I percorsi dell Irredentismo e della Grande Guerra

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1 I percorsi dell Irredentismo e della Grande Guerra nella Provincia di Trieste a cura di Fabio Todero

2 Volume pubblicato con il contributo della Provincia di Trieste nell ambito degli interventi in ambito culturale dedicati alla Valorizzazione complessiva del territorio e dei suoi siti di pregio e con il patrocinio del Comune di Trieste Partner di progetto: Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell Università degli Studi di Trieste Deputazione di Storia Patria per la Venezia Giulia Istituto regionale per la cultura istriana, fiumana e dalmata Associazione culturale Zenobi, Trieste copyright 2014 by Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia Ricerche fotografiche: Michele Pupo Referenze fotografiche: Fototeca dei Civici Musei di Storia ed Arte del Comune di Trieste; Michele Pupo; Archivio E. Mastrociani, F. Todero; Archivio Divulgando Srl Progetto grafico: Divulgando Srl Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia Villa Primc, Salita di Gretta Trieste Tel. / fax irsml@irsml.eu

3 I percorsi dell Irredentismo e della Grande Guerra nella Provincia di Trieste a cura di Fabio Todero

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5 Indice Introduzione I percorsi dell Irredentismo e della Grande Guerra di Fabio Todero 1. Le Rive di Fabio Todero 2. Il Palazzo della Prefettura di Diego Caltana 3. Il Colle di San Giusto di Fabio Todero 4. Il Civico Museo del Risorgimento e il Sacrario Oberdan di Fabio Todero 5. Il Liceo-ginnasio Dante Alighieri di Fabio Todero 6. I cimiteri di S. Anna e di Servola di Fabio Todero 7. I cimiteri austroungarici di Prosecco e di Aurisina di Roberto Todero 8. La Grotta Azzurra di Samatorza di Roberto Todero 9. Il comprensorio del Monte Hermada di Roberto Todero 10. Il comprensorio di San Giovanni di Duino di Fabio Todero 3

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7 Introduzione I percorsi dell Irredentismo e della Grande Guerra di Fabio Todero La città di Trieste all epoca una delle più importanti del vasto Impero austroungarico fu da subito coinvolta insieme al suo territorio nella tragedia della Grande guerra, scoppiata nella torrida estate del La città aveva potuto assistere a un macabro antefatto del conflitto quando, la sera del 1 luglio, nel golfo della città giuliana giunse la squadra navale che scortava le salme di Francesco Ferdinando, erede al trono d Austria Ungheria e della consorte Sofia, assassinati a Sarajevo il 28 giugno. Il giorno dopo, di primo mattino, in un clima di lutto generalizzato, un corteo funebre accompagnò i feretri delle illustri vittime attraverso la città per raggiungere la stazione della Ferrovia meridionale; da qui sarebbe continuato il loro viaggio per Vienna, dove si sarebbero svolte le esequie ufficiali, e poi per Arstetten, loro ultima dimora. Alcune settimane dopo, il 28 luglio 1914 fu la volta della dichiarazione di guerra dell Austria alla Serbia, e ben presto il conflitto si allargò alle maggiori potenze del continente. In tutto l Impero vennero perciò emanati i bandi della mobilitazione generale che investì anche il territorio di Trieste: i suoi uomini furono avviati verso il lontano fronte galiziano e quello balcanico, e sin dai primi giorni di guerra si fecero sentire le conseguenze economiche e sociali del conflitto. Un ulteriore aggravamento della situazione fu determinato dall entrata in guerra dell Italia, nel maggio del L avvicinarsi delle operazioni militari portò infatti a una più ampia militarizzazione del territorio ma il porto di Trieste era stato minato 5

