a tradurre la danza degli occhi in pezzi di carta vistati dal censore. Il codice verbale aveva le sue regole inderogabili, gli scatti in avanti e le frenate, le accensioni e le pause, proprio come il linguaggio del cuore. E a quello Emma non rinunciò neppure dopo il 1974, l anno della scomparsa di Giulio Turchi, l operaio metallurgico divenuto nel dopoguerra deputato del Pci. Una lettera quasi quotidiana, per sentirselo ancora vicino. Finché un giorno accade un fatto incredibile, che nessuno poteva presagire. Nel marzo del 1981 arriva ad Emma una lunga «lettera d amore». L ha scritta Giulio quasi mezzo secolo prima. Un diario annotato a Ponza tra il Storia dicembre del 1938 e il marzo del 1939, forse il periodo più difficile della sua vita di detenuto: alle spalle già undici anni di carcere, e in avanti solo prospettive confuse. Ma adesso da confinato poteva disporre amore d un quadernino, dove mettere ordine tra i sentimenti, so- d comunismo e Emma e Giulio, una vita quasi solo di carta prattutto confessare liberamente le proprie emozioni senza timore di uno sguardo estraneo. Per lui Emma era tutto, fonte di vitalità e bussola morale. Emma così estroversa e appassionata, lunarmente distante dal suo temperamento schivo, a tratti brusco. La sua dedizione lo smuoveva nel profondo. Era disposta a tutto, pur di sostenere il compagno in galera, anche a far da cameriera alle signore dell ambasciata sovietica. Quel breve scritto voleva essere un risarcimento, un ripagarla per il suo affannarsi senza mai un lamento. Ottanta pagine vergate con grafìa fitta e minuta, un gesto d amore per la moglie bruscamente interrotto dal sequestro del quaderno, mai più restituito e per mezzo secolo rimasto sepolto negli archivi. Nessuno in famiglia ne sapeva niente. A ritrovarlo sarà l Associazione dei perseguitati politici, che nell 81 ne fece dono a Emma. Ma l unica a non sorprendersi fu ancora una volta lei. Come se in fondo l aspettasse da sempre. Ora questo diario è diventato un libro, con la postfazione di Gioia Turchi, la figlia di Emma e Giulio che su sollecitazione della sua secondogenita ha reso pubbliche le carte (Emma. Diario d amore di un comunista al confino, a cura di Gianfranco Porta, Donzelli). Quello di Giulio Turchi è un memoriale che s aggiunge alle tantissime testimonianze sulla galera fascista, ma distanziandosene per la sua intonazione esclusivamente sentimentale. Non è un trattato di «psicologia carceraria», come Vittorio Foa amava definire i suoi scritti, né un affresco di quella condizione che Massimo Mila efficacemente sintetizzò come «un sipario calato sulla vita». La politica scivola sul fondo, anche la solidarietà tra detenuti non è preoccupazione urgente. Ciò che prevale è la pulsione del cuore, viaggio anche spericolato dentro le caverne intime della passione. Il turbamento costante di una «vita non vissuta» ma solo pensata. L attesa febbrile di lei. La tensione erotica durante i colloqui in galera. Il maremoto procurato dagli incontri mancati. E poi l emozione nel ritrovarsi, la felicità procurata dalla convivenza alle Tremiti, la paura di sperimentare il sogno lungamente inseguito e l esplosione sessuale che sigla quell unione. Infine lo strazio della separazione. Frammenti di un discorso amoroso che il detenuto ricompone nella solitudine del suo confino, per ricompensare la sua compagna e trarne linfa per un futuro incerto. S erano conosciuti nel 1925, Giulio ed Emma, lui un operaio comunista di ventitré anni che aveva partecipato all occupazione delle fabbriche e ora guidava la federazione romana, lei una sarta appena diciottenne, però già vigorosa e piena di vita. Per lui fu amore a prima vista, la desiderava come «amica e amante» già uniti dal comune impegno nel partito e da subito partirono le lettere, cerimoniose al principio, poi sempre più confidenziali. Una passione di carta destinata a durare quasi vent anni, oltre mille le lettere scritte da Giulio per la sua Emma detta anche Mina o Emmina. Nel maggio del 26 le nozze, solo pochi mesi di vita in comune, forse non abbastanza per conoscersi a fondo. Poi l arresto di Giulio e la condanna del Tribunale Speciale a ventuno anni di reclusione. Lui la prega di «riprendere tutta intera la sua libertà», la vita con lui era «un punto interrogativo» e il tribunale le avrebbe accordato «l annullamento del matrimonio». Lei lo ringrazia per l offerta, che respinge tra le lacrime. La loro storia era stata interrotta quando forse doveva ancora cominciare. Per misurare il loro amore dovranno aspettare ancora dieci anni. Accadde alle Tremiti, dove Giulio venne confinato nel maggio del Emma ottiene il permesso di stare con lui qualche giorno. Il suo arrivo nell isola è preceduto da grande trepidazione, insonnia e rabbia verso il chiacchiericcio degli altri confinati. Giulio non sopporta che i suoi compagni riducano tutto a «orgia sessuale» dopo prolungata astinenza. Lui sa e lo sa più di lei che quell incontro è una prova definitiva della loro unione. La mattina dell 11 giugno va ad aspettarla sul moletto del porto, poi sale sulla barca che s accosta al piroscafo. Un lungo silenzio, solo occhi che si cercano. Poi quella «fusione» che non c era mai stata prima, «l abbandono totale del corpo e dell anima, senza reticenze e senza scrupoli», «la libertà che non avevamo mai avuta». È la svolta interiore che segnerà le loro vite. Ed è questo incontro la scena-chiave del diario meticolosamente annotato da Giulio, che Emma sfoglierà quasi cinquant anni più tardi. «Giulio caro, ieri ho avuto una grande sorpresa e se è possibile dirlo anche una grande gioia», gli scrive Emma il 4

