I L G I O R N A L E B I B L I O T E C A S T O R I C A

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1 I L G I O R N A L E B I B L I O T E C A S T O R I C A

2 Renzo De Felice MUSSOLINI L ALLEATO 1. L Italia in guerra Tomo secondo. Crisi e agonia del regime 1990 e 1996 Giulio Einaudi editore S.p.A., Torino 2015, edizione speciale per Il Giornale Pubblicato su licenza di Giulio Einaudi editore S.p.A., Torino Supplemento al numero odierno de Il Giornale Direttore Responsabile: Alessandro Sallusti Reg. Trib. Milano n.215 del Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo volume potrà essere pubblicata, riprodotta, archiviata su supporto elettronico, né trasmessa con alcuna forma o alcun mezzo meccanico o elettronico, né fotocopiata o registrata, o in altro modo divulgata, senza il permesso scritto della casa editrice.

3 Tomo secondo Crisi e agonia del regime Presentazione di Francesco Perfetti I L G I O R N A L E B I B L I O T E C A S T O R I C A

4 Presentazione Questo settimo tomo della grande opera di Renzo De Felice su Mussolini e sul fascismo, intitolato Crisi e agonia del regime e dedicato al periodo bellico, è uno dei volumi più importanti della serie perché giunge a conclusioni controcorrente sulla base di documentazione di prima mano difficilmente conestabile. Esso suggerisce un quadro dell evoluzione del fronte interno italiano, man mano che si sviluppa la guerra, e del radicarsi e approfondirsi, nell intimo della coscienza della nazione, del processo di delegittimazione del regime assai più complesso e articolato di quanto non proponessero gli stereotipi della vulgata storiografica operaista e radicale, tutti orientati ad accreditare l immagine di un paese, l Italia appunto, compatta fin dagli inizi nella sua avversione alla guerra. In questo tomo (ma, in parte, anche nel precedente volume) De Felice dimostra come sull atteggiamento degli italiani di fronte al conflitto, soprattutto alla vigilia dell ingresso in guerra, sedimentassero, per un verso, il peso della propaganda e della retorica del regime, ma anche, per un altro verso, il processo di «nazionalizzazione delle masse» che aveva fatto notevoli progressi soprattutto fra le generazioni più giovani. I contadini guardavano alla guerra come a una delle ricorrenti calamità naturali cui era impossibile sfuggire e che bisognava affrontare con rassegnazione e virilità cercando di ricavarne almeno qualche vantaggio come, per esempio, l acquisizione di terre da coltivare. Gli operai a differenza di quanto, per usare le parole di De Felice, aveva cercato di accreditare la «retorica operaistica che ha inquinato tanta parte della recente storiografia» non soltanto non costituivano una forza di opposizione, ma risentivano della generale atmosfera del paese e, pur non essendo in larga maggioranza favorevoli alla guerra, si illudevano di poterne ricavare benefici. Persino la Chiesa e il mondo cattolico, durante il periodo di non belligeranza sostanzialmente contrari all ipotesi