8 già nell estate del 14 e anche il Carso triestino ne subì le conseguenze: la popolazione civile dei villaggi della cintura carsica più prossimi al fronte come ad esempio Ceroglie o Malchina dovette abbandonare le proprie case; furono approntate opere di difesa; antichi manufatti furono trasformati in osservatori d artiglieria; siti un tempo utilizzati da piccole comunità di cacciatori preistorici come la Grotta Azzurra di Samatorza furono riscoperti, in quella prima guerra della modernità, quali improvvisati ospedali: non a caso alcuni storici hanno confrontato le condizioni di vita dei soldati della Grande guerra a quelle degli uomini delle caverne. In quella drammatica primavera del 1915, caratterizzata tra l altro da moti e proteste, un numero consistente di cittadini del Regno d Italia abbandonò la città allora ancora austriaca. Sin dall estate del 1914 un certo numero di giovani e meno giovani triestini e giuliani affascinati dall irredentismo, avevano varcato il confine per arruolarsi volontariamente nelle file dell esercito italiano. Ciò aprì in diverse famiglie dolorose lacerazioni. Una consistente zona dell attuale Provincia di Trieste fu trasformata in un autentica fortezza naturale come il monte Hermada; contro di essa le truppe italiane furono reiteratamente e inutilmente mandate all assalto. Altri luoghi come San Giovanni di Duino, dove il Timavo rivede la luce terminando il suo corso in gran parte sotterraneo, assistettero a imprese sanguinose e compiute da soldati dell una e dell altra parte: migliaia di vite travolte dall uragano della prima guerra di massa della storia. Il territorio della Provincia di Trieste ospita numerosi resti di quei drammatici eventi: trincee, camminamenti, cavità naturali e artificiali segnano ancora il paesaggio carsico e costituiscono i muti testimoni di una guerra di posizione aspra e sanguinosa, combattuta in un terreno inospitale e per lo più privo di acqua. Moltissimi sono però anche i segni 6

9 della memoria della Grande guerra: ne sono testimonianza monumenti, cimiteri, lapidi, istituzioni museali, scuole e ricreatori dedicati a figure di volontari irredenti. Allo stesso tempo però quella memoria, della quale ben presto il fascismo si appropriò, escluse dal ricordo collettivo la realtà delle migliaia e migliaia di figli di questo territorio, italiani e sloveni, che avevano prestato servizio nelle file dell esercito o della marina asburgici, non di rado senza far ritorno dai fronti o dalle unità sui quali erano stati impiegati. L Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia, grazie alla collaborazione della Provincia di Trieste, in occasione del centenario dello scoppio della Grande guerra, ha così ritenuto di proporre alcuni dei molti possibili percorsi legati all irredentismo inteso come uno dei fattori che formarono parte dei giovani di questo territorio, inducendoli alla scelta del volontariato nelle file dell esercito italiano e al primo conflitto mondiale. L intento è quello di offrire a scolaresche, operatori del mondo dell informazione, turisti, appassionati e curiosi uno strumento per accostarsi a luoghi che spesso sfuggono all attenzione o che sono visti con occhi distratti o inconsapevoli. Monumenti, lapidi, cimiteri, caverne o trincee, pur nella loro diversità costituiscono invece altrettanti testimoni di un avvenimento che mutò per sempre le sorti di queste terre e della memoria che ne venne costruita: sono altrettanti luoghi della memoria e punti di sosta di un potenziale grande museo diffuso, capaci di parlare alla nostra intelligenza e alla nostra sensibilità. Luoghi e nomi che rimandano ad altrettante tragedie, passaggi emblematici del faticoso cammino della storia del ventesimo secolo al quale proprio la Grande guerra impresse una svolta decisiva. 7

