Claudio Castello. I PRIMI ETRUSCHI SUL MARE A mio nonno

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3 Claudio Castello I PRIMI ETRUSCHI SUL MARE A mio nonno La potenza degli Etruschi prima del dominio di Roma era assai estesa, per terra e per mare. I nomi attribuiti al mare superiore e al mare inferiore che circondano l Italia come un isola possono costituirne una prova, per quel che può valere. I popoli d Italia chiamano infatti un mare Etrusco, dalla comune denominazione di quel popolo, l altro Adriatico, da Adria, colonia degli Etruschi; i Greci li chiamarono Tirreno e Adriatico (Livio, Storie 33, 7-8). Il passo di Tito Livio, come il resto della storiografia antica, attribuisce al popolo etrusco il ruolo di dominio sui mari dell Italia preromana; lo stesso autore sottolinea, successivamente, come gli Etruschi fossero già conosciuti anche per mare quando Enea sbarcò in Italia, rimandando così a tempi mitici la potenza sui mari di questo popolo. Nell Inno omerico A Dioniso, risalente alle seconda metà del VI secolo a.c., gli Etruschi vengono definiti pirati per la prima volta: il racconto narra appunto di pirati Tirreni che rapirono Dioniso fanciullo, e, non avendolo riconosciuto, lo legarono a bordo; le corde, però, si sciolsero dai polsi del dio e lungo l albero maestro si innestò una pianta di vite dalla quale iniziò a fuoriuscire vino, mentre Dioniso, mutatosi in leone, spaventò i Tirreni che si gettarono in mare trasformandosi come punizione in delfini. Il mito viene raffigurato nella ceramografia a partire dalla metà del VI secolo a.c., ad esempio nella bella kylix di Exechias (540 a.c.) dove è raffigurato Dioniso all interno della nave circondata dai delfini (Fig.24). Le fonti greche, più generose nelle informazioni, discordano però sul dominio marittimo etrusco, riportando fatti contemporanei ai singoli autori o ripresi dalla storiografia precedente. Dalla lettura dei passi greci si deduce che gli Etruschi sono percepiti come un popolo dedito alla pirateria o comunque alla guerra di corsa, condotta nel tratto di mare tra l Elba, la Corsica e lo stretto di Messina. Le azioni compiute portano gli Etruschi a un vero e proprio predominio sul Tirreno tanto che Dionigi di Alicarnasso, storico greco del I secolo a.c., li definisce, nella sua Archeologia romana, thalassokràtores cioè dominatori dei mari. Ulteriori informazioni sulle azioni di pirateria etrusche le traiamo da un passo di Strabone, il quale scrive: Eforo dice che le città greche [Nasso e Megara] furono fondate per prime in Sicilia dieci generazioni dopo la guerra di Troia. In precedenza i Greci temevano le scorrerie dei Tirreni e la crudeltà degli indigeni, sicchè non vi navigavano nemmeno a scopo di commercio.