5 II Francesco Perfetti di partecipazione al conflitto, ebbero, poi, un atteggiamento oscillante caratterizzato da una disomogeneità di posizioni fra le quali non ultima fu quella di quanti sottolineavano la necessità di un «lealismo nazionale» improntato a «senso di responsabilità e del dovere» verso la patria in guerra. Attraverso una accurata valutazione dei rapporti di polizia e dei carabinieri nonché delle relazioni predisposte per il ministero della Cultura Popolare, De Felice si rese ben conto che l evoluzione dello spirito pubblico del paese subì, nel tempo, una serie di oscillazioni, in positivo o in negativo, collegate all andamento delle operazioni militari e alla situazione economica. Questa conclusione, innovativa se non addirittura rivoluzionaria rispetto ai luoghi comuni della vulgata storiografica, permetteva a De Felice di proporre una nuova e suggestiva lettura della dinamica del processo di delegittimazione del regime fino al momento del suo tracollo. Il fenomeno della crisi di consenso a Mussolini e al fascismo pur iniziato prima della guerra e segnatamente con l avvio del processo che avrebbe portato all alleanza con la Germania e con l adozione della politica razziale non fu né continuo né rettilineo. Procedette per fasi, stasi, riprese, dipendendo in larga misura dall andamento militare della guerra. La ripresa dell attività antifascista De Felice lo dimostra con grande finezza e con inoppugnabili argomentazioni fu tardiva, limitata, circoscritta ad ambienti e gruppi particolari con ridotto seguito nel paese. Le difficoltà di sviluppo dell antifascismo fino al 25 luglio o all 8 settembre 1943 furono dovute non tanto all efficacia e alla capacità repressiva dell apparato poliziesco del regime quanto piuttosto a un motivo più profondo, al fatto che l antifascismo, dopo vent anni e più di regime, era stato rifiutato psicologicamente dalla maggioranza e percepito come elemento di destabilizzazione e di eversione, come forza antisistema. L andamento della guerra, insomma, fu, secondo De Felice, l elemento determinante per le sorti del regime, il detonatore che innescò la miccia destinata a travolgere il fascismo e il suo capo. Quando, nel 1943, si diffuse la convinzione che le sorti del conflitto erano ormai segnate e i bombardamenti aerei martoriavano le città italiane, il castello costruito dal fascismo cominciò a vacillare. A ciò contribuirono l ostilità serpeggiante contro il regime per le difficoltà economiche, la scelta di campo dei cattolici dopo il radiomessaggio natalizio del 1942 di Pio XII, il desiderio di trovare una via d uscita comunque dal tunnel, le divergenze

6 Presentazione interne al gruppo dirigente fascista. Il collasso del fronte interno, la crisi militare e politica del luglio 1943, la caduta di Mussolini e del fascismo, la costituzione del governo Badoglio furono vissuti dagli italiani con sentimenti contrastanti e talora contraddittori. Il giubilo per la fine del regime si univa in ampi settori della borghesia, del clero, della stessa élite antifascista liberal-democratica e cattolica ai timori per il futuro, a un certo oscuro disagio. Non è privo di significato il fatto che, all indomani del 25 luglio e dell 8 settembre, taluni si aggrappassero, almeno per qualche momento, a ipotesi poco in sintonia con le loro premesse iniziali. De Felice cita il caso delle singolari riflessioni intime di Cesare Pavese: lo scrittore piemontese, proprio in quel momento di crisi, cominciò a riflette e a fare i conti con il fascismo e con l antifascismo finendo per dare un giudizio sul primo rispetto al secondo problematicamente e comparativamente più «positivo». Sembrò infatti a Pavese, come sottolinea De Felice, che il fascismo avesse almeno posto problemi reali, anche se non era stato capace di risolverli e si era anzi condannato al naufragio per non essere stato sufficientemente rivoluzionario e per non essersi liberato dagli sfruttatori. Gli sembrò, ancora, che gli antifascisti non soltanto volessero negare il fascismo, ma anche i problemi da questo posti, e si dimostrassero inconcludenti perché la loro sicumera nell affermare di saper tutto si trasformava in litigio senza fine e senza scopo. Sul 25 luglio 1943, oggetto dell ultima parte del volume, De Felice porta molti (e non secondari) elementi di novità accreditando l idea della mancanza di collusione fra Vittorio Emanuele III e i «congiurati» e sottolineando, ancora, come il grande artefice della «congiura di palazzo», Dino Grandi, puntasse soprattutto a provocare un rovesciamento di fronte. I veri protagonisti della seduta del 25 luglio furono soltanto Mussolini e Grandi e, a un livello più basso, Scorza e Farinacci. Accanto ai protagonisti si ebbero dei comprimari Bottai e Ciano e pochi altri che portarono un contributo non limitato al voto dell ordine del giorno di Grandi e poi, ancora, vere e proprie comparse, personaggi cioè che non si erano resi conto della posta in gioco. La ricostruzione della drammatica seduta della notte fra il 24 e il 25 luglio 1943, così come è fatta da Renzo Felice, è certamente la più suggestiva e la più completa disponibile. III Francesco Perfetti

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