10 Le Rive, monumento ai Bersaglieri e alle ragazze di Trieste

11 1. Le Rive di Fabio Todero Le rive, il tratto di strada compreso tra i moli del Porto nuovo (il Porto vecchio di oggi) e quello della Lanterna, sono state e continuano ad essere uno dei luoghi più frequentati dai triestini per le loro passeggiate. Lo spettacolo che se ne può ammirare è in effetti straordinario tanto nelle giornate invernali, rese limpide dalla bora, quando all orizzonte si staglia il profilo delle montagne, quanto d estate, quando vi si può apprezzare la frescura della brezza che spira dal mare. Splendidamente cantate da Scipio Slataper come luogo di lavoro e di amore, le rive furono allargate dalle autorità cittadine tra il 1906 e il 1919; a percorrerle era una linea ferroviaria ferroviaria che congiungeva i due porti cittadini. Pochi anni dopo queste innovazioni, esse furono involontarie testimoni di eventi che avrebbero cambiato per sempre il destino della città e di queste terre. Tutto ebbe inizio nella serata del 1 luglio 1914, quando in porto attraccò una piccola flotta di navi da battaglia dell imperial regia marina accompagnate da alcune altre unità. Vi era, tra quelle navi, la corazzata «Viribus Unitis», sulla quale giacevano le bare dell arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d Austria Ungheria, e della consorte Sofia Chotek, assassinati a Sarajevo il 28 di giugno. Con un rito macabro e lento, nella mattina del 2 luglio, da una maona vennero sbarcati i due sarcofaghi, successivamente issati sui catafalchi posti sul tratto delle rive antistante Piazza Grande oggi piazza Unità d Italia ; dopo la benedizione impartita alle salme dal vescovo di Trieste, monsignor Andrea 9

12 Karlin, un imponente corteo si mosse attraverso una città parata a lutto, tra una folla carica d ansia per un futuro che si presentava denso di ombre e che tale si sarebbe rivelato alla fine di quel mese drammatico. Infatti, allo scoppio della guerra, da Trieste come dalle altre località del Litorale austriaco e dell Impero, partirono in migliaia per combattere nelle file dell esercito austroungarico sul lontano fronte della Galizia e su quello dei Balcani. Con l ingresso nel confitto dell Italia, avvenuto nel maggio 1915, la guerra si avvicinò. Essa poteva essere ascoltata e vista dalle rive cittadine: sul golfo infatti si compivano le evoluzioni dell asso dell aviazione asburgica Goffredo de Banfield, «l aquila di Trieste», che a bordo del suo idrovolante duellava in aspri combattimenti con gli aerei italiani che spesso si affacciavano sulla città, recandovi talora la morte. A fare la sua comparsa nel cielo del golfo fu anche Gabriele D Annunzio, che il 22 agosto del 15 lasciò cadere sul capoluogo alcune bombe, bandierine tricolori e messaggi di propaganda patriottica. E la guerra che si svolgeva sul non lontano altipiano carsico, con i suoi bagliori e i suoni delle artiglierie che dalle rive potevano essere colti con nitidezza, divenne uno spettacolo tanto affascinante quanto terribile, perché foriero di morte e distruzione. Il 3 novembre 1918, finalmente, accolta da una grande folla esasperata da oltre quattro anni di guerra, vi giunse una squadriglia della marina militare italiana che, gettate le ancore al molo San Carlo il Molo Audace di oggi, nome del primo cacciatorpediniere che vi attraccò, vi sbarcò un reparto di bersaglieri e, soprattutto, il generale Carlo Petitti di Roreto che assunse il governatorato militare della Venezia Giulia. A ricordare questi ed altri avvenimenti sono oggi alcuni monumenti, a partire dalla rosa dei venti collocata sulla punta del molo, caratterizzata da un iscrizione opera di Silvio Benco. Sulla Scala reale della riva Caduti per l italianità di Trieste, si trova il 10

