Eugenio Guadagno. ELEMENTI di FISICA. Volume II. UTE Cinisello Balsamo Anno Accademico

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1 Eugenio Guadagno ELEMENTI di FISICA Volume II UTE Cinisello Balsamo Anno Accademico

2 Acustica

3 Generalità L Acustica è quella parte della Fisica che studia il suono ed i fenomeni sonori. Il suono, così come i fenomeni ottici, elettrici e magnetici che formano l oggetto di questo secondo volume, hanno una caratteristica comune: sono dei fenomeni di tipo ondulatorio. Prima di entrare nella trattazione dei singoli settori può essere utile quindi premettere qualche nozione sulle caratteristiche del moto ondulatorio. Restando comunque coerenti con gli scopi che ci siamo prefissi in questi corsi, presenteremo soltanto gli elementi di base dei vari fenomeni senza addentrarci in approfondimenti o dimostrazioni rigorose degli argomenti trattati. 2

4 Capitolo 1 Il moto ondulatorio La denominazione di questo moto ci fa immediatamente pensare alle onde del mare ed in effetti non siamo molto distanti dal vero. Il moto delle onde del mare però è influenzato da troppe variabili che agiscono contemporaneamente come l incostanza del vento, la natura rocciosa o sabbiosa del litorale, la profondità ed il tipo di fondale ecc. per cui mal si presta ad un analisi ordinata. Più accessibile invece risulta lo studio di un moto ondoso provocato in bacino tranquillo da un azione volontaria e possibilmente misurabile. A tutti è capitato di osservare l effetto di un sasso lasciato cadere in uno stagno. Si creano tante piccole onde circolari, con il centro nel punto in cui è caduto il sasso, che si propagano allargandosi come tanti cerchi concentrici Figura 1. A prima vista si ha l impressione che l acqua si sposti dal punto in cui è caduto il sasso verso l esterno, ma un semplice esperimento ci mostra che non è così. Infatti se mettiamo nell acqua una pallina leggera che galleggia, vediamo che la pallina si muove su e giù ma non si sposta. Quindi l onda si propaga in direzione radiale, ma ciò avviene senza spostamento d acqua. Per comprendere come ciò possa avvenire osserviamo il fenomeno più da vicino riproducendolo in laboratorio con un attrezzatura molto semplice. In una bacinella versiamo dell acqua, o un qualsiasi altro liquido, e al posto del sasso usiamo un piccolo punzone con cui colpiamo la superficie dell acqua in un certo punto. La superficie dell acqua immediatamente sotto il punzone viene spinta verso il basso creando un avvallamento e l acqua così spostata spinge a sua volta verso l alto un ugual volume di acqua creando la cresta di un onda nella zona immediatamente adiacente. L acqua spinta su nella cresta dell onda ritorna giù spostando a sua volta dell acqua che in parte richiude l avvallamento dell onda precedente, in parte crea un onda dalla parte opposta. In tal modo sembra che l onda si sia spostata orizzontalmente verso l esterno, mentre in realtà l acqua si è mossa e continua a muoversi solo verticalmente. La Figura 2 mostra quanto appena descritto. Nella parte superiore è riportato il momento in cui si verifica la spinta del punzone, in quella inferiore il momento immediatamente successivo. L acqua spostata dal punzone si muove in direzione verticale v, mentre l onda si pro paga in direzione orizzontale o. Questo tipo di onda prende il nome di onda trasversale appunto perché la direzione della propagazione è perpendicolare alla direzione della vibrazione. Esiste però anche un altro caso di oscillazione e propagazione dell onda ed è quello in cui le particelle, pur non muovendosi dalla loro posizione, oscillano nella stessa direzione della propagazione dell onda. Ciò avviene per esempio nel caso di una molla a spira- 3

5 Onde in uno stagno Figura 1 Onda trasversale v o Figura 2 4

6 le come quella schematizzata nella Figura 3. Gli estremi della molla sono ancorati a due sostegni fissi che impediscono alla molla di muoversi longitudinalmente. Se si comprimono alcune spire poste vicine ad una delle due estremità e poi si rilasciano rapidamente queste cominciano a vibrare come indicato dalla freccia rossa, cioè ritornano nella loro posizione precedente, la sorpassano comprimendo le spire adiacenti poi tornano indietro. Le spire adiacenti, sollecitate da quelle vicine, cominciano a comprimersi e a distendersi a loro volta trasmettendo così la vibrazione che quindi si trasmette nel senso indicato dalla freccia verde. L onda che così si genera si sposta longitudinalmente cioè nella stessa direzione della vibrazione e, per questa ragione prende il nome di onda longitudinale. In questo caso è immediata la constatazione che questa onda si propaga senza che ci sia movimento di materia, infatti la molla non può muoversi longitudinalmente a causa degli ancoraggi che impediscono questo movimento. In entrambi i casi visti sopra, onde trasversali o longitudinali, ci troviamo dunque di fronte ad un tipo di moto diverso da quelli finora esaminati, cioè un moto che avviene senza che si spostino le molecole del mezzo in cui si propaga, ma anche un moto che non potrebbe esistere se non ci fosse mezzo materiale, un fluido o un solido, capace di supportarlo. È il moto ondulatorio di cui vedremo adesso alcune caratteristiche. Caratteristiche del moto Le onde generate da un oggetto che percuote una superficie liquida man mano che si allontanano dal loro punto di origine si attenuano e alla fine si smorzano completamente a causa delle resistenze che il fluido oppone al moto delle particelle che oscillano. Come abbiamo più volte visto questo è un fenomeno comune a tutti i movimenti che avvengono sulla terra. Per mantenere il moto bisogna che l oggetto continui a percuotere la superficie generando nuove onde che formano in tal modo un treno d onde. La Figura 4 è un istantanea di una superficie liquida in cui si siano generate delle onde con una serie di percussioni che si susseguono con una frequenza costante f. La superficie si presenta come una serie di creste e avvallamenti formate dal moto delle particelle liquide che si è propagato radialmente dal punto di percussione. La distanza λ fra due creste o due avvallamenti 1 si chiama lunghezza d onda, mentre l altezza A di una cresta (o di un avvallamento) si chiama ampiezza. Le onde si susseguono con la frequenza f della percussione, cioè tante onde al secondo quante sono le percussioni al secondo, per cui il tempo T che la propagazione impiega per trasmettersi di un tratto uguale alla lunghezza d onda λ è uguale all inverso della frequenza, T=1/f. Da quanto detto 2 si ricava che la velocità di propagazione del moto ondoso è: 1 O comunque fra due punti che si trovano nella stessa posizione rispetto alla superficie del liquido quando era in quiete, indicata col tratteggio nella figura. 2 Ricordiamo che, per definizione, la velocità è uguale al rapporto fra lo spazio percorso ed il tempo impiegato a percorrerlo 5

