storia e ricerca LA VOCE L ultima missione della «Rossarol» di Carla Rotta Sono le del 16 novembre

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1 PILLOLE DI STORIA Lasciate la acque di Pola, colava a picco nel novembre del 1918 L ultima missione della «Rossarol» di Carla Rotta Sono le del 16 novembre Tra meno di due settimane la lunga guerra finirà. La Cesare Rossarol lascia le acque del porto di Pola. Vi era entrata undici giorni prima, assieme ad altre unità navali italiane, al comando dell ammiraglio Umberto Cagni. La nave ha l ordine di recarsi a Fiume per assicurare l appoggio alle truppe italiane del battaglione San Marco precedentemente trasportate per l occupazione delle isole del Quarnero. La nave deve uscire dal riparato porto polese, fare rotta verso sud, superare punta Marlera, circumnavigare l estrema punta dell Istria e poi puntare verso il Quarnero. A bordo del Cesare Rossarol c è anche il pilota Giovanni Pizzini, il migliore a disposizione del Comando militare di Pola, a bordo per portare l unità su rotte sicure evitando i campi minati. Tanti e insidiosi. All inizio della Prima guerra mondiale nelle acque polesi vennero posate ben mine subacquee del tipo SAG 1 e SAG 2, un vero muro in difesa del porto principale della KuK Kriegsmarine: Pola. Gli ordigni vennero disposti in cinque campi minati: 120 mine in quello a Nord delle isole Brioni, 380 mine a Ovest, 540 mine nel campo sud (che arrivava fino a Promontore), 110 mine nel campo di Medolino e a Sud di Medolino un quinto campo con 300 mine. In questo fitto dedalo di insidie (il pericolo iniziava a 7 miglio dalla costa) correvano linee di navigazione, praticamente delle libere rotte costiere, larghe da 1 a 2 miglia. Ecco, Pizzini era a bordo per far procedere la Rossarol in queste fette di sicurezza. La Rossarol esce dal porto, dunque, supera il promontorio di Marlera, fa rotta sul corso di 334, raggiunge Punta Palera e modifica il corso su 25. L equipaggio impegnato nella navigazione è ai suoi posti, gli uomini liberi da mansioni aspettano il rancio. Pola è lontana poco più di un ora: sono le quando una detonazione squassa il reparto dinamo; lo scafo si rompe in due. La poppa si innalza verso il cielo in un ultimo disperato grido di un cetaceo ferito a morte e poi ripiomba sul mare. La prua, per l abbrivio, prosegue alcune centinaia di metri. L acqua penetra violenta nei vani. L agonia della nave e dei suoi uomini dura due minuti, due minuti e mezzo: il mare avvinghia l acciaio, se ne impadronisce e impietosamente comincia a trascinarlo verso il basso. Una discesa di 50 metri, poi la Rossarol si abbandona sul fondo del mare e muore. Probabilmente con la fiancata destra si era avventurata troppo vicina al campo minato a Novantotto uomini muoiono con la Rossarol. Muore eroicamente anche il comandante De Filippi: in un gesto di indiscutibile altruismo cede il suo salvagente ad un marinaio che non sa nuotare. (Il 17 maggio 1919 al comandante verrà assegnata alla memoria la Medaglia d argento al valore militare). Segue a pagina 2 IN QUESTO NUMERO Il nostro mare è stato teatro di tante gesta di uomini diventati spesso involontariamente eroi, non di rado dimenticati, salvati dall oblio in cui sono stati relegati nel silenzio degli abissi, e la cui memoria è stata non di rado recuperata solo grazie all interessamento e alla insistenza di un qualche appassionato di storia della marineria. Dedichiamo la prima pagina di questo inserto all affondamento della Rossarol, che, lasciate le acque sicure del porto di Pola per recarsi a Fiume in appoggio alle truppo del battaglione San Marco, entra in un campo minato e affonda portandosi dietro novantotto uomini. Carla Rotta s immerge nella tragica vicenda della nave italiana, come ha già fatto in precedenti occasioni per altre imbarcazioni di guerra colate a picco nelle nostre acque, parlando anche dell intervento di salvaguardia del munumento alla Rossarol innalzato a Lisignano. E incentrato sul recupero della memoria è anche l articolo di Marco Grilli, che si sofferma sul Campo di Servigliano (in provincia di Ascoli Piceno, che diede i natali allo scrittore Diego Zandel), un campo che simboleggia le tragedie provocate dagli ismi del Novecento: accolse prima i prigionieri austroungarici della Grande Guerra, quelli alleati della Seconda guerra mondiale, gli ebrei vittime del razzismo e infine gli esuli dalla Jugoslavia di Tito. Le pagine centrali sono invece riservate a una serie di curiosità Arletta Fonio Grubiša, ad esempio, mette in vetrina la collezione egizia del Museo archeologico istriano, mentre andando verso la chiusura si propongono due recensioni, con un suggerimento di letture da fare per chi si occupa di storia istriana (ci riferiamno al volume di Gaetano Benčić, Rino Cigui e Denis Visintin), nonché la presentazione di un convegno importantissimo che si terrà il 18 novembre a Isola, in occasione dei 150 anni dell Unità d Italia. LA VOCE DEL POPOLO storia e ricerca Anno VII n. 58

2 2 storia e ricerca Dalla prima pagina Trentasei membri dell equipaggio, l ufficiale di navigazione Nati e il capo timoniere Mario Gabelli si aggrappano alla vita lottando contro tutto: paura, pericolo, freddo, vento, resti della nave, la grande macchia di nafta che li avvinghia e appesantisce, il dolore delle ferite, la stanchezza. L ammiraglio Cagni apprende della tragedia verso le 17, quattro ore dopo l urto: invia immediatamente sul posto la torpediniera T 16, due mas e un camion. Alle il camion fa ritorno a Pola con il suo carico di umana disperazione. I feriti verranno ricoverati all Ospedale della Marina, i superstiti fisicamente indenni verranno alloggiati. La Cesare Rossarol venne cancellata ufficialmente dalla lista della flotta con decreto del 23 gennaio 1919: fu possibile così possibile dare il suo nome ad un altra nave e così fu. La Cesare Rossarol che solcò il mare successivamente al cacciatorpediniere esploratore fu l ex nave tedesca B 97, uscita dai cantieri di Amburgo nel 1912 e ceduta all Italia in conto riparazioni dalla Germania dopo la fine della Prima guerra mondiale ed entrata in servizio nel Un anno dopo la tragedia, precisamente il 10 novembre 1919, i familiari dei caduti vollero collocare un monumento alla memoria dei loro cari. Lo fecero sul pendio dell altura di Punta Grande in località Palera, ad un soffio dal mare, a poco meno di 200 metri dalle acque dell Adriatico, nel punto dove i superstiti furono caricati sul camion. Nel punto che avrebbero voluto veder raggiunto dai propri congiunti. Novantotto uomini inghiottiti dal mare Sette ufficiali, dodici sottufficiali, tredici sottocapi e 66 marinai comuni: questi i numeri dei componenti l equipaggio della Cesare Rossarol morti assieme alla nave il 16 novembre Novantotto nomi riportati sulla lapide bronzea del monumento a Lisignano, in località Palera. Da un lato il monumento guarda verso Lisignano, dall altra verso il mare, quel mare che per gli sfortunati uomini della Rossarol è stato l ultimo, definitivo approdo. Ecco, di seguito, i loro nomi. Stato maggiore De Filippi Ludovico comandante, capitano di vascello; Ludovico Scaccia Alberti, ufficiale in 2.a, tenente di vascello; Carlandrea Ciconetti, tenente di vascello; Felice Riggi, cap. macc.; Alfredo Burgese, ten. macc.; Raffaele De Campos, s. ten. macc.; Arnaldo Lazzarini, guardia marina. Sottufficiali Antonio Milano, Antonio Tozzi, Enrico Borghi, Luigi Chiavicati, Giuseppe Cirillo, Attilio Molagoli, Aldo Sesler, Raffaele Rosa, Luigi Campagnano, Rosolino Caruso, Giuseppe Briguglia, Domenico Carolci. Sottocapi Fronteddu Salvatore, Castigliolo Ermanno, Brunetti Mario, Lo Sardo Pietro, Sorriento Aniello, Zucchi Giovanni, Gioana Michele, Cecinato Vito, Isola Argentino, Barnaba Pietro, Ottonello Gozzaro, De Maria Mario, Bertocci Corrado. Comuni Sisto Barballo, Antonio Lubrano-Laodera, Saverio Scarpato, Nunzio Gigli, Gio-Batta Pisano, Alessandro Marasciullo, Nicola Lestingi, Giuseppe Fedele, Francesco Cantone, Antonio La Mattina, Dionisio Ardizzon, Vittorio Boscolo, Francesco Scala, Gennaro Coppola, Angelo Candò, Domenico Massa, Sergio De Vincenzo, Angelo Zanca, Antonio Lampasone, Nicola Ambrosino, Giuseppe Monese, Eraldo Buccieri, Pasquale Izzo, Mario Angelini, Enrico Renzi, Aurelio Palmero, Giulio Della Rocca, Gaetano Dassese, Artemio Bocci, Ubaldo Atoni, Felice Rossi Casè, Domenico Celotti, Ferdinando Magnani, Domenico Massa, Ambrogio Motta, Gio- Batta Patrone, Luigi Fiorino, Giacomo Binetti, Luigi Cinque, Guido Di Teodoro, Spartaco Principe, Gino Romacciotti, Mario Giordano, Luigi Ferrari, Giovanni Ferino, Giuseppe Tornatore, Giuseppe