Capitolo 8 Il patrimonio ecclesiastico

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1 Edizioni Simone - Vol. 32/1 Compendio di diritto ecclesiastico Capitolo 8 Il patrimonio ecclesiastico Sommario 1. Nozione di patrimonio ecclesiastico Disciplina dei beni patrimoniali ecclesiastici Le fonti del patrimonio ecclesiastico Le entrate di diritto pubblico Le entrate di diritto privato. 1. Nozione di patrimonio ecclesiastico Il patrimonio ecclesiastico è l insieme di tutti i beni di cui la Chiesa si serve per perseguire i propri fini. Non esiste una precisa definizione legislativa dello stesso, ma il legislatore talvolta fa uso di questa locuzione; pertanto è necessario chiarirne il significato (1). In dottrina sono stati elaborati tre criteri in base ai quali identificare i beni ecclesiastici; essi sono: a) il criterio dello scopo: rientrano nel patrimonio ecclesiastico tutti i beni che, per volontà di chi può disporne, vengono destinati a funzioni ecclesiastiche, indipendentemente dal fatto che siano o meno di proprietà di enti ecclesiastici; b) il criterio dell appartenenza: rientrano nel patrimonio ecclesiastico tutti i beni appartenenti ad enti ecclesiastici, sia quelli direttamente destinati a funzioni ecclesiastiche (beni finali), sia quelli che non lo sono (beni strumentali); c) il criterio della sfera giuridica: rientrano nel patrimonio ecclesiastico tutti i beni sui quali lo Stato riconosce alla Chiesa determinati poteri, sia o meno proprietaria dei beni stessi. In realtà il patrimonio ecclesiastico non può ritenersi ristretto ai soli beni di proprietà della Chiesa, perché altrimenti non si spiegherebbero quelle norme che attribuiscono all autorità ecclesiastica determinati poteri in relazione a beni appartenenti ad altri soggetti; né può essere riferito a tutti i beni destinati a funzioni di culto, perché così facendo verrebbero ad essere inclusi anche i beni di carattere esclusivamente privato. Ne consegue che il criterio più corretto è quello della sfera giuridica e quindi il patrimonio ecclesiastico può essere definito come l insieme di quei beni mobili o immobili che l ordinamento statuale riconosce come sottoposti al potere dell autorità ecclesiastica, anche qualora questi siano di proprietà di terzi, per il raggiungimento dei propri fini. (1) La legislazione canonica (can c.d.c.) attribuisce alla Chiesa cattolica il diritto nativo, indipendentemente dal potere civile, di acquistare, possedere, amministrare, alienare i beni temporali per conseguire i fini che le sono propri: ordinare il culto divino, provvedere ad un onesto sostentamento del clero e degli altri ministri, esercitare opere di apostolato sacro e di carità, specialmente a servizio dei poveri.

2 72 Capitolo 8 Quali beni non rientrano nel patrimonio ecclesiastico? Restano, di conseguenza, esclusi dal patrimonio ecclesiastico: i beni destinati solo dalla volontà privata a scopi di culto; i beni che lo Stato, senza riconoscimento della Chiesa, volesse dedicare a scopi di culto. 2. Disciplina dei beni patrimoniali ecclesiastici I beni facenti parte del patrimonio ecclesiastico possono essere distinti in: beni sacri: sono direttamente destinati al culto; possono essere sia mobili che immobili ed acquistano carattere sacro tramite il rito di consacrazione, costituito dalla benedizione della cosa; beni temporali: beni non destinati direttamente al culto, ma utilizzati dalla Chiesa per soddisfare le sue necessità materiali. La norma fondamentale in materia è costituita dall art. 831, 1 comma, c.c., che stabilisce che «i beni degli enti ecclesiastici sono soggetti alle norme del presente codice in quanto non è diversamente disposto dalle leggi speciali che li riguardano». Per quanto riguarda i beni sacri, particolare importanza hanno le chiese. Con il nome di «chiesa» si intende (così testualmente il can.1214 cod. dir. can.) «un edificio sacro destinato al culto divino, ove i fedeli abbiano il diritto di entrare ed esercitare pubblicamente tale culto». L art. 5 del Nuovo Concordato dispone che «Gli edifici aperti al culto non possono essere requisiti, occupati, espropriati o demoliti, se non per gravi ragioni e previo accordo con la competente autorità ecclesiastica. Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà entrare, per l esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all autorità ecclesiastica». Previsioni analoghe all art. 5 del nuovo Concordato sono contenute nell art. 15, commi 2 e 3 della L. 101/1989 (che regola i rapporti con l Unione delle conunità ebraiche), nell art. 17 della L. 116/1995 (che regola i rapporti con l Unione cristiana Evangelica Battista), nell art. 14 della L. 520/1995 (che regola i rapporti con la Chiesa evangelica luterana), nell art. 14 della L. 128/2012 (che regola i rapporti con la Chiesa apostolica), nell art. 15 della L. 127/2012 (che regola i rapporti con la Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni), nell art. 11 della L. 126/2012 (che regola i rapporti con la Sacra arcidiocesi ortodossa), nell art. 12 della L. 246/2012 (che regola i rapporti con l Unione induista), nell art. 16 della L. 245/2012 (che regola i rapporti con l Unione buddhista). In materia l art. 831, 2 comma, c.c. precisa che «gli edifici destinati all esercizio pubblico del culto cattolico, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione, neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata in conformità delle leggi che la riguardano». Per gli enti acattolici una previsione analoga a quella del secondo comma dell art. 831 c.c. è contenuta nell art. 15 della legge n. 101 del 1989 per gli edifici di culto ebraici.