7 Onda longitudinale Figura 3 Caratteristiche delle onde λ = Lunghezza d onda A = Ampiezza f = 1/T v = λ/t T = Periodo f = frequenza v = λ f λ = v/f Figura 4 6

8 e anche: Queste sono le relazioni fondamentali che legano le grandezze in gioco. Dai dati sperimentali si ricava che la velocità di propagazione di un onda in un mezzo fluido o solido, di dimensioni non limitate 3, è costante e dipende soltanto dalle caratteristiche elastiche del mezzo. Dalla descrizione fin qui fatta si ricava inoltre che la frequenza delle onde dipende unicamente dalla frequenza del percussore che le ha generate per cui, in ogni singolo mezzo, la lunghezza d onda è inversamente proporzionale alla frequenza: onde lunghe per piccole frequenze, onde brevi per grandi frequenze, come del resto è anche intuitivo. Il significato pratico di questi parametri sarà approfondito quando si studieranno i relativi fenomeni acustici, ottici ed elettrici. Per ora ci interessa evidenziare un altro aspetto molto importante di un moto ondulatorio e cioè l aspetto energetico. Come si è detto sopra, se sulla superficie di un liquido percorso da un moto ondulatorio si fa galleggiare una pallina, questa non si sposta radialmente della sua posizione, ma viene portata su e giù dall onda che passa, trovandosi ad un certo punto sulla cresta dell onda e dopo un tempo uguale a mezzo periodo in fondo ad un avallamento. Dallo studio della dinamica abbiamo a suo tempo visto (Figura 5) che per portare una massa (quella della pallina) da una certa posizione ad un altra posta ad un altezza maggiore occorre impiegare una quantità di energia (o, in altri termini, compiere un lavoro) dato dal prodotto del peso della pallina (mg) per lo spostamento verso l alto, h, cioè: In quella posizione la pallina trattiene questa energia sotto forma di energia potenziale e la rende quando ritorna nella sua posizione iniziale sotto forma di energia cinetica: Se dunque la pallina portata su dall onda è collegata opportunamente ad una apparecchiatura esterna capace di utilizzare l energia che essa rende nella ricaduta possiamo affermare che l onda è stata in grado di trasmettere energia. Quale energia? Quella che aveva generato l onda. Nel caso esaminato si tratta dell energia meccanica che, tramite il percussore, ha generato l onda. Più in generale qualsiasi energia capace di generare onde materiali o elettromagnetiche e, fra queste, prima fra tutte, l energia solare. Tornando all esempio, è evidente che un percussore capace di trasmettere più energia genera onde più alte quindi di ampiezza A maggiore e infatti la pallina portata ad un altezza maggiore accumula e poi rilascia una quantità maggiore di energia, per cui possiamo affermare che è l ampiezza dell onda la caratteristica che misura la quantità di energia trasportata o trasportabile da un moto ondulatorio. 3 Se le dimensioni geometriche del mezzo non sono illimitate la velocità di propagazione delle onde dipende anche da esse. Per esempio in una vasca d acqua la velocità di propagazione dell onda aumenta se aumenta la profondità dell acqua. 7

9 Capitolo 2 Il suono Il suono è una sensazione che un organo delicato e complesso, l orecchio, trasmette al cervello di un essere vivente che ne sia dotato. Quello che a noi interessa in questa sede non è tanto la trasmissione della sensazione al cervello, il cui studio rientra in altre discipline, ma cosa è che suscita questa sensazione. Sappiamo tutti che è la vibrazione di una membrana, il timpano, che è una delle parti più esterne dell orecchio. La vibrazione del timpano è provocata da un onda meccanica generata a sua volta da un corpo che vibra. L origine del suono è dunque l energia che provoca la vibrazione di un corpo. Potrebbe trattarsi dell energia umana che tramite un batacchio fa vibrare una campana. La campana genera nel mezzo in cui è immersa, cioè nell aria, un treno di onde che si propaga nello spazio circostante trasportando l energia che l ha generato. Se lungo il suo percorso incontra un altro corpo capace di raccogliere l energia trasportata questo corpo comincia a sua volta a vibrare. Quando questo corpo è il timpano del nostro orecchio noi percepiamo il suono. Uno degli aspetti importanti è che la propagazione della vibrazione sotto forma di onda può avvenire soltanto se fra il corpo emittente, la campana, ed il corpo ricevente, il timpano dell orecchio, ci sia un mezzo fluido o solido, l aria o un qualsiasi altro gas, l acqua o un qualsiasi altro liquido o un corpo solido elastico. In mancanza di questo mezzo l onda non si propaga. Se, ad esempio, facciamo suonare un campanello sotto una campana di vetro ne sentiamo distintamente il suono, ma se dalla campana estraiamo l aria il suono non si sente più. Viceversa, sott acqua i suoni si propagano e possono essere uditi distintamente e attraverso il terreno gli indiani, poggiando l orecchio a terra, percepivano la vibrazione provocata del galoppo di un cavallo che si avvicinava. Vediamo ora un po più da vicino come sono generate e come sono costituite le onde sonore. Anticipiamo subito che, a differenza delle onde che si generano sulla superficie di un liquido quando si percuote un suo punto, le onde sonore sono di tipo longitudinale, ossia si propagano nella stessa direzione in cui avviene l oscillazione. Per spiegare meglio il fenomeno consideriamo il suono emesso da una membrana di un altoparlante, Figura 6. La membrana è portata in vibrazione da una serie di impulsi elettromagnetici su cui, per il momento, non indaghiamo. Essa si sposta dalla sua posizione di riposo verso l esterno e verso l interno dell apparecchiatura (come mostrato dalle frecce) trasmettendo questi movimenti agli strati d aria adiacenti che cominciano anch essi a vibrare. La vibrazione si trasmette agli strati d aria successivi e quindi si propaga nella stessa direzione della vibrazione; si tratta dunque di onde longitudinali. 8

10 Energia cinetica e potenziale L = m g h = L = ½ m v 2 m h h v Figura 5 Onde sonore longitudinali Strati compressi Strati rarefatti Velocità di propagazione Aria Acqua Acciaio 340 m/s 1200 Km/h 1400 m/s 5000 Km/h 5000 m/s Km/h Figura 6 9