13 monumento dei «Bersaglieri e delle Ragazze di Trieste». Opera dello scultore todino Fiorenzo Bacci, il gruppo bronzeo raffigura tre ragazze triestine intente a cucire il tricolore che primo sarebbe sventolato dal campanile di San Giusto il 30 ottobre 1918; dalla Scala reale si staglia invece la figura di un bersagliere recante un tricolore. L opera è stata inaugurata in occasione del cinquantesimo anniversario del ritorno dell amministrazione italiana a Trieste, avvenuto il 26 ottobre 1954, quando le rive si riempirono di una folla festante per la conclusione del lungo e problematico secondo dopoguerra giuliano. Sul lato di piazza Unità che guarda al mare un tempo chiuso da un giardino vi sono invece i due pili di tradizione veneta, alti oltre 30 metri, inaugurati il 24 maggio 1933 alla presenza del duca d Aosta Amedeo di Savoia e delle più alte autorità cittadine, in occasione dell adunata nazionale degli Autieri. Il bozzetto della parte scultorea, che rappresenta 4 autieri, fu elaborato da Attilio Selva. Infine, proseguendo la passeggiata in direzione della Lanterna e della vecchia stazione di Campo Marzio, davanti alla Stazione Marittima, sulla quale una lapide ricorda lo sbarco dei bersaglieri, è stata collocata la statua in bronzo di Tristano Alberti che ricorda il marinaio capodistriano Nazario Sauro, volontario irredento giustiziato dagli austriaci a Pola il 10 agosto 1916 e inaugurata in occasione del 50 anniversario dell avvenimento. 11

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16 Il Palazzo della Prefettura

17 2. Il Palazzo della Prefettura di Diego Caltana La prefettura di Trieste fu costruita tra il 1901 e il 1905 come luogotenenza generale per il Land del Litorale austriaco sul sito della precedente luogotenenza teresiana, non più rispondente alle accresciute esigenze dell amministrazione e ai parametri tecnico-igienici del nuovo secolo. La luogotenenza doveva rappresentare direttamente l autorità degli Asburgo nel loro porto più importante, così come nella terza città più grande della parte austriaca della monarchia. Della progettazione dell edificio fu incaricato lo Hochbaudepartement (dipartimento di edilizia) del ministero degli Interni. Il progetto fu redatto dall architetto ministeriale Emil Artmann, sotto la supervisione dell influente Emil Förster, direttore del dipartimento. Artmann era noto per le sue competenze ingegneristiche, grazie alle quali riuscì a risolvere in maniera magistrale la delicata questione statica della fondazione dell edificio in un lotto lambito dal mare. I progettisti avevano a disposizione un lotto relativamente stretto, nonostante ciò furono realizzate tre corti interne, una principale e due secondarie. L ingresso e lo scalone d onore erano imperniati sulla corte principale, dove erano collocate anche le rimesse. Nel piano nobile trovavano posto i saloni di rappresentanza, tra cui la grande sala da ballo a doppia altezza, gli appartamenti del luogotenente e le stanze per la famiglia imperiale. Nel piano terreno, nel mezzanino e nel secondo piano erano ospitati gli uffici. Sopra il moderno tetto piano era addirittura previsto un giardino pensile a disposizione 15

18 del luogotenente. Elemento architettonico fortemente caratterizzante era ed è ancora oggi il doppio loggiato posto al centro della facciata principale, che - nelle intenzioni dei progettisti - doveva rispondere alla duplice necessità di proteggere la sala da ballo dal riverbero dei raggi solari e di offrire un palco al governatore in occasione di discorsi alla popolazione. La fastosità dell edificio era da attribuire alla sua funzione rappresentativa ma anche al prestigio e al rango del governatore (i tre ultimi luogotenenti conte Leopold Goëss, principe Konrad Hohenlohe-Schillingsfürst, barone Alfred Fries-Skene appartenevano alla nobiltà austriaca). Dell articolato apparato decorativo previsto dal progetto furono realizzati i mosaici, probabilmente influenzati dalla contemporanea riscoperta delle decorazioni musive esterne della basilica di Parenzo oltre che legati a un rinnovato interesse per l arte bizantina, e i due gruppi scultorei situati alle estremità della balaustra posta a coronamento del loggiato. I puttini nel loro delicato intreccio reggevano la Rudolfskrone (la corona adottata nel 1804 da Francesco I per la sua incoronazione a imperatore d Austria) e si presentano oggi monchi, poiché le corone furono rimosse, così come i mosaici furono ritoccati per cancellare i riferimenti asburgici all indomani del passaggio di Trieste all Italia. In quel periodo fu anche aggiunta una lapide, posta sulla facciata laterale prospiciente le Rive, con il testo del bollettino della vittoria redatto da Armando Diaz. L ex luogotenenza è un «testimone storico» particolarmente importante, essendo stato l unico tra gli edifici dell attuale Piazza Unità d Italia a subire delle modifiche; da questo punto di vista l attuale palazzo del governo può essere considerato paradigmatico dei cambiamenti occorsi successivamente alla Grande guerra a edifici, 16

