Sul via libera all eterologa Chiamparino frena e schiera le regioni con la ministra ERNESTO MILANESI RIFORME E CONTENUTI

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1 CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 1,50 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/23/2013 ANNO XLIV. N MARTEDÌ 12 AGOSTO 2014 EURO 1,50 Obamarcord Il presidente dell Iraq Massoum dà l incarico di formare un nuovo governo al vicepresidente del parlamento, al Abadi. Con l appoggio di Onu e Casa Bianca. Al Maliki invoca la piazza e schiera i tank nel centro di Baghdad. Nuove forniture di armi Usa alle forze curde, ma i jihadisti conquistano Jalawla, a 100 km dalla capitale. Continua l esodo degli yazidi, decimati da fame e sete PAGINE 2, 3 BIANI GOVERNO PAGINA 4 Tagli, le pensioni di nuovo in ballo. Ncd all attacco dell articolo 18, insieme a Fi COLOMBO, SCIOTTO FECONDAZIONE PAGINA 5 Sul via libera all eterologa Chiamparino frena e schiera le regioni con la ministra ERNESTO MILANESI YAZIDI IN FUGA DALLE VIOLENZE/FOTO REUTERS LA CARTA DELL AGESCI PAGINA 6 Chiudere i Cie, tagliare le armi Ecco cosa chiedono gli scout: la chiesa accetti le famiglie omo LUCA KOCCI APPRENDISTI STREGONI Giuliana Sgrena G li Stati uniti hanno iniziato l invio di armi senza specificare quali ai peshmerga kurdi perché impediscano l avanzata dei jihadisti dello Stato islamico in Iraq e nel Levante (Isil). Nel frattempo è stato evacuato il personale del consolato Usa a Erbil, la capitale del Kurdistan iracheno. Forse è il segno che nemmeno Obama crede nella sua strategia. Lo stato iracheno infatti si sta frantumando non tanto e non solo per l arrivo dell Isil o per il mancato rafforzamento militare dell opposizione siriana come rimprovera Hillary Clinton al presidente statunitense ma come risultato finale dell occupazione militare Usa dell Iraq nel L obiettivo perseguito fin dal 1991: la spartizione dell Iraq in tre zone in base alle appartenenze etnico-religiose, si sta realizzando con gli effetti più devastanti. Sebbene i combattenti kurdi siano stati gli unici a contrastare, in parte, l avanzata dei fanatici jihadisti non basteranno gli «aiuti» statunitensi (i bombardamenti che continuano da parte Usa e l invio di armi) a sconfiggere al Qaeda, non potranno infatti essere i kurdi a «liberare» l Iraq. Sembra di assistere al remake dell avventura afghana quando gli Usa puntarono tutte le loro carte sui tagiki dell Alleanza del nord. Il fallimento afghano con il ritorno dei taleban evidentemente non è bastato. I raid americani il primo intervento in Iraq dopo il ritiro delle truppe nel 2011 avrebbero colpito obiettivi dell Isil, ma non è dato sapere quali. Del resto non è facile avere informazioni dalla zona dei combattimenti, soprattutto dopo che la giornalista kurda Deniz Firat, dell agenzia Firat, è stata uccisa da una scheggia. Deniz si trovava nella zona di Makhmur la città che sarebbe stata riconquistata dai peshmerga insieme a Gwer. L Isil avrebbe invece occupato Jalawla, più a est. Nella provincia di Ninive si sta consumando la tragedia dei profughi delle minoranze: gli yazidi e i cristiani. Migliaia di yazidi sopravvissuti alle minacce, ai massacri e alla fame, dalla zona di Sanjir si sarebbero diretti prima in Siria e poi nel Kurdistan, dove si trovano anche gran parte dei cristiani. CONTINUA PAGINA 2 LASCIARE IL SEGNO Domenica 17 agosto il manifesto esce con numero speciale dedicato alle illustrazioni di Mauro Biani, con testi di Marco Revelli, Maurizio Landini, Cecilia Strada, Mauro Palma, Gianpiero Caldarella, Riccardo Orioles, Alberto Piccinini, Tommaso Di Francesco, Carlo Gubitosa e Mao Valpiana e la Povoledo ALL INTERNO DUE POSTER ESTRAIBILI E IL GIOCO RIFORMOPOLI DOMENICA 17 AGOSTO RIFORME E CONTENUTI I «vu cumprà» nel Tavecchio continente Un po' di sovranità però avremmo potuto cederla, almeno sul calcio. E puntare su un commissario europeo, magari tedesco, per salvare le sorti di un sistema allo sbando. Invece niente. Il piglio con cui ieri Renzi ha sfidato la Troika sulle riforme trova una sponda nel modo in cui, dopo un traffico di voti, una girandola di siparietti e un trambusto di interessi degni del Consiglio di sicurezza dell Onu, Carlo Tavecchio è stato eletto presidente della Federcalcio. Abbiamo bisogno delle riforme, perché pare ce lo chieda l'europa. Non è chiaro invece quale medico, quale specialista di eugenetica ci abbia ordinato di smetterla con i calciatori mangia-banane. Prescrivendoci di affidare un Marco Boccitto comparto che smuove animi e milioni di euro come pochi, dove la violenza fisica e verbale a sfondo razzista è indicata come un emergenza, un signore le cui sincere pulsioni politiche vengono ora fatte passare per gaffes. Quando è evidente che frasi come quelle riservate da Tavecchio alle calciatrici e agli africani che cercano fortuna da noi sono lo specchio fedele di una personalità, una cultura, un'impostazione ben precise. Tanto quanto le cinque condanne penali rimediate in carriera, dall uomo ora chiamato a risanare il calcio italiano dopo la disfatta mondiale. Renzi non commenta e ha già spiegato perché. Sarà anche poi che a forza di elucubrazioni costituzionali ha smarrito il contatto con i bisogni reali del paese. Dove siamo, e soprattutto che anno è? Allora c è il suo ministro degli Interni che torna a bomba sui veri problemi degli italiani. Il più grave di tutti, calendario alla mano, è l'eccesso di venditori ambulanti sulle spiagge. Alfano immagina di liberare i bagnanti dalla loro petulante insistenza e insieme di salvare il made in italy dai falsari. «Basta essere insolentiti da orde di vu cumprà, dobbiamo radere al suolo la contraffazione», ha detto il Netanyahu delle boutique. Con un lessico («vu cumprà», ma anche «insolentiti») che in altri tempi avremmo definito da curva. ESTATE PAGINA 5 Ultima spiaggia Alfano Il ministro fa il razzista per uscire dall ombra Per «radere al suolo la contraffazione» il ministro dell interno va caccia di visibilità e recupera il linguaggio razzista. Per fortuna lo notano in molti: pioggia di critiche