11 In effetti la vibrazione dell aria consiste in una compressione e rarefazione degli strati d aria adiacenti. Infatti, quando la membrana dell altoparlante si muove verso l esterno dell apparecchio comprime l aria adiacente, quando invece si muove verso l interno vi produce una rarefazione. Gli strati d aria compressi e rarefatti si succedono quindi con la stessa frequenza della vibrazione e se raggiungono il timpano di un orecchio gli trasmettono la vibrazione che diventa, in quel momento, la sensazione acustica che l orecchio trasmette al cervello. La velocità con cui l onda sonora si propaga nell aria è di circa 340 m/s equivalenti a poco più di 1200 Km/h, nell acqua è di circa 5000 Km/h mentre nell acciaio è di circa Km/h. Caratteristiche delle onde sonore Abbiamo già visto nel capitolo precedente alcune caratteristiche delle onde in generale. Vediamo ora in particolare come si presentano le onde sonore. Per lo studio delle onde sonore si usa un particolare apparecchio chiamato oscilloscopio (Figura 7) che trasforma le onde sonore in onde luminose che possono essere proiettate su uno schermo e quindi visualizzate. Inoltre l oscilloscopio è dotato di una serie di dispositivi che permettono di misurare le caratteristiche sonore che ora illustreremo. Un altro strumento normalmente utilizzato è il diapason, Figura 8, costituito da una barretta metallica piegata ad U, come una forchetta con due soli rebbi, che percossa da un martelletto emette un suono con caratteristiche particolari che saranno descritte meglio più avanti. In genere è montato su una cassetta di legno che ha lo scopo di amplificare l ampiezza del suono. Il suono emesso da un diapason ha una frequenza che dipende dallo spessore e dalla lunghezza dei rebbi e l orecchio umano lo percepisce come una nota musicale. Una serie di diapason di varie dimensioni può essere utilizzata per produrre le frequenze delle diverse note musicali o addirittura tutta la gamma delle frequenze che l orecchio umano è in grado di percepire, che va da 20 a Hz. Vediamo ora come si presenterebbero sullo schermo dell oscilloscopio alcuni suoni. Precisiamo innanzi tutto che l immagine che si vede sullo schermo dell oscilloscopio è l andamento dell onda sonora in un certo intervallo di tempo e, se il suono non cambia, è come una fotografia istantanea degli strati d aria compressi e rarefatti in cui le creste rappresentano gli strati compressi e gli avvallamenti gli strati rarefatti. La Figura 9 mostra il suono di due diapason diversi. Notiamo innanzi tutto che l onda nella parte superiore della figura ha una frequenza più alta di quella sottostante; il suono che noi percepiamo è più acuto, ossia una nota più alta, di quello dell onda in basso. Le ampiezze, cioè l altezza delle creste, delle due onde sonore sono invece uguali, è ciò significa che è stata uguale l energia impressa ai diapason nei due casi o, in parole povere, la forza con cui sono stati colpiti dal martelletto. La Figura 10 invece mostra due onde emesse dallo stesso diapason colpito con diversa energia. La frequenza è la stessa, ma l ampiezza è diversa. Noi sentiamo la stessa nota, ma quella raffigurata a destra è molto più forte di quella a sinistra. Nella pratica quotidiana però non siamo abituati a sentire note come quelle emesse da un diapason. La caratteristica di questo strumento infatti è di emettere note pure, cioè suoni formati da onde che hanno una sola frequenza, la frequenza fondamentale o prima armonica. 10

12 Oscilloscopio Figura 7 Diapason Figura 8 11

13 Frequenza delle onde sonore Suono più acuto A A Suono più grave Figura 9 Ampiezza delle onde sonore Suono più debole Suono più forte Uguale frequenza Figura 10 12

14 Gli strumenti musicali invece (Figura11) o qualsiasi altro oggetto in vibrazione emettono una serie di onde che hanno oltre alla frequenza fondamentale anche frequenze maggiori, per lo più multiple della frequenza fondamentale. Queste ultime si chiamano armoniche superiori, per esempio, la seconda armonica con frequenza doppia, la terza armonica con frequenza tripla e così via. Le armoniche superiori si sommano all armonica fondamentale alterandone il suono ma senza farne cambiare la frequenza e l orecchio percepisce la stessa nota ma con timbro diverso. Per esempio la stessa nota emessa da due strumenti musicali diversi producono lo stesso suono di base ma con un timbro diverso. La somma delle due onde avviene come se in ogni istante si sommassero le ampiezze delle armoniche superiori con l ampiezza della prima armonica, cioè dell armonica fondamentale. In Figura 12 è illustrato il modo in cui le onde si sommano, ma l oscilloscopio mostra soltanto l onda risultante dalla somma delle varie armoniche mostrata con tratto continuo nella figura. Effetto Doppler Un altro fenomeno legato alla percezione delle frequenze delle onde sonore, che spesso abbiamo occasione di sperimentare, è l effetto Doppler 4. Capita spesso infatti di sentire la sirena di un ambulanza o il fischio di un treno che si avvicinano a si allontanano a grande velocità. La percezione che abbiamo di questi suoni è diversa da quella che percepiamo quando l ambulanza o il treno sono fermi. Più precisamente quando la sorgente che emette il suono è ferma noi sentiamo una sola nota o una sola sequenza di note, quando invece la sorgente è in movimento sentiamo una variazione verso note più alte se la sorgente si avvicina, e più basse se si allontana. La Figura 13 mostra la ragione di questo fenomeno che prende il nome di effetto Doppler dal fisico austriaco che lo ha studiato e interpretato. Se la sorgente si trova in un punto A e resta fermo rispetto all ascoltatore, i suoni emessi si propagano nell aria alla velocità di 340 m/sec, corrispondenti a circa Km/h e le relative frequenze si mantengono inalterate. L ascoltatore percepisce la stessa nota e- messa dalla sorgente. Se invece la sorgente che emette il suono si muove a notevole velocità (esempio 120 Km/h, cioè 10% della velocità del suono) da un punto B verso un punto C più vicino all ascoltatore le onde sonore emesse in tempi successivi, pur propagandosi sempre alla stessa velocità di Km/h, nella direzione del moto della sorgente devono coprire spazi minori di quelli dell onda emessa precedentemente e quindi si avvicinano ad essa. Ne consegue che nella direzione del moto le onde si addensano, cioè la loro frequenza diventa più alta (del 10%) e la nota percepita man mano dall ascoltatore diventa più acuta fino a quando la sorgente non ha raggiunto e superato l ascoltatore. Dopo di che il fenomeno continua ma questa volta dalla parte opposta. Quindi mentre la sorgente si allontana, per esempio dal punto D verso E, le onde che giungono all ascoltatore che si trova ora in direzione opposta rispetto al movimento, sono meno frequenti e quindi la nota percepita diventa più grave. Questo fenomeno giunge all esasperazione quando la sorgente si muove proprio alla velocità di circa K/h, cioè alla stessa velocità di propagazione delle onde sonore. 4 Christian Doppler ( ) fisico austriaco 13