19 simboli e monumenti riconducibili all Austria. Un operazione in realtà capillare di cui oggi è difficile farsi un idea. Nel corso del Novecento l attuale palazzo del governo ha ospitato i rappresentanti delle diverse realtà statuali cui Trieste si era trovata a essere parte. Dopo essere stato residenza degli ultimi tre luogotenenti austriaci, alla fine del 1918 l edificio aveva accolto il governatore militare della Venezia Giulia Carlo Petitti di Roreto e, dalla costituzione della provincia di Trieste nel 1922, la sede della prefettura. Nel periodo dell occupazione tedesca il palazzo aveva mantenuto la sua funzione di sede del prefetto, carica ricoperta dal collaborazionista Bruno Coceani. Tra le poche immagini note di quel periodo è rimasta famosa una cupa istantanea che riprende Coceani, il Gauleiter della Carinzia Friedrich Rainer e il loro seguito intenti a risalire lo scalone principale. Nel periodo del Governo militare alleato, dopo il settembre 1947, vi ebbe sede il Consiglio di zona finché nel 1954 l edificio ritornava a ospitare il prefetto, questa volta in rappresentanza della giovane repubblica italiana. Nelle immagini di grandi adunate che hanno riempito piazza Unità d Italia durante il Novecento il palazzo del governo è quasi sempre protagonista. Di particolare effetto le inquadrature fotografiche effettuate nel marzo 1921 quando Trieste diventava ufficialmente italiana, e del 26 ottobre 1954, giorno del ricongiungimento di Trieste all Italia dopo gli anni di amministrazione alleata: in quest ultima occasione la moltitudine straripante era assiepata anche lungo tutta la facciata della prefettura e, sfruttando bugnato, inferriate e davanzali delle finestre del piano terreno, persone si ergevano anche al di sopra del resto della folla. 17

20 3. Il Colle di San Giusto di Fabio Todero Il Colle di San Giusto il nome del Santo patrono di Trieste è senza dubbio il simbolo per antonomasia della comunità e della storia cittadina: sulle sue pendici era cresciuta la città romana vi sorgevano la basilica e il foro e intorno ad esso si abbarbicava la città medievale. Qui i triestini eressero la propria cattedrale e qui venne costruito il solido quattrocentesco castello, simbolo del potere asburgico. Assurto a simbolo della città «irredenta» nella propaganda interventista e poi bellica, dalla torre campanaria della cattedrale di San Giusto il 30 ottobre 1918 sventolò un tricolore che, al suono delle campane risparmiate dalle requisizioni, celebrava la fine della lunga e gloriosa storia del governo asburgico della città. Il 4 novembre, un giorno dopo l arrivo delle truppe italiane, su un altare eretto sul sagrato della cattedrale si svolse una solenne cerimonia di consacrazione delle armi, mentre nella torre campanaria fu dispiegato un altro tricolore, cucito segretamente da alcune donne triestine. Nei travagliato periodo dell immediato dopoguerra il Colle fu il teatro di diverse cerimonie militari di commemorazione e di conferimenti di onorificenze ma anche luogo di dolore: negli ambienti angusti e malsani del castello furono infatti rinchiusi i soldati austriaci di rientro dal fronte, da caserme e depositi dell esercito austroungarico dopo la catastrofe finale delle armate imperiali; tra loro vi erano numerosi soldati giuliani, per un centinaio dei quali la prigionia si protrasse fino al 1920, mentre già si presentava il problema degli ex prigionieri adriatici in Russia di ritorno in patria dopo lunghe peripezie. Il Colle andava intanto trasformandosi nel luogo per eccellenza della 18