Polizzotto, Carmelo Cascio, Tommaso Donato, Eutimmo Lenzi, Angelo Canora, Pietro Greco, Benedetto Ferzini, Pasquale Bianco, Carlo Gembrani, Antonio Perozzi, Pasquale Di Lorenzo, Domenico Galasso, Giovanni De Gennaro, Antonio Anguzza, Liborio Cocuzza, Carmelo Guida, Cosimo Belsone, Giovanni Penzo. Lisignano, un monumento dedicato alla sfortunata nave La memoria diventa patrimonio culturale Alcuni dati sul cacciatorpediniere italiano La Cesare Rossarol era un cacciatorpediniere esploratore italiano, della classe Alessandro Poerio di cacciatorpedinieri esploratori leggeri. Terza nave della classe, la Guglielmo Pepe. Tutte e tre le unità erano state costruite prima dell entrata dell Italia in guerra nel La sua costruzione era stata commissionata nel 1913 ai cantieri navali Gio. Ansaldo & C. di Sestri Ponente (Genova). La posa della chiglia si ebbe il 30 giugno 1913, il varo il 15 agosto L unità venne iscritta nella lista della flotta il 1.mo agosto 1915 (IV Gruppo delle navi da guerra dell Adriatico meridionale), venne cancellata dalla lista meno di quattro anni più tardi, nel gennaio del Venne consegnata alla Marina da guerra italiana il 9 agosto 1915; nel novembre dello stesso anno iniziò le perlustrazioni. La Rossarol aveva lo scafo di acciaio, un dislocamento di tonnellate; era lunga 85 metri, larga 8.1 ed aveva Il tempo non sempre è galantuomo: a volte aiuta a dimenticare quello che invece si dovrebbe ricordare. Il monumento alla sfortunata Cesare Rossarol, in quel di Lisignano, che con rispetto e nostalgia guarda al mare, non ha sempre avuto il tempo per amico. Anzi. Il vento, il sale, il passare dei giorni, dei mesi e degli anni, lo hanno ferito. Il monumento consiste in un blocco di pietra di 5 metri X 3.11 metri di pescaggio. Il suo armamento consisteva in 6 cannoni (calibro medio 102/45 mm) e 2 mitragliatrici antiaeree calibro 40/39. Disponeva di 4 tubi lanciasiluri calibro 450 mm, un armamento aggiuntivo antisommergibile e il dispositivo per la posa di mine subacquee. In origine l armamento della nave avrebbe dovuto essere composto da 4 pezzi da 102 mm e da 8 tubi lanciasiluri da 450 mm, ma durante la costruzione furono apportate le modifiche che risultarono nell armamento che l unità ebbe all entrata in servizio. Poteva raggiungere una velocità i 30 nodi e un raggio d azione di miglia. In 24 serbatoi poteva fare un pieno di 325 tonnellate di nafta. Sul castello di prora erano sistemati due ventilatori elettrici per l areazione degli ambienti degli ufficiali e dell equipaggio. Aveva un equipaggio di max 109 uomini. Il numero degli uomini a bordo dipendeva dall armamento e dalle attrezzature di bordo. 2.5 metri X 0.75 metri e posa obliquamente su una base di pietra. Sul blocco è distesa un ancora ammiraglia e un recinto di sei colonnine collegate da una catena da ormeggio. La base principale è rivolta verso il punto dell affondamento (quasi a volerlo raggiungere). Sulla lapide in bronzo sono riportati i nomi delle vittime del naufragio. Al centro della base, a sinistra, è raffigurata una mina subacquea, la condanna a morte della Rossarol. Forse per la sua distanza dall abitato, un po fuori dai circuiti soliti, si direbbe, il monumento è stato alla lunga trascurato. E con esso, quello che rappresenta. Se l erba dovesse inghiottire la pietra, non ci sarebbe più memoria. Ebbene, fortunatamente c è sempre qualcuno che in un modo o nell altro lotta per esorcizzare l oblio. La risposta che apre alla speranza del recupero arriva dal Comune di Lisignano, che in sede consiliare il 29 giugno di quest anno ha votato la Delibera che proclama il monumento alla Rossarol bene tutelato di carattere locale. Storia di casa insomma. Che speriamo diventi storia di un territorio più ampio con una mano aggiunta a proteggerla. Perché si è mosso il Comune? Intanto perché la manovra, bene o male, era prevista dall Agenda verde del Comune, ma bisogna rendere merito alla tenacia di Antonio Pauletich, di Rovigno, che si è fatto promotore dell iniziativa, chiedendo e proponendo al Comune di Lisignano di procedere come poi è stato fatto: proclamare, cioè il monumento bene culturale di interesse locale e di provvedere al suo recupero e mantenimento. Il Decreto comunale è siglato Cl /11/185; N.ro 2168/ Da sottolineare anche la disponibilità del Consolato generale d Italia a Fiume. Hanno promesso aiuto anche altri soggetti, mettendo a disposizione sapere e materiale (non da ultimo un pezzo di catena di ormeggio in sostituzione di questa ormai... stanca). Il monumento e quello che rappresenta resterà un faro della memoria. Ma per i Caduti della Rossarol è stato fatto un ulteriore passo ancora: la lapide con i loro nomi è nel Sacrario italiano del Cimitero della Marina polese. Gli uomini del cacciatorpediniere sono nella storia, accanto a quanti li hanno preceduti o seguiti sulla strada del martirio.

3 storia e ricerca 3 RICORDI Una struttura simbolo delle tragedie provocate dagli «ismi» del XX secolo Campo di Servigliano: si respira ancora il dolore degli esuli giuliano-dalmati di Marco Grilli Il dolore degli esuli giulianodalmati si respira ancora in quel che resta delle numerose strutture deputate alla loro accoglienza in Italia. Tra queste vi è l ex-centro raccolta profughi del Comune di Servigliano, una piccola cittadina in provincia di Ascoli Piceno. Oggi, di quel campo che simboleggia le tragedie del XX secolo, avendo ospitato i prigionieri austroungarici della Grande Guerra, quelli alleati della Seconda guerra mondiale, gli ebrei vittime del razzismo e infine i profughi in fuga dalla Jugoslavia di Tito e dalle ex-colonie italiane, restano solamente poche tracce e le imponenti mura di delimitazione, alla cui sommità sono ancora visibili i cocci di vetro che dovevano impedire ogni contatto con l esterno. Quel luogo di prigionia e deportazione, dove hanno sofferto e sperato uomini di diverse generazioni, razze e religioni, in conseguenza dei disastri prodotti dalle guerre e dal razzismo, è divenuto un moderno centro poli-sportivo denominato Parco della Pace. Dal 2001 l Associazione Casa della Memoria di Servigliano è impegnata nella tutela del luogo fisico e nel recupero della memoria storica del campo, promuovendo iniziative ed attività volte ad educare i giovani ai valori di libertà, pace e solidarietà. Per ricostruire la storia del campo bisogna risalire al 20 agosto 1915, quando il Comando di Corpo di Armata di Ancona, sottosezione di Chieti, trasmise al sindaco di Servigliano una relazione a corredo della proposta per la costruzione di un grande campo di concentrazione di prigionieri di guerra. I primi quarant anni Il centro marchigiano rispondeva pienamente alle caratteristiche richieste per ospitare tali luoghi di prigionia (lontananza dalle zone di guerra, dai centri industriali e dalle grandi vie di comunicazione, terreno pianeggiante in zona salubre e ricca di acqua, facilità di sorveglianza ecc.), così che la costruzione del campo fu avviata nell autunno del Dopo l esproprio di tre ettari di terreno, furono realizzate 32 baracche in legno rivestito esternamente di mattoni, aventi ciascuna una superficie di 300 mq per una capienza di 125 soldati. Il campo, circondato per tutto il suo perimetro da un muro di cinta alto tre metri, era diviso in due settori autonomi e poteva ospitare circa persone. Dopo l inizio delle operazioni belliche, dall agosto 1916 cominciarono a confluire a Servigliano prigionieri di diverse etnìe, appartenenti all Impero austro-ungarico. Il campo non raggiunse mai la sua capienza massima e gli ultimi soldati nemici furono rimpatriati nel dicembre Dopo alcuni vani tentativi da parte di alcuni imprenditori marchigiani per una riconversione industriale della struttura, il campo subì un periodo di abbandono, fino a quando le autorità fasciste individuarono in esso i requisiti per poterlo riattivare come campo di prigionia e concentramento. Nel 1935 la Divisione del Demanio Militare ne smantellò una parte per farne un campo sportivo per il dopolavoro comunale, così che la nuova struttura dimezzò la propria capacità recettiva e restò in funzione solamente come deposito di materiale bellico. Dopo lo scoppio del secondo conflitto mondiale, il campo di Servigliano (CPG 59) fu ufficialmente riaperto il 5 gennaio 1941 per ospitare nuovamente i prigionieri di guerra. Vi giunsero prima i soldati greci (da febbraio a dicembre 1941) e poi quelli alleati catturati in Nord Africa (dal febbraio 1942), che permisero di raggiungere la capienza massima del campo tre mesi più tardi. Nel marzo 1943 la struttura contava prigionieri (1.445 britannici, 464 americani e quattro francesi). Durante