2 pagina 2 il manifesto MARTEDÌ 12 AGOSTO 2014 OBAMARCORD Iraq Eletto primo ministro il vice presidente del parlamento, Haider al-abadi, anche lui di Stato di Diritto. L ex premier resta capo delle forze militari. Baghdad militarizzata Il rais al Maliki tenta il golpe ma perde Chiara Cruciati I l presidente iracheno lancia il guanto di sfida contro il premier Nouri al-maliki. Ieri dopo giorni di alta tensione politica, il curdo Fouad Massoum, neo eletto presidente della repubblica, ha nominato primo ministro il vice presidente del parlamento, Haider al-abadi, membro di Stato di Diritto, stesso partito di Maliki, tornato dall esilio negli Usa dopo la caduta di Saddam Hussein. Ora al-abadi ha 30 giorni per formare un nuovo governo e ottenere la fiducia parlamentare. All ex premier resta la carica di comandante in capo delle forze militari, un eventualità che fa temere un possibile colpo di mano: mentre al- Abadi prometteva di «proteggere il popolo iracheno», il deposto Maliki annunciava il ricorso alla corte costituzionale. Una vendetta anticipata dal tentativo di golpe di domenica scorsa. Non bastavano le violenze dell Isil contro i civili e l occupazione di un terzo del paese, le esecuzioni sommarie, le chiese distrutte e le moschee in macerie. A dare il colpo di grazia era stato domenica proprio Maliki, uno dei responsabili del settarismo che insanguina l Iraq da anni. Il premier (o meglio, ex), in un atto di grave irresponsabilità, dopo aver impedito con ogni mezzo la sua deposizione a favore di un governo di unità nazionale, è stato il protagonista di un atto che sfiora il colpo di Stato. Due giorni fa ha apertamente accusato il presidente Massoum di violazione della costituzione. Un accusa gravissima a cui è seguito il dispiegamento di forze militari e poliziotti fedeli al premier intorno alla zona verde della capitale, sede fortificata delle ambasciate, gli uffici ministeriali e governativi, l abitazione del primo ministro e il parlamento. Carri armati sotto il diretto controllo dell ex premier hanno subito occupato le strade e i ponti principali di Baghdad, mentre miliziani iniziavano il pattugliamento dei quartieri sciiti. Il massiccio arrivo di forze militari - che prosegue ancora oggi - è cominciato nella serata di domenica, intorno alle 20.30, sinistra anticipazione del discorso che di lì a poco Maliki avrebbe tenuto di fronte alle telecamere dalla tv di Stato: l intenzione di denunciare il presidente Massoum, considerato colpevole di DALLA PRIMA Giuliana Sgrena Ma l attenzione nel frattemposi èspostata a Baghdad dove è in corso il braccio di ferro tra il nuovo presidente Fuad Massum e l ex premier Nuri al Maliki, che non vuole rinunciare al terzo mandato. Massum ha dato l incarico per formare il nuovo governo a Haider al Abadi, ma al Maliki sembra deciso a sfidare il presidente. Al Maliki, abbandonato anche dagli americani, è uno dei maggiori responsabili della situazione irachena. Dispotico, autoritario nello scorso mandato aveva tenuto per sé il ministero delladifesa, degli interni eil comando dell intelligence e ultrasettario: ha escluso da tutti i ruoli di potere, dall amministrazione pubblica e dall esercito, i sunniti. Tanto che l avanzata dell Isil Ha accusato il presidente Massoum di violazione della Costituzione e chiamato le forze armate a raccolta aver violato la costituzione per non avergli affidato il terzo mandato consecutivo per la formazione del nuovo governo. Un atto di impeachment rivolto al parlamento e che scuote il già fragile spettro politico iracheno. A monte sta la rivendicazione di Maliki di vittoria alle elezioni di fine aprile. In realtà, quelle consultazioni elettorali si chiusero con risultati quantomeno incerti: Stato di Diritto non ottenne la maggioranza assoluta, ma 92 seggi su 328. I tentativi di alleanze con partiti sciiti, nell obiettivo di racimolare i 165 seggi necessari a governare il paese, sono falliti lasciando l Iraq in un gravissimo stallo politico che ha facilitato l avanzata dell Isil. Immediata la reazione della comunità internazionale, che da tempo premeva per un allontanamento di Maliki: messo a sedere sulla poltrona di premier dall occupazione Usa, è considerato uno dei responsabili della settarizzazione dell Iraq, portata avanti con politiche discriminatorie delle comunità sunnita e curda, estromesse dalla gestione del potere politico ed economico. L inviato speciale dell Onu a Baghdad Mladevon ha denunciato il quasi colpo di Stato, chiedendo alle forze militari di «astenersi da interferenze nel processo politico democratico». Da Washington il segretario di Stato Kerry ha ribadito il sostegno Usa al presidente Massoum e chiesto a Maliki di evitare una crisi politica che avrebbe il solo effetto di aggravare la già drammatica emergenza umanitaria. Sul campo continuano i bombardamenti nordamericani alle postazioni dell Isil, iniziati venerdì a nord, a poca distanza dalla capitale della regione autonoma del Kurdistan. Allo sganciamento di bombe, è seguito l invio di armi direttamente ai peshmerga, impegnati da due mesi nel tentativo di arginare l offensiva jihadista che ora minaccia direttamente i confini curdi e i territori ufficiosamente conquistati da Irbil, tra cui la strategica Kirkuk. Dalla Casa Bianca nellezone sunnitenon hatrovato alcuna opposizione. Ma contro una nuova nominadi al Maliki, sebbeneilsuo partito Stato di diritto abbia vinto le ultime elezioni (senza ottenere la maggioranza), si è schierata anche gran parte dell Alleanza nazionale sciita. L ex premier porterà la sua determinazione a restare al potere alle estreme conseguenze con un golpe, come lascerebbe intendere il dispiegamento nei luoghi strategici di Baghdad dell esercito, delle forze di polizia e delle unità di élite che rispondono solo a lui? Il presidente Massum, kurdo secondo la costituzione, forse in attesa degli americani, sta in qualche modo tentando di fermare il «nuovo dittatore» come viene chiamato al Maliki dall opposizione. Ma comunque fornendo armi non si è mai posto fine alle guerre, la deriva in Libia lo dimostra. la conferma ufficiale è giunta ieri: da una settimana, secondo il Dipartimento di Stato, armi e munizioni statunitensi stanno raggiungendo il Kurdistan. Ma sul piano diplomatico, il presidente Obama insiste per la formazione di un governo di unità nazionale, inclusivo delle minoranze, condizione per un intervento più ampio da parte dell aviazione Usa. «Riaffermiamo il sostegno a un processo di selezione di un primo ministro che possa rappresentare le aspirazioni del popolo iracheno e creare consenso nazionale», ha commentato la portavoce del Dipartimento di Stato, Jen Psaki. Il messaggio per Maliki è chiaro: farsi da parte. A favore dell ex primo ministro c è l enorme potere archiviato in otto anni, una rete clientelare