7 35 LE LETTERE Qui sopra una cartolina dalle isole Tremiti inviata da Giulio il 7 giugno 1937 Al centro, alcune lettere di Giulio nella busta di stoffa in cui Emma le conservava. In basso a sinistra: una lettera di Emma a Giulio del 30 gennaio 1938 Accanto, una di Giulio del 28 luglio 1937 LE IMMAGINI Nella pagina accanto da sinistra, la scheda segnaletica di Giulio e una sua foto da giovane. In basso, una foto di Emma da ragazza. Qui in alto a sinistra cartoline dalle Tremiti e accanto la copertina del diario di Giulio; in basso Emma e sotto la coppia nel 1943: finalmente insieme Eravamo felici, tanto felici GIULIO TURCHI Quando la barca si portò dall altra parte del piroscafo, vidi che Emma c era. Indossava il suo abito blu che mi era sempre piaciuto. Stava appoggiata al parapetto, in prossimità della scaletta dalla quale sarebbe discesa: non un gesto, non una parola. Immobile, pareva attaccata al parapetto, pallida, guardava giù verso la barca, guardava me e non poteva articolare una parola. In principio non capii. Salii la scaletta e lei stava sempre immobile, sentii un marinaio che le diceva che c ero io, senza che neanche allora Emma si muovesse. Le fui vicino, mi baciò, anche allora senza una parola. Poi con una mano mi indicò le valigie. E io non capivo ancora. La guardai e le chiesi qualcosa; mi rispose con una parola sola: «dopo». Allora capii: l emozione le impediva di muoversi e di parlare. Sulla barca tentai ancora di farla parlare; invano. Per tutta la strada ripetei i tentativi, ma non riuscii ad averne che una parola: «dopo». Andammo direttamente a casa, gli agenti vennero con noi e in casa guardarono le valigie. Un operazione molto semplice e molto breve. Poi ci salutarono e ci lasciarono. Restammo soli. Erano passati dieci anni e due mesi da che non eravamo stati soli senza testimoni. Tutte le effusioni che per tutto quel tempo ci eravamo rigorosamente proibite, per non mettere in mostra i nostri sentimenti più cari, dando a quelli una forma materiale accessibile agli altri, tutte quelle effusioni potevano finalmente e liberamente estrinsecarsi. marzo dell 81, tra le mani il quadernino ritrovato. «La tua rievocazione mi ha molto commosso e ho capito benché lo sapessi di averti reso felice. Adesso prendo il tuo scritto e vado a letto a rileggermelo, vicino a te. Sai che ancora ti porgo la mano, ti cerco e ti do la buona notte». Emma continuerà a scrivergli fino al suo ultimo giorno, nel febbraio del Giulio non poteva rispondergli, ma in fondo non aveva importanza. IL LIBRO Emma. Diario d amore di un comunista al confino di Giulio Turchi a cura di Gianfranco Porta (Donzelli, 15 euro, 104 pagine) è ora in libreria La postfazione è di Gioia Turchi, figlia di Emma e Giulio, che ha deciso di rendere pubbliche le memorie dei suoi genitori Passarono parecchi minuti, un quarto d ora, forse più, senza che nessuno dei due articolasse una parola. Non ne eravamo consci, ma anche se lo fossimo stati, avremmo avuto la certezza che il silenzio era il solo modo che permettesse di esprimere quello che accadeva negli animi nostri. Nessuna parola, nessun accento avrebbe potuto avvicinarsi a ciò che avremmo voluto dirci. Capivamo meglio tacendo e guardandoci. Fummo riscossi da un colpo discreto alla porta. Portavano la cena che non mangiammo. Riconquistammo la calma necessaria per parlare; ma era estremamente difficile pensare a una conversazione ordinata. Si affollavano nella nostra mente i ricordi di dieci anni dolorosi, tutti quei momenti nei quali l impossibilità di dirci l amarezza dell animo nostro la centuplicava. Adesso volevamo dire tutto insieme senza ordine, senza coerenza. E non ce ne accorgevamo. Eravamo felici; tanto felici. Il decennio era passato, lontano, dimenticato. (da Emma. Diario d amore di un comunista al confino Il brano tratto dal diario racconta l incontro tra Giulio ed Emma Turchi alle Tremiti l 11 giugno 1937)

8 36 LA DOMENICA Spettacoli J accuse La Lehman Trilogy, insieme a tanti altri lavori di autori e registi di ultima generazione, segna il ritorno dell attualità sul palcoscenico Dall omicidio di Julian Assange alle morti bianche, viaggio nel cartellone dell Europa indignada RODOLFO DI GIAMMARCO Il 15 settembre 2008 un gigante della finanza americana, la Lehman Brothers Bank, annuncia la bancarotta. È l inizio della crisi che sta cambiando il mondo. Ora anche il teatro parlerà di quell epopea, delle radici di quel colosso, della parabola umana e imprenditoriale che ha portato allo sfacelo: la Lehman Trilogy di Stefano Massini, fiorentino, classe 1975 (autore anche di Donna non rieducabile sulla Politkovskaja, de Lo schifo su Ilaria Alpi e di Balkan Burger sugli integralismi religiosi), scandisce 160 anni di eventi economici e sociali in 38 quadri-capitoli, con oltre cinquanta personaggi. Di per sé, non è nuovo il rapporto tra cronaca e teatro. Dai drammi storici di Shakespeare al ritratto di Maria Stuarda che ci dà Schiller, a qualche testo di j accuse civile di Ibsen, alle questioni operaie di Gas di Georg Kaiser nel 1918, fino ai vari apologhi spietati di Brecht sull ingiustizia. E a fare clamore sono le commedie di denuncia etica di Eduardo e di Fo, e Il vicario di Rolf Hochhuth su Pio XII, L istruttoria di Peter Weiss sul nazismo, fino agli atti unici anti-regime di Pinter, alle più recenti