21 memoria cittadina della Grande guerra. Il 24 maggio 1921 vi fu celebrato il rito dell infiorata l avvenimento fu immortalato dal pittore Ugo Flumiani in memoria dei caduti sul Carso: sulla colonna che reca sulla sommità il cosiddetto «melone», simbolo della città, fu depositata una tale quantità di fiori da formare un autentica piramide floreale. Un anno dopo, a perenne memoria, veniva affissa sulla facciata del campanile antistante il piazzale una lapide con il testo del Bollettino della Vittoria firmato dal generale Armando Diaz. Nel maggio di quell anno un nuovo avvenimento consacrava il legame tra San Giusto e la memoria del conflitto: sul Colle fu recata la bara contenente le spoglie di Enrico Toti, accompagnata da un corteo che le cronache dell epoca definirono «interminabile». Riesumata dal cimitero di Monfalcone e destinata alla sepoltura a Roma, la salma fu vegliata in Cattedrale da drappelli di bersaglieri, combattenti e giovani cattolici; lo stesso Toti, secondo la testimonianza del padre, aveva vagheggiato di poter raggiungere il colle dopo il congiungimento all Italia di Trieste. Il 24 maggio 1925 un nuovo imponente corteo, caratterizzato dalla presenza di manipoli della Milizia fascista, raggiungeva il Colle per inaugurarvi il Parco della rimembranza, rendendo omaggio innanzitutto all albero dedicato a Guglielmo Oberdan. Sorti in tutta la penisola su idea di Dario Lupi, sottosegretario alla Pubblica Istruzione, ai Parchi della rimembranza e agli alberi che vi sarebbero stati piantati era stata affidata la memoria dei caduti della Grande guerra. Quello di Trieste è oggi ripartito in campi numerati dall 1 al 26, che ospitano lapidi e pietre carsiche sulle quali sono scolpiti i nomi dei caduti. I campi dedicati alla Prima guerra mondiale sono quelli numerati dal 16 al 25. In quello stesso 1925 lo scultore Attilio Selva ( ), volontario di guerra e quindi uno dei fondatori del fascio di Trieste, presentava alle autorità comunali il bozzetto di un monumento ai caduti della Grande guerra per la cui collocazione fu scelto due anni dopo inizialmente si era pensato 19

22 al cimitero di Sant Anna proprio il Colle di San Giusto. Iniziarono così imponenti lavori di risistemazione dell area, dichiarata zona archeologica dopo l annessione all Italia, che portarono intanto all apertura della via Capitolina, unico accesso automobilistico al sito. Il 3 novembre 1929, il Duca d Aosta inaugurò l Ara della III armata da lui comandata durante la Grande guerra, opera dell architetto Carlo Polli ( ). La mole quadrangolare dell Ara sorge su un piedistallo di pietra grigia e sui suoi riquadri di pietra bianca sono riprodotte due panoplie, di chiara impronta neoclassica, fatte di mitragliatrici e di fucili che stilizzano «le armi dei moderni eserciti», insieme a due scudi. Sui quattro lati del monumento è riprodotta la seguente epigrafe: «La vittoriose armi qui consacrò la III Armata al comando di Emanuele Filiberto di Savoia». Alcuni semplici tratti forniscono sommarie indicazioni sui campi di battaglia dall Isonzo al Piave dove l unità era stata impegnata agli ordini di Emanuele Filiberto di Savoia. Finalmente, il 1 settembre 1935, alla presenza del re d Italia Vittorio Emanuele III e di diversi esponenti del fascismo, tra i quali Giuseppe Cobolli Gigli Costanzo ciano, Luigi Federzoni e Carlo Delcroix, grande mutilato di guerra, fu inaugurato l imponente monumento ai caduti della Grande guerra di Attilio Selva. Esso rappresenta tre guerrieri che sostengono un loro compagno caduto, protetti da una quarta figura; alte più di cinque metri, le statue, dalle forme classicheggianti, si erigono su di un basamento in pietra bianca d Istria, progettata dall architetto Enrico Del Nebbio, autore tra l altro del Foro Italico a Roma. A poca distanza l una dall altra, ma ben diverse nella mole, vanno ricordate ancora due lapidi affisse ai bastioni del Castello; la prima è dedicata ai volontari irredenti caduti, che era andata parzialmente distrutta durante il bombardamento alleato del 10 giugno 1944; l altra, di ben più modeste dimensioni, collocata il 12 maggio 1996, ricorda invece i caduti triestini nelle file dell esercito austroungarico durante la Prima guerra mondiale. La lapide, caratterizzata dallo stemma della Mitteleuropa e 20