3 Il patrimonio ecclesiastico 73 Edifici di culto di interesse storico o artistico In Italia le chiese costituiscono spesso insigni monumenti d arte, di fama mondiale. L art. 12 del nuovo Concordato stabilisce che Santa Sede e Repubblica Italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio storico ed artistico. In base al disposto dell art. 117 Cost. la tutela del patrimonio culturale, ossia l esercizio delle funzioni e la disciplina delle attività dirette ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale e a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione, spetta allo Stato, mentre la valorizzazione dello stesso, ossia l esercizio delle funzioni e la disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura, spetta alla competenza legislativa concorrente delle Regioni. Le leggi che recepiscono le intese con le confessioni acattoliche hanno introdotto anche per esse principi analoghi, volti a favorire la tutela e la valorizzazione dei beni costituenti il patrimonio culturale, storico, materiale o morale di tali confessioni attraverso la collaborazione fra queste ultime e la Repubblica italiana. In alcuni casi tale collaborazione si concretizza nella costituzione di commissioni miste. La legge n. 175 del 2005 introduce, poi, a livello unilaterale disposizioni per la salvaguardia del patrimonio culturale ebraico in Italia. L art. 9 del Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, infine, conferma la nozione di bene culturale di interesse religioso introdotta dal nuovo Concordato, estendendola però ai beni di appartenenza di tutte le confessioni religiose e imponendo la collaborazione di Stato e Regioni, da una parte, e delle competenti autorità delle confessioni religiose, dall altra, relativamente alle esigenze di culto. I beni mobili, e cioè principalmente le pertinenze degli edifici di culto, sono assolutamente impignorabili ex art. 514, n. 1, c.p.c. Per quanto, invece, riguarda i beni temporali, il Concordato del 1929 ha abolito tutte le restrizioni precedentemente previste per la Chiesa in ordine al possesso di beni materiali. 3. Le fonti del patrimonio ecclesiastico Le fonti da cui derivano i beni patrimoniali della Chiesa sono dette entrate ecclesiastiche. Esse si dividono in: entrate di diritto pubblico: spettano agli enti ecclesiastici in quanto tali per l esercizio delle proprie funzioni e comprendono sia le prestazioni ad essi corrisposte obbligatoriamente in virtù di un rapporto d imperio di diritto canonico riconosciuto dallo Stato (imposte ecclesiastiche) che le prestazioni degli enti pubblici a scopi di culto; entrate di diritto privato: quelle che gli enti ecclesiastici percepiscono come ordinari soggetti di diritto privato. Altra distinzione, di minore importanza pratica, è quella tra: entrate interne, che provengono dagli stessi beni ecclesiastici; entrate esterne, che provengono da altri beni.