biografie politiche di drammaturghi inglesi. Ma se oggi il legame tra realtà e scena s infittisce è anche per contrapporre un racconto umano a un ottica mediatica e virtuale, e perché certi teatranti giovani di adesso hanno una vocazione più radicale nel leggere gli avvenimenti pubblici. All estero, in Germania, ha per esempio debuttato Breivik s Explanation che lo svizzero Milo Rau ha ricavato dalle parole usate dal norvegese Anders Behring Breivik, responsabile di 77 morti, mentre a Vienna s è visto da poco Assassinate Assange di e con Angela Richter, e al Fringe Festival di Edimburgo (dove ha commosso la coreografia di corpi in discesa libera l 11 settembre dalle Torri in Falling Man) è apparso Presidential Suite: a Modern Fairy Tale su Dominique Strauss Kahn. Da noi l eloquenza del Potere ha ispirato il Discorso grigio di Fanny&Alexander, e sta alimentando i Discorsi alla nazione di Ascanio Celestini. Sugli incidenti sul lavoro circola Giorni rubati di e con Gianmarco Mereu, che ha gli arti inferiori schiacciati da un cancello di 600 chili. Sull eutanasia sta per esserci A nome tuodal romanzo di Covacich, dopo Vita di Angelo Longoni. Suicidi? sulle scomparse di Gardini, Cagliari e Castellani è un grottesco spettacolo di e con Bebo Storti e Fabrizio Coniglio (artefice anche de Il viaggio di Nicola Cali- pari). Dei decessi a causa dell amianto parla Laura Curino in Malapolvere, e lo fa Ulderico Pesce in A come... amianto, con in repertorio anche Asso di monnezza e Fiat-o sul collo. Seria la testimonianza su Falcone e Borsellino interpretata da Giuseppe Ayala in Chi ha paura muore ogni giorno. E s ascoltano echi di inferni stranieri in Ribellioni possibili sugli indignados spagnoli con la compagnia Atir. E farà sicuro clamore il Pantani del Teatro delle Albe. Intanto la Lehman Trilogy parla di una disfatta che tocca tutti, nessuno escluso. «La gente oggi odia l economia e le banche, e il teatro deve suonare la nota stonata» dice Massini. «Il primo testo, Tre fratelli, è una leggenda con tre omoni con barba che dal 1844 in poi sbarcano a New York e fondano una merceria di stoffe di cotone in Alabama, creando una filiale a New York». Ogni copione è un pezzo di saga. «Nel secondo, Padri e figli, il primo erede trasforma nel 1879 l impresa di mediazione in banca. E s arriva al Il testo conclusivo, L immortale, focalizza quarant anni di leadership di Robert Lehman, fino al È l ultimo della famiglia al vertice della banca, e da manager illuminato finanzia Via col vento e King Kong, gestisce teatri di Broadway, favorisce la diffusione dei pc tra la gente...». Al termine c è il tonfo del «Dopo un ad greco e uno ungherese, il testo si risolve con un Satyricon di Petronio in chiave economica, e con una sorta di shivà, di rito funebre ebraico per la morte della banca». La Lehman Trilogy ha alimentato reading a Salisburgo e Los Angeles, e sarà inscenata a St. Etienne e poi nell autunno 2013 al Théâtre du Rond Point a Parigi. Domani sera ne viene messa in onda su Rai Radio3 (nel ciclo Tutto esaurito! ) una sintesi realizzata alla Sala A di via Asiago a Roma con Russo Alesi-Bini-Paiato-Piazza-Reale-Valmorin, a cura dell autore. La trilogia sarà pubblicata da Einaudi tra un anno con prefazione di Luca Ronconi, molto interessato alla materia scritta, tanto da ripromettersi di lavorarci in una sessione estiva al Centro Teatrale Santa Cristina di Gubbio. Ha ragione Ronconi, a funzionare è un teatro che scomoda le ragioni che non conosciamo, e non i fatti che conosciamo. Se stasera va in scena il crack della finanza

9 37 LEHMAN BROTHERS 1 GLI SPETTACOLI 1. Scena tratta da uno degli studi teatrali realizzati in Europa sulla Lehman Trilogy 2. Falling man 3. Presidential Suite: a Modern Fairy Tale 4. Donna non rieducabile 5. Assasinate Assange 6. Chi ha paura muore ogni giorno 7. Discorsi alla nazione 8. Discorso grigio 9. Penelope in Groznyj 10. Giorni rubati DOMINIQUE STRAUSS KAHN... È fuggito Teddy se l è data a gambe appena ha capito che di là in sala contrattazioni all improvviso tutti vendono vendono vendono Vedere i soldi i soldi veri non il valore titoli i soldi. Punto I soldi... 5 JULIAN ASSANGE ANNA POLITKOVSKAJA 6 FALCONE BORSELLINO TWIN TOWERS POTERE 7 8 Attenti alle fotocopie della realtà 9 LUCA RONCONI 10 MORTI BIANCHE Perogni drammaturgia in stretto rapporto con la propria epoca devono coesistere sempre tre contraenti: la committenza, l artista, il pubblico. Il contributo degli ultimi due elementi c è, lo possiamo constatare. Il problema sorge in merito all impulso, all orientamento. Oggi (e non solo da oggi) la committenza politica è latitante: non mi riferisco a un potere politico, ma all interesse che dall alto si manifesta per il fatto teatrale. Uno dei fiorenti correttivi a questo mancato indirizzo di cultura è la coscienza, in Italia, di autori-attori, e basterebbe citare (per difetto) i nomi di Eduardo, di Fo, di Scimone, di Enia, ben sapendo che le opere di alcuni di loro sono portate in scena anche da altri. Accanto, poi, alla categoria dei cosiddetti commediografi puri, che lavorano in disparte, io lamenterei l assenza, da noi, di letterati che scrivono per il teatro, come hanno fatto Hofmannsthal e Sartre. E ci sono differenze, in una drammaturgia contemporanea che prenda spunto dalla realtà. Un conto è la scrittura teatrale che si fonda su fenomeni e avvenimenti conosciuti, e un conto è la stesura di testi che prendono spunto dalla comunicazione dei giornali. La vera