ramificata e il controllo totale delle forze armate a capo delle quali ha posto propri uomini. Resta da vedere se parlamento e presidente riusciranno ad arginare tale potere. Usa-Iran/I PASDARAN IMPEGNATI «SUL CAMPO» A CONTENERE L AVANZATA JIHADISTA Hillary Clinton a Barack Obama: «L Isil è stata sottovalutata» Giuseppe Acconcia G li Stati uniti sono con le spalle al muro. A gettare benzina sul fuoco del già accesissimo dibattito che negli Usa circonda l infinita questione irachena, ci hanno pensato ieri i repubblicani che avrebbero voluto un intervento militare con tutti i crismi in Iraq. Il senatore John McCain ha parlato di risposta americana inefficace. «L Isil (Stato islamico dell Iraq e del Levante, ndr) ci vuole distruggere», ha denunciato McCain, sottolineando che a suo avviso gli Stati uniti dovrebbero attaccare non solo l Iraq ma anche la Siria. Ad alimentare le polemiche ci ha pensato poi l ex segretario di Stato, Hillary Clinton. «I ribelli siriani andavano armati: non farlo è stato un errore che ha contribuito all ascesa dei militanti islamici in Iraq», ha assicurato Clinton. Eppure, chi negli Usa vorrebbe che i raid mirati in Iraq si estendessero alla Siria dimentica troppo facilmente i milioni di dollari ed armamenti inviati da Stati uniti, Francia e Gran Bretagna in Siria che dal 2012 hanno finan ziato e armato anche i jihadisti che ora vogliono marciare su Baghdad. Dal canto loro, Unione europea e Lega araba hanno fatto quadrato intorno a Obama. Dopo il sostegno assicurato ai raid Usa da inglesi e francesi, la Lega araba ha appoggiato gli attacchi che vanno avanti dallo scorso venerdì nel Nord dell Iraq, condannando le violenze dell Isil. Tuttavia, iperattivi sono soprattutto i pasdaran e la diplomazia iraniana, che, con lo scoppio della crisi irachena, lo scorso giugno, si sono impegnati attivamente per mettere in sicurezza il confine occidentale con l Iraq. Le autorità iraniane e statunitensi avevano inizialmente auspicato uno sforzo congiunto, realizzatosi solo in parte, per limitare l avanzata dei jihadisti dell Isil. E così ieri è arrivato il disco verde del Fondo monetario internazionale (Fmi) al taglio dei sussidi, approvato dal governo tecnocrate di Hassan Rohani. Secondo l Fmi l inflazione in Iran si è ridotta come risultato degli sforzi di Rohani di ridurre i bonus energetici. Eppure, nonostante venga accordato il sostegno internazionale alle politiche neo-liberali di Rohani e continuino i colloqui per la fine del contenzioso nucleare, il paese non sembra andare avanti nelle riforme politiche promesse dai moderati. Dopo gli arresti di giornalisti e contestatori, è stato ritrovato morto in Turchia, l attivista iraniano per i diritti umani, Sayed Jamal Hossein. Eppure, sebbene i raid Usa e l impegno iraniano «di terra» non siano coordinati, il ruolo di Tehran, sia nel contenimento dell Isil sia nel frenare gli entusiasmi dei kurdi per la formazione di uno stato indipendente, è decisivo. Tehran ha dispiegato dieci divisioni delle forze paramilitari al Quds al confine con l Iraq, nella provincia di Kermanshah. Da settimane sta conducendo in territorio iracheno voli di ricognizione e sorveglianza con l utilizzo di droni e sta fornendo tonnellate di equipaggiamenti e assistenza militare al governo sciita di Nuri al-maliki. Il generale Qassim Suleimani, a guida delle forze paramilitari al Quds, ha compiuto poi missioni continue in Iraq. L impegno iraniano in Iraq non è una novità. La fondazione del Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq (Sciri), in seguito alla caduta del regime dello shah (1979), provocò la dura repressione della componente sciita irachena da parte del partito Baath. Il baathismo si presentò, come il baluardo dell opposizione alla diffusione della Rivoluzione islamica tra i paesi arabi. Per questo, l Iraq ottenne il chiaro sostegno degli Stati uniti nella guerra contro l Iran ( ). Negli anni Novanta, Washington ha promosso una politica di doppio contenimento (dual containment) tra Iran e Iraq. Gli Usa hanno accresciuto il loro controllo nel Golfo persico sostenendo l Arabia Saudita come guida regionale per isolare l Iran. Eppure l attacco Usa all Iraq del marzo 2003 vide l Iran giocare un ruolo di «neutralità attiva». L instabilità in Iraq è sempre stata un problema per la sicurezza iraniana. E così in Iraq si gioca la carta decisiva del riavvicinamento tra Usa e Iran: l ultima chance di tenere a freno l islamismo radicale, per anni finanziato dai sauditi proprio per isolare lo «stato canaglia» ora utilissimo per contenere i jihadisti.

3 MARTEDÌ 12 AGOSTO 2014 il manifesto pagina 3 OBAMARCORD Sharia Il Dipartimento di stato americano conferma l invio di armi ai curdi. La ministra Mogherini chiede una riunione straordinaria all Unione europea Giu. Acc. P er sottrarre ai jihadisti il Nord dell Iraq, gli Usa si sono affidati ai combattenti kurdi peshmerga. Le forze kurde hanno già riconquistato le città di Gwer e Makhmur, in mano ai jihadisti, grazie ai raid Usa nella provincia di Ninive. E così, in assenza di un piano di intervento di terra Usa nel Nord dell Iraq, l unica soluzione sembra quella di armare i kurdi che hannodimostratodi saper darecontinuità alleforniture di petrolio, nonostante l avanzata dell Isil. Si tratta di una svolta significativa della politica di Washington nei confronti dei kurdi IRAQ, SFOLLATI YAZIDI E CRISTIANI. A DX, OSPEDALE DI EMERGENCY. SOTTO, SOLDATI IRANIANI/REUTERS Chi. Cru. S e l obiettivo del nuovo califfo Al Baghdadi è destabilizzare la regione e radicare lo Stato Islamico tra Iraq e Siria, nel tentativo di fare della sua nuova creatura la meta di miliziani estremisti da tutto il mondo, lo strumento più drammatico sono le sanguinose aggressioni contro la popolazione civile. Nel target dell Isil finiscono tutti quelli considerati, nella personale interpretazione della Shari a, apostati: musulmani sciiti, cristiani, yazidi. Gli occhi del mondo sono oggi puntati sul nord dell Iraq, dall inizio di giugno teatro della fuga di centinaia di migliaia di civili. Prima è toccato agli sciiti delle province di Anbar e Ninawa, subito occupate dall Isil: in pochi giorni un milione di persone raggiunse i checkpoint con il Kurdistan per avere salva la vita. L ultima settimana ha visto invece la fuga disperata di 100mila cristiani dalle città di Qaraqosh, Tal Kayf, Bartella e Karamlesh, occupate il 7 agosto, e di decine di migliaia di yazidi comunità curda