15 Armoniche Note pure Diapason Una sola frequenza Prima armonica Note composte Strumento musicale Somma di frequenze multiple Armoniche superiori Figura 11 Suoni composti - Timbro Prima armonica Seconda armonica Terza armonica Totale Figura 12 14

16 In questo caso infatti (Figura 14) le onde emesse successivamente raggiungono quelle precedenti e nel punto in cui si congiungono si concentra tutta l energia trasportata col risultato del fragoroso bang sonico che si percepisce quando un aereo supera il cosiddetto muro del suono. Superata questa velocità il fenomeno cessa perché le onde successive sopravanzano quelle precedenti. Inoltre il suono emesso non viene più percepito da chi si trova sull aereo perché questo si muove ad una velocità maggiore. Onde sonore e ostacoli Quando un onda sonora incontra un ostacolo si possono verificare vari fenomeni a seconda della natura e della dimensione dell ostacolo, come sinteticamente indicato nella Figura 15. Se l ostacolo è di piccole dimensioni l energia trasportata dall onda sonora lo va vibrare creando in alcuni casi il fenomeno della risonanza che esamineremo meglio qui di seguito. Se l ostacolo è di grandi dimensioni l energia dell onda sonora può essere in parte assorbita e in parte riflessa come più dettagliatamente descritto più avanti. Risonanza acustica Se un onda sonora incontra un ostacolo di piccole dimensioni questo viene investito dall energia trasportata dall onda ma, in genere, essendo questa energia molto piccola il corpo investito dall onda non subisce alcun effetto. Se però la frequenza propria del corpo investito è uguale a quella del onda il corpo comincia a vibrare e, dopo poco, emette anch esso un suono con la stessa frequenza. Si dice in questo caso che il corpo è in risonanza con l onda. Questo fenomeno può essere verificato con un semplice esperimento illustrato nella Figura 16. Due diapason uguali, aventi cioè la stessa frequenza, sono disposti uno vicino all altro. Uno dei due viene percosso dal martelletto e comincia a emettere il suono corrispondente alla sua frequenza. Dopo un po di tempo il secondo diapason comincia a vibrare e ad emettere un suono anch esso, pur non essendo stato percosso e continua a vibrare anche se la vibrazione del primo diapason viene fermata. L energia sonora si è trasmessa dal primo al secondo oggetto. Condizione essenziale però è che la frequenza caratteristica del secondo oggetto sia uguale a quella del primo perché solo in questo un impulso successivo dell onda sonora trova i rebbi del diapason nella giusta posizione per assorbirlo. È qualcosa di simile a quello che succede per un altalena. Per mantenere in movimento un altalena bastano degli impulsi successivi piccoli ma dati al momento giusto, cioè nel momento in cui l altalena, giunta al punto più alto della corsa, comincia a tornare indietro. L impulso va dato cioè in concomitanza o in risonanza o in fase col periodo tipico dell altalena. Dato invece in un momento diverso l altalena viene frenata. Il fenomeno della risonanza è molto importante anche perché permette ad un apparecchio ricevitore di captare le onde sonore che lo investono. A destra della Figura 16 è indicata, estremamente schematizzata, quella che si ritiene possa essere la conformazione della parte dell orecchio che capta i suoni: una serie di fibre nervose di diversa lunghezza, ciascuna con una sua frequenza caratteristica, che entra in risonanza con l onda sonora in arrivo. 15

17 Effetto Doppler A B C D E Figura 13 Il muro del suono B A N G Figura 14 16

18 Suono contro ostacolo Onda che incontra un ostacolo Di piccole dimensioni Di grandi dimensioni Vibra Assorbe Riflette Emette Risonanza Eco Rimbombo Figura 15 La risonanza e l orecchio Figura 16 17

19 Riflessione del suono Quando un onda sonora incontra un ostacolo di grandi dimensioni, per esempio un muro, viene in parte assorbita ed in parte riflessa da esso. Insorgono anche altri fenomeni più complessi sui quali però non ci soffermeremo. Della riflessione del suono abbiamo un esperienza diretta nel fenomeno familiare dell eco: se un suono è emesso vicino a noi lo sentiamo immediatamente e, in alcuni casi, lo sentiamo una seconda volta dopo un po di tempo come se provenisse da lontano e da un altra direzione. Si tratta dell onda sonora che, riflessa da un ostacolo è ritornata verso di noi dopo un certo tempo perché ha dovuto percorrere un cammino più lungo. Come abbiamo detto, la velocità del suono nell aria è di 340 m/sec e quindi l eco di un suono riflessa da un ostacolo posto a 170 metri di distanza giunge al nostro orecchio un secondo dopo del suono stesso. Sembra un tempo brevissimo e invece è un tempo molto lungo rispetto alla sensibilità dell orecchio umano, che è in grado di percepire suoni che si susseguono anche ad intervalli molto più brevi. Anche di questo abbiamo esperienza diretta: quando ci troviamo in una stanza vuota, le voci delle persone ci giungono direttamente e poi, quasi subito, riflesse dalle pareti creando quella fastidiosa sensazione che chiamiamo rimbombo. Quest ultimo fenomeno, in particolare, deve essere assolutamente ostacolato in un auditorio per impedire che la musica o le parole giungano distorte all orecchio degli ascoltatori e, a tal fine, una grande cura è posta dagli architetti nel progettare le volte e le pareti di questi ambienti. La riflessione del suono che incontra un ostacolo può essere assimilato al rimbalzo di una palla che urta contro una parete. Consideriamo una sorgente A che emette un treno di onde sonore, Figura 17. Un ascoltatore disposto in B riceve immediatamente l onda diretta proveniente da A. Se però esiste un muro ad una certa distanza d, il treno d onde, che si propaga in tutte le direzioni, incontra il muro e ne viene riflesso. Consideriamo, per semplicità, due sole direzioni: una incontra la parete formando un angolo, i, con la perpendicolare alla parete nel punto di incidenza e viene riflessa in una direzione che forma con la perpendicolare un angolo, r, uguale all angolo i; l altra incide con un angolo i e viene riflessa con un angolo r uguale a i. Gli angoli i ed r si chiamano rispettivamente angolo di incidenza e angolo di riflessione e, come sperimentalmente provato, sono uguali. Le onde riflesse giungono all ascoltatore come se provenissero da un punto A simmetrico di A rispetto al muro e con un certo ritardo rispetto all onda diretta a causa del percorso più lungo che devono percorrere. Un applicazione pratica del fenomeno della riflessione sonora si ha nell ecogoniometro, un apparecchio utilizzato per la misura della profondità del mare. Il principio di funzionamento è molto semplice ed è illustrato dalla Figura 18. L apparecchiatura è montata su una nave ed è in grado di emettere e captare onde sonore. L onda sonora emessa in direzione verticale si muove verso il basso (freccia rossa) e raggiunge il fondo marino da cui viene riflessa verso l alto (freccia blu) ancora in direzione verticale, cioè con lo stesso angolo di 90 dell onda incidente. L ecogoniometro capta l onda riflessa e misura il tempo intercorso dall emissione dell onda incidente. Poiché la velocità di propagazione del suono nell acqua è nota, si può calcolare lo spazio percorso che è, ovviamente, il doppio della profondità. La velocità del suono nell acqua è di circa 5000 Km/h, ossia 1400 m/s, quindi il tempo impiegato dall onda sonora, anche per profondità molto elevate, è dell ordine di pochi secondi. Per esempio per una profondità di 1500 m (percorso del suono di 3000 m) il 18