realtà, in termini di teatro, è vista ed elaborata dall esperienza, e non è desumibile dalla pura informazione. Voglio dire che i media sono fondamentali per diffondere notizie che però, in quanto tali, generano clamore e poi indifferenza. Si può fare l esempio della Lehman Trilogy di Stefano Massini: è un testo che innegabilmente s ispira a ciò che è accaduto e che ha dato luogo a un ciclone di articoli e commenti giornalistici, ma la sua trilogia va a cercare radici e modalità lontane nel tempo. Massini lo conosco, so che procede andando a fondo. Mi sono altrettanto confrontato con Giuliano Scabia, che non è un autore giovane. Allargando il discorso, io riadotto quest anno l argentino Rafael Spregelburd, il suo testo Il panico, e lui ha una percezione acuta dell uomo contemporaneo anche prescindendo da temi odierni, senza sentire in modo didascalico ciò che succede. Perché ciò che è attualissimo sui quotidiani arriva alla drammaturgia quando non è più attuale, e una cosa è l instant-book e un altra cosa è l elaborazione per la scena. Il giornale di ieri, se lo sfogliamo, non è più interessante, ma un approfondimento sì. Anche in Shakespeare ci sono cronache, ma il tema non esaurisce mai in sé l importanza. Il teatro non gratifica se fa vedere ciò che esattamente già sappiamo. TORTURE

10 38 Next Voi siete qui LA DOMENICA Consenti di localizzare la tua posizione?. È la domanda che sempre più ci rivolgono smartphone e tablet. Ecco perché per un umanità in rete e in continuo movimento la location sta diventando la cosa più importante Ma soprattutto: ecco come fare a non perdersi Trulia Sito di inserzioni immobiliari in cui è possibile localizzare gli annunci della zona in cui ci troviamo LOCATION Sui dispositivi mobili le informazioni sul luogo nel quale ci troviamo sono diventate un parametro essenziale per la personalizzazione e spesso anche per il funzionamento stesso del servizio Foursquare Social network che permette di condividere con gli amici le notizie sul luogo in cui siamo Around me App con la quale potrete trovare sempre tutto ciò che vi interessa e che si trova attorno a voi Yelp Utile per conoscere i posti migliori di ogni città. Sono gli stessi utenti a recensire le attività Lyft Volete un passaggio in auto? Con questa app si può sapere se ce ne sono vicino al posto in cui siamo Prima internet era seduta, adesso cammina. Un passaggio evolutivo, quello alla stazione eretta, carico di conseguenze. E di altrettanti contrordini. Nel 95 il futurologo George Gilder aveva decretato la fine delle città, «avanzi dell era industriale». Grazie ai computer connessi gli umani avrebbero trovato nuove forme di aggregazione, indifferenti allo spazio urbano. In quello stesso anno data di nascita della new economy, con Amazon, ebay e la miliardaria quotazione di Netscape l Economist riprendeva il concetto con un memorabile speciale, La morte della distanza. Vivere in un luogo anziché in un altro avrebbe significato sempre meno, grazie all universale accessibilità ai servizi che il web prometteva. La realtà si è presa la briga di smentire l uno (che aveva contestualmente profetizzato la morte della televisione) e gli altri. E il settimanale britannico, che non è solito far finta di niente, ha appena rivisto il tiro con un nuovo dossier dal titolo Il senso di un posto. Il web 3.0, quello mobile degli smartphone e dei tablet, vuole sapere prima di tutto dove ci troviamo. «La app vuole utilizzare la tua posizione. Consenti o rifiuti?» è la richiesta che sempre più spesso ci sentiamo ripetere dalle macchine. Latitudine e longitudine, prima numeri esoterici per specialisti, sono diventati lessico familiare. Se Bussole a forma di app RICCARDO STAGLIANÒ non per noi, almeno per i nostri telefonini. Perché, alla faccia di ogni virtualizzazione, www e altri indirizzi elettronici, siamo prima di tutto uomini sulla Terra. E le nostre coordinate fisiche diventano un parametro essenziale per la personalizzazione, quando non il funzionamento stesso dei nuovi servizi online. Non a caso quello delle mappe digitali è diventato uno dei principali terreni di scontro tra i titani tecnologici, come testimonia anche l ultimo assalto di Apple a Google Maps, respinto con perdite. Tranne in Cina dove, in brevissimo tempo, la quota di mercato del secondo ne è uscita dimezzata. Mentre nelle ultime settimane Nokia, tanto in difficoltà da considerare di vendere persino il suo quartier generale finlandese, ha presentato Here, la sua ar-

11 39 MOBILE Nel 2011 erano novecento milioni gli abbonamenti all internet mobile tra smartphone e tablet Nel 2017 il loro numero dovrebbe passare a cinque miliardi (fonte: Ericsson) TRAFFICO Il grafico che vedete qui sotto mostra la quantità di fotografie e informazioni relative inserite dagli utenti su Google Maps nel maggio Le zone più indicizzate sono colorate in verde scuro: Nord America, Europa e Australia La localizzazione apre grandi opportunità e offre nuovi strumenti ai professionisti del marketing Cristina Colombo Responsabile TNS Italia MAPPE Google Il servizio di mappe del celebre motore di ricerca è uno dei più utilizzati anche dagli smartphone Apple Con l ultimo iphone ha abbandonato le mappe di Google Il nuovo sistema si è rivelato difettoso GLOSSARIO INFOGRAFICA DI ANNALISA VARLOTTA Nokia Si chiama Here ed è il nuovo servizio di mappe su cui l azienda punta per il rilancio Localizzazione Indica la capacità dei dispositivi mobili di ultima generazione di identificare