il corso dell anno aumentò la presenza americana fino a quando il 14 settembre, sei giorni dopo l armistizio, tutti i prigionieri fuggirono in massa. L arrivo degli ebrei Si trattò di un caso unico per la regione, poiché gli altri due campi marchigiani, Sforzacosta e Monte Urano, furono circondati dai soldati tedeschi che trasferirono tutti i prigionieri in Germania. Le porte del campo di Servigliano tornarono ad aprirsi in seguito alla disposizione del locale comando tedesco che stabilì la necessità di trasferire qui tutti gli ebrei internati e liberi, cittadini italiani e stranieri, comunque residenti o soggiornanti in questa provincia (7/10/1943). Le traduzioni furono effettuate dai carabinieri coordinati dalla Questura di Ascoli Piceno. Dopo i rastrellamenti, ai quali riuscirono a sfuggire ben pochi ebrei, a fine ottobre risultavano presenti nel campo 62 cittadini di religione ebraica. In loro compagnia vi erano anche alcuni sudditi nemici, in prevalenza maltesi. Pessime condizioni Le condizioni di vita degli internati erano pessime, data la mancata corresponsione di sussidi ed il vitto inadeguato. Le carenze nella sorveglianza e la facilità nello scavalcare il muro di cinta agevolarono il tentativo di fuga di una decina di ebrei, che riuscirono ad evadere nell aprile Non ci fu una vera fuga di massa poiché all interno del luogo di prigionia vi erano interi nuclei familiari, con donne e bambini a carico, timorosi di non riuscire a trovare un nascondiglio sicuro. Verso la fine dell aprile 1944, la Militarkommandantur di Macerata decise la deportazione degli ebrei presenti a Servigliano. Superare il dolore, imparando a rispettare l altro Il 3 maggio 1944 si mossero gli Alleati: un aereo di nazionalità inglese bombardò il campo per favorire la fuga degli internati, ma solo 19 di loro riuscirono a mettersi in salvo; gli altri 31 furono nuovamente arrestati dai carabinieri, caricati su di un autocarro e trasportati a Forlì, dove passarono in consegna ai tedeschi che li tradussero a Fossoli. Gran parte degli ebrei di Servigliano partì col convoglio del 16 maggio 1944 ad Auschwitz. Dieci di loro furono uccisi non appena arrivati al campo di sterminio, gli altri morirono di stenti ed in seguito ai maltrattamenti. Si salvò solo Susanna Hauser, liberata nel gennaio del I gruppi di profughi Alla fine della Seconda guerra mondiale, dopo alcuni lavori di risistemazione, il campo fu trasformato in Centro Raccolta Profughi (CRP) e nel luglio 1945 ospitò un primo gruppo di individui di nazionalità slava, che rimase a Servigliano per circa un anno prima di partire per l Argentina. Nel frattempo, tra la curiosità e lo stupore dei serviglianesi, il campo si popolò di numerosi altri profughi giuliano-dalmati in fuga dalla Jugoslavia comunista (822 le schede familiari compilate), così come di altri individui scappati dalle ex-colonie italiane (Albania, Egeo, Libia, Etiopia ecc.) o provenienti da altri paesi (Tunisia, Egitto, Algeria, Romania e perfino Cina). Alla periferia del piccolo centro marchigiano, si manteneva in vita un corpo estraneo popolato da gente sconosciuta agli abitanti del luogo, che iniziava a raccontare le discriminazioni subite dalla componente etnica italiana nei territori giuliano dalmati per mano dei comunisti slavi. Ancora morte, sofferenze e gente in fuga nel secolo breve sconquassato dai totalitarismi. A Servigliano l iniziale diffidenza lasciò il posto alla solidarietà. Per far fronte ai continui arrivi, si costituì infatti un Comitato Assistenza Profughi delegato a soccorrere moralmente e materialmente i presenti nel campo. Il CRP era amministrato dal ministero dell Interno, che offriva una precaria sistemazione nelle baracche, pasti caldi ed un modesto aiuto in denaro. L Ufficio provinciale profughi di guerra di Ascoli Piceno concedeva ai profughi 20 lire giornaliere per individui isolati, 17 lire per ogni persona adulta all interno di una famiglia e 15 lire per i minori di 15 anni. All interno del campo si trovavano persone che avevano perso tutto (casa, beni ed in molti casi affetti) e disponevano solamente di qualche effetto personale. Il distacco dalla propria terra, la situazione di precarietà, la forzata inattività e l inevitabile promiscuità, accentuarono nei profughi il senso di nostalgia e di estraniamento. Trovare al più presto un lavoro ed una casa divenne il massimo imperativo. La volontà di inserirsi La condizione vissuta contribuì però a generare negli abitanti del campo anche un forte sentimento di solidarietà: quando vi fu l alluvione del Polesine nel 1951, i profughi di Servigliano, organizzati dal Comitato giuliano dalmata, si prodigarono nella raccolta di generi di prima necessità da destinare alle popolazioni colpite. Al loro arrivo nel campo, gli esuli venivano registrati nell ufficio anagrafe e considerati come residenti temporanei, con conseguente diritto di voto. I rapporti coi serviglianesi furono generalmente buoni, nonostante la differenza di culture, la permanenza di qualche pregiudizio e l iniziale diffidenza. I confronti e i contatti, legati soprattutto alle occasioni festive e sportive, contribuirono ad una maggiore conoscenza e ad una reciproca cordialità. Le feste aiutavano ad attenuare la nostalgia e costituivano forti momenti di socialità. Per quella di San Vito, patrono di Fiume, il programma prevedeva la celebrazione liturgica del mattino, la distribuzione di dolci ai bambini e numerose attività ludiche corsa nei sacchi, gare di velocità, tiro alla fune, tornei di calcio, pallavolo e bocce prima del momento più atteso: il ballo nella grande piazzola del campo, dove suonava un orchestra mista di Il muro di cinta Lo scrittore Diego Zandel, di origini fiumanoistriane autore di numerosi romanzi, tra i quali Massacro per un presidente (1981), Una storia istriana (1987, ripubblicato nel 2010 con il titolo Il figlio perduto ), I confini dell odio (2002), L uomo di Kos (2004) e Il fratello greco (2010) e I testimoni muti, è nato nel campo profughi di Servigliano e ha raccontato la sua storia e la sua esperienza nel Villaggio Giuliano-Dalmata a Roma. Significativo il suo percorso di maturazione che lo porta a leggere la Storia in chiave diversa da come l aveva vissuta da bambino. E lo fa accompagnato da un personaggio, il signor Mascherana, che dà voce ai testimoni muti : le vittime di questa vicenda storica, migliaia di nomi che hanno in comune patimenti, dolore, morte, paure. A Zandel non interesse rivendicare un identità e nemmeno alimentare sentimenti nazionalisti da ovunque essi arrivino; si limita a raccontare un pezzo di storia una di pagina italiana che riguarda tutti, invitando a una riflessione sul significato di civile convivenza e rispetto dell altro. profughi e serviglianesi, acclamatissima in tutti i paesi della valle. I giovani amavano anche il teatro, ma chi beneficiò più di tutti dell arrivo dei profughi fu sicuramente la squadra di calcio locale, che rinforzatasi con alcuni bravi giocatori provenienti dal CRP riuscì perfino a battere per ben due volte la più quotata squadra di Ancona. Brevi momenti di gioia nella difficile vita di tutti i giorni, scandita dalle difficoltà occupazionali. Di sicuro, la presenza di numerosi profughi che vivevano col sussidio percepito dallo Stato, contribuì non solo a rendere più vivo il paese ma anche ad incrementare i guadagni nei bar e nelle attività commerciali dei serviglianesi. Il lavoro era poco e mal pagato, ma soprattutto i giovani del campo si prestavano volentieri ad attività occasionali (raccolta di rame, ghiande ecc.) per migliorare la propria grama esistenza. Pochissimi riuscirono a trovare un lavoro stabile, i più si spostarono nelle grandi città (Torino su tutte) oppure all estero, in prevalenza Stati Uniti, Sud America e Australia. Nel luglio 1955 il C.R.P. fu definitivamente chiuso dopo il trasferimento ad Ascoli Piceno degli ultimi rimasti nel campo. Difficile stabilire con esattezza quante persone vi siano passate: si tratta di una cifra oscillante tra le 40mila e le 50mila unità. Una presenza-monito Dopo lunghi anni di abbandono, negli anni 70 il campo fu smantellato dall amministrazione comunale per far posto al centro polisportivo. Una lapide apposta in occasione del cinquantenario della chiusura ricorda ancora le vicissitudini dei profughi:...ognuno portava con sé dolorose vicende di partenze forzate, ma qui trovarono accoglienza materiale ed umana, qui si stabilirono amicizie, si celebrarono matrimoni, si nacque e si morì. La loro storia sia di monito affinché nessuno debba più soffrire a causa di discriminazioni culturali, religiose, politiche e razziali.