4 Il passo rende noto quanto fossero temuti i Tirreni-Etruschi dagli Elleni i quali sembrano, secondo Eforo, inizialmente rinunciare ai commerci e alla colonizzazione delle aree occidentali. L accezione negativa della pirateria va comunque ridimensionata per il periodo compreso tra IX e VIII secolo a.c. In epoca villanoviana tale pratica va infatti considerata come una risorsa economica: talvolta poteva trattarsi di veri e propri attacchi a mercantili stranieri, mentre in altri casi si ipotizza che fosse una sorta di blocco navale per ottenere dazi dalle imbarcazioni straniere. L idea di una pirateria considerata come positiva si ha ad esempio in Tucidide, autore greco del V secolo a.c., il quale fa diretto riferimento ai poemi omerici: nell Odissea, il cui sfondo socio-economico è riferibile all VIII secolo a.c., in un ambito ancora preurbano, sono i principi stessi che, proprietari di navi, praticano il commercio o la pirateria a seconda dei bisogni. Quindi, proiettata nelle epoche più antiche, la pirateria assume un ruolo positivo, in quanto connessa al prestigio di aristocratici armatori di navi (Cristofani 1983). Per il popolo etrusco la connotazione di pirati prende piede soprattutto a partire dal IV secolo a.c.; ma, come abbiamo osservato, sono gli autori antichi a spostare indietro nel tempo l immagine degli Etruschi come agguerriti pirati, facendola risalire all inizio dell età del Ferro. Dalla fine dell età del Bronzo (XII-X sec. a.c.) attestazioni archeologiche riferiscono di contatti, probabilmente non del tutto occasionali, avvenuti con popolazioni straniere; sporadiche ceramiche tardo-micenee sono state infatti rinvenute nel villaggi di Luni sul Mignone, di Monte Rovello e di Vaccina presso Cerveteri. È a partire dal IX secolo a.c., però, che per l Etruria il contatto con il mare diviene più intenso in quanto le comunità, prima sparse sul territorio, cominciano a riunirsi in centri protourbani su pianori tufacei naturalmente difesi e a ridosso della fascia costiera (Cerveteri, Tarquinia, Vulci, Vetulonia, Populonia). La scelta è legata a due fattori principali: la ricerca di spazi agricoli più ampi per una maggiore produzione e il contatto con il mare, visto come spazio privilegiato per la comunicazione. All inizio della storia etrusca i partners privilegiati sono la Corsica e, in modo particolare, la Sardegna. A testimoniare gli scambi tra l Etruria e l isola sono i ritrovamenti relativi a oggetti di produzione nuragica nelle varie zone dell Etruria (pugnali dall Elba, Vetulonia e Populonia; bottoni in bronzo da Tarquinia; bronzetto figurato di sacerdote, elemento di sonaglio, cesto miniaturistico in bronzo in una tomba femminile di Vulci) e di oggetti, come fibule, asce e rasoi di produzione etrusca (in particolare Populonia e Vetulonia), ritrovati in Sardegna. Oggetti di produzione nuragica di particolare rilievo sono le lucerne in bronzo a forma di navicelle, rinvenute in contesti perlopiù funerari databili tra l VIII e il VI secolo a.c. In Sardegna questi manufatti si trovano invece in contesti più antichi. La differenza cronologica tra contesto insulare e peninsulare è stata risolta da alcuni studiosi con l attribuzione delle barchette sarde a un fenomeno

5 di tesaurizzazione, e in seguito al loro trasferimento in Etruria come oggetto di dono, in quanto bene familiare prezioso (Depalmas 2000). L accentramento della popolazione sui grandi pianori dell Etruria costiera porta anche a un nuovo e complesso sfruttamento del territorio: si iniziano a produrre eccedenze agricole e artigianali che vengono immesse sul mercato. Legato a questo nuovo sfruttamento del territorio, e propulsore del fiorire dell attività marittima, è lo sfruttamento dei giacimenti minerari. Tarquinia, ad esempio, all inizio dell età del Ferro è una delle città più fiorenti: la sua ricchezza e potenza sembrano fondarsi, tra le altre cose, sul controllo dei monti della Tolfa, comprensorio ricco di piombo, rame, zinco e ferro. Inoltre, vista la sua posizione centrale, si ipotizza facesse da tramite per lo smercio e lo scambio di materiali tra i centri settentrionali come Populonia e Vetulonia e le popolazioni greche stanziate nel sud Italia; contrariamente a quanto accade ai Greci, i quali sembrano subire una sorta di blocco navale da parte dei primi Etruschi, i Fenici, forse pagando un dazio, avevano possibilità di accedere direttamente alle coste tirreniche dell Etruria. L importanza della navigazione nel periodo villanoviano (IX-VIII sec. a.c.) è sottolineata dalla presenza nei corredi funebri di personaggi di rango elevato, attestati per lo più nel territorio di Tarquinia, di modellini di barchette di impasto (Figg ); questi oggetti, nei dettagli, richiamano probabilmente imbarcazioni usate all epoca. Come per i modellini sardi, anche le barchette fittili villanoviane, utilizzate soprattutto come presentatoi di offerte o bruciaprofumi, riprendono però solo alcuni degli elementi significativi delle navi (come la protome ornitomorfa della prua), fornendo poche indicazioni utili alla comprensione delle tecniche e delle tipologie delle navi tirreniche dell inizio del primo millennio a.c. (Iaia 2002; Mandolesi-Castello cds). Scarse da questo punto di vista sono anche le fonti antiche che contribuiscono a chiarire aspetti ed eventuali evoluzioni della cantieristica navale preromana; solo le raffigurazioni di imbarcazioni presenti sulla ceramografia di epoca orientalizzante e arcaica ci vengono in aiuto, ma di questo tratteremo poco più avanti. Tornando ai modellini villanoviani, il loro utilizzo e la loro forma hanno portato alcuni studiosi a riconoscere in essi il richiamo allusivo del passaggio del defunto dalla terra al mondo ultraterreno. Tesi plausibile ma non unica. Uno di questi modellini (Fig. 27 a-b), proveniente da un importante necropoli di Tarquinia (Poggio dell Impiccato), testimonia, con i suoi accentuati dettagli tecnici, che non si trattava di un semplice oggetto rituale ma di un manufatto che evocava la qualifica in vita del defunto, un individuo eminente della società locale che, oltre ad essere armato, si era impegnato nella navigazione e verosimilmente nei commerci marittimi (Mandolesi-Castello cds). Questo straordinario modellino sopperisce, in parte, alla mancanza di resti archeologici navali per l età del Ferro. Infatti, i pochi ritrovamenti riconducibili a navi etrusche si riferiscono perlopiù a imbarcazioni di VI-V secolo a.c.