20 Riflessione del suono A d d i r i r B A Figura 17 L ecogoniometro Figura 18 19

21 tempo impiegato è di 2,1 secondi, per cui la nave può effettuare le sue rilevazioni continuando a navigare, perché in un tempo così breve si è spostata solo di qualche metro. In tal modo se i dati della profondità sono registrati automaticamente si ottiene direttamente il profilo altimetrico del fondo marino lungo la tratta percorsa dalla nave. La Figura 19 mostra invece un altra applicazione pratica attualmente molto utilizzata nella diagnostica medica: l ecografia. Un onda sonora ad alta frequenza, nel campo di frequenze cioè non percepibili dall orecchio umano, viene indirizzata verso un organo interno del corpo umano da cui viene riflessa con maggiore o minore intensità a seconda del rapporto della parte assorbita rispetto a quella riflessa. L onda riflessa, può essere captata, inviata ad uno schermo e fotografata. Essa rivela la presenza di eventuali corpi estranei nelle parti molli di un organo, che a volte possono anche essere la conferma della stupenda presenza di un bambino che si sta formando nel ventre della propria mamma. La Figura 20 infine mostra l accurata disposizione di elementi geometrici nella volta della sala di un teatro per minimizzare il fenomeno del rimbombo e ottimizzare le caratteristiche acustiche dell ambiente. 20

22 Ecografia Figura 19 Acustica architettonica Figura 20 21

23 Ottica

24 Generalità L ottica è quella parte della fisica che studia la luce ed i fenomeni luminosi. Per secoli l uomo si è chiesto cosa fosse la luce e, sembrerà strano, ancora oggi gli scienziati continuano a chiederselo, perché nonostante ci siano ormai delle teorie ben fondate sia dal punto di vista teorico che delle esperienze pratiche, rimane ancora qualche aspetto che si presta ad ulteriori approfondimenti. Come per tutti i fenomeni fisici, gli studi sull essenza della luce furono affrontati con l approccio sperimentale solo dopo Galileo. Sulla luce tuttavia si svilupparono due diverse teorie, ciascuna delle quali sembrava spiegare abbastanza bene la natura dei fenomeni luminosi: la teoria ondulatoria e la teoria corpuscolare. Secondo la teoria ondulatoria la luce è una forma di energia che origina nel sole e si propaga nell universo con un moto ondulatorio simile a quello che abbiamo visto per le onde sonore. Il punto debole di questa teoria è che le onde meccaniche hanno bisogno di un mezzo per propagarsi e fra il sole e la terra non esiste un mezzo fluido e tantomeno solido che può fare da tramite per questo tipo di moto. Per ovviare a questa difficoltà i sostenitori di questa teoria supposero che un tale fluido esistesse, lo chiamarono etere e ammisero che esso riempiva tutti gli spazi dell universo non occupati dai corpi celesti. Ma di questo fluido nessuno riuscì mai a definire le caratteristiche fisiche o chimiche. La teoria corpuscolare considera anch essa la luce come una forma di energia che origina nel sole, ma la sua propagazione nell universo avviene tramite una serie di corpuscoli piccolissimi dotati di moto rettilineo uniforme, secondo il noto principio di inerzia introdotto da Galileo. Il moto di questi corpuscoli avviene con velocità elevatissima e non ha bisogno di nessun fluido per propagarsi. Le due teorie convissero per molto tempo sostenute e caldeggiate da scienziati molto autorevoli e gli esperimenti escogitati per dimostrare la veridicità dell una o dell altra furono innumerevoli ma, per molto tempo, non decisivi. La teoria corpuscolare sembrava più semplice ma gli esperimenti portavano sempre nuovi argomenti alla teoria ondulatoria, per la quale tuttavia restava l enorme difficoltà di definire con precisione cosa fosse l etere. Fu solo verso la metà del secolo XIX che Maxwell 5, nei suoi studi sui campi elettromagnetici, dimostrò che le onde elettromagnetiche non hanno bisogno di un supporto meccanico per propagarsi e si propagano anche nel vuoto. Fu questo il punto di svolta decisivo a favore della teoria ondulatoria: la luce è una forma di energia che si trasmette con un moto ondulatorio di tipo elettromagnetico. Un altra differenza rispetto al moto ondulatorio del suono è che la vibrazione dell onda luminosa avviene trasversalmente rispetto alla propagazione del moto, mentre la vibrazione sonora è di tipo longitudinale. 5 James Clerk Maxwell ( ) matematico e fisico scozzese 23