vicina al zoroastrismo scappati dalla città Stati uniti/ ARMI AI PESHMERGA NEL NORD IRACHENO Il Pkk al fianco dei kurdi di Erbil, che riconquistano due città Francia, Gran Bretagna e Italia si accodano a Washington mentre continuano i raid iracheni dopo la visita del segretario di Stato John Kerry nel Kurdistan iracheno, a pochi giorni dallo scoppio della crisi. «La visita di Kerry non è stata inusuale», ha assicurato al manifesto Harriet Allsopp, docente all Università di Londra (Birkbeck). «Ma l interesse degli Stati uniti è di mantenere l unità territoriale irachena. Una dichiarazione di indipendenza da parte di Barzani non verrà appoggiata da Washington, che pure avrebbe dei vantaggi a trattare il Kurdistan iracheno come uno stato indipendente piuttosto che come una minoranza», ha aggiunto. E così il Dipartimento di Stato ha confermato che Washington sta fornendo armi ai kurdi. «Collaboriamo con il governo iracheno per inviare armi ai kurdi. Il governo (di Baghdad, ndr) consegna le sue armi e noi facciamolastessacosa: forniamo lenostre», haconfermato il portavoce del Dipartimento di Stato, Marie Harf. Anche i ministeri degli Esteri francese, inglese (i britannici per ora non sono tentati da un intervento militare) e italiano si sono accodati all iniziativa Usa. Federica Mogherini, che ha chiesto una riunione straordinariadel Consigliodegli Affariesteridell Ue, hafatto riferimento a «verifiche tecniche», anche da parte del ministero della Difesa italiano, per un eventuale «sostegno all azione militare» del governo autonomo delkurdistan. Berlino vuoleperòlimitarsia inviareaiuti umanitari. Secondo il governo tedesco, gli Stati uniti hanno una «responsabilità particolare» in Iraq e, per il momento, non sono previste forniture di armi ai kurdi. Il presidente del governo autonomo del Kurdistan, Massud Barzani, aveva chiesto ieri «urgenti forniture di armi» ai peshmerga e l intervento dell intellingence Usa, per fermare l avanzata dell Isil. Anche il Partito dei lavoratori kurdi (Pkk) ha favorito l esodo di migliaia di sfollati dalle città del Nord dell Iraq. «La cooperazione tra kurdi turchi e iracheni è già significativa, ci può essere un accordo militare e la creazione di una forza militare congiunta per proteggere l area», ha continuato Allsopp. «Non si tratterebbe di un accordo politico ma militare. Per esempio, potrebbero essere aperte le frontiere tra Iraq e Siria, cercando una forma di cooperazione con il Pkk. Per questo, la potenzialità dell indipendenza di una regione kurda è molto forte in questo momento», ha aggiunto. Un freno all indipendenza arriverebbe però dal fronteiraniano. «IlPartito per ilkurdistan libero (Pjak che persegue la lotta armata per l indipendenza dei kurdi iraniani) si è rafforzato dopo la marginalizzazione del Partito democratico del Kurdistan iraniano (Kdp-I). Quindi sarà sicuramente coinvolto nel caso di un conflitto per l indipendenza kurda. Mentre il Partito dei lavoratori curdi (Pkk) e ilpartito democratico unito in Siria (Pyd) potrebbero confluirein un sostegno piùorganizzato ai kurdi iracheni», ha concluso Allsopp. AFGHANISTAN Emergency, ucciso autista ambulanza L'autista afgano di un'ambulanza di Emergency è morto in Afghanistan. Hamza Khan è stato raggiunto da colpi di arma da fuoco durante i combattimenti nel distretto di Tagab nella provincia nord-orientale di Kapisa. Questo il comunicato della ong che ha confermato la notizia: «L'ambulanza stava andando al posto di primo soccorso di Emergency a Tagab, dove erano stati portati numerosi feriti dei violenti scontri a fuoco, per aiutare a trasferire i pazienti verso il nostro centro chirurgico». Hamza lavorava da dodici anni con Emercency «con grande passione e serietà. Siamo vicini alla sua famiglia in questo momento drammatico». Le strutture di Emergency in Afghanistan stanno lavorando a pieno ritmo: «I centri chirurgici per vittime di guerra sono sempre pieni. A luglio, solo a Kabul abbiamo ricoverato 326 pazienti per ferite di guerra (oltre a 604 visite in pronto soccorso). Il 20% dei feriti aveva meno di 14 anni. È il numero più alto di ricoveri, in un solo mese e in un solo ospedale, dall'inizio delle nostre attività nel Hamza Khan è l'ennesima vittima civile di questa guerra». PERSECUZIONI Curdi e cristiani in fuga dal califfo al Baghdadi Minoranze nel mirino di Sinjar. Entrambe le minoranze sono sotto un attacco feroce: costrette a convertirsi all Islam in cambio della vita. Una minaccia concreta: sarebbero 500 gli yazidi giustiziati dai miliziani dell Isil e sepolti in fosse comuni, alcuni di loro seppelliti vivi, fa sapere Mohammed Shia al-sudani, ministro iracheno per i Diritti umani, e aggiunge che 300 donne sarebbero state rapite dai jihadisti e ridotte in schiavitù. Difficile stimare gli sfollati yazidi: c è chi parla di 50mila persone, chi di 150mila, rifugiatesi sul monte Sinjar. Molti altri sono riusciti a passare i checkpoint con il Kurdistan si parla di 200mila e hanno raccontato ai reporter presenti delle brutali violenze e delle perdite subite nel cammino. Ogni famiglia ha visto morire figli, fratelli, sorelle, anziani, uccisi dal caldo e la mancanza d acqua o dalle pallottole sparate dai miliziani sulla folla. Raccontano di fosse comuni ed esecuzioni arbitrarie contro chi ha rifiutato di convertirsi. Moises Saman, fotografo peruviano, si trovava al checkpoint di Fishkhabur domenica ad aspettare l arrivo dei profughi yazidi: «Migliaia di famiglie hanno attraversato il confine, una sorta di ponte improvvisato costruito sul fiume Tigri. Un costante torrente di persone, soprattutto donne e bambini. Persone stanchissime, tante sono collassate appena arrivate. Molti di loro erano senza scarpe. Tutti hanno raccontato di aver camminato per giorni senza cibo né acqua. Nessuno si aspettava tanti rifugiati e gli aiuti non sono bene organizzati, non è un campo profughi». «Non ricordo nulla racconta Ilyas Haku Namo, 64 anni Sono fuggito con la mia prima e la mia seconda moglie e i nostri tre figli. Ma quando siamo saliti sulla montagna, la mia prima moglie e i bambini non ce l hanno fatta. Non ho più nulla, voglio solo morire». E su coloro che non hanno potuto arrivare al confine, ma hanno cercato scampo sul monte Sinjar (tuttora circondato dall Isil), dai jet a stelle e strisce da tre giorni piovono i primi aiuti, 36mila confezioni di cibo e 27mila litri d acqua, mentre le temperature estive sfiorano i 50 gradi. Dal cielo sono