4 4 storia e MOSTRE Sulle orme di una multiculturalià millenaria: tasselli d Egitto al Museo archeo Dalla terra dei faraoni alla città Quando la cultura materiale e spirituale viaggia attraverso i secoli e sc Apis, piccola figura bronzea del toro sacro con disco solare (o forse lunare) tra le corna. Sul corpo sono presenti striature a conferma che l animale era considerato incarnazione del dio Apis Occhi udjat made in Egitto anni avanti Cristo Ciondoli (anche di forma fallica) vecchi tremila anni Lo scarabeo sacro di Arletta Fonio Grubiša Terra dei faraoni e Città di Pola: una piccola relazione c è. E non vi è niente di inverosimile. Lungi dal ritenere che la Civiltà egizia abbia messo piede nella penisola istriana, però è la cultura materiale e spirituale ad aver viaggiato attraverso i secoli e scavalcato le aree geografiche. Così, il caso volle che anche il Museo archeologico istriano di Pola si sia trovato sulla rotta dell egittologia e sia divenuto istituzione custode di una collezione di antichissimi oggetti egiziani, modesta ma curiosa per i pregi insiti in ogni singolo minuto reperto. L arcano, comunque resta e ci si chiede: che ci fa una timida testimonianza di storia egizia tra tante sovrabbondanti e invadenti fonti storiche romane autoctone della Colonia Julia Pola? Una vetrina al mese La risposta era arrivata a suo tempo dall istituzione museale, che per il suo pubblico di visitatori ha saputo inaugurare l apprezzabile prassi dell allestimento di una vetrina del mese. Ebbene, la prima iniziativa di questo genere era servita proprio a svelare l arcano dell Egitto in casa nostra. La vetrina sull Egitto ha esibito 17 deliziosi oggettini di carattere religioso e spirituale figurine ushabti e amuleti in particolare risalenti niente meno che al periodo tra il 1070 avanti Cristo e all anno 30 dopo Cristo ed ha fornito informazioni e considerazioni interessanti se non inedite. L origine della singolare raccolta Interprete della faccenda dell importazione di un minuto patrimonio egizio è l esperta museale Ida Koncani Uhač e si spiega come con lo sviluppo del collezionismo nel XIX secolo numerosi oggetti archeologici e d arte finiscono a far parte di raccolte private degli appassionati di antichità. Una collezione di oggetti egizi era appartenuta ad un ignoto signore austriaco di Phaestos (dell isola di Creta). Parte di questa venne così regalata al museo di Pola ancora nella seconda metà del secolo XIX. Si tratta di testimonianze che simboleggiano la grande dedizione alla spiritualità, alla religione e al culto della morte intesa come passaggio ad altra vita, propri della grande civiltà egizia. Andiamo ad osservarle La serie di figurine ushabti Ushabti : vale a dire colui che risponde. Si tratta di, statuine in miniatura, figurine serve che furono collocate nei sepolcri a fianco dei defunti e costituivano elemento integrante ed indispensabile del corredo funebre. Un po di storia sulla terra delle piramidi, riportata dal depliant abbinato alla vetrina egiziana: gli egizi credevano che dopo la morte, avrebbero risposto della propria condotta sulla terra davanti al tribunale di Osiride. Ebbene, alle anime giustificate e predestinate come premio ai lavori nei campi eterni, gli ushabti avrebbero reso vita più facile, compiendo al loro posto mansioni lavorative. L aspetto più comune degli ushabti era mummiforme e in questo caso rappresentava l eterno spirito del defunto. Durante la cerimonia funebre, i sacerdoti, con particolari riti magici, davano vita alla statuetta che sarebbe stata tumulata insieme al defunto per accompagnarlo nell oltretomba. Se il defunto avesse superato positivamente la psicostasia, sarebbe andato in paradiso, ovvero nei Campi Iaru che erano raffigurati come campi ricchi di frutti, coltivazioni ed ogni genere di delizie. Lì, egli sarebbe vissuto felicemente e senza alcuna preoccupazione, godendo degli stessi agi della sua vita terrena, perché gli ushabti avrebbero svolto per lui ogni mansione e lavoro, provvedendo quindi a tutte le necessità della vita ultraterrena. I magici amuleti egiziani Gli amuleti qui conservati sono gioiellini decorativi di carattere magico, dedicati a diverse deità, che offrivano al loro possessore una determinata protezione. Due di questi sono dedicati al dio Bes, personificazione della felicità, dell amore, dello sposalizio e della musica che con la sua presenza da demone del domicilio, si credeva cacciasse gli spiriti maligni dalle abitazioni e dai loro inquilini. Altri sei amuleti della collezione polese raffigurano l occhio udjat o wedjat del dio del sole Ra o del dio Horus, la cui protezione era considerata magica. Secondo la mitologia egizia, gli uomini ebbero origine dalle lacrime dell occhio di Ra e quindi l occhio wedjat riveste particolare importanza nella creazione della vita. Nella mitologia detto occhio viene messo in relazione con due Horus diversi. Uno è il celebre figlio di Iside e Osiride, che perse un occhio nella lotta contro Seth, per vendicare la morte del padre. L altro personaggio è Horus, il dio falco, quello che affianca Ra. Il culto di Horus Statuina bronzea amuleto che rappresenta la figura di un uomo nudo in ginocchio, con il capo rivolto in avanti; i capelli sono legati a coda laterale, le mani leggermente piegate ai gomiti e adagiate lungo il corpo L amuleto ebbe grande importanza e diffusione nella civiltà e venne posto, di regola, all interno dei bendaggi che avvolgevano il corpo del defunto, oltre che su rilievi, incisioni e papiri, in quanto simbolo di rigenerazione. Graficamente è costituito da un occhio sovrastato dal sopracciglio e sotto da una spirale, per alcuni il tratto residuo del piumaggio del falco, animale del quale Horus prende le sembianze, ma anche evoluzione dei segni di lacrime. L amuleto era portato da uomini, divinità o animali sacri; poteva essere dipinto sulle navi come segno apotropaico, sui fianchi dei sarcofagi affinché il defunto potesse vedere nell aldilà o sui muri come difesa dai ladri. Il potere degli scarabei Il potere miracoloso del rinnovo della vita viene assegnato, poi, all amuleto scarabeo, Scarabeus sacer aegyptorum. Lo scarabeo egizio, chiamato kheperer, era considerato un potente amuleto sin dal periodo tinita con funzione magica-apotropaica di eterna rinascita nel divenire e trasformarsi, assicurando solo eventi felici ed un costante miglioramento delle facoltà intuitive e spirituali. Era associato al dio solare del mattino Khepri, che donava la vita e rappresentava il sacro animale coprofago. Ebbe tale larga diffusione da divenire quasi il simbolo stesso dell Egitto ma divenne ben preso in uso anche presso altri popoli quali i Fenici, Greci e Cartaginesi. Con la VI dinastia comparvero i primi amuleti, senza descrizioni e molto semplici. Divennero estremamente diffusi solo a partire dal Nuovo Regno. Antichi sacrari domestici Fanno parte della collezione polese sette reperti dell età antica che simboleggiano la venerazione del culto egizio nei domicili. Si conserva un amuleto a forma di sistrum, piccolo strumento musicale usato durante rituali danzanti o religiosi dedicati alla dea Iside, personificazione della maternità e della fertilità. Vi è, quindi, la figura di bronzo di Osiride, quella di Apis, il toro sacro simboleggiante l anima di Osiride, l amuleto bronzeo raffigurante un uomo nudo, la figurina della dea Neit e un altra ancora di un faraone egiziano. Influenza della religione egiziana nell Istria antica Egitto presente al Museo archeologico istriano non solo grazie a collezioni d oggetti egiziani doc, di provenienza diretta dalla valle Nilo, ma abbondantemente visibile anche perché diversi ritrovamenti sul territorio istriano simboleggiano la venerazione degli dei egizi e delle cosiddette deità sincretizzate egiziano-ellenistiche e romane. La spiegazione fornita, sempre da Ida Koncani Uhač, è semplice e logica: con la romanizzazione del territorio istriano, seguita dopo la conquista della principale rocca-

5 ricerca 5 logico istriano di Pola dell Arena avalca le aree geografiche Nel 150.esimo della Dieta provinciale Uno spaccato di storia istriana della seconda metà dell Ottocento La servile figurina ushabti Frammento di figurina ushabti Il magico occhio udjat Osiride: statuina in bronzo che rappresenta una figura maschile mummificata con corona, viso stilizzato e raffigurato in maniera schematica, due barbe sottili, mani stilizzate che reggono gli attributi faraonici bastone pastorale beka e la frusta nehah. Provenienza: Alto Egitto Signore egiziano in movimento, decorato di collane, braccialetti stilizzati e copricapo conico a punta forte istrica di Nesazio (177 a.c.) e con la penetrazione del commercio da tutte le aree del Mediterraneo, la zona della cultura istrica autoctona viene invasa da nuove culture diverse. Tutto ciò sfocia nel sincretismo ovvero nella fusione dei vari culti religiosi. In Istria si insediano genti provenienti dall Egitto e dall oriente, commercianti e liberti, che continuano a rispettare i loro culti e tradizioni convinti nell ottenimento del benestare e della protezione divina. Sono ben 14 le monumentalità legate al culto di Serapis, Iside, Iside-Fortuna, Giove-Amone, Hathor e Acheloo rivenute dalle nostre parti. Amore, bellezza, musica, maternità Il museo conserva un altare sacrificale con la raffigurazione di Iside, la figurina bronzea di Iside-Fortuna di Salvore, un frammento marmoreo della testa in rilievo di Hathor, personificazione dell amore, della bellezza, della musica, della maternità e della felicità proveniente proprio dall anfiteatro di Pola, quindi (sempre rinvenuti a Pola), vi sono due monumenti raffiguranti il dio delle acque Acheloo e il monumento sepolcrale con rappresentato il dio Serapis identificato con Osiride e Apis, nonché i monumenti raffiguranti Giove-Amone. Ma vi è un reperto che merita pure un posto sul podio in quanto a studio dei culti egiziano-ellenistici: l altare rinvenuto in Piazza Foro a Pola che rappresenta la deità sincretizzata suprema di Giove-Amone, venerato nella maggior parte delle città dell Adriatico orientale. La verità scientificamente comprovata è questa: tanti reperti in Istria testimoniano l influenza della