6 Il modellino di Tarquinia propone un imbarcazione che doveva essere nel complesso snella con lo scafo arcuato solo nella parte centrale, probabilmente per contenere le merci: erano navi adibite al trasporto ma allo stesso tempo rapide nei movimenti, forse per una migliore difesa o per poterne facilitare le manovre durante le operazioni di pirateria di cui tanto ci parlano le fonti antiche. La forma complessiva della navicella tarquiniese sembrerebbe quindi attestare un compromesso fra il tipo snello militare e quello tondeggiante commerciale, determinato dal doppio uso che ne veniva fatto. Il fondo delle navi villanoviane doveva essere tondeggiante e carenato; la tecnica usata per la costruzione era quella mista, a guscio e a scheletro (Höckmann 1988). A conferma di questa ipotesi giunge in soccorso la presenza, nel modellino da Poggio dell Impiccato, della costolatura interna; le coste erano applicate per assemblare in modo migliore il resto del fasciame e per irrobustirne la struttura, in modo che potesse sopportare maggiormente i carichi e le continue sollecitazioni subite in mare. Il tipo di legname adoperato nella cantieristica lo deduciamo dalle fonti, che ci parlano di pino, abete, faggio e quercia. Teofrasto (Storie delle piante, IV-III sec. a.c.) ci dice che vi erano faggi che, lunghi una trentina di metri, formavano da soli la chiglia. Si tratta di una utile indicazione sulle dimensioni reali di queste navi. Sulle imbarcazioni è inoltre attestata la presenza del doppio cassero (ponte sopraelevato): un dettaglio che ritroviamo nella nave graffita su di un vaso di Veio della prima metà del VII secolo a.c. (Fig. 28). A prua, il cassero era utilizzato per l avvistamento di banchi di pesce e per controllare la navigazione. Elemento da sottolineare, sia nelle raffigurazioni che nel modellino, è la presenza di un tagliamare molto pronunciato, utile sicuramente ad aumentare la dinamicità e la velocità della nave ma anche, con gli opportuni rinforzi metallici, alla difesa del mezzo in funzione di rostro. Plinio il Vecchio (I sec. d.c.) ricorda che fu proprio un etrusco ad aggiungere uno sperone agli scafi per colpire le navi nemiche. In questo periodo la navigazione avveniva per lo più di giorno e si teneva sempre il litorale in vista, come linea guida. Nelle epoche più antiche si procedeva per tappe, fermandosi presso i vari scali costieri che utilizzavano per l approdo tratti naturali del paesaggio, oppure ingegneristici apprestamenti in legno e pietra; probabilmente solo a partire dall inoltrato VII secolo a.c. si inizieranno a costruire le prime strutture portuali in muratura. Quando si sostava le navi venivano tirate a riva, probabilmente facendo uso della prua a protome ornitomorfa. Se prendiamo in esame l attraversamento del Tirreno, per giungere sulle coste sarde si utilizzava l isola d Elba come testa di ponte verso la Corsica, da qui si discendeva lungo il litorale orientale fino ad approdare sulla costa nord-orientale sarda; è da segnalare, a tal proposito, che la maggior parte degli oggetti nuragici ritrovati sulla penisola sembrerebbero far capo a botteghe della costa nord-orientale della