arrivati anche tende e filtri per l acqua, sganciati dagli aerei britannici. Jonathan Krohn, giornalista del Telegraph, il primo a raggiungere Sinjar, ha raccontato di centinaia di rifugiati che hanno preso d assalto gli elicotteri dell aviazione militare irachena che portavano acqua e cibo: «La valle della morte l ha definita il generale Ithwany, a capo Omicidi di massa e centinaia di sepolti vivi, 300 donne rapite e ridotte in schiavitù dai miliziani islamisti della missione Oltre il 70% sono già morti». Alle pendici, nella vallata, gli elicotteri hanno visto corpi abbandonati nella disperata fuga degli sfollati: tantissimi non ce l hanno fatta a trovare rifugio sul monte. Da venerdì piovono anche le bombe sganciate dagli F35 Usa sulle postazioni jihadiste, al confine con il Kurdistan iracheno e a pochi chilometri dalla capitale Irbil. Il sostegno militare Usa sta producendo già i primi effetti: ieri i peshmerga curdi hanno riconquistato due città settentrionali, Makhmour e Gweir e 25 villaggi intorno, a 30 km da Irbil, espellendo i miliziani dell Isil. Nelle tv curde sono apparse ieri le immagini della bandiera della regione autonoma che di nuovo sventolava sulla sede degli uffici governativi a Makhmour, strategica comunità ricca di giacimenti di petrolio. A permettere la vittoria curda, dopo le cocenti sconfitte archiviate nella diga di Mosul conquistata dall Isil, è stato in parte il morale più alto tra le file peshmerga, con in dotazione armi vecchie, poche munizioni e nessuno stipendio. Ma nonostante i punti segnati dalle milizie curde, l avanzata dell Isil prosegue e con questa l ingresso di armi e miliziani dal poroso confine siriano. TURCHIA Erdogan fa il bis ma l alternativa si è rafforzata Fazila Mat INSTANBUL S enza sorprese, il premier Tayyip Erdogan diventa il dodicesimo presidente della repubblica in Turchia. Eletto al primo turno con il 51,79% dei voti, sarà il primo capo di stato scelto a suffraggio universale. Nella sera di domenica, appena ottenuti i risultati non ufficiali che lo indicavano vincitore, il primo ministro ha tenuto un breve discorso a Istanbul per poi recarsi alla Moschea di Eyüp, dove pure i sultani ottomani si recavano prima dell incoronazione, a pregare. Più tardi ad Ankara, di fronte alla folla venuta ad acclamarlo sotto il balcone della sede del Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp), ha detto che «oggi è il giorno in cui viene fondata la nuova Turchia ed anche il giorno in cui bisogna socchiudere la porta a nuovi compromessi». Un discorso conciliante e teso ad «abbracciare con amore i 77 milioni» di abitanti e molto differente rispetto ai toni aggressivi usati durante la campagna elettorale. L affluenza, registrata al 74%, è stata la più bassa degli ultimi anni. Numerosi gli elettori, sia tra le fila dell Akp che tra quelli dell opposizione del Chp (Partito repubblicano del popolo) hanno disertato il voto. Il principale rivale Ekmeleddin Ihsanoglu è uscito con una percentuale di preferenze del 38,44%,mentre si stima che circa un milione e mezzo di elettori del Mhp (Partito di azione nazionalista), abbiano votato Erdogan anziché il candidato Ihsanoglu, presentato assieme al Chp. La vera rivelazione delle elezioni è stato invece il co-leader dell Hdp Selahattin Demirtas, che si è attestato al 9,76%. Ha incrementato di 4 punti i voti delle amministrative dello scorso marzo, presentandosi per la prima volta come partito che unifica le istanze del movimento politico curdo e della sinistra turca. I voti raddoppiati nella grandi metropoli come Istanbul e Izmir lo segnala come un partito d opposizione in ascesa, non più legato unicamente all identità etnica, in grado di dare voce a diversi settori della società(dai giovani al movimento Lgbt, dalle associazioni delle donne agli ambientalisti). A risultato elettorale acquisito, l agitazione che da qualche settimana anima l Akp sul nome che andrà a sostituire quello di Erdogan si è intensificata. Il 27 agosto(un giorno prima della data in cui l attuale capo di stato Abdullah Gül terminerà ufficialmente l incarico) è stato convocato un congresso straordinario per decidere il nuovo segretario. Il premier uscente ha precedentemente reso noto che intende continuare a guidare la Turchia, anche dopo essere eletto presidente della repubblica. Una carica che secondo la costituzione è essenzialmente rappresentativa, ma essendo stata redatta in seguito al golpe militare del 1980, attribuisce al capo di stato anche poteri da utilizzare in circostanze eccezionali. Tra questi, convocare e presiedere le riunioni del consiglio dei ministri e quelle del consiglio di sicurezza. Ed è proprio utilizzando questi poteri che il neo-eletto Erdogan intenderebbe continuare ad esercitare il potere esecutivo. All interno del partito ci sarebbero voci discordanti su chi guiderà l Akp. Affinché il progetto presidenziale di Erdogan abbia successo il suo erede deve seguire alla lettera le sue indicazioni. Allo stesso tempo, in occasione delle Politiche 2015, deve anche essere in grado di ottenere una maggioranza parlamentare che possa modificare la costituzione e approvare una volta per tutte il sistema presidenziale.

4 pagina 4 il manifesto MARTEDÌ 12 AGOSTO 2014 POLITICA GOVERNO Allo studio l ipotesi di tagliare gli assegni «troppo alti», compresi quelli di reversibilità, a partire da 3mila euro lordi Ora le pensioni tornano a ballare Renzi non ha ancora deciso, ma si pensa anche a una «patrimoniale» con il nuovo catasto L articolo 18 potrà essere usato come diversivo o alibi Andrea Colombo P untuale come le tasse sulla casa è tornato in campo il maledetto articolo 18. Eliminarlo non serve a niente, e questo tutti gli attori in campo, Renzi, Berlusconi e Alfano, lo sanno perfettamente. Però agitare la cancellazione del pochissimo che ne resta può tornare lo stesso utile. Per i capi dell ex centrodestra, ricostituitosi per l occasione, è merce di scambio politica e, nel caso del disastrato Angelino, il salvagente a cui attaccarsi per dimostrare che il suo esangue Ncd una ragione d esistere ce l ha. Per Renzi l utilità dell inutile campagna è anche più seria. Nei prossimi mesi, il velocista dovrà varare misure pesanti e dolorose, il contrario esatto di ciò che ha sempre promesso. Lo sapeva già da settimane: il verdetto di Moody s ha confermato che di vie d uscita stavolta non ce ne sono. Il colpo di grazia all art. 18 potrebbe così diventare, a seconda delle