religione egiziana, propagatasi mediante i commerci e le immigrazioni di gente d origine egiziana, evidentemente ben accetta dalla popolazione autoctona e dai cittadini romani. Si dirà una vera convivenza e una multiculturalità risalente al I-III secolo, davvero di vecchia data. Nell ambito delle iniziative promosse in occasione del centocinquantesimo dell istituzione della Dieta provinciale del Margraviato d Istria, diversi sono stati i momenti di riflessione e di studio relativi a quella stagione. Uno dei maggiori appuntamenti è stato senz altro il convegno scientifico internazionale di Parenzo, promosso dalla Società storica istriana e dal Museo del territorio parentino (13-15 ottobre 2011), al quale seguirà la mostra Con la penna e con i pugni, che verrà ospitata proprio nella Sala della Dieta parentina, la cui inaugurazione avrà luogo venerdì 25 novembre. La Società umanistica Histria di Capodistria, merito soprattutto dell intraprendente storico connazionale Dean Krmac, il sodalizio partecipa ed è partner assieme ad altri soggetti istriani (archivi, biblioteche, musei, tra cui il Museo storico dell Istria di Pola, istituti di ricerca) ai progetti dedicati alla rivalutazione e alla divulgazione di una realtà come quella del parlamento regionale che era per l appunto la Dieta. Negli ambienti dell Istituto per il patrimonio del Mediterraneo del Centro di ricerche scientifiche dell Università del Litorale, a Pirano, grazie alla collaborazione con l Ente Mediteranum, il prof. Salvator Žitko, storico, per lunghi anni direttore del Museo regionale di Capodistria e ora anche docente all Università del Litorale, ha proposto una conversazione, corredata da immagini, dal titolo Pirano e la Dieta provinciale istriana ( ). Il relatore si è soffermato su un periodo di profondi cambiamenti, ha presentato i vari problemi della penisola interpretandoli non a senso unico ma tenendo conto delle innumerevoli questioni. Dal colloquio è emersa la competenza del conferenziere, la profonda conoscenza dell argomento affrontato, infatti non si è limitato a un esposizione superficiale ma si è addentrato nelle questioni più diverse che avevano contraddistinto il vivere delle tre anime della penisola nel XIX secolo. Grazie anche alla citazione di documenti, di scritti tratti da giornali e periodici del tempo la carta stampata ebbe un influenza non indifferente, forgiò l opinione pubblica e contribuì anche ad alimentare le contrapposizioni Žitko ha analizzato alcuni dei punti che maggiormente hanno coinvolto la storiografia regionale, e non solo, e continuano a interessare gli studiosi: le relazioni tra Italiani, Croati e Sloveni, le battaglie per l uso delle lingue slave in seno alla Dieta e negli uffici pubblici, la propaganda politica, lo scontro politico-nazionale, l influenza e il coinvolgimento del clero specie nel movimento nazionale sloveno e croato, le discussioni circa la modernizzazione della provincia nei più disparati settori, i rapporti spesso tesi tra i liberalnazionali italiani e le autorità asburgiche, la modalità di voto e le elezioni, la ripartizione dei seggi all interno della Dieta, gli spostamenti della sede dietale (da Parenzo a Pola, a Capodistria, poi passata nuovamente nella città dell Arena e poi ancora a Capodistria), ecc. Questi fatti e problemi meritano di essere recuperati, sottratti all oblio e affrontati scientificamente ma vanno anche presentati al grande pubblico perché sono parte integrante della storia di questo territorio. La memoria è un aspetto importante e, come ha sottolineato lo stesso relatore, una parte di essa è stata trascurata e ignorata, specie dal secondo dopoguerra in poi a seguito delle grandi trasformazioni che hanno interessato quest area geografica. Nello specifico Salvator Žitko si è soffermato sulla realtà piranese, rammentando in particolare i fatti dell ottobre 1894 che portarono alla rivolta della popolazione contro la tabella bilingue collocata sul palazzo del tribunale in piazza Tartini. Come è stato sottolineato la cittadina era italiana al cento per cento e vide in quella targa una sorta di oltraggio nonché una forzatura esercitata dalle autorità di Vienna. Quei fatti ebbero vasta eco nel Regno d Italia come pure nell Impero di Francesco Giuseppe. Un altro episodio di rilievo che destò l interesse dei mezzi d informazione fu l inaugurazione del monumento dedicato al violinista (2 agosto 1896). In una piazza di recente formazione, sorta laddove prima c era il mandracchio interno, colmato in primo luogo per fronte ai problemi igienico-sanitari, la classe dirigente piranese e dell Istria (quella italiana) ricordò uno dei figli più illustri della penisola e al tempo stesso fu una manifestazione dell italianità, della volontà di fare sapere quelle che erano le posizioni dei liberalnazionali, i quali lanciarono messaggi inequivocabili, specie verso gli avversari politici sloveni e croati. A parte quelle tensioni, gli ultimi anni dell Ottocento furono contrassegnati anche da uno sviluppo economico di una certa importanza: il porto era toccato da innumerevoli piroscafi e navi mercantili, furono gettate le basi del turismo a Portorose, vari furono gli interventi tesi a migliorare le infrastrutture. Era il risultato palese della volontà degli amministratori comunali, innanzitutto del podestà Domenico Fragiacomo, di migliorare le condizioni della città e del circondario. E in buona parte ci riuscirono, anche grazie al parziale aiuto del Governo imperiale. Kristjan Knez

6 6 storia e ricerca LETTI PER VOI Il mistero del Mar Morto L affascinante storia dei rotoli di Qumran Il Novecento ha regalato all archeologia, alla storia, all umanità in genere importanti scoperte scritte che hanno arricchito se non anche rivoluzionato la nostra conoscenza della cultura e della religione di quanti scrissero e copiarono i documenti. Basti pensare ai manoscritti in seta di Mawangdui dell inizio della dinastia Han in Cina, la grande quantità dei documenti buddisti trovati in una grotta sigillata a Dun Huang (dove erano stati nascosti), i testi gnostici di Nag Hammadi in Egitto e i manoscritti del Mar Morto, rinvenuti in alcune grotte di Qumran. E se gli scritti di Mawangdui, Dun Huang e Nag Hammadi sono stati trattati per la maggiore dagli addetti ai lavori, i manoscritti del Mar Morto hanno catturato una vasta attenzione e immaginazione della gente. Come mai questa corsia preferenziale? Probabilmente ad accendere il sacro fuoco della conoscenza, della curiosità (quella con prefisso positivo, ben inteso) sarà stato quell alone di segretezza che ha avvolto l oggetto della scoperta; su questo si è aggiunta poi, come spesso succede, la teoria della cospirazione che solitamente apre le porte all interesse. Per lungo tempo sia il mondo accademico che il pubblico erano stati tenuti lontano dai manoscritti il che permise di andare a briglie sciolte con storie, congetture, teorie più o meno (in) fondate e comparvero così, negli anni Ottanta e Novanta, parecchi libri in tema. Citiamo Il mistero del Mar Morto. I rotoli di Qumran: dalla scoperta all intrigo di Michael Baigent e Richard Leigh, autori di scritti più o meno in odor di complotto e intrigo (ma di piacevole e interessante lettura) su Chiesa, Graal, Templari. Anche in questo scritto sui rotoli si dice di complotto: stando agli autori, i preziosi e scottanti manoscritti sarebbero stati tenuti lontano dall opinione pubblica da membri altolocati della Chiesa cattolica, il tutto per occultare verità potenzialmente imbarazzanti per l ortodossia cristiana contenute negli scritti. Più affascinanti della fantasia E i manoscritti in effetti grondano dati sul cristianesimo ebraico e le sue origini, ma niente di cospirativo, imbarazzante, pericoloso... anzi. Le informazioni sono più complesse e importanti di quanto la fantasia delle penne di molti scrittori abbiano potuto immaginare. Il valore dei manoscritti consiste nel fatto che contribuiscono ampiamente a fornire un contesto autentico a quello che sarebbe poi diventato il cristianesimo. Nel tempo gli studiosi hanno offerto interpretazioni diverse dei manoscritti. Abbiamo letto per voi I manoscritti del Mar Morto Alla scoperta della storia, dei misteri e dei significati di una delle più affascinanti e controverse scoperte archeologiche del secolo scorso, di Stephen Hodge (Newton Compton Editori). Il libro è una guida completa in materia di manoscritti del Mar Morto. Si legge così la storia della loro scoperta nel 1947, chi li scrisse e perché, i rapporti tra i manoscritti, l ebraismo ortodosso e le origini del Cristianesimo, i motivi per cui hanno suscitato polemiche e confusioni, le profezie di apocalissi e catastrofi che i rotoli contengono. Inoltre il libro propone interviste ai maggiori studiosi dei manoscritti di Qumran, le loro principali interpretazioni. Perché fidarsi di questo libro tra i tanti che raccontano e spiegano i manoscritti? La garanzia certamente arriva dall approccio a 360 gradi, da letture da varie angolature e dalla stessa firma. Stephen Hodge, oltre che scrittore, è studioso, specializzato in religioni orientali e antiche e in teologia. Si è laureato alla School of Oriental and African Studies, ha compiuto ricerche in Giappone ed è docente all University of London. Il caso tra i dirupi di Qumran Molte scoperte avvengono per caso: è successo e succede in tutti i campi dello scibile umano. Non fanno eccezione nemmeno i manoscritti. E se alla fine del 46 inizi del 47 il caso non ci ha messo lo zampino...! Siano quindi nella metà degli Anni quaranta. Una sera imprecisata di un giorno alla fine del 46 o agli inizi del 47, tale Jum a Muhammed, pastore beduino, si arrampica tra i dirupi rocciosi che si elevano dietro le rovine di Khirbet Qumran, sulle rive del Mar Morto (tra Gerico e Gerusalemme, grosso modo). Tra quei dirupi si è smarrita una capra del suo gregge ed il pastore ne va alla ricerca. Che la capra sia caduta in una delle aperture nelle rocce? Jum a avvicina il volto alle aperture, ma il buio non gli consente di vedere nulla. Prende una pietra e la getta nell apertura: il vuoto gli rimanda il rumore di cocci infranti. Il pastore ridiscende sulla terrazza di terra dove ha lasciato il