23 dalla croce di ferro germanica, e sulla quale campeggia il motto imperiale «Viribus Unitis», reca un testo «Ai caduti triestini guerra » davvero troppo laconico per onorare quanti, partiti da questa città e da queste terre, perdettero la loro vita combattendo nelle file dell esercito austroungarico. Allo stesso tempo, tuttavia, questa piccola targa ne costituisce a tutt oggi l unico ricordo. Colle di San Giusto, monumento ai caduti 21

24 4. Il Civico Museo del Risorgimento e il Sacrario Oberdan di Fabio Todero CIVICO MUSEO DEL RISORGIMENTO Il nucleo originario del Civico Museo del Risorgimento è costituito dalle raccolte che il patriota e letterato Filippo Zamboni (Trieste, 1826-Vienna, 1910), già volontario del 1848, donò al Comune di Trieste. Ne nacque, nel 1910, un primo Museo cittadino di Storia Patria collocato in Villa Basevi le cui sale, allestite alla meglio nel 1911, venivano aperte occasionalmente alle visite di scolaresche, nel quadro di una formazione in chiave italiana delle giovani generazioni. Dopo la chiusura dell istituto durante il periodo bellico, esso fu solennemente riaperto nella sua vecchia sede l 11 aprile 1922, in occasione dello svolgimento a Trieste del X Congresso della Società nazionale per la storia del risorgimento, con la nuova denominazione Museo di Storia Patria e del Risorgimento; la consegna ufficiale del sito al primo cittadino di Trieste avvenne il 20 dicembre 1925, quando si celebrava il 43 anniversario del sacrificio di Guglielmo Oberdan. Una volta realizzata la Casa del Combattente, opera dell architetto triestino Umberto Nordio, sorta in quello che avrebbe dovuto essere il cuore della Trieste fascista, le collezioni del Museo di Storia Patria venivano destinate ad un altra sede ed il Museo del Risorgimento iniziò la sua vita autonoma il 29 aprile 1934 sotto la direzione di Piero Sticotti. Intanto, le numerose donazioni provenienti dalla famiglie dei volontari irredenti andavano arricchendo l esposizione. La sala principale del Museo infatti, una volta 22