circostanze, o un diversivo per evitare che l attenzione del pubblico votante si concentri troppo sulle mazzate vere, oppure una bandiera da salvare, a costo limitato, per salvaguardare l'immagine nuova e popolare del governo proprio mentre in cantiere ci sono misure che di innovativo e di popolare non hanno proprio niente. Saranno gli equilibri politici del momento, in autunno, a decidere se l art.18 dovrà essere un diversivo o un alibi propagandistico. Cosa fare per mettere una pezza allo sfascio dei conti, Renzi non lo ha ancora deciso. Ma che si tratti di misure socialmente feroci, pur se impacchettate come solo i grandi imbonitori sanno fare, è certo. Le ipotesi che palazzo Chigi e il ministero dell Economia stanno discutendo in questi giorni, per verificarne la praticabilità, sono eloquenti. Circola impetuosamente l ipotesi di un nuovo intervento sulle pensioni. Non una riforma che tocchi per l ennesima volta quelle future, però: lì la spugna è già stata strizzata sino all ultima goccia. Piuttosto quelle già erogate, considerate troppo esose perché misurate con l obsoleto sistema retributivo invece che contributivo. In soldoni, un taglio delle pensioni «troppo» alte, incluse naturalmente quelle di reversibilità a partire dai 3mila euro lordi. Dire lacrime e sangue, se l ideuzza diventasse progetto di legge, sarebbe ancora poco. La seconda trovata potrebbe essere smerciata come una sorta di patrimoniale, tanto per accontentare l ala sinistra dell elettorato renziano. Ma sarebbe una patrimoniale per modo di dire, dal momento che verrebbe misurata sui nuovi catasti e quindi, ancora una volta, colpirebbe, insieme ai più abbienti, la sterminata massa dei piccoli proprietari. Con la differenza che per i primi, che pure se ne lamenterebbero a voce strepitante, il colpo sarebbe lieve, per i secondi esiziale. E possibile che queste scelte draconiane, al momento solo ipotetiche, vengano alla fine rimpiazzate da qualche altro taglio, meno apertamente massacrante per la massa degli elettori. Ma nella sostanza l esito non cambierà di molto. Si capisce dunque perché una bella guerra simbolica sull articolo 18 possa alla fine rivelarsi il minore dei mali. Tanto più se, alla fine, proprio Renzi riuscisse a comparire come il salvatore del simbolo dei diritti dei lavoratori (sopravvissuto alla scomparsa di quei diritti). Ci farebbe un figurone. Se la venderebbe come la prova provata della sua diversità rispetto a tutti i governi passati, e proprio mentre imbocca la stessa strada dei predecessori. Ma se il nome dell articolo 18 verrà mantenuto o meno dipende da altri equilibri, più schiettamente politici. Alfano, dicono i beninformati, è contentone. A lui delle norme sui licenziamenti importa pochissimo, come anche della fecondazione eterologa e della campagna sugli immigrati. Quel che conta è ritagliarsi un ruolo, e nel quartier generale dell Ndc brindano, convinti di aver imboccato la strada giusta. Inoltre, l immediata risposta positiva di Forza Italia ha creato una situazione a dir poco interessante, con il centrodestra per la prima volta davvero ricompattato dai giorni tristi del divorzio, e con tali e tanti numeri, come segnala giubilante l azzurra Licia Ronzulli, da «mettere in minoranza Renzi». Non è detto che la battaglia di Angelino l annegante debba per forza essere combattuta fino in fondo, del resto. Se del caso, si troverà il modo di allestire qualche baratto vantaggioso. Ma qualche forma di baratto, magari concedendo ad Angelino Alfano la vittoria simbolica in cambio della resa sul fronte della legge elettorale, potrebbe tornare utile anche a Matteo Renzi. Ecco perché ieri, mentre dal Pd si moltiplicavano le levate di scudi contro l eliminazione dei poveri resti dell articolo 18, Lorenzo Guerini, a sorpresa, è uscito con una dichiarazione tutt altro che blindata: «Come emendamento allo Sblocca-Italia non se ne parla: Ma al momento di discutere la delega lavoro terremo in contro tutte le proposte». LAVORO Il segretario Ncd: «Totem degli anni 70, abolirlo entro agosto». Il Pd per ora frena E Alfano si butta all attacco del 18 MATTEO RENZI /FOTO LUIGI MISTRULLI-SINTESI VISIVA RITORNO A PALAZZO CHIGI India, Turchia, Abu Dhabi e Usa Premier giramondo al telefono Nessun vertice sull economia al Quirinale per il presidente del Consiglio. Matteo Renzi, tornato a palazzo Chigi dalla Toscana, si è impegnato ieri in una serie di colloqui telefonici, il più delicato con il primo ministro indiano Narendra Modi non promette passi in avanti nella vicenda dei due fucilieri di marina. Secondo palazzo Chigi «Renzi ha detto di auspicare una soluzione rapida e positiva» per i due marò, secondo la versione del governo indiano «Modi ha incoraggiato l Italia a consentire un proseguimento del processo in India, dove la giustizia è libera, giusta e indipendente». Sempre ieri «lunga telefonata» con il presidente Usa Barak Obama, Renzi avrebbe parlato delle crisi internazionali ma anche dell Africa «a seguito della sua recente missione». Renzi ha poi sentito l appena eletto presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan, per palazzo Chigi «al centro del colloquio i rapporti bilaterali e le crisi in Libia e Medio oriente, con particolare riferimento all Iraq». Delle crisi internazionali il presidente del Consiglio ha parlato anche con il principe ereditario di Abu Dhabi, lo sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, con lui aveva però anche da affrontare il recente acquisto dell Alitalia da parte della compagnia Etihad. Brunetta (Fi) è d accordo: «Su questo siamo uniti». L alt di Bonanni (Cisl): «Cancella le false partite Iva». Landini (Fiom): «Errore gravissimo» Antonio Sciotto N on bastava l espressione dal sapore razzista sui venditori delle spiagge (definiti con l antiquato nome di «vucumprà»), Angelino Alfano ieri ha anche attaccato di petto i diritti dei lavoratori. In particolare, quella che è diventata una vera e propria "ossessione" per l Ncd: l articolo 18. Il segretario del Nuovo Centro Destra, probabilmente per riprendersi una centralità mediatica ultimamente molto offuscata (non solo dal premier Matteo Renzi, ma anche dal patto del Nazareno tra Pd e Berlusconi), ha chiesto «un segnale di forte semplificazione delle regole con l abolizione dell articolo 18 entro la fine di agosto». Angelino Alfano suggerisce «tre mosse» per rilanciare la crescita: 1) il pagamento di «15 miliardi di debiti della pubblica amministrazione