gregge. Jum a Muhammed e i due cugini assieme ai quali custodisce il gregge tornano all accampamento. Saranno di nuovo in loco con le capre il giorno seguente, ed allora, alla luce del giorno ci sarà modo di visionare le rocce e le aperture. Ma il giorno dopo il primo a svegliarsi, non certo per caso, è uno dei cugini, Muhammad edh-dib, soprannominato il Lupo. Raggiunge il sito, si arrampica dove il giorno prima si è avventurato Jum a, sposta alcune rocce e si infila nella grotta. Chissà, avrà creduto di trovare qualche incredibile, favoloso tesoro che gli permettesse di vivere in condizioni migliori di quelle che fino ad allora il destino gli aveva concesso. Probabilmente le giare di argilla custodite all interno della grotta, molte delle quali vuote, alcune contenenti vecchi rotoli di pergamena avvolti in un tessuto non saranno stati esattamente il suo concetto di tesoro. Comunque, nei giorni seguenti i pastori rimuovono i rotoli e li portano nel loro accampamento (ma ci sorge un dubbio: se il Lupo avesse trovato oro e diamanti, avrebbe aspettato i compagni?). Agli occhi dei poveri pastori analfabeti la scoperta appare come cosa insignificante, i rotoli vengono lasciati penzolare al palo di una tenda e qualche pergamena (ahimè) viene usata per accendere il fuoco. Niente di nuovo, purtroppo: finiranno in cenere anche molti manoscritti gnostici di Nag Hammadi. Un giorno comunque i beduini decidono di liberarsi dei manoscritti: non si sa quanti nel frattempo siano stati trasformati in cenere, sta di fatto che ne mettono in vendita tutto quello che è rimasto, appena sette rotoli sbriciolati. Si occupano della messa sul mercato lo stesso Jum a e il cugino Khalil, nella primavera del 1947, a Betlemme. Nessuno sa che cosa siano quegli scritti; quello che la gente del luogo può offrire non è denaro, ma solo un suggerimento: forse i rotoli potrebbero interessare il ciabattino Khalil Eskander Shahin. Chissà che non ne ricavi materiale per riparare le scarpe? In questo caso potrebbe dare qualche moneta ai due cugini. Bizzarrie orientali: Shahin è anche, diciamo, antiquario part time. Non sa quale sia il reale valore dei manoscritti, ma certo non sono carta da accendere il fuoco o materiale da scarpe. Il ciabattino dà ai due un compenso di cinque sterline, si impegna a dividere con loro qualsiasi ricavo derivante dalla vendita della mercanzia e si offre di diventare il loro agente per eventuali ritrovamenti futuri. Khalil è siriano ortodosso, e così un suo amico, tale George Shamoun. Ed è proprio Shamoun a nominare i rotoli, durante la Settimana Santa dello stesso anno al metropolita Athanasius Yeshue Samuel, della chiesa siriano ortodossa di San Marco a Gerusalemme. Quattro rotoli, dietro compenso di ventiquattro sterline, diventeranno proprietà dello stesso metropolita. Gli Inni di Ringraziamento e il Rotolo della Guerra Parallelamente, ad Eleazar Sukenik, archeologo e docente presso la Nuova Università Ebraica di Gerusalemme, l antiquario Feidi Salah aveva offerto due rotoli più o meno completi ed alcuni frammenti di manoscritti. E finalmente nella valutazione non c è più approssimazione: Sukenik sa che i manoscritti sono autentici, antichissimi (risalgono all epoca del Secondo Tempio). Mai nulla di simile risalente all epoca era stato riportato alla luce nell area; poche cose così antiche avrebbero potuto sopportare e sopravvivere al clima secco. Sukenik acquistò quanto gli veniva offerto, per conto dell Università, e a fine anno poté entrare in possesso di un altro rotolo. Aveva fatto un ottimo acquisto: era entrato in possesso del Libro di Isaia, per la precisione si trattava degli Inni di Ringraziamento e del Rotolo della guerra dei Figli della Luce contro i Figli delle Tenebre o Rotolo della Guerra. Quest ultimo descriveva nel dettaglio i preparativi che i fedeli dovevano compiere in vista di una prossima lotta apocalittica tra le forze del bene e quelle del male. La guerra avrebbe portato alla totale distruzione del male e dei cattivi e l istituzione del governo di Dio. Praticamente quanto stava scritto nei primi scritti cristiani. Quanto dei rotoli di Qumran si era lasciato leggere aveva acceso negli studiosi una fame che sarebbe stato difficile saziare. C erano altri documenti? Come averli? Che cosa dicevano? Ebbene, ci mise lo zampino la politica, che prolungò i morsi della fame. Alla fine del 1947 le Nazioni Unite votarono la spartizione della Palestina e a questo seguì la proclamazione dello Stato di Israele. I nuovi confini che spartirono quelle terre fecero sventolare su Qumran la bandiera giordana, ed in Giordania gli Ebrei non erano graditi. Qumran fu quindi off limits anche per il grande studioso Sukenik. Ma fortunatamente la cultura e la scienza hanno altri percorsi: rispettano le bandiere ma non se ne fanno certo una croce. Sukenik ebbe modo di leggere e consultare altri manoscritti grazie a tale Anton Kiraz (che agiva per conto del metropolita Athanasius Samuel), che si rivolse a Sukenik per avere una valutazione sull autenticità di quattro rotoli (quelli ritrovati dai pastori beduini, come sappiamo). A casa dopo mille tribolazioni Si trattava di un altra copia del Libro di Isaia, della Regola della Comunità, il Pesher di Abacuc e un Apocrifo della Genesi. Sukenik offrì mille sterline per l acquisto dei manoscritti: la cifra fece suonare un campanello d allarme nella testa del metropolita che si rivolse ad altre fonti per avere ulteriori valutazioni ed opinioni. Si rivolse all American School of Oriental Reserch (oggi Allbright Institute) a Gerusalemme. Li vide uno studente, John Trever, che capì subito la loro antichità e il loro valore ed ebbe l accortezza di fotografarli (con il placet del metropolita, ben inteso). E si può dire che queste foto oggi rappresentano i rotoli, perché i manoscritti, nel corso degli anni, per incuria, eccessiva luce e quant altro ormai erano diventati (con tutto il rispetto) carta straccia. Intanto la situazione politica nell area, già di per sé fragile quanto esplosiva, precipitò ulteriormente: nel maggio del 1948 in Israele scoppiò la guerra, i manoscritti vennero portati in salvo e finirono negli Stati Uniti. Vennero esposti in diverse città. Fu allora che qualcuno li dichiarò dei falsi o manoscritti databili nel medio evo e non certamente con migliaia di anni. Nel giugno del 1954 un annuncio sul Wall Street Journal metteva in vendita i manoscritti. Il metropolita aveva bisogno di denaro per azzerare pendenze proprie. Li acquistò un certo Sidney Esteridge, che sborsò la non indifferente somma di 250mila dollari. In effetti, chi aveva comprato era lo Stato d Israele e così i manoscritti ritornarono a casa. Aveva organizzato il tutto Yigael Yadin, figlio di Sukenik, che avrebbe studiato i manoscritti a fondo e pubblicato diversi libri in materia. Sorvolando sulle vicende politiche e militari che hanno soffiato violentemente su quelle terre, diciamo che a tutto il 1956 nella zona di Qumran erano state scoperte ben 11 grotte nelle quali erano nascosti o comunque riposti i manoscritti. Proiettati all epoca del Secondo Tempio Ma quando sono stati redatti? La scienza li ha datati nel tardo periodo del Secondo Tempio, tra il 200 a.c. e il 68 d.c. e per scrivere questi numeri hanno usato la paleografia (che confronta i documenti datati con quelli non datati) e la datazione al radiocarbonio. Dalla loro uscita dalle buie grotte di Qumran, scoperti per caso da un povero pastore beduino, passati di mano in mano a volte come preziosità altre volte come povere cose, custoditi gelosamente e distrutti con estrema faciloneria, letti e guardati con sospetto e con rispetto, studiati, interpretati... i Rotoli del Mar Morto, o quel che ne resta, sono giunti ai nostri giorni, ed hanno una storia interessante ed affascinante da raccontare. Suggeriamo di leggerla. Con l occhio attento dell esperto come con l occhio interessato di chi ama la lettura e la conoscenza. Anche oltre il religioso. E sempre in materia, ed ancora una volta per approfondire, suggeriamo I manoscritti segreti di Qumran. Tradotti e interpretati i rotoli del Mar Morto finora tenuti nascosti di R. Eisenmann e M. Wise (Piemme, 1994). Cierre

7 storia e ricerca 7 RECENSIONE Recupero di un patrimonio devastato di Kristjan Knez Tradizionalmente la storiografia e la pubblicistica concernente l Istria presta una particolare attenzione per le aree urbane delle zone costiere della penisola. Gli studi storici otto-novecenteschi spostarono il baricentro dell interesse anche ai borghi dell interno, a quelle realtà cioè inserite in un contesto rurale. Eccetto i lavori pionieristici e ormai datati si tratta di studi pubblicati oltre un secolo fa che portano la firma di storici come Luigi Morteani e Giovanni Vesnaver, per citare i due maggiori studiosi che hanno dedicato la loro attività scientifica a quelle zone dell Istria, ben poco è stato fatto. Quella bibliografia, però, seppure oggi mostri inevitabilmente i suoi limiti, costituisce ancora un punto di riferimento e un rimando imprescindibile in quanto contiene documenti che sovente non esistono più in loco, perché dispersi e/o sventuratamente arsi dalle fiamme. Ogni contributo che propone una ricostruzione del passato di quella parte della nostra regione è perciò benvenuto. Recentemente è uscita dalle stampe una pubblicazione che desidera colmare una parte di quelle lacune. Si tratta degli Appunti per la storia di Piemonte e del suo territorio di Gaetano Benčić, Rino Cigui e Denis Visintin, edito dal Circolo di cultura istro-veneta Istria (Trieste 2011, pp. 158). Il volume, che sembrava non voler mai giungere a maturazione come scrive il presidente del sodalizio, Livio Dorigo, è un ulteriore tassello che viene proposto con l intento di contribuire alla (ri)scoperta del territorio e delle sue peculiarità, specie di quelle zone meno note o addirittura del tutto sconosciute. L alto Buiese è senz altro una di quelle, vuoi perché le vicende storiche recenti furono infauste per quell area geografica, vuoi per il fatto che il medesimo è escluso dal circuito turistico e di conseguenza si trova tagliato fuori dagli interessi, soprattutto economici. Tuttavia qualcosa sta cambiando. Un borgo «dimenticato» Dopo decenni di depressione, di decrescita demografica e di generale abbandono, c è un ritorno alla terra, taluni investono in attività ad esse collegate, con l auspicio di contribuire a dare nuova linfa a un area che ha indubbiamente molte potenzialità. Sino alla cesura del secondo dopoguerra, rappresentata dall esodo e dal successivo spopolamento che aveva portato la residua popolazione rimasta alla ricerca di nuovi impegni presso le aziende di recente formazione perlopiù sul litorale (come a Capodistria, ad esempio), quelle località erano vivaci e fiorenti di cui poco sappiamo dato che nulla è stato scritto in merito. Eppure una conoscenza dettagliata relativa alla dinamica di quei centri, al vivere di quelle collettività e alle attività sviluppate nel corso del tempo gioverebbe a cogliere quei borghi semidiroccati e senz anima, purtroppo, in un ottica diversa. Ma di lavori documentati non ne registriamo. Immagini importanti Tralasciando i ricordi che periodicamente vengono ospitati sui fogli della diaspora, sui centri e villaggi dell Istria interna c è un assenza quasi assoluta di studi condotti con criteri scientifici. Con la pubblicazione che recensiamo i tre autori ricordati propongono delle note, degli appunti, come si legge nel titolo e al tempo stesso offrono una base grazie alla quale gli studiosi potranno sviluppare le loro indagini relative a Piemonte. La stessa è poi corredata da innumerevoli immagini di Gianfranco Abrami, il quale con il suo obiettivo ha immortalato quanto di più suggestivo e interessante si trova in quell angolo d Istria. Le sue foto non solo nobilitano un lavoro di ottima fattura ma lo rende più accattivante e sicuramente più interessante. L apparato iconografico rappresenta, infatti, una documentazione altrettanto importante e accompagna il lettore che in esso trova dei riscontri precisi. È sufficiente osservare la copertina, che riproduce una panoramica del borgo con Gaetano Benčić, Rino Cigui e Denis Visintin alle prese con Piemonte d Istria in lontananza Montona, per rendersi conto della qualità delle fotografie; d altra parte il fotografo di Petrovia è ormai noto per il suo lato documentaristico e anche in questa occasione non tradisce le aspettative. Quadro esaustivo I tre storici che hanno firmato il volume si sono soffermati su svariati argomenti, ciascuno ha affrontato un particolare problema e/o aspetto di questa località. Nei loro elaborati emerge chiaramente quelli che sono i loro interessi particolari e sui quali hanno già sviluppato le loro ricerche, i cui risultati sono confluiti in questa pubblicazione. Quest ultima si apre con una descrizione del territorio. Si propone un analisi geografica, indispensabile per meglio comprendere sia la realtà del sito in cui è sorta la cittadina sia le interazioni con l ambiente circostante. Piemonte è ubicata su un altura che sovrasta il versante destro della valle del Quieto è chiusa ai tre lati ed è toccata da una sola strada carrozzabile che la collega a Grisignana, a Buie, a Sterna e a Portole. Le caratteristiche Le caratteristiche geomorfologiche hanno influito notevolmente sullo sfruttamento umano dell area in questione. I margini settentrionali, in direzione di Grisignana, sono interessati dal carsismo e di conseguenza da sempre sono stati poco redditizi. Le colline trasformate in terrazzamenti erano invece occupate da una fiorente agricoltura, la zona valliva era anche coltivata seppure non infrequenti fossero le esondazioni del fiume Quieto. Il paesaggio agrario non ha subito grandi trasformazioni nel corso dei secoli. I mutamenti dell ultimo mezzo secolo, invece, hanno inevitabilmente lasciato il segno. L abbandono avvenuto nel secondo dopoguerra è tuttora evidente, con le case disabitate e ormai in buona parte diroccate o addirittura con interi villaggi vuoti, come nel caso di San Giorgio o Paolètici. Piemonte è un insediamento al centro di un area di antica colonizzazione, nelle sue vicinanze si estendevano le aree fertili ed i pendii soleggiati. I proprietari dei terreni erano residenti nel borgo, entro le mura del castello, e anche lì vi erano degli orti di piccole dimensioni ma molto importanti per la sussistenza delle famiglie, e quivi c erano anche i magazzini e le stalle per il bestiame. La zona fu antropizzata sin dall età del bronzo quando cioè sulle alture sorsero i castellieri; si presume che l abitato di Piemonte sia sorto proprio da uno di questi insediamenti. Il castelliere presenta delle possenti mura costruite a secco grazie all utilizzo della pietra arenaria. Dell epoca romana si conservano ancora strutture, come una villa rustica, ad esempio, situata a valle. Tra l incudine e il martello Nel Medioevo la località era denominata: Piemontis, Pimontium, Poymont, Pedemontis. In quel periodo storico essa si era trovata tra l incudine e il martello. L area, difatti, fu teatro di scontri la Repubblica di San Marco, il Patriarcato d Aquileia, i Conti di Gorizia e la Casa d Austria. Quel castello rivestiva un ruolo strategico di prim ordine, situato su una delle strade che dall altopiano carsico scendono verso la pianura. Per siffatto motivo fu più volte assediato e distrutto. Per far fronte agli accerchiamenti la struttura fu a più riprese ristrutturata e furono potenziate le difese. Quando il borgo passò alla Contea d Istria (nel 1374) esso conobbe non solo un ingrandimento territoriale ma ottenne anche l indipendenza amministrativa e lo status di Signoria immunitaria infeudata a privati dietro corresponsione annua di 3000 ducati. Terminata la guerra contro Massimiliano d Asburgo e quindi contro la Lega di Cambrai, nel 1521, con il trattato di Worms, si tracciarono anche in Istria i nuovi confini lungo. La Dominante ottenne Piemonte e nel 1529 la offerse in vendita al miglior offerente. L anno seguente i veneziani Giustiniano Contarini e Girolamo Grimani si aggiudicarono il castello per 7500 ducati e due anni dopo se lo divisero tirando a sorte. Il potere all interno del borgo era suddiviso a tre livelli: al primo posto vi era il Capitano il quale lo amministrava per conto del signore, poi vi era un organo assembleare che riuniva le famiglie più facoltose e infine troviamo lo zuppano la cui carica durava un anno. La parte concernente gli aspetti legati all amministrazione della località, alle mansioni delle singole figure e alle dinamiche all interno delle mura sono descritte con dovizia di particolari e riferimenti, che in questa sede non possiamo sintetizzare. La pubblicazione contiene anche degli Appunti per il XIX e XX secolo. Una realtà che cambia Leggiamo che Nell ultimo secolo, particolarmente dopo la fine della prima guerra mondiale, si verificarono notevoli cambiamenti negli usi, nei costumi e nelle tradizioni locali. Cambiava la società, mutavano le abitudini, l abbigliamento tradizionale lentamente lasciava spazio ad un tratto di tipo moderno. Anche l agro subiva delle notevoli trasformazioni che, a lungo andare, generarono una profonda ristrutturazione al punto che si crearono le basi per la definitiva eclissi della civiltà contadina tradizionale, con i suoi millenari cicli produttivi (p. 38). Sul finire del XIX secolo fioriva anche l educazione scolastica. Dapprima funzionava una scuola popolare il cui insegnamento era nelle mani dei sacerdoti; mentre nel 1880 fu introdotta la scuola regolare. Grazie ad un lascito ereditario fu istituito pure un fondo a favore dei fanciulli poveri del paese. Nel 1937, invece, fu inaugurato il nuovo edificio scolastico intitolato alla Duchessa Anna d Aosta. La decadenza Al termine del secondo conflitto mondiale la località non fu incluso nel Territorio Libero di Trieste e quindi, in base al trattato di pace del 1947, passò alla Jugoslavia. Si verificò il distacco amministrativo dal comune di Grisignana e vi fu l unione al comprensorio comunale di Pinguente. Fu abbattuto il vecchio apparato amministrativo sostituito dal Comitato popolare di Piemonte, istituito l 1 gennaio 1947 e rimasto attivo sino al Le nuove autorità imposero immediatamente l introduzione di un sistema cooperativistico-collettivistico di stampo sovietico e imposero a tutti i proprietari di beni ed attrezzi da lavoro di aggregarsi alle cooperative. Deleteri furono gli interventi tesi a deitalianizzare ossia a croatizzare quel contesto. Le scuole italiane furono soppresse e sostituite da quelle in lingua croata con l automatico trasferimento delle scolaresche nella nuova struttura, che per molti non fu priva di traumi. Erano quegli gli anni dell esodo pressoché integrale della popolazione autoctona, che in buona parte trovò una nuova sistemazione a Trieste. Tanti beni da conservare Tra gli altri capitoli menzioniamo quelli dedicati all insediamento e all architettura, in cui si prende in considerazione il Palazzo Contarini, la cui origine risale molto probabilmente al XII secolo con interventi e aggiunte che avvennero nel corso dei secoli sino all Ottocento, le case invece sono attualmente sventrate, abbandonate, emanano tristezza; regina della vita è soltanto l edera che le ricopre e le preserva (p. 54); alle istituzioni ecclesiastiche e alle chiese, con riferimenti alle confraternite laiche, alla chiesa della Beata Vergine del Rosario, alla chiesa parrocchiale della Natività di Maria, alla chiesetta di San Rocco, alla chiesa dei Santi Primo e Feliciano; alla campagna e al paesaggio rurale, in cui viene analizzato il territorio di Piemonte negli Elaborati del Catasto Franceschino, l agricoltura e la proprietà fondiaria, il patrimonio boschivo e zootecnico; ai toponimi del territorio raccolti ed ordinati dopo averli rintracciati in varie fonti documentarie; si evince che in questa parte dell Istria si è conservato un alto numero di toponimi prelatini, in gran copia si trovano anche quelli latini e neolatini Questo insieme di nomi geografici mette in luce tutta la storia recente di Piemonte, quella che vede l arrivo di genti slave, dal Veneto e dal Friuli, dal XV secolo in poi (p. 125). In appendice viene proposta ancora la Descrizione dei Confini della Sotto Comune di Piemonte, Distretto di Buje del geometra catastale Giovanni Battista Bernardo, redatta a Pirano il 21 aprile 1820.