7 Sardegna. Oltre a mantenere in vista le coste era opportuna un ottima conoscenza delle correnti marine che permettevano di muoversi lungo il Tirreno, dalla Sicilia alle coste meridionali della Francia. Corrente che nel Tirreno procede in senso antiorario. Quindi l itinerario sopra descritto vale per il tragitto dalle coste tirreniche alla Sardegna; per il ritorno è probabile ipotizzare che si seguisse a largo la corrente con il suo senso antiorario che avrebbe poi portato le navi nuovamente in vista delle coste etrusche (Figg ). Per muovere le imbarcazioni si utilizzavano i remi e la vela. Ancora lo storico Livio ci informa che la vela era di lino, unica e di forma rettangolare, fissata all albero principale e con il cordame ai due casseri. Movimenti e direzioni dell imbarcazione erano dettate dal timoniere, se previsto, oppure dalla presenza di un pilota (il kubernètes dei Greci), altamente specializzato nelle tecniche di navigazione. A supporto di questa descrizione viene la ceramografia etrusca che risale a un momento più avanzato, il VII secolo a.c. Il noto vaso di Aristonothos del 650 a.c. circa (Fig. 31 a- b), ci mostra una nave etrusca con parte del suo equipaggio. Su questo grande cratere da vino viene raffigurato uno scontro tra due navi, quella di sinistra greca, quella di destra etrusca: la prima è una nave da guerra, scafo piatto, alta poppa e prua allungata, fornita di sperone e di occhio apotropaico; la seconda invece riproduce un probabile tipo mercantile, a vela, con scafo maggiormente profondo e ricurvo, alta prua con sperone aguzzo e a poppa un doppio timone, ma comunque alquanto snella nella forma e con un albero posto al centro dello scafo. Un elemento da notare è la differente rappresentazione dell equipaggio presente sulle due navi: su quella greca vi è una netta distinzione tra chi è addetto alla voga, ben cinque rematori, e chi invece, disposto sul ponte di coperta si prepara allo scontro; su quella etrusca l equipaggio viene rappresentato nella sua totalità sul ponte di coperta, già pronto allo scontro, mentre l unico uomo che non si trova sul ponte è rappresentato nella coffa (piattaforma posta nella parte alta dell alberatura), addetto al controllo del mare, ma anche lui pronto al conflitto, visto che porta con sé lo scudo (Martelli 2000). Questa rappresentazione sembra indicare che sulle navi etrusche non vi fosse una distinzione netta nelle mansioni del personale, ma che l equipaggio di bordo fosse pronto ad ogni esigenza. L immagine presente sul vaso va ricondotta anche alle epoche precedenti. Il modellino d imbarcazione da Poggio dell Impiccato di Tarquinia, in base a una stima preliminare, poteva ospitare, nella versione reale, un equipaggio di circa venti unità, probabilmente ai comandi di un armatore che derivava i suoi proventi dalle attività in mare e doveva mantenere un numeroso equipaggio (Mandolesi- Castello cds). Gli Etruschi non erano solo pirati o commercianti, ma anche abili pescatori. Tale caratteristica viene, ancora una volta, sottolineata dagli autori classici: Strabone (Geografia, V 2,6) ci parla della presenza di diversi thunnoskopeia (luoghi in cui si osservava l arrivo dei banchi di tonni) sia a

8 Populonia che sul monte Argentario. A questa attività allude anche il piatto ceretano dal centro laziale di Acqua Acetosa Laurentina (della metà circa del VII sec. a.c.: Fig. 32). Su di esso è rappresentata un imbarcazione con scafo ricurvo, prua appuntita e poppa revoluta (Martelli 2000). La nave, da cui spuntano nove remi, è dotata di un unico albero con vela rettangolare, posto al centro dello scafo e con un uccello al vertice, presenza quest ultima che sembra richiamare l utilizzo di volatili nella navigazione per individuare la terraferma. Di fronte alla nave è un grosso pesce arpionato dall uomo munito di fiocina situato a prua. L imbarcazione proposta è affine ad un altra rappresentata su di una brocca di produzione tarquiniese (Fig. 33); in questa raffigurazione vengono dipinti ben dieci remi, segno che si tratta di un imbarcazione di notevoli dimensioni. Il decoratore rappresenta anche il fasciame della nave, il doppio timone e il doppio cassero; quello di prua è molto evidenziato a sottolinearne l utilizzo fatto anche nella pesca. La nave è accompagnata da tre pesci. Un altra brocca tarquiniese attribuita al pittore delle Palme (Fig. 34), attivo a Tarquinia nella prima metà del VII secolo a.c., restituisce l immagine di cinque navi in fila munite di sperone. Anche qui troviamo il ponte di coperta e un albero con vela rettangolare (Martelli 2000); si nota però una differenza per una nave, rappresentata dall ispessimento dello scafo rispetto alle altre che sono molto snelle nella forma, quasi a richiamare il tipo militare. Interessante, per ricostruire la forma ideale di una delle prime imbarcazioni etrusche, pare essere la rappresentazione graffita sul vaso veiente di VII secolo a.c. precedentemente citato (Fig. 28). Si tratta di una nave di forma allungata, fornita di doppio timone, albero con vela rettangolare e cordame di fissaggio ai casseri di prua e poppa, protome ornitomorfa e rostro ben pronunciato. Anche questa rappresentazione sembra richiamare una nave abbastanza veloce per via della sua forma snella, adibita anche alla pesca, vista la presenza di un pesce che sembra essere catturato con una fiocina. Le fonti antiche, i modellini d impasto villanoviani e le rappresentazioni sui vasi orientalizzanti (Fig. 35) indicano complessivamente come la navigazione all inizio del primo millennio a.c. assuma una notevole importanza nell ambito delle comunità protourbane dell Etruria. Dal X-IX secolo a.c., personaggi eminenti intraprendono intense attività commerciali armando navi e allestendo equipaggi. Grazie ai loro traffici, si esporteranno a largo raggio nuovi prodotti, nuove tecniche, nuove ideologie. Nonostante la mancanza di fonti dirette o di attestazioni archeologiche, dobbiamo immaginare che dal X secolo a.c. le conoscenze e le tecniche in fatto di cantieristica navale fossero già molto avanzate nella società villanoviana, frutto delle proprie esperienze e dei contatti con altre avanzate marinerie levantine. Tutto ciò porterà alla definizione di navi autoctone e funzionali sia alle richieste della comunità che alle caratteristiche della costiera tirrenica, tanto da riuscire a competere sul mare con i navigli di popolazioni provenienti dal Mediterraneo orientale.