25 soffermatisi sui cimeli di Guglielmo Oberdan e visitati gli spazi dedicati al 1848 triestino e ai garibaldini giuliani delle campagne risorgimentali e balcaniche, caratterizzate tra l altro come le altre dalla presenza di alcune pregevoli opere pittoriche, è consacrata alla memoria del volontariato della Grande guerra. Analogamente a quanto andava accadendo nelle omologhe istituzioni museali italiane, il termine ad quem del Risorgimento era infatti prolungato alla fine della Grande guerra, il conflitto che aveva portato a compimento il processo di unificazione nazionale. Il salone dei volontari è dominato dai grandi affreschi di Carlo Sbisà ( ) che raffigurano figure di soldati delle diverse armi, e più piccole figure femminili rappresentanti le città redente e l irredenta Zara. Al centro e lungo le pareti, in vetrine realizzate dallo stesso architetto Nordio, cimeli, ricordi, ordigni bellici, buffetterie e uniformi ricordano alcuni dei personaggi che avevano animato il movimento dei volontari giuliano-dalmati: tra gli altri, vi fanno spicco i nomi di Ruggero Timeus e di Scipio Slataper, tra i protagonisti della vita culturale e politica del primo Novecento. Come già nelle sale dedicate all esperienza garibaldina, gli oggetti e le immagini dei personaggi che vi sono ricordati si ponevano come altrettante immaginette sacre e reliquie del culto laico della patria, già alimentato dall irredentismo e successivamente esaltato dal fascismo che della Prima guerra mondiale aveva fatto il perno della propria mitologia. Superata la sala dei volontari, si raggiunge quella dedicata alle medaglie d oro; vi sono ricordati quanti tra essi furono decorati con la massima onorificenza militare: Ugo Polonio, uno dei più giovani tra i volontari, Carlo e Giani Stuparich, promessa l uno e protagonista il secondo della vita culturale italiana, Giacomo Venezian, Spiro Xydias, Guido Brunner, Ugo Pizzarello, Fabio Filzi e Nazario Sauro entrambi catturati e giustiziati dagli austriaci, Guido Corsi, Guido Slataper fratello di Scipio, Francesco Rismondo. L ul- 23

26 tima sala, caratterizzata tra l altro da un grande bronzo che ritrae il re Vittorio Emanuele III vi è collocata anche la bandiera del cacciatorpediniere «Audace», che primo toccò il Molo San Carlo oggi appunto Molo Audace celebra la fine del conflitto e l arrivo via mare delle truppe italiane. Vi sono infine brevemente ricordati gli avvenimenti che condussero al ritorno della città all amministrazione italiana (1954). Alcuni ritocchi, apportati nel 2012, hanno reso più accattivante la visita alle sale del Museo. SACRARIO OBERDAN Celebrata nelle sale del Museo con due bacheche che ne conservano cimeli e ricordi, la memoria di Guglielmo Oberdan giovane irredentista che aveva progettato un attentato alla coppia imperiale e per questo fu condannato al capestro è al centro del Sacrario. La struttura, realizzata tra il 1931 e il 1935, sorge all esterno della Casa del combattente, nel luogo in cui egli fu giustiziato il 20 dicembre Il sito custodisce infatti l anticella e la cella decorate all esterno dai simboli delle città italiane che concorsero alla realizzazione dell opera nelle quali il giovane irredentista triestino fu rinchiuso dopo la traduzione dal Carcere dei Gesuiti fino al giorno dell esecuzione; sono i soli resti di quella che era stata la Caserma grande della città di Trieste, abbattuta dal fascismo per fare spazio alla piazza dedicata a Oberdan, nel quadro di un più complesso quadro di risistemazione dell area urbana che aveva condotto, tra l altro, alla demolizione di una gran parte del ghetto ebraico. Lo spazio del Sacrario è dominato dalla statua bronzea del Martire, opera di Attilio Selva ( ), che venne qui collocata dopo interminabili polemiche; la possente figura di nudo che lo ritrae è attorniata da due immagini femminili che rappresentano la Patria e la Libertà. Una lapide ri- 24

27 porta il testo della lettera indirizzata da Oberdan «Ai fratelli italiani»; sulle altre pareti, altre grandi lapidi con i nomi dei volontari giuliano-dalmati delle guerre del Risorgimento, il bollettino della Vittoria di Diaz e quello di Thaon di Ravel, ma anche opere che, denunciando il periodo della realizzazione del Sacrario, ricordano i caduti per la rivoluzione fascista, della Guerra di Spagna e in Africa orientale. Per successivo intervento, a denunciare la complessità del sito, vi sono ricordati anche i caduti della Resistenza. Museo del Risorgimento e Sacrario Oberdan: ingresso alla cella di Oberdan 25

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