entro fine settembre»; 2) con la delega fiscale, dare «centralità della famiglia, semplificazione, possibilità per gli imprenditori, come già avviene con l Iva, di pagare le tasse non quando fatturano ma solo quando incassano». E quindi, dopo aver difeso, come è di prammatica, «la famiglia» (come non pensare all attuale polemica sull eterologa?), c è il terzo punto: abolire l articolo 18 già nel decreto «Sblocca Italia», che appunto il governo dovrebbe varare entro fine agosto. Alfano spiega: «Per noi l abolizione dell articolo 18 diventa necessaria». «Anche se il luogo più naturale sarebbe la delega Lavoro continua il leader Ncd chiediamo che se ne discuta subito per poi inserirlo nel decreto Sblocca Italia a fine mese» e «sarebbe già un segnale molto forte cominciare dai nuovi assunti». La norma sui licenziamenti, secondo Alfano, è «un totem degli anni Settanta» e «non è stata abolita finora perché ha retto un asse fra il Pd e il sindacato. Ma ormai è il momento di mettere davanti a tutto la necessità di dare un lavoro a chi non ce l ha, liberando da ogni laccio l imprenditore che vuole assumere qualcuno». Il ministro degli Interni si dice sicuro che «se "sblocchiamo" l idea che un assunzione sia un matrimonio a vita» il mondo delle imprese risponderà. Su una possibile collaborazione con Forza Italia sui temi economici, Alfano dice: «A novembre loro sono usciti dal governo: se ad agosto vogliono rientrare lo dicano apertamente, Il centrodestra si ricompatta sul lavoro, ma sullo sfondo c è anche la trattativa sulla legge elettorale è inutile tutta questa tarantella. Ma devono riconoscere che noi avevamo visto giusto e la loro fu una scelta sbagliata in un momento in cui l Italia stava per finire in un burrone». Forza Italia, o almeno uno dei suoi "falchi", però, risponde positivamente: su misure economiche e moratoria per 3 anni articolo 18 centrodestra unito. E il Pd?», dice in un tweet Renato Brunetta, facendo intendere insomma che il famoso (e da alcuni auspicato) allargamento della maggioranza può (e dovrebbe) passare per il 18. Non è d accordo con il suo compagno di partito Renata Polverini: «Il problema della disoccupazione non si può attribuire ai diritti conquistati dai lavoratori bensì a un sistema economico asfittico, che non crea lavoro». Ma il Pd argina, almeno per il momento, l aggressione alfaniana: «Il nuovo articolo 18, quello cambiato dalla legge Fornero del 2012, già funziona. Non si vede la ragione di fare un altra modifica», dice il sottosegretario al Lavoro, Luigi Bobba. Perché è vero, va ricordato: l articolo 18 è già stato pesantemente indebolito dalla riforma Fornero. Più possibilista, ma per ora frena, Lorenzo Guerini, vice segretario Pd. Pur assicurando che il tema «non è tabù», rimanda alla delega lavoro: «Sbagliato dice anticipare la discussione a strumenti non propri. Nel Jobs Act non ci saranno chiusure pregiudiziali, ma senza la tentazione di piantare bandierine». Netto altolà anche dal fronte del sindacato. «Caro Angelino non serve abolire art 18 visto che aziende assumono con contratti a termine e false partite IVA. Aboliamo quelle», risponde con un tweet Raffaele Bonanni (Cisl). Per Maurizio Landini, leader della Fiom, «sarebbe un errore gravissimo»: «L esistenza dell articolo 18 dice è l'ultimo dei problemi dell Italia. Tra l altro è già stato modificato e non ha creato posti di lavoro, anzi ci sono stati più licenziamenti per motivi economici». STIME OCSE E MOODY S Il premier replica a Draghi: nessuno mi detta le riforme An. Sci. L a risposta dalle colonne del Financial Times è in perfetto stile da "orgoglio renziano". Ma poi bisognerà vedere se al di là delle parole, il nostro premier riuscirà a non applicare nella sostanza proprio le riforme chieste dalla Bce e dalla troika (che è vero, non ci ha ancora "visitato" o men che mai commissariato, ma sempre incombe). Ecco dunque le parole rilasciate ieri da Matteo Renzi al prestigioso quotidiano finanziario: «Sono d'accordo con Draghi quando dice che l'italia ha bisogno di fare le riforme spiega il presidente del consiglio Ma come le faremo lo deciderò io, non la Troika, non la Bce, non la Commissione europea. Farò io stesso le riforme perché l Italia non ha bisogno di altri che spieghino cosa fare». E insomma, Renzi è certo che riuscirà a superare le attuali difficoltà, per poter incassare in futuro dei risultati: «Porteremo l Italia fuori dalla crisi spiega L Italia ha un grande futuro, le finanze italiane sono sotto controllo e continueremo a ridurre le tasse. E comunque non ho assolutamente intenzione di superare il tetto del 3%. È una vecchia regola, ma anche se gli altri dovessero superarlo, per l Italia è una questione di credibilità e di reputazione. Ci auguriamo che nella seconda metà dell anno i dati di crescita siano migliori. E faremo cose rivoluzionarie». La Commissione Ue, dal canto suo, ieri ha voluto ribadire che per il momento dà fiducia al nostro premier: «È con le riforme strutturali, efficacemente attuate, che si creano le condizioni per crescita e occupazione in Italia», come detto nelle «raccomandazioni» verso cui «l Italia si è già impegnata», ha detto un portavoce di Bruxelles. Ma «l attuazione delle riforme è questione che riguarda lo Stato». Ieri sono arrivati dati in chiaro scuro sulla nostra economia. Positiva l Ocse, che ci attribuisce un super indice favorevole. Secondo l organizzazione internazionale, la crescita nell'eurozona conferma «uno slancio stabile»: ma se in Germania continuano i segni di una «perdita di slancio», per l'italia si delinea una fase «positiva». E così il superindice Ocse di giugno, che per l Eurozona è stabile (-0,04%), per la Germania vede un calo dello 0,23% su base sequenziale e per l Italia un aumento dello 0,1%. Bad news, al contrario, dal fronte di una delle principali agenzie di rating, Moody s, che come hanno fatto tanti altri istituti (ultimo l Istat), taglia a sua volta le proprie stime: le previsioni di crescita per il 2014 passano da un positivo 0,5% a un (negativo) -0,1%. Il rapporto deficit/pil 2014 e 2015 è visto al 2,7%, con rischi significativi di ulteriori revisioni al rialzo. Per quanto riguarda il rapporto debito/pil, Moody's lo stima al 136,4% quest anno e al 135,8% nel Gli 80 euro, infine, sono definiti «una misura importante» dall agenzia di rating, ma essendo entrati in vigore soltanto a giugno, potrebbero avere impatto non prima della seconda parte dell'anno.