le nostre coordinate e tracciare i nostri spostamenti Gps Il Global Positioning System è un sistema di navigazione che utilizza la triangolazione satellitare per collocare i nostri smartphone e tablet all interno delle mappe Check in La registrazione necessaria per condividere la nostra posizione con altri utenti che utilizzano la stessa applicazione Realtà aumentata Con un dispositivo mobile è possibile sovrapporre a una mappa o a un edificio un livello ulteriore di informazioni multimediali Social discovery È una modalità utile a scoprire se qualcuno della vostra cerchia di conoscenti all interno dei social network si trova nelle vicinanze ma cartografica per un ardua rimonta. La location conta come non mai. Per gli utenti comunicarla può rivelarsi un risparmio di tempo. Se Instagram, un programma che gestisce le foto, sa dove vi trovate può taggarle in automatico ordinandole per località. Non ci sarà bisogno di scriverci «lavoro», basterà andare a vedere quelle scattate dall indirizzo dell ufficio. Lo stesso vale per Evernote, una specie di taccuino multimediale dove prendere appunti. In alcuni casi però quest automazione diventa una gabbia. In varie app per la ricerca di case (Casa.it, Idealista) o di programmazione cinematografica (MyMovies), il software assume che tu voglia solo cercare appartamenti o sale in un certo raggio da dove ti trovi. E chi l ha detto? Peccato che programmatori poco flessibili non abbiano previsto una via d uscita dalla camicia di forza topografica. La targa degli utenti può essere usata anche per escluderli da alcuni servizi. Il caso di Netflix, che affitta dvd o li mostra in streaming ai suoi abbonati, è esemplare: per motivi di diritti, non funziona con chi ha un IP, indirizzo internettiano, al di fuori degli Stati Uniti. Le discriminazioni commerciali sono il meno. L aver concesso a Facebook o Twitter di marchiare con i vostri paraggi i messaggi postati può essere usato contro di voi. Anche senza essere rivoluzionari iraniani o della primavera araba, un datore di lavoro occhiuto o un fidanzato sospettoso potranno avvantaggiarsi di quell informazione. La verità è che nello scambio tra narcisismo e privacy vince quasi sempre il primo. Foursquare, per dire, è un social network in movimento che consente di condividere con gli amici i posti dove andate. Non c è bisogno di essere un hacker o un ex-segugio della Stasi per ricostruire su una mappa la vostra giornata, un check in alla volta. Altrimenti la riservatezza si sacrifica alla comodità. Lyft serve per trovare un passaggio in auto da altri che usano la stessa applicazione, una specie di Napster del car-sharing tra privati. Tu sai dove sono loro, loro sanno dove sei tu, in un piccolo panopticon in movimento. Per non dire della nuova frontiera delle reti sociali, la «social discovery» (di cui la Domenica di Repubblicasi è già occupata). Highlight, Sonar e Banjo vi avvertono quando nelle vicinanze si trova qualche amico di un vostro amico, qualcuno con cui potreste avere qualcosa in comune. Glancee, inventato dall italiano Andrea Vaccari, è stato comprato a peso d oro da Facebook che vi ha intravisto il futuro. Non serve una palla di cristallo speciale. Basta strologare il rapporto Ericsson sulla crescita stimata del numero di abbonamenti all internet mobile: i 900 milioni dell anno scorso diventeranno 5 miliardi nel Quasi tutto il pianeta, praticamente domani. Se ognuno avrà un Gps in tasca, i servizi che vorranno vendergli qualcosa hic et nunc sia un panino scontato che un potenziale nuovo amico seguiranno la stessa esponenziale accelerazione.

12 40 LA DOMENICA I sapori Ruspanti Salsiccia di Bra PIEMONTE Prodotta un tempo da sola carne bovina per la comunità ebraica di Cherasco, oggi viene arricchita con grasso suino Si gusta non stagionata, cruda Di maiale o pecora, con finocchietto o senza, arrosto o in umido.dalla Lucania al Piemonte non esiste pezzo d Italia che non abbia interpretato a modo suo l insaccato più popolare Un ottima scusa per assaggiarne tutte le versioni Salsicce Salsiccia milanese antica LOMBARDIA Macinato di ritagli di carne di maiale ripuliti dai nervetti, con aggiunta di lardo rosa e spezie. Si consuma fresca, perfetta per la minestra di verze Luganega trevisana VENETO Collo e guanciale di maiale tritati, speziati e insaccati nel budello diviso in quattro spicchi. Due versioni: magra per la brace e grassa per l umido LICIA GRANELLO qui c è un quiproquo. Io ho detto che volevo birra e salcicce...». Generazioni di cinefili «Giovanotto hanno riso alla gag di Totò e lo sceicco, con il nome del piatto pronunciato a mo di messaggio in codice. Dagli anni 50 a oggi, poco o nulla è cambiato nell allure ruspante dell insaccato più fresco e mangiabile che esista. Una popolarità resistente a mode e diete, pietra miliare dell alimentazione contadina, in bilico tra obblighi di povertà e piacere semplice, diretto, incontaminato. Si dice salsiccia, con varianti minime da una parte all altra d Italia (sarsiccia, salciccia, sautizza...), ma anche luganega, adattamento lessicale di lucanica, della Lucania. Nei testi degli antichi Romani, da Marziale a Cicerone, i riferimenti golosi alla lucanica abbondano. Arrivato a Roma insieme agli schiavi lucani, l insaccato di maiale forgiato in lunghe catene e appeso su pertiche di legno venne battezzato con il nome dei suoi consumatori originari. Il nome si diffuse fino ai confini dell Impero, tanto che la regina Teodolinda ne incoraggiò il