4 74 Capitolo 8 4. Le entrate di diritto pubblico Le entrate di diritto pubblico possono essere distinte in: imposte ecclesiastiche; tasse ecclesiastiche; erogazioni dello Stato a favore della Chiesa. A) Le imposte ecclesiastiche In base al diritto canonico (can. 1260) la Chiesa ha potestà di imporre tributi; stabilisce, infatti, il codice di diritto canonico che «la Chiesa ha il diritto nativo di richiedere ai fedeli quanto le è necessario per le finalità sue proprie». Tale potere non è, però, mai stato riconosciuto dallo Stato italiano il quale anzi, con L n. 4727, art. 1, ha provveduto formalmente ad abolire le decime e tutte le prestazioni stabilite sotto qualsiasi denominazione ed in qualunque modo corrisposte per l amministrazione dei sacramenti o altri servizi spirituali. Tali imposte erano dette decime sacramentali ed erano costituite per lo più da una quota (in genere la decima parte, da cui il nome) dei frutti di un fondo o di altre attività, dovuta a titolo di corrispettivo dei servizi spirituali che gli enti ecclesiastici beneficiari prestavano alla collettività. Le uniche imposte ecclesiastiche che la legge riconosce sono le c.d. decime dominicali, e cioè quelle somme che il proprietario di un immobile deve versare periodicamente a titolo corrispettivo della cessione in proprietà di un bene immobile da parte della Chiesa; originariamente tali decime erano costituite da una quota dei prodotti del fondo, ma sono poi state convertite in un canone annuo fisso in danaro. La Chiesa conserva, invece, un potere impositivo nei confronti degli enti ecclesiastici ad essa subordinati. In particolare il codice di diritto canonico prevede due imposte: il cattedratico: il Vescovo ha il diritto di imporre alle persone giuridiche soggette al suo governo un contributo, non eccessivo e proporzionato ai redditi di ciascuna, per far fronte alle necessità della sua diocesi (can. 1263); il seminaristico: il Vescovo può imporre alle persone giuridiche soggette alla sua autorità un contributo per la gestione del seminario (can. 264). B) Le tasse ecclesiastiche Lo Stato riconosce alla Chiesa il diritto di esigere il pagamento di tasse come corrispettivo di servizi resi all obbligato da uffici ecclesiastici. Il diritto di esigere tasse è riconosciuto alla Chiesa in quanto i servizi relativi non sono imposti dalla legge, ma liberamente richiesti dai fedeli; giuridicamente può parlarsi di una sorta di contratto di prestazione d opera tra il fedele richiedente e l ufficio ecclesiastico che agisce, in cui la tassa è il compenso da pagare e, quindi, in caso di mancato pagamento, può essere legittimamente adito il giudice statale.

5 Il patrimonio ecclesiastico 75 Sono tasse ecclesiastiche: le somme riscosse in relazione ai vari atti di giurisdizione volontaria quali indulti, dispense, privilegi, onorificenze concesse dalla Santa Sede o permessi rilasciati dai Vescovi (ad es. Battesimo in casa); le spese di giudizio innanzi ai tribunali ecclesiastici (can cod. dir. can.). C) Erogazioni dello Stato a favore della Chiesa Lo Stato ha sempre contribuito, in certa misura, alle esigenze della Chiesa per consentirle di assolvere ad una funzione necessaria per la grande maggioranza dei cittadini. Inizialmente ciò avveniva tramite le prestazioni erogate dal Fondo per il culto; in seguito all entrata in vigore del nuovo Concordato, tale sistema è stato profondamente modificato ed in ossequio all art. 7 n. 6 è stata emanata la L n. 222 relativa alla regolamentazione di enti e beni ecclesiastici e per il sostentamento del clero cattolico nelle diocesi; accanto a quelli previsti dalla legge suddetta, esistono poi una serie di impegni finanziari di minore importanza. Esaminiamo lo sviluppo della normativa. a) Il precedente sistema della prestazioni a carico del Fondo per il culto Il Fondo per il culto fu istituito con L n. 3036; ad esso furono devoluti tutti i beni ecclesiastici soppressi dalla legge stessa e furono accollati gli oneri che gravavano sullo Stato per spese del culto cattolico. La prestazione principale posta a carico del Fondo per il culto era costituita dall obbligo di pagare una somma (c.d. assegno supplementare di congrua) ai parroci il cui reddito non superasse una certa somma. La legge fissava una certa somma minima ritenuta indispensabile perché il parroco potesse condurre una vita dignitosa (c.d. reddito congruo) ed il Fondo era tenuto a versare un supplemento integrativo a tutti coloro il cui reddito non raggiungesse tale livello minimo. La corresponsione del supplemento di congrua ai parroci veniva poi estesa anche ad altre categorie del clero. Tale sistema venne recepito dall art. 30, 3 comma del Concordato del 1929 ed attuato con l art. 25, L , n. 848; l art. 45 L dispose poi l indicizzazione della congrua. Quanto alla natura giuridica dell assegno in discorso, esso era ritenuto un assegno alimentare a carattere personale, insequestrabile, impignorabile, incedibile ed insuscettibile di compensazione. Fino al 1989 la C.E.I., in via transitoria, ha provveduto al mantenimento dei titolari di congrua; dal 1 gennaio 1990 tutti i titolari di uffici già congruati dipendono dagli Istituti per il sostentamento del clero (v. retro cap. 6 2). Gravavano, inoltre, sul Fondo: le rendite da versare alle chiese degli enti ecclesiastici soppressi, aperte al culto; tali rendite sono state consolidate con dotazione di tali chiese dall art. 29 lett. a) del Concordato del 1929; gli obblighi inerenti ai beni trasferiti al demanio e quindi trasferiti sulla rendita pubblica, nonché quelli già a carico della cassa ecclesiastica; gli oneri gravanti sul bilancio dello Stato per spese del culto cattolico; i pesi per spese di culto accollati a province e comuni.