25 Capitolo 3 La luce La luce dunque è un fenomeno ondulatorio, di tipo elettromagnetico, con vibrazioni trasversali rispetto alla direzione di propagazione del moto. La prima constatazione, che sembrerà molto strana, è che l occhio umano non è in grado di vedere le onde luminose, così come non vede le onde sonore. L occhio umano vede la sorgente luminosa ma non l onda di luce che da essa proviene. Ci sono due tipi di sorgenti luminose: le sorgenti primarie e le sorgenti secondarie. Sorgenti primarie sono quelle che producono l energia luminosa mediante la trasformazione di un altra forma di energia (l energia nucleare nel sole e nelle stelle, l energia chimica in un corpo che brucia, l energia elettrica in una lampadina, ecc.). Le sorgenti secondarie sono quelle che assorbono e riflettono l energia che ricevono da una sorgente primaria: la luna che riflette l energia solare, un corpo illuminato dalla luce emessa da una lampadina ecc. Si potrebbe obiettare che in una camera buia si vede a volte un fascio di luce filtrare attraverso un imposta socchiusa e in questo caso dunque l onda luminosa è visibile, ma in effetti non si tratta dell onda luminosa ma delle miriadi di particelle del pulviscolo atmosferico che, investite dalla luce del sole, diventano sorgenti riflettenti. Se infatti si togliesse completamente il pulviscolo dall aria della stanza, si vedrebbe una parte di pavimento o di parete illuminata ma non il fascio di luce che attraversa la stanza e la illumina. L onda comunque esiste e la sua esistenza può essere provata con un esperimento semplice, ma che richiede un apparecchiatura complessa per essere eseguito. Si è già visto, nel caso delle onde sonore, che due onde si possono sovrapporre dando luogo ad un onda che in ogni punto è la somma delle due onde. Se dunque si sovrappongono due onde in contrapposizione di fase, cioè di cui una presenta un avvallamento in corrispondenza di una cresta dell altra e viceversa, la somma delle due onde è nulla. Nel caso di onde luminose ciò significa che luce più luce deve dare buio, e nel caso delle onde sonore suono più suono deve dare silenzio. Ebbene in entrambi i casi ciò si verifica quando le onde sono in contrapposizione di fase. Ciò premesso, quando nelle descrizioni che seguono parleremo di un raggio luminoso intenderemo parlare della direzione della propagazione dell onda luminosa. L uso della direzione di propagazione anziché dell onda rende più semplice, ma altrettanto valida, la spiegazione di alcuni fenomeni. Consideriamo un onda luminosa che incontra un ostacolo. A seconda della natura dell ostacolo (Figura 21): 24

26 Luce contro ostacolo Assorbita Opaco Luce che incontra un ostacolo Attraversa Trasparente Riflessa Riflettente Figura 21 Riflessione e complanarità i r Figura 22 25

27 una parte dell onda è assorbita e quando questa parte è preponderante si dice che l ostacolo è opaco (per es. un muro) una parte dell onda lo attraversa e quando questa parte è preponderante si dice che l ostacolo è trasparente (per es. una lastra di vetro) una parte dell onda è riflessa e quando questa parte è preponderante si dice che l ostacolo è riflettente (per es. una distesa d acqua) La riflessione della luce La legge di riflessione della luce è uguale a quella del suono: il raggio riflesso (cioè la direzione di propagazione dell onda riflessa) forma con la perpendicolare al piano riflettente nel punto di incidenza un angolo, r, uguale a quello, i, del raggio incidente. Inoltre il raggio incidente, il raggio riflesso e la perpendicolare giacciono nello stesso piano, come indicato nella Figura 22. Senza saperlo abbiamo applicato questa legge ogni volta che, da bambini, abbiamo giocato con uno specchietto per abbagliare un amico con la luce del sole. Per riflettere il raggio proveniente dalla direzione del sole verso gli occhi dell amico abbiamo dovuto orientare lo specchietto in modo che fosse verificata l eguaglianza degli angoli e la complanarità descritte sopra. Diffusione Un ostacolo opaco è in genere un corpo con una superficie scabrosa. In questo caso la superficie del corpo è discontinua e può essere assimilata ad un insieme di piccole superfici contigue orientate in tutte le direzioni. Se quindi un fascio di luce colpisce il corpo, ognuna di queste piccole superfici ne riflette una parte, secondo la legge esposta sopra, ma ciascuna in una direzione diversa a seconda del suo orientamento. Pertanto il fascio di luce incidente viene riflesso in tutte le direzioni dando origine al fenomeno che si chiama diffusione. La Figura 23 mostra come avviene questo fenomeno su una superficie la cui scabrosità, per chiarezza, è stata molto ingrandita. In effetti, per poter definire cosa avviene dell onda riflessa, occorre confrontare la scabrosità della superficie con la lunghezza d onda λ dell onda che la colpisce. Per spiegarci meglio, consideriamo la scabrosità di una superficie come un susseguirsi di creste e avvallamenti e che si misuri la scabrosità come la distanza fra due creste o fra due avvallamenti. Potremmo definire la media di queste distanze come la lunghezza d onda della scabrosità. Se questa è minore della lunghezza d onda che incide, la superficie si comporta come una superficie liscia rispetto all onda e la riflette in un unica direzione. Se invece la distanza fra le creste della scabrosità è maggiore della lunghezza d onda che incide, la superficie la riflette in molte direzioni, cioè la diffonde. Una stessa superficie quindi può risultare diffondente per certe lunghezze d onda e riflettente per lunghezze d onda maggiori, per esempio un muro diffonde la luce che ha una lunghezza d onda molto bassa ma riflette le onde radio che hanno invece lunghezze d onda molto maggiori. Per fare un esempio molto banale, si pensi ad una parete molto rugosa. Se contro questa parete si lancia una pallina di piccolo diametro è molto probabile che colpisca una cresta e rimbalzi in modo imprevedibile. Se invece sulla stessa parete si lancia un pallone da calcio il suo rimbalzo sarà regolare ed in una direzione prevedibile. 26

28 Diffusione della luce λ muro λ luce λ suono Figura 23 d Riflessione della luce. Specchio piano A d i r i r A B C Figura 24 27