consumo. Solo nel tardo Medioevo si affermò il nome che meglio lo descrive (da salsus insicia, carne sminuzzata e salata). Da lì in poi, facilità di produzione e trasversalità dei Perché il plurale è d obbligo consumi hanno dilatato l elenco degli ingredienti e quindi delle varianti possibili. Non esiste area rurale che non vanti una sua originale interpretazione con i soli, vaghi, paletti della proporzione tra carne magra (70 per cento) e parte grassa (30 per cento). Tale è la popolarità, che pochi chilometri bastano a cambiare speziature e lavorazione, tipologia di carne e tempi di stagionatura (quando prevista). Se i ritagli di lavorazione del maiale dominano la gran parte delle ricette, dalle terre del Po alla Sicilia, le carni cosiddette alternative montone, bue, cavallo, pollo sostituiscono quella suina per questioni di restrizioni religiose o per tradizione locale, come nel caso della pugliese che annovera tra gli ingredienti anche la pecora. In quanto alle preparazioni, lo scontro ideologico tra fautori della griglia e difensori dell umido (con o senza vino) lascia indifferenti gli appassionati della salsiccia di Bra, piccolo capolavoro della macelleria da gustare crudo, spremendolo dall involucro di budello naturale direttamente su una fetta di pane appena abbrustolita. Modesta e gustosa, la salsiccia dismette facilmente i panni della protagonista per diventare ingrediente gourmand, dallo storico riso e luganeghe agli involtini di Zambudel EMILIA ROMAGNA Per la salsiccia matta romagnola, si utilizza solo carne di maiale: spalla, punta delle costole e rifilature. Nella ricetta moderna, niente più frattaglie Sarsiccia TOSCANA Parti nobili del maiale come spalla e coscia impastate con aromi diversi secondo le zone: salvia, rosmarino, ma anche aglio, finocchietto e peperoncino

13 41 A tavola Quando c era una c al posto della s CORRADO BARBERIS Appartengo alla generazione che ha imparato a scrivere più correttamente, forse salsiccia, ma che conserva una malcelata nostalgia per quel vocabolo che sposava inequivocabilmente il salato alla carne: salciccia. A salciccia avveniva infatti lo svezzamento dei bambini, almeno sulle colline bolognesi. La balia, ormai a corto di latte, prelevava dalla filza, la tradizionale gavetta, un cilindretto di carne suina ben pestata, se lo teneva in bocca per qualche minuto in modo da intenerirlo del tutto e poi lo spiaccicava sulle gengive dell infante, che finiva di assaporarlo a mo di caramella. Qualche succhiotto e l iniziazione era fatta. Il bambino cominciava la sua carriera di uomo. Erano i tempi in cui conosceva le sue ultime glorie la salciccia gialla, non priva di zafferano: probabile erede di quella salciccia fina che Alessandro Tassoni, cantore della Secchia rapita, attribuisce a un mitico Brunello. Andando ancora più su nei tempi, i Romani si ingozzavano di salcicce che spesso, ripiene di uova com erano, finivano per digradare a polpettone. Se ne facevano con le varie parti dell intestino, in particolare con l intestino cieco, chiamato fondulum perché senza fondo, aperto da una parte sola. Stando a Varrone, le più vicine alle nostre versioni contemporanee erano le luganighe, che i soldati romani avevano imparato a fare dagli abitanti dell attuale Basilicata (e luganighe si trovano anche in Trentino o in Piemonte). Che poi fossero conservabili o da consumare dopo non molti giorni, è uno dei più affascinanti quesiti di archeologia alimentare. Senza dubbio è invece che si tratti, in giro per il mondo, di una delle glorie del Made in Italy: tanto è vero che a New York, dove qualsiasi imbudellato/pestato è detto sausage, le nostre vengono definite italian sausages. Gli indirizzi Sauciccia nda la nzogna CAMPANIA Carne di maiale e lardo conciati con sale, puparole (peperoncino) e finocchio selvatico. Venti giorni di asciugatura, poi sotto grasso ( nzogna) PIEMONTE La Bottega delle Carni Martini Via Roma 7 Boves (CN) Tel LOMBARDIA Pregiate Carni Piemontesi Ercole Villa Via Montepulciano 8 Milano Tel VENETO Macelleria Damini Via Cadorna 31 Arzignano (VI) Tel LAZIO Bottega Liberati Via Flavio Stilicone 278 Roma Tel CAMPANIA Macelleria Mario Carrabs Via Campo S.Leonardo 1 Gesualdo (AV) Tel BASILICATA Macelleria Petti Corso Vittorio Emanuele 35 Viggiano (PZ) Tel Lucanica di Piperno BASILICATA Solo maiali locali, di cui si utilizzano ritagli di spalla, filetto e coscia Riposo per un mese su pertiche di legno Si conserva in olio o grasso EMILIA ROMAGNA Macelleria Zivieri Piazza XXIV Maggio 9 Monzuno (BO) Tel PUGLIA Macelleria Tamborrino Via Roma 58 Laterza (TA) Tel TOSCANA Macelleria Fracassi Piazza Mazzini 23 Castel Focognano (AR) Tel SARDEGNA Macelleria Vivarelli Via Bosco Cappuccio, 61 Cagliari Tel verza, su su fino ai ripieni delle verdure al forno. Se siete dei puristi delle cotture alla brace, regalatevi una giornata di lezione all Accademia dei Signori del Barbecue, a Casalecchio sul Reno, Bologna, dove Gianni Guizzardi e i migliori cuochi italiani ospiti a turno vi sveleranno i segreti della cottura nel barbecue coperto, dal divieto di fumo e fiamme, (che annichiliscono la carne e fanno malissimo alla salute), alla conservazione delle salsicce integre, senza forarle, per buona parte della cottura, così da permettere al grasso di conferire aroma e gusto alle carni magre, prima di essere eliminato nei minuti finali. Abbinamento con birra a scelta, of course. Salsiccia Monte San Biagio LAZIO Peperoncino, Moscato di Terracina e semi di coriandolo (eredità dei Saraceni) per profumare l impasto di maiale. Affumicatura con legno di lentisco LA RICETTA L emiliano Igles Corelli è uno dei cuochi che meglio associa cucina di territorio e tecnica culinaria Al ristorante Atman di Pescia, Pistoia, offre una cucina allegra e piena di sapori, come la ricetta ideata per i lettori di Repubblica ILLUSTRAZIONE DI CARLO STANGA Pane, salsiccia e guacamole Ingredienti per 4 persone 4 salsicce di maiale mora romagnola Zivieri 4 filoncini di pane integrale 1 cipolla di Tropea tagliata a rondelle sottili 1 cipolla bianca tritata 50 g. di zenzero fresco tritato 2 bottiglie di birra cruda Dab (da 0,33 l) 1 bicchiere di aceto di vino 1 cucchiaio di olio extravergine di oliva 1 avocado maturo 1 pomodoro a cubetti succo filtrato di 1/2 limone 1 cucchiaino di coriandolo fresco tritato sale e pepe Tagliare a metà l avocado, estrarre la polpa con un cucchiaio. Schiacciare con una forchetta in una ciotola unendo limone e sale. Incorporare all avocado cipolla bianca, pomodoro e coriandolo. Coprire con la pellicola e conservare al fresco. Immergere in acqua fredda e aceto la cipolla di Tropea. Dopo 10, scolare e condire con olio, sale e pepe. Punzecchiare le salsicce con una forchetta, spennellare con olio e grigliare a temperatura medio-alta per 12-16, girandole per dorarle uniformemente In una teglia versare la birra e insaporire con lo zenzero tritato. Immergervi le salsicce, lasciandole per mezz ora, voltandole di tanto in tanto. Farcire i panini con guacamole, rondelle di cipolla cruda e una salsiccia tagliata nel senso della lunghezza Cervellata PUGLIA Per la tradizionale crvllet, carni dell anteriore di bue, capra e pecora, lavorate con aglio, basilico (o prezzemolo), pecorino romano sale e pepe Saltizza SARDEGNA Carne suina tagliata in cubetti, lavorata con sale, pepe e finocchio, insaccata in budello naturale a forma di ferro di cavallo Ideale per lo spiedo

14 42 LA DOMENICA L incontro Visionari Michel Gondry Voleva fare il pittore, è stato folgorato dall amore per la musica, con gli spot e i video-clip è approdato al cinema firmando la regia dell incancellabile Se mi lasci ti cancello. Qui racconta come fa a tenere insieme linguaggi tanto diversi: Non è tutto merito mio, nella vita non ho fatto altro che inventare quello che esiste già È la quotidianità a offrire combinazioni paradossali Basta saperle cogliere MARIO SERENELLINI PARIGI mia vita non ho fatto altro che inventare quel «Nella che esiste già», si annuncia con la consueta autoironia Michel Gondry, passando dalle parole ai fatti: «Posso farle un ritrattino a china? Da giovane sognavo di diventare pittore. O inventore. Il periodo più importante per la mia formazione è stato probabilmente tra i sedici e i diciott anni, al liceo pilota di Sèvres, da cui sono rimbalzato in una scuola d arti applicate, Olivier-de-Serres, che mi ha immediatamente espulso: non ero quasi mai in classe, tutto preso da un altro io, quello musicale. Trascorrevo la maggior parte del tempo a provare con una band, un gruppetto di saranno famosi, di cui sono stato il batterista, gli Oui-Oui. È stato allora che mi sono comprato una cinepresa 16mm Bolex, per girare qualche clip del gruppo. Ma i miei compagni non volevano comparirvi, al contrario di me: quando ci si dà al pop, è il momento di fare la corte alle ragazze o di farsi assediare dalle fans. È vero che nei clip finivamo per essere irriconoscibili, perché ci travestivamo da marionette, da insetti, da personaggi dei cartoni animati...». Il suo cinema nasce quindi per caso, da un urgenza di promozione-seduzione musicale? «Cosette, all inizio. Più la fabbrica di pensierini, e di trovate per alcuni spot di successo, che l emergere d una filosofia. Non riuscivo proprio a vedermi come cineasta: il cinema in Francia mi pareva molto letterario e io sentivo d avere piuttosto uno spirito scientifico. Ma è finita che, di clip in spot, sono arrivato a confrontarmi con autentiche star della scena musicale, come i Rolling Stones o Kylie Minogue per Come Into My Worldo Björk, per ben otto volte, da Human Behavior a Joga, a Bachelorette, Army of Me. Venendo però dal clip, il mondo del cinema ha subito cominciato a guardarmi con una certa condiscendenza». In una galleria d arte di Parigi, dove s è appena incontrato con un suo omologo nella videoarte e nella performance, Pierrick Sorin (cui si deve la recente Pop pea, versione videopop dell opera di Monteverdi messa in scena allo Châtelet con Giorgio Barberio Corsetti), Gondry, gioviale ricciolone quarantanovenne, finisce presto per capitolare, raccontandosi anche come regista: d un cinema col retrogusto dei clip ma pure di sfida visionaria al mondo, storie-limite d intrigante tensione onirica e disinvolta miscela di stili e linguaggi, da Human Nature, del 2001, sui tentennamenti del mondo civilizzato davanti alla natura allo stato puro, a L arte del sogno del 2006, con Charlotte Gainsbourg, love story priva dei freni della realtà, a, naturalmente, Se mi lasci ti cancello (Eternal Sunshine of the Spotless Mind) con Jim Carrey e Kate Winslet, Oscar 2005 per la sceneggiatura, sugli andirivieni mentali dell innamoramento, e Be Kind Rewind Gli acchiappafilm, su classici dello schermo come Re Leone o Robocop (il prediletto di Gondry) rifatti alla casereccia da un paio d inventivi pasticcioni. Ormai terminato il montaggio del settimo lungometraggio di fiction, forse in lizza alla prossima Berlinale, L écume des jours (Mood