6 76 Capitolo 8 Il Fondo per il culto unitamente al Fondo di beneficenza e religione nella città di Roma sono stati soppressi dall art. 54 della L. 222/1985 con effetto dal 1 gennaio 1987 e da tale data i loro patrimoni sono confluiti nel Fondo edifici di culto di nuova costituzione cui fa carico una parte dei loro compiti mentre altri impegni e oneri sono assunti dalla Conferenza episcopale italiana così come previsto dalla nuova normativa della citata L. 222/1985. b) L attuale sistema della L n. 222 La commissione paritetica prevista in materia dall art. 7 n. 6 del nuovo Concordato ha ritenuto opportuno che l intervento dello Stato a favore della Chiesa si realizzasse non più attraverso l assegno supplementare di congrua ma tramite un contributo statale fornito direttamente alla Santa Sede (e per essa alla C.E.I.) perché lo ripartisca secondo il suo prudente apprezzamento. È stata pertanto emanata la L , n. 222, che disciplina l attuale sostegno finanziario alla Chiesa cattolica. Tale sostegno, ai sensi dell art. 47 della legge citata, si concretizza nei seguenti passaggi: a decorrere dall anno finanziario 1990, ogni anno una quota dell otto per mille dell imposta sul reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, viene destinata, in parte a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica (co. 2); le destinazioni dell otto per mille vengono stabilite sulla base delle scelte espresse dei contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi, ma in caso di scelte inespresse la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse (co. 2); lo Stato corrisponde annualmente, entro il mese di giugno, alla C.E.I., a titolo di anticipo e salvo conguaglio entro il mese di gennaio del terzo periodo di imposta successivo, una somma calcolata sull importo liquidato dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali relative al terzo periodo d imposta precedente con destinazione alla Chiesa cattolica (co. 5); la C.E.I. trasmette annualmente all autorità statale competente (il Ministero dell Interno) un rendiconto relativo all effettiva utilizzazione delle somme e lo pubblica sull organo della Conferenza; la legge n. 222 del 1985 all art. 48 definisce anche le finalità per le quali le somme dell otto per mille devono essere utilizzate: dallo Stato per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali; dalla Chiesa cattolica per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo. Per comprendere il meccanismo dell otto per mille facciamo un esempio numerico: la ripartizione del gettito riferito ai redditi deniunciati nel 2007 e riferiti al 2006 ha visto il 43,50% dei contribuenti esprimere una scelta e il 56,50% non esprimere alcuna scelta. La Chiesa cattolica