29 Gli specchi Una superficie riflettente per antonomasia è lo specchio, oggetto a noi molto familiare, ma che si presta ad essere esaminato con un po di attenzione. La superficie levigata che riflette, come è noto, è la sottile lamina metallica, solitamente d argento, applicata sulla faccia posteriore dello specchio. Lo specchio più comunemente utilizzato è lo specchio piano, la cui superficie riflettente è appunto piana, ma esistono e si utilizzano anche specchi curvi, le cui lamine riflettenti sono superfici aventi varie curvature, alcuni dei quali saranno esaminati più avanti. Prima di procedere ricordiamo che l occhio umano vede un oggetto in una posizione situata nella direzione da cui arriva il raggio luminoso. Se quindi si tratta di un raggio riflesso da una superficie l occhio vede l oggetto come se si trovasse dietro la superficie riflettente e non nella posizione in cui effettivamente si trova. La Figura 24 mostra quanto si è appena detto. Un oggetto è posto in una certa posizione A davanti ad uno specchio piano. Un osservatore posizionato in B può vedere l oggetto o direttamente, con i raggi luminosi che arrivano direttamente dall oggetto al suo occhio, o indirettamente con i raggi riflessi dallo specchio. Nel secondo caso all osservatore giunge un raggio che è arrivato sullo specchio con un angolo di incidenza i ed è stato riflesso con un angolo r, uguale a i. L osservatore vede quindi un altro oggetto uguale al primo ma posto dietro lo specchio in un punto A sul prolungamento del raggio giunto al suo occhio. Questa immagine si chiama virtuale perché in realtà non esiste. Infatti se dietro lo specchio si pone uno schermo nella posizione in cui si vede l immagine, su di esso non si forma alcuna immagine 6. L immagine virtuale è simmetrica dell immagine reale, rispetto allo specchio, ossia ogni punto dell immagine virtuale si trova ad una distanza (d) dallo specchio uguale alla distanza del corrispondente punto dell oggetto reale. Inoltre la posizione dell immagine non dipende dalla posizione dell osservatore ma solo dalla posizione dell oggetto rispetto allo specchio. Infatti se l osservatore si sposta in un altro punto, C, l immagine resta nella stessa posizione e l osservatore la vede da una angolazione diversa. Fra i vari tipi di specchi curvi esamineremo ora solo quelli sferici, formati cioè da una calotta sferica come quella illustrata nella Figura 25. La superficie riflettente può essere quella interna o quella esterna della calotta. Se la superficie riflettente è quella interna lo specchio si chiama concavo, se è quella esterna lo specchio si chiama convesso. La retta che passa per il vertice A della calotta ed il centro C della sfera si chiama asse ottico dello specchio, mentre l angolo α compreso fra i raggi che delimitano la calotta si chiama ampiezza dello specchio. La calotta mostrata nella figura è molto più ampia di quanto normalmente usato per gli specchi sferici, ma è stata disegnata così solo per ragioni di chiarezza. Si noti che quanto più piccola è l ampiezza, cioè l angolo α, tanto meno visibile risulta la curvatura dello specchio, al punto che a volte per accorgersi che si tratta di uno specchio curvo bisogna guardare come appare l immagine. 6 Un immagine si chiama reale quando può essere raccolta su uno schermo, virtuale nel caso contrario. Nel punto in cui si forma l immagine reale confluisce l energia trasportata dall onda luminosa ed è, infatti, quella che fa illuminare lo schermo, mentre nel punto in cui si forma l immagine virtuale non arriva alcuna energia perché è stata interamente riflessa dalla superficie speculare. 28

30 Specchi curvi. Specchio sferico Convesso Concavo A r α C Figura 25 Specchio concavo. Punto lontano F C Figura 26 29

31 Esaminiamo dapprima il comportamento degli specchi concavi, cioè quelli con la superficie interna riflettente. La caratteristica peculiare di uno specchio concavo è che qualsiasi raggio parallelo all asse dello specchio si riflette in uno stesso punto, che si chiama il fuoco dello specchio. Nella Figura 26 il fuoco è il punto F e la sua posizione si trova sull asse dello specchio ad una distanza dal vertice dello specchio uguale alla metà del raggio. Si tenga presente che quanto più distante è l oggetto luminoso dallo specchio tanto più la direzione dei raggi tende a diventare parallela all asse, per cui sono praticamente paralleli i raggi che arrivano da un punto molto lontano come, ad esempio, il sole. L immagine che si forma nel fuoco è un immagine reale, essa cioè può essere raccolta su uno schermo e convoglia su di esso l energia trasportata dall onda luminosa. Nel caso dei raggi provenienti dal sole la quantità di energia che si concentra nel fuoco dello specchio è talmente elevata che può far bruciare un materiale incendiabile che venga collocato in quel punto. È proprio su questo principio che si basa uno dei dispositivi con cui si raccoglie l energia solare utilizzata per la produzione di energia elettrica. La Figura 27 mostra un immagine schematizzata di un tale dispositivo. Gli specchi di questa struttura sono parabolici non sferici, ma il funzionamento è analogo. I raggi solari sono riflessi nel fuoco dello specchio come immagine reale e come trasportatori di energia. In questa zona è posizionato un tubo all interno del quale circola un liquido che assorbe l energia riscaldandosi fino a temperature che superano i 450 C. Il liquido passa poi in altre apparecchiature, non indicate nella figura, dove l energia termica viene trasformata in energia elettrica e distribuita alle utenze finali. La Figura 28 mostra un installazione industriale con l insieme di elementi di questo tipo necessari per raccogliere energia solare in quantità significative. Se la sorgente luminosa non è così lontana da poter considerare paralleli i raggi luminosi provenienti da essa, l immagine che si forma non è puntiforme e non è concentrata nel fuoco dello specchio. La Figura 29 mostra un metodo grafico per determinare come e dove si forma l immagine di un oggetto. Premettiamo che ogni punto di una sorgente luminosa, diretta o indiretta, emette onde luminose che si propagano in linea retta in tutte le direzioni dello spazio. Noi consideriamo queste direzioni come raggi luminosi emessi dall oggetto perché questa assimilazione permette di spiegare più facilmente i fenomeni ottici e risulta sufficientemente precisa per determinarne gli effetti pratici. Aggiungiamo ancora che se di uno specchio curvo consideriamo una superficie piccolissima questa può essere assimilata a una superficie piana e quindi la riflessione dei raggi luminosi segue in ogni punto dello specchio curvo la legge della riflessione degli specchi piani, ossia l angolo incidente, i, formato dal raggio con la perpendicolare allo specchio in quel punto è uguale all angolo, r, del raggio riflesso e,inoltre, il raggio incidente, il raggio riflesso e la perpendicolare giacciono sullo stesso piano. Infine notiamo che se degli infiniti raggi emessi da un punto ed incidenti sullo specchio ne individuiamo due di cui sia agevole determinare i corrispondenti raggi riflessi, risulta anche agevole determinare la posizione dell immagine del punto. Ciò premesso, chiariamo quanto detto con l esempio illustrato nella Figura 29. Da un punto P, posto sull asse ottico, consideriamo un raggio che incide sullo specchio in un punto P. Portiamo in questo punto la perpendicolare alla superficie dello specchio (che è una retta che passa per il centro dello specchio) e tracciamo il raggio riflesso in 30