Indigo) con Romain Duris e Audrey Tautou «un mio adattamento, fedelmente personale, del romanzo del 1947 di Boris Vian, con i suoi comici fanatismi per il filosofo Jean-Sol Partre e la storia d amore surreale d un giovane idealista per una ragazza che pare l incarnazione d un blues di Duke Ellington» il regista continua a moltiplicarsi i fans con The We and the I, che dopo gli applausi alla Quinzaine e alla Festa del Cinema a Parigi arriva in Italia in anteprima, l 8 dicembre, al Sottodiciotto di Torino: «Un concentrato di plot e di location. Un gruppo di liceali torna a casa in autobus l ultimo giorno di scuola. Pretesto per studiare i comportamenti di gruppo e l evolversi dei rapporti man mano che s assottiglia la pattuglia. Tutto girato su un autobus, d estate, nel Bronx». Perché il Bronx? «Per un senso di colpa. Sono nato a Versailles, periferia forse non borghese ma comunque agiata di Parigi. La maggior parte della popolazione planetaria sbuca in ambienti tutt altro che zuccherosi, cui dovrà far fronte fino alla morte: senza che se li sia scelti. È questo senso di colpa che mi ha fatto interessare alle comunità, dato che per definizione io ero la non-comunità: bianco, paracattolico, generazione Sessanta. Ma c è anche un altra ragione: il Bronx è il rap, la sua prima culla. Mi ha dato la possibilità di intessere il film di hip-hop». Di nuovo la musica. La musica nel suo cinema: «Quando preparo un film, mi barrico tra le Lo dico sempre agli aspiranti artisti Non siete obbligati a intellettualizzare voi stessi Ci penseranno gli altri a farlo per voi FOTO GETTYIMAGES canzoni. Se voglio esprimere un incosciente positività, metto Michael Jackson. All opposto, per suggerire il mistero, ascolto Stravinsky. Altra bella fonte d ispirazione è la musica astratta di Morton Feldman. Con la musica arrivo ad avere il controllo del mio lavoro, mi permette d isolarmi. Per L écume des jours, ho chiesto al mio amico Etienne Charry di comporre via via che giravo, senza mostrargli una sola immagine. Gli dicevo: Fammi qualcosa per una fabbrica. Lui è un mago nel bricolage di suoni che trovano ogni volta il tono voluto». Del bricolage è considerato un campione. In Francia l hanno soprannominato il regista «touche-à-tout»: «Non è che mi entusiasmino queste etichette, hanno sempre l aria di volerti sminuire. Mi hanno appioppato il nomignolo, credo, per colpa dei bonus nei dvd. I ragazzi li guardano e subito hanno l illuminazione: Dai, facciamo un Gondry!. Orrore: alla fine il mio cinema è ridotto a caricatura. Vorrei vederli, alle prese con un vero bricolage, come se la caverebbero tra viti e cacciaviti, con tutti i tipi di viti cruciformi sul mercato, magari quando vi rifilano quelle proibite». Ci sono viti proibite? «Sì, per gli effetti inquinanti. Non lo sapeva? Io sì. Ma io sono il re del bricolage...». Il suo immaginario riavvita la vita in un magico fai da te: «La quotidianità offre combinazioni paradossali a chi le sa cogliere. Maestro dell osservazione è Jacques Tati. Mi ricordo d aver visto un autobus fermarsi con il caratteristico pshhh: mi ha fatto pensare come sarebbe buffo che in quel momento un passeggero avesse starnutito e ci fosse un raccordo con ilpshhh dell autobus. Una sequenza alla Tati! Ma idee del genere diventano vincenti quando finiscono per impregnare la vita di tutti i giorni, cambiando la prospettiva del quotidiano». L immaginazione che contamina la realtà, l effetto speciale nato da un elementare gioco combinatorio: «In Tati tutto è calato nell inadattamento dell individuo al mondo moderno: come nei romanzi di Michel Houellebecq. Non ci avevo pensato prima, ma esistono tra i due molti punti in comune. Oggi, bisogna essere solidamente attrezzati per non soccombere in quest inadattabiltà progressiva: pensi alla complessità delle connessioni che il nostro cervello deve mettere in azione perché riusciamo a sopportarci davanti allo specchio. Prenda il Musée Grévin, dove sono stato per una scena di L écume des jours. Vedendo gli specchi deformanti, mi sono detto che sarebbe ancor meglio che l ambiente riflesso fosse deformato all inverso: così uno si vedrebbe rigonfio o affilato ma in un ambiente apparentemente normale. Che choc». Qui siamo nei Monty Python più che in Tati: «Gli altri miei idoli. Mi ricordo le loro trasmissioni tv dove si divertivano a mescolare i formati, il 16 mm con immagini sgranate per gli esterni e il video, più contrastato, per gli interni. In uno sketch Eric Idle guardava fuori dalla finestra e vedeva un paesaggio girato in pellicola. Si voltava, preso dal panico: Siamo circondati dal cinema!». Anche lei si balocca tra pellicola, video e digitale: «Sì, ma all era delle videocassette è legato un giovanile trauma d autore : una giornata con i compagni a registrare con il Betamax di mio padre false pubblicità e clip immaginari su una cassetta, dove un amico di mio fratello ha poi registrato una partita di calcio. È da lì, forse, che mi è nata l idea di Be Kind Rewind e, sicuramente, la filantropia della mia Fabbrica di film amatoriali, varata con successo l anno scorso al Centre Pompidou e permanente dall anno prossimo a Aubervilliers. A tutti quelli che imbracciano per la prima volta una cinepresa ripeto di non sentirsi complessati se non hanno ancora ben chiara in testa un idea dell arte o del cinema: non si è sempre obbligati a intellettualizzare se stessi. Ci pensano gli altri a farlo per noi».

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