7 Il patrimonio ecclesiastico 77 ha ottenuto il 36,98% delle scelte espresse dai contribuenti, lo Stato il 5,20% e le altre confessioni che partecipano alla ripartizione quote variabili dallo 0,20% allo 2,05%. Tuttavia, la Chiesa cattolica ha ricevuto l 85,01% del totale dei fondi attribuiti, comprensivi sia dei fondi derivati da scelte espresse che di quelli derivanti dalla ripartizione in proporzione alle scelte espresse. Per quanto concerne le confessioni non cattoliche, partecipano alla ripartizione dell otto per mille l Unione delle Chiese cristiane avventiste; le ADI (Assemblee di Dio in Italia); la Tavola valdese; la CELI (Chiesa evangelica luterana in Italia); l Unione delle Comunità ebraiche italiane; la Sacra arcidiocesi ortodossa d Italia; la Chiesa apostolica in Italia. A partire dal 2013 (dichiarazione dei redditi 2014) concorreranno alla ripartizione dell otto per mille anche l Unione induista italiana e l Unione buddista italiana. Il meccanismo della ripartizione delle quote inespresse in proporzione a quelle espresse viene utilizzato dalle Chiese avventiste, dalla Tavola valdese, dalla Chiesa evangelica luterana, dall Unione delle Comunità ebraiche. La quota non attribuita alle ADI e alla Chiesa apostolica in Italia è devoluta alla gestione statale. c) La partecipazione al gettito derivante dal cinque per mille Introdotto per la prima volta, a titolo sperimentale, dalla legge finanziaria per il 2006, è stato prorogato negli anni successivi. Fermo quanto già dovuto dai contribuenti a titolo di imposta sul reddito delle persone fisiche, una quota pari al cinque per mille dell imposta netta, diminuita del credito d imposta per redditi prodotti all estero e degli altri crediti d imposta spettanti, è destinata, in base alla scelta del contribuente, alle seguenti finalità: sostegno delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, nonché delle associazioni di promozione sociale iscritte nei registri nazionale, regionali e provinciali, e delle associazioni riconosciute che senza scopo di lucro operano in via esclusiva o prevalente nei settori dell assistenza sociale e socio-sanitaria, assistenza sanitaria, beneficenza, istruzione, formazione, sport dilettantistico, tutela, promozione e valorizzazione delle cose d interesse artistico e storico, tutela e valorizzazione della natura e dell ambiente, promozione della cultura e dell arte, tutela dei diritti civili, ricerca scientifica, nonché delle fondazioni nazionali di carattere culturale; finanziamento agli enti della ricerca scientifica e dell università; finanziamento agli enti della ricerca sanitaria; finanziamento alle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; i Comuni di residenza (sostegno alle attività sociali); sostegno alle associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi dal CONI a norma di legge. A differenza dell otto per mille, la spesa è autorizzata entro un certo limite, che per il 2013 è stato fissato entro i 400 milioni di euro (D.L. 95/2012). Anche per il cinque per mille è prevista una rendicontazione della destinazione delle somme attribuite. Con D.P.C.M. 23 aprile 2010 sono state definite le modalità di ammissione al beneficio del cinque per mille, in base alla scelta dei

8 78 Capitolo 8 contribuenti, di determinazione delle liste dei soggetti ammessi al riparto, di definizione del riparto delle somme e dei criteri per il recupero delle somme rendicontate. Le confessioni religiose non partecipano direttamente alla ripartizione del cinque per mille, bensì attraverso i propri enti qualora rientrino in una delle categorie disciplinate dalla legge. d) Altre prestazioni dello Stato e degli enti locali Altre prestazioni di minore importanza a carico dello Stato o di altri enti pubblici sono: il contributo annuo corrisposto sul bilancio del Ministero del lavoro per concorso alla copertura degli oneri del Fondo per l assicurazione invalidità e vecchiaia del clero; le spese di culto che possono gravare su qualsiasi ente pubblico in base a titoli specifici come quelli derivanti da antiche leggi tuttora vigenti; le spese che gravano sui Comuni perché da essi sostenuti per il culto ab immemorabili, purché fondate su un titolo giuridico; interventi saltuari od occasionati da speciali circostanze, come ad es. il ripristino delle chiese in zone colpite da calamità naturali; le somme destinate dallo Stato al pagamento delle retribuzioni degli insegnanti di religione, dei cappellani militari o in servizio presso altri Corpi armati dello Stato; i buoni-scuola concessi da leggi regionali a sostegno delle scuole private non statali e i contributi a favore degli oratori; forme indirette di contribuzione come la concessione e locazione a titolo gratuito o a canone agevolato di beni immobili dello Stato. 5. Le entrate di diritto privato Le entrate di diritto privato comprendono: le oblazioni dei fedeli; le disposizioni per l anima; i legati pii e le fondazioni di culto; i redditi patrimoniali e le prestazioni terratiche. A) Le oblazioni dei fedeli Si definiscono oblazioni le offerte che i fedeli spontaneamente versano alla Chiesa, che costituiscono una fonte di introiti di grande importanza. Le oblazioni, essendo volontarie, non sono precisamente regolamentate dalla legge, che si limita a stabilire che le autorità ecclesiastiche possono eseguire collette all interno od all esterno delle chiese nonché degli altri edifici di loro proprietà (art. 7, n. 4 del nuovo Concordato).