32 Collettore termico parabolico Struttura portante Specchio parabolico Tubo di assorbimento Figura 27 Impianto di energia solare Figura 28 31

33 modo che formi con la perpendicolare lo stesso angolo del raggio incidente e nello stesso piano che questo forma con la perpendicolare. Consideriamo poi un altro raggio dal punto P che coincida con l asse ottico. Questo viene riflesso su sé stesso perché è perpendicolare allo specchio. Il punto Q quindi in cui il raggio riflesso considerato precedentemente incontra l asse ottico è l immagine del punto P. Si può dimostrare che se chiamiamo p la distanza del punto P dallo specchio, q la distanza del punto Q e f la distanza focale, fra queste grandezze sussiste la relazione Poniamo ora un oggetto davanti ad uno specchio concavo, oltre il centro ottico e in modo che l estremo P si trovi sull asse dello specchio (Figura 30). Cominciamo a considerare l altro estremo B dell oggetto e vediamo dove si va a formare la sua immagine. Di tutti gli infiniti raggi uscenti da B e incidenti sullo specchio, prendiamo quello parallelo all asse ottico; come sappiamo questo raggio si riflette passando per il fuoco F. Prendiamo ora un altro raggio uscente da B e passante per il centro ottico dello specchio C. Questo raggio, essendo sovrapposto ad un raggio della sfera a cui appartiene lo specchio è perpendicolare allo specchio stesso e quindi si riflette su sé stesso. I due raggi riflessi si incontrano in B ed in questo punto si forma l immagine del punto B riflessa dallo specchio. Se continuiamo ad applicare questa costruzione a tutti i punti dell oggetto, compresi fra B e P, otteniamo l immagine QB riflessa dallo specchio. Diciamo subito che si tratta di un immagine reale che può essere quindi raccolta su uno schermo e che trasporta l energia luminosa emessa da BP. Notiamo innanzi tutto che l immagine è capovolta, è rimpicciolita ed è posizionata fra il fuoco ed il centro dello specchio. Più precisamente si può dimostrare che, detta q la distanza dell immagine dal vertice dello specchio, p la distanza dell oggetto dal vertice dello specchio e f la distanza focale, risulta ancora una volta che: che, per un determinato specchio di distanza focale f permette di calcolare la posizione in cui si forma l immagine, conoscendo la posizione in cui si pone l oggetto. Da questa relazione si vede anche che se l oggetto è posto molto lontano, cioè p è molto grande, 1/p è molto piccolo e può essere trascurato, per cui la relazione diventa: che significa che l immagine è posizionata proprio nel fuoco, come avevamo appunto visto nella Figura 26. Si può dimostrare inoltre e si può verificare sperimentalmente che se indichiamo con H una dimensione dell oggetto, per esempio la sua altezza, e con h la corrispondente dimensione dell immagine, esiste la relazione: 32

34 Specchio concavo. Punto vicino (Oltre il centro ottico) P f C F Q P q p Figura 29 Specchio concavo (Oggetto oltre il centro ottico) B f C F Q P h H q B p Figura 30 33

35 La posizione dell immagine si sposta dal fuoco verso il centro man mano che l oggetto si sposta dalle posizioni più lontane e si avvicina al centro. Quando l oggetto è nel centro dello specchio anche l immagine si forma nel centro dello specchio, ma è capovolta rispetto all oggetto. Esaminiamo ora come si forma l immagine di un oggetto posto fra il centro ottico e lo specchio distinguendo ancora due casi: quello in cui l oggetto sia posizionato fra il centro e il fuoco e quello in cui sia posizionato fra il fuoco e lo specchio. Il primo caso si risolve facilmente applicando un principio che non abbiamo ancora e- nunciato: il principio dell invertibilità del cammino ottico. Questo principio, che ha trovato piena conferma sperimentale, afferma che il cammino che un raggio luminoso percorre in una certa direzione è uguale a quello che percorre nella direzione opposta. In altre parole la posizione dell immagine e dell oggetto sono intercambiabili. Risulta agevole riscontrare infatti che la Figura 31 risulta analoga alla Figura 30 con l unica differenza che la posizione dell oggetto e dell immagine sono scambiate. Ciò comunque è risultato dopo aver posto l oggetto in P ed aver applicato gli stessi criteri che abbiamo già visto prima per la determinazione dell immagine. Anche le relazioni che legano i parametri p, q, f, H, h restano uguali a quelle menzionate sopra. Sempre per il principio di inversione del cammino ottico si ha che se l oggetto è posizionato proprio nel fuoco, i raggi riflessi dallo specchio sono paralleli all asse ottico e l immagine si forma all infinito. Un applicazione pratica di questo principio si trova nei fari abbaglianti delle macchine o nei riflettori. In queste apparecchiature la sorgente luminosa è posta nel fuoco dello specchio e quindi il fascio luminoso riflesso è formato da raggi di luce paralleli all asse ottico. Esaminiamo ora il caso in cui l oggetto sia posizionato fra il fuoco e lo specchio. Anche in questo caso possiamo ricercare la posizione dell immagine determinando i punti di incontro di particolari raggi. La relativa costruzione grafica è illustrata nella Figura 32. Sia PB l oggetto posizionato fra il fuoco e lo specchio. Prendiamo il raggio dal punto B che passa per il fuoco: il relativo raggio riflesso è quindi parallelo all asse ottico e, nella figura, è diretto verso destra dello specchio. Prendiamo ora un secondo raggio uscente dal punto B e passante per il centro C dello specchio. Come abbiamo già visto questo raggio è riflesso su se stesso e, nella figura, è diretto anch esso verso destra. Appare evidente che i due raggi riflessi sono divergenti e quindi non si incontrano. Si incontrano invece i loro prolungamenti, ma dietro lo specchio, a sinistra nella figura. L immagine si forma quindi nel punto B che non è un punto d incontro di raggi riflessi, ma solo dei loro prolungamenti. Per questa ragione l immagine del punto B che si forma in B è un immagine virtuale. Ripetendo la stessa costruzione per gli altri punti dell oggetto BP si può costruire la sua immagine completa QB, anch essa virtuale. Notiamo in questo caso che l immagine è diritta ed è ingrandita rispetto all oggetto originale. Inoltre, anche in questo caso, si può dimostrare che fra la sua posizione rispetto allo specchio, q, la posizione dell oggetto, p, e il fuoco dello specchio, f, esiste la stessa relazione già vista in precedenza 7, cioè: 7 Per convenzione quando l immagine è virtuale la sua distanza q dallo specchio si assume negativa. 34

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