9 Bibliografia M. Cristofani, Gli Etruschi del mare, Milano A. Depalmas, Imbarcazioni, rotte e traffici nella Sardegna di età nuragica, Preistoria e Protostoria in Etruria, IV Incontro di studi, 2000, pp O. Höckmann, La navigazione nel mondo antico, Milano C. Iaia, Oggetti di uso rituale nelle sepolture villanoviane di Tarquinia, Preistoria e Protostoria in Etruria, V Incontro di studi, 2002, pp A. Mandolesi-C. Castello, Modellini di imbarcazioni tirrenico-villanoviane da Tarquinia, Mediterranea, in corso di stampa. M. Martelli, La ceramica degli Etruschi, Novara G. Pettena, Gli etruschi e il mare, Torino Didascalie Fig Kylix di Exechias con la rappresentazione del mito di Dioniso (540 a.c.), Museo di Monaco di Baviera Fig Modellini fittili di navi da tombe tarquiniesi di età villanoviana (da Cataldi) Fig. 26 Disegni di navicelle d impasto villanoviane (da Iaia) Fig. 27 a/b - Modellino fittile villanoviano da Poggio dell Impiccato (da Mandolesi-Castello), Museo Nazionale di Tarquinia Fig Nave graffita su vaso veiente della prima metà del VII sec. a.c. (da Cristofani). Fig Rotte marittime dell età del Ferro (da Gli Etruschi e l Europa) Fig Foto aerea della Saline di Tarquinia, dove è localizzato il più vasto scalo marittimo villanoviano dell Etruria Fig. 31 a/b - Battaglia navale dal cratere di Aristonothos, a.c. (da Cristofani) Fig Piatto con scena di pesca da Acqua Acetosa Laurentina, a.c. (da Pettena) Fig Nave etrusca dipinta su brocca, Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia Fig Brocca di produzione tarquiniese (pittore delle Palme) con rappresentazioni di navi, dopo il 700 a.c. (da Cristofani) Fig Vaso ceretano degli inizi del VI sec. a.c. con scena di battaglia, Museo del Louvre di Parigi

10 Fig Kylix di Exechias con la rappresentazione del mito di Dioniso (540 a.c.), Museo di Monaco di Baviera. Fig Modellini fittili di navi da tombe tarquiniesi di età villanoviana (da Cataldi)

11 Fig. 26 Disegni di navicelle d impasto villanoviane (da Iaia) Fig. 27 a/b - Modellino fittile villanoviano da Poggio dell Impiccato (da Mandolesi-Castello), Museo Nazionale di Tarquinia

12 Fig Nave graffita su vaso veiente della prima metà del VII sec. a.c. (da Cristofani). Fig Rotte marittime dell età del Ferro (da Gli Etruschi e l Europa)

13 Fig Foto aerea della Saline di Tarquinia, dove è localizzato il più vasto scalo marittimo villanoviano dell Etruria Fig. 31 a/b - Battaglia navale dal cratere di Aristonothos, a.c. (da Cristofani)

14 Fig Piatto con scena di pesca da Acqua Acetosa Laurentina, a.c. (da Pettena) Fig Nave etrusca dipinta su brocca, Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia Fig Brocca di produzione tarquiniese (pittore delle Palme) con rappresentazioni di navi, dopo il 700 a.c. (da Cristofani)

15 Fig Vaso ceretano degli inizi del VI sec. a.c. con scena di battaglia, Museo del Louvre di Parigi

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