8 8 storia e ricerca CONVEGNI Il ruolo degli intellettuali istriani e dalmati Riflessi dell Unità d Italia nell Adriatico orientale i grandi genii che mostrarono al mondo attonito di che «Fra cosa la mente umana sia capace, Dante è senza dubbio il più grande scrive Enrico Bianchi nel suo celebre commento alla Divina Commedia (ed. Salani, Collana I classici del Giglio, 1938). È stato e sarà sempre segnacolo d italianità; e intorno a lui e nel suo nome si raduneranno gl Italiani ogni volta che l amore della patria fiammeggerà nei loro cuori...». Le nazioni che hanno dovuto affrontare una lunga lotta per l unità e l indipendenza amano esaltare un proprio personaggio/eroe e identificarsi in lui, nel quale assommano e condensano il loro passato, le loro glorie, ansie e amarezze; egli perciò assurge a simbolo della nazione stessa. E Dante è per gli italiani ciò che Mosè è per gli ebrei, Omero per i greci, Virgilio per i romani, Maometto per gli arabi, Cervantes per gli spagnoli, Shakespeare per gli inglesi, Molière per i francesi, Washington per gli statunitensi e Goethe per i tedeschi. L Italia lo esalta e si riconosce nel divino poeta, che già nel 1300 aveva indicato chiaramente i confini del Belpaese, includendovi pure il Tirolo meridionale e l Istria. E lui che si era quasi a tutti gli Italici appresentato (come dice nel Convivio ) avrebbe visitato anche Pola, lasciandocene una testimonianza immortale nel nono canto dell Inferno : Sì come ad Arli, ove il Rodano stagna, Sì come a Pola presso del Quarnaro Che Italia chiude e i suoi termini bagna. Potremmo quasi dire che tutto ebbe inizio coll Alighieri, Risorgimento compreso. E perciò siamo partiti proprio da Dante per introdurre un appuntamento di grande rilievo che si svolgerà a fine mese a Palazzo Manzioli, a Isola. Del resto, gli organizzatori stessi l hanno scelto quale testimonial eccellentissimo dell evento. Anzi, hanno messo in copertina un immagine assorta del sommo poeta, con lo sguardo rivolto verso il mare nostrum e sullo sfondo l Arena di Pola. Così lo dipinse infatti il pittore capodistriano Bartolomeo Gianelli, autore di un Ritratto di Dante conservato a Capodistria, a Palazzo Gravisi. Un quadro (e, non dimentichiamolo, anche i pittori hanno fatto il Risorgimento, come rilevato in modo appropriato da una splendida mostra in Italia) che sintetizza e rappresenta in maniera efficace e potente le corrispondenze di sentimenti (nazionali), i fermenti artistici, culturali e in buona parte politici che hanno unito le due sponde dell Adriatico; d altra parte, quello sguardo proteso verso orizzonti lontani, esprime pure ciò che le ha separate, sia in quanto a sentimenti di una sua parte, sia nelle aspirazioni politiche di certe sue componenti nazionali. Nomi e numeri importanti contraddistinguono questo convegno internazionale di Bartolomeo Gianelli (Capodistria 1824 ivi 1894), Ritratto di Dante Alighieri (1865), olio su tela, particolare (foto: Franco Viezzoli), Palazzo Gravisi, Comunità degli Italiani Santorio Santorio, Capodistria. L opera fu realizzata su iniziativa di un gruppo di signore capodistriane e donata al Comune in occasione delle celebrazioni per il sesto centenario della nascita del Sommo Poeta studi intitolato L Unità d Italia e l Adriatico orientale. Il ruolo degli intellettuali ( ), in calendario il 18 novembre prossimo a Palazzo Manzioli, che si fregia del logo ufficiale delle celebrazioni per il 150.esimo dell Unità d Italia. Una giornata intensa, con studiosi e ricercatori italiani, croati e sloveni di diverso profilo e ambiti d interesse, che chercheranno di illustrare in maniera approfondita l eco e le ripercussioni che gli eventi italiani risorgimentali ebbero in Istria, Quarnero e Dalmazia, spigando in tale contesto il ruolo svolto dagli intellettuali attraverso il loro impegno culturale, civile e politico. Si parlerà, dunque, dell influenza esercitata dai giornali e dalle riviste, della partecipazione degli Italiani di queste nostre terre alle vicende risorgimentali, della collaborazione degli intellettuali per l appunto con i fogli delle maggiori città italiane (in cui si trovano le firme di Vincenzo de Castro di Pirano, Carlo Combi di Capodistria, Tomaso Luciani di Albona e altri), che si intensificò anche grazie all emigrazione politica. Con i loro scritti e volumi quei patrioti informarono l opinione pubblica della penisola in merito alle caratteristiche dell Istria, proponendo svariati aspetti della sua storia, della cultura, della realtà etnica e linguistica, nonché dei secolari legami di questa regione con l Italia. Non mancheranno cenni sugli stretti vincoli esistenti tra le due coste adriatiche e le profonde relazioni tra l Istria e la Dalmazia, nonché il Veneto, soprattutto Venezia e Padova (tale unitarierà aveva giovato sia agli scambi commerciali sia alla circolazione delle persone, della cultura e delle idee, si pensi solo ai tanti giovani che frequentavano l ateneo italiano, per non parlare alla diffusione della devozione al santo patavino). Il ricordo della Serenissima è, difatti, ancora sempre vivo che, nonostante la fine della Repubblica di San Marco nel 1797, e mal- Ideatori, organizzatori e patrocinatori grado il passaggio sotto l amministrazione austriaca, non era venuto meno. Ma al contempo si affronteranno i problemi che iniziarono ad affacciarsi in quell area geografica anche in relazione al manifestarsi del risorgimento nazionale degli Slavi meridionali. La giornata di studio affronterà pure le posizioni manifestate dagli intellettuali sloveni e croati, molti dei quali furono attratti dagli accadimenti verificatisi nella penisola e perciò erano decisi ad emularli anche entro la cornice della monarchia danubiana. La comparsa di un sentimento nazionale e di progetti politici diamettralmente opposti avrebbero rappresentato l esordio degli attriti tra le parti coinvolte, soprattutto a livello politico. La giornata di studio si articolerà attraverso una serie di tematiche, tra cui l analisi del contesto storico (il periodo ), il processo di formazione del Regno d Italia e gli influssi sull area adriatica, le reminiscenze della dominazione veneziana e gli sguardi rivolti invece verso Lubiana/ Zagabria, il sorgere delle identità nazionali, il coinvolgimento degli intellettuali nelle vicende politiche, le relazioni esistenti tra gli intellettuali italiani dell Adriatico orientale e quelli della penisola, la partecipazione degli italiani adriatici nelle vicende risorgimentali (patrioti, esuli, irredent) e, di riflesso, le posizioni degli intellettuali sloveni e croati; quindi la manifestazione dei dissapori nazionali e politici (con un riferimento particolare alle lotte tra autonomisti e annessionisti in Dalmazia), il ruolo del clero e la particolare posizione di Trieste quale luogo di incontro e di scontro tra posizioni politiche differenti. Ilaria Rocchi Anno VII / n. 58 del 5 novembre 2011 LA VOCE DEL POPOLO - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: STORIA E RICERCA Redattore esecutivo: Ilaria Rocchi / Impaginazione: Vanja Dubravčić Collaboratori: Arletta Fonio Grubiša, Marco Grilli, Kristjan Knez e Carla Rotta Foto: Arletta Fonio Grubiša, Carla Rotta, Franco Viezzoli e Internet Il programma Apertura: ore 9, indirizzi di saluti Il contesto storico-politico ( , presiede Adriano Papo, Associazione Culturale italoungherese P. P. Vergerio, Duino Aurisina) Carlo Ghisalberti (Università La Sapienza, Roma): Governo ed opinione pubblica dell Italia appena unifi cata di fronte ai problemi dell Adriatico orientale; Almerigo Apollonio (Società di studi storici e geografici, Pirano): La classe politica liberale di Trieste e dell Istria negli anni dell unifi cazione italiana; Gino Ruozzi (Alma Mater Studiorum Università di Bologna): L Unità d Italia di Niccolò Tommaseo Gli intellettuali ( , presiede Kristjan Knez (Società di studi storici e geografici, Pirano) Alberto Brambilla (Université de France-Comté, Besançon): Lingue, popoli e confi ni nel pensiero di G.I. Ascoli; Fulvio Salimbeni (Università di Udine): Prospero Antonini e il confi ne orientale d Italia: la rifl essione storica d un patriota friulano tra II e III guerra d indipendenza; Antonio Cernecca (Milano): Tomaso Luciani in Italia tra l Unità e il 1866: l attività intellettuale e politica; Michele Pietro GhezzoTardivo (Società Dalmata di Storia Patria, Venezia): Nessun pugna per te? non ti difende/nessun de tuoi? L armi, qua l armi: io solo/combatterò, procomberò sol io. Il ruolo dei Dalmati universitari padovani nell Unità d Italia I letterati e l Unità d Italia ( , presiede Nives Zudič Antonič (Università del Litorale, Capodistria) Fulvio Senardi (Istituto Giuliano di Storia, Cultura e Documentazione, Trieste): Giuseppe Revere: impegno risorgimentale e nostalgie adriatiche; Nedjeljka Balić-Nižić (Università di Zara): Rifl essioni letterarie sul Risorgimento nei periodici dalmati ( ); Sanja Roić (Università di Zagabria): Uno dei mille guarda a est: cose dalmate e montenegrine nell opera di Ippolito Nievo; Živko Nižić (Università di Zara): Lissa e l i.r. vice-ammiraglio Tegetthoff (1867), poemetto di Marco Antonio Vidovich Italiani e Slavi meridionali dell Impero asburgico: aspirazioni e contrapposizioni ( , presiede Carlo Ghisalberti(Università La Sapienza, Roma) Branko Marušič (Nova Gorica): Gli Sloveni e il Risorgimento italiano; Milan Pahor (Biblioteca nazionale slovena e degli studi, Trieste): Gli Sloveni a Trieste: dalla nascita dello Slavjansko društvo nel 1848 attraverso l istituzione della Slavjanska čitalnica nel 1861 sino alla Società politica Edinost nel 1874; Salvator Žitko (Società storica del Litorale, Capodistria): I rifl essi dell Unità d Italia e le opinioni del giornale triestino Primorec di Vekoslav Raić negli anni Sessanta del XIX secolo; Kristjan Knez (Società di studi storici e geografici, Pirano): Storia ed erudizione contro le pretensioni carnioliche. La difesa dell autonomia di Trieste e dell Istria e il movimento nazionale sloveno e croato ( ). L incontro è stato ideato, promosso e arganizzato dalla Società di studi storici e geografici di Pirano, in collaborazione con la Comunità Autogestita della Nazionalità Italiana di Isola, la Comunità degli Italiani Santorio Santorio, di Capodistria, la Comunità degli Italiani Giuseppe Tartini, il Centro Italiano di Promozione, Cultura, Formazione e Sviluppo Carlo Combi di Capodistria, l Associazione Culturale Italoungherese del Friuli Venezia Giulia Pier Paolo Vergerio di Duino Aurisina (Trieste), con il patrocinio scientifico dell Università del Litorale Facoltà di Studi Umanistici Dipartimento di Italianistica di Capodistria, del Centro di ricerche storiche di Rovigno, del Comitato di Trieste e Gorizia dell Istituto per la Storia del Risorgimento italiano. Inoltre si avvale del patrocinio dell Unione Italiana, nonché del suo sostegno finanziario. Contribuiscono finanziariamente alla realizzazione del simposio la CAN di Isola, la CI capodistriana, nell ambito del programma culturale della CAN di Capodistria, la CI piranese (nell ambito del programma culturale della CAN di Pirano), il Centro Carlo Combi e il Ministero della Cultura della Repubblica di Slovenia. A formare il Comitato scientifico sono Kristjan Knez (Società di studi storici e geografici, Pirano) Fulvio Senardi (Istituto Giuliano di Storia, Cultura e Documentazione, Trieste) Nives Zudič Antonič (Università del Litorale, Capodistria) Salvator Žitko (Società storica del Litorale, Capodistria; Società di studi storici e geografici, Pirano); mentre quello organizzatore è formato da Agnese Babič (CAN di Isola), Kristjan Knez (Società di studi storici e geografici, Pirano), Mario Steffè (CI Santorio Santorio, Capodistria) Roberta Vincoletto (Centro Italiano di Promozione, Cultura, Formazione e Sviluppo Carlo Combi, Capodistria), Silvano Sau (CAN di Isola) Fulvia Zudič (CAN di Pirano).

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