9 Il patrimonio ecclesiastico 79 Previsioni analoghe sono previste per le confessioni acattoliche che hanno stipulato intese con lo Stato recepite in legge. L art. 46 L. 222/85 ha previsto delle agevolazioni tributarie per incrementare tali oblazioni, tenuto conto dello scopo di pubblico interesse per il quale sono effettuate: le persone fisiche possono dedurre dal proprio reddito le erogazioni in danaro fino all importo di 1.032,91 euro effettuate a favore dell Istituto centrale per il sostentamento del clero. Tale deduzione è anche a favore delle confessioni acattoliche firmatorie di intesa recepita in legge. Se, però, l oblazione è versata per ottenere una certa prestazione (es. Messa in suffragio), non siamo più di fronte ad una donazione bensì ad un vero e proprio contratto di prestazione d opera. B) Le disposizioni per l anima Con questa espressione sono indicate le disposizioni testamentarie con cui un soggetto dispone un lascito a favore di enti ecclesiastici per ottenere in cambio la celebrazione di Messe in suffragio del testatore stesso o della sua famiglia. Tale lascito può essere effettuato: direttamente, istituendo un legato a favore dell ente ecclesiastico; creando una fondazione di culto (vedi infra); prevedendo tale prestazione come un onere a carico degli eredi o dei legatari. A quest ultimo proposito l art. 629 c.c. stabilisce che: le disposizioni a favore dell anima sono valide quando è determinato o, almeno, determinabile il loro oggetto; se il beneficiario è determinato, per l adempimento di tale onere può agire qualunque interessato; in caso d inadempimento l onerato perderà il diritto al lascito testamentario, mentre se esso è indeterminato, l adempimento dell onere è lasciato alla buona volontà dell onerato e saremo di fronte ad un obbligazione naturale; il testatore può designare una persona che curi l esecuzione della disposizione. C) I legati pii e le fondazioni di culto Il codice di diritto canonico stabilisce, al can. 1261, che i fedeli possono devolvere beni temporali a favore della Chiesa per scopi di culto o di beneficenza. A tal fine essi possono creare: una pia fondazione non autonoma, trasferendo determinati beni ad un ente ecclesiastico già esistente con oneri, temporanei o perpetui, tesi a perseguire un fine di culto o di beneficenza (can. 1303); una pia fondazione autonoma, costituendo un ente nuovo, una fondazione di culto e dotandola di un certo patrimonio per perseguire gli scopi suddetti. Una tale fondazione può essere disposta anche per testamento (art. 14, 2 comma, c.c.).

10 80 Capitolo 8 Si era, però, stabilito che le disposizioni a favore di un ente non riconosciuto non avessero efficacia se entro un anno dal giorno in cui il testamento era eseguibile non era fatta istanza per ottenere il riconoscimento (art. 600 c.c.) ovvero, in caso di donazione, se, entro lo stesso periodo, non era stata notificata al donante, l istanza per il riconoscimento (art. 786 c.c.). Tuttavia, per effetto delle modifiche apportate dall art. 13 L. 192/2000 all art. 13 L. 127/1997, gli articoli 600 e 786 del codice civile sono stati abrogati. La soppressione delle disposizioni sopracitate si inquadra nella più generale normativa di abrogazione degli obblighi di autorizzazione per gli acquisti degli enti ecclesiastici. D) I redditi patrimoniali e le prestazioni terratiche Abbiamo accennato precedentemente alle entrate interne cioè quelle che gli enti ecclesiastici ricavano come frutti (naturali o civili) dai beni che costituiscono i loro patrimoni. Le norme che disciplinano tali entrate sono, di regola, quelle comuni del diritto civile. Va, comunque, evidenziato che le rendite degli enti ecclesiastici sono per lo più formate da prestazioni enfiteutiche e da varie specie di censi, costituiti, in passato, in numero piuttosto grande, anche perché motivi di ordine pratico hanno fatto preferire un reddito fisso agli oneri di una gestione diretta dei fondi. Questionario 1. In base a quali criteri è possibile identificare il patrimonio ecclesiastico? (par. 1) 2. Come possono essere distinti i beni facenti parte del patrimonio ecclesiastico? (par. 2) 3. È possibile pignorare i beni sacri destinati al culto? (par. 2) 4. Quale è la differenza tra imposte e tasse ecclesiastiche? (par. 4) 5. Quale è la principale erogazione dello Stato a favore della Chiesa cattolica? (par. 4) 6. In che modo le confessioni religiose partecipano alla ripartizione del cinque per mille? (par. 4) 7. Come si classificano le entrate di diritto privato? (par. 5) 8. Cosa sono i legati pii? (par. 5)

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