5 MARTEDÌ 12 AGOSTO 2014 il manifesto pagina 5 ITALIA Razzismo sugli spalti e negli uffici. Vince l asse Lotito-Preziosi- Galliani, il numero uno dei dilettanti conquista il vertice IMMIGRATI Critiche da Pd e associazioni Alfano come la Lega: «Basta vu cumprà» IL NUOVO PRESIDENTE DELLA FIGC CARLO TAVECCHIO /FOTO EIDON FIGC È il nuovo presidente con il 63% dei consensi. Albertini fermo al 34% Calcio Tavecchio decrepito Mario Di Vito È finita come doveva finire: Carlo Tavecchio è il nuovo presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Il complicato meccanismo di elezione che ha portato alla vittoria dell ex presidente della Lega dilettanti ricorda un po quello che si usa per eleggere il capo dello Stato: al primo giro servono i tre quarti dei consensi, al secondo i due terzi, dal terzo in poi basta il cinquanta percento più uno. Tavecchio è partito con il 60%, poi i consensi sono saliti al 63, alla fine si è affermato con la stessa percentuale. Lo sfidante Demetrio Albertini si è fermato al 34%. In Federazione la giornata è stata comunque funesta: nervi tesissimi, occhiate in cagnesco, il presidente della Juve Andrea Agnelli che prima viene quasi alle mani con quello del Genoa Enrico Preziosi e poi si mette a sbraitare contro il laziale Claudio Lotito, entrambi sponsor di Tavecchio insieme a Adriano Galliani. L ad del Milan ha votato per primo mentre l anziano boss della Lega Pro Mario Macalli, certo del trionfo, intervallava sorrisi beffardi con battute DIRITTI La verità biologica Bruno de Filippis M entre in passato vigeva il la sostituzione di embrioni, fatto «principio di legittimità», non ipotizzabile quando la norma fu originariamente redatta e teso a difendere la famiglia legittima e ad attribuire solo quindi, oggetto di possibile interpretazione analogica o estensiva, ad essa o ad alcuni membri di essa, entro termini rigorosi, il potere di far accertare o modificare lo azioni di stato. pur nel regime di tipicità delle stato del nato, nell epoca moderna si è affermato il principio di ve- sarebbe certamente spazio per Ove si ritenesse il contrario, vi rità biologica, riconoscendo a ciascuno il diritto di conoscere le violazione del principio di egua- un ricorso di costituzionalità, per proprie origini e di crescere nella glianza e del diritto alla propria propria famiglia naturale. identità personale. Ciò nonostante, nel nostro Paese, il principio di verità non ha so, sarà una decisione della Con- Altresì inevitabile, a mio avvi- trovato piena attuazione ed esistono norme o residui di norme, scienza popolare agevolmente risulta conforme a quello che la co- formalmente rivolte a «proteggere la famiglia», le quali affermano formato con materiale genetico conosce: vale a dire che un figlio la definitività dello stato, una volta che lo stesso sia stato acclarato mente voluto, ad essa sottratto di una coppia e dalla stessa forte- con l atto di nascita. da un mero errore medico, è figlio di quella coppia. Sulla base di questa normativa e tramite un provvedimento che Né può trascurarsi il principio - secondo le notizie di stampa - di interesse del minore. Già ora ha negato la ricorrenza delle ipotesi di reclamo o contestazione rio di conoscere le proprie origini nei figli adottati è forte il deside- dello stato di figlio, la coppia non e di comprendere le ragioni per genetica del caso di scambio di le quali i genitori non li hanno tenuti con sé. Nel caso del Pertini embrioni ha ottenuto dal Tribunale un riconoscimento di genitorialità in contrasto con la verità siderio nascerà anche nel figlio è facile presumere che questo de- biologica. oggi oggetto di contesa e che l accettazione del suo stato non sarà A mio avviso, proprio le fattispecie menzionate sono applicabili al caso di specie. gli adottati, dal fatto che i genitori agevolata, come avviene per i fi- Esse, infatti, riguardano la sostituzione di neonati, evento chiarasenso per l adozione. avevano prestato il proprio conmente sovrapponibile rispetto al- *giurista Eletto al terzo scrutinio, con le opposizioni arrivate al giorno delle elezioni divise e incerte al veleno sugli avversari. In effetti, non c è mai stata partita: benché il fronte dei dissidenti sia andato crescendo per settimane, Albertini non è mai parso un alternativa davvero convincente e il commissariamento era un ipotesi tremenda praticamente per tutti. L elezione di Tavecchio conferma così almeno due teorie sullo stato presente del calcio italiano: che la Figc è l ultimo bastione di potere reale della mai davvero defunta Democrazia Cristiana e che alle società, in fondo, non gliene importa nulla di far tornare la serie A all altezza degli antichi splendori. Di riforme serie, se non si fosse capito, non se ne farà neanche una. Classe 1943, ragioniere, sindaco democristiano di Ponte Lambro, comune del comasco, dal 1976 al 1995, Carlo Tavecchio è un collezionista di poltrone: quando aveva ancora la fascia tricolore addosso entrò nel mondo della dirigenza pallonara, poi, nel 1999, ascese alla presidenza della Lega Nazionale Dilettanti, il vero cuore del calcio italiano, con un giro d affari da un paio di miliardi di euro e il controllo più o meno diretto di migliaia di tesserati tra serie D, calcio femminile, calcio a cinque e beach soccer. In termini ponderati, per l elezione del presidente della Figc questi sono i voti che contano di più, e Tavecchio li ha sempre avuti con sé, sin da quando la sua candidatura era solo un idea. Quando l idea si è fatta concreta si è poi mostrato agli occhi di tutti sfoggiando il suo razzismo sguaiato. Dopo aver detto che il fantomatico giocatore africano Optì Pobà prima di arrivare alla Lazio «mangiava banane», mentre «in Inghilterra deve dimostrare il suo curriculum e il suo pedigree», è poi passato a illustrare il suo pensiero sulle donne nel calcio. Un tempo erano ritenute «handicappate rispetto al maschio per resistenza e altri fattori», ha spiegato, ma adesso, per fortuna, non è più così: «Abbiamo riscontrato che in realtà sono molto simili». Luoghi comuni duri a morire, certo, ma anche il simbolo di un arretratezza culturale alla quale la mitica classe dirigente italiana non ha mai voluto veramente rinunciare. Le opposizioni sono arrivate al giorno delle elezioni divise e incerte, la serie A è un campionato deprimente, le italiane in Europa fanno piangere, i cosiddetti top player vengono a giocare qui soltanto a carriera quasi finita, l ultimo mondiale azzurro è stato un fiasco colossale, a settembre (che calcisticamente vuol dire: domani) cominciano le qualificazioni per gli Europei del 2016 e ancora non c è un commissario tecnico. Per Gramsci la crisi nasce quando il vecchio muore e il nuovo non nasce, lasciando così ampio spazio ai «fenomeni morbosi più svariati». Tavecchio, da navigato lupo della prima Repubblica, sa bene che le situazioni del genere sono le migliori per farsi avanti. In ossequio al vecchio assioma in base al quale il potere non si conquista, ma si raccoglie. Leo Lancari ROMA S olo Fecondazione eterologa / TUTTO RINVIATO A SETTEMBRE Asse Lorenzin-Chiamparino Ma la Toscana va avanti da sola Ernesto Milanesi D opo il diktat del premier Renzi sulla fecondazione eterologa, la marcia indietro del ministro Beatrice Lorenzin (addio decreto, decida il Parlamento) combacia con la «legalità democratica» di Sergio Chiamparino. Il neo-eletto governatore del Piemonte, nel ruolo di presidente della Conferenza delle Regioni, si allinea così: ««Sono già d'accordo con il ministro: non appena rientra dal suo viaggio fisseremo un incontro per discutere del riparto del fondo sanità e definire le linee guida di applicazione in materia di fecondazione eterologa». Ad inizio settembre è in agenda la riunione delle Regioni e Chiamparino già che c è si allinea anche con il leghista veneto Luca Coletto (coordinatore della Commissione Salute): «Non è in discussione la legge, ma le modalità e le condizioni economiche della sua applicazione». Peccato che il presidente della Corte Costituzionale Giuseppe Tesauro abbia chiosato senza equivoci la sentenza sulla legge 40: «I centri di fecondazione assistita autorizzati possono praticare già ora l'eterologa, purché rispettino tutti quei paletti che la legge ha fissato per la procreazione medicalmente assistita in generale e tutti i meccanismi di controllo pubblico previsti e magari talvolta insufficienti». E Stefano Rodotà scandisce: «Sono scandalizzato dal comportamento del governo: c è una palese violazione della sentenza della Corte Costituzionale. C è una grande ipocrisia da parte del governo Renzi. Apparentemente dice: "è una questione di cui si deve occupare il Parlamento" ma di fatto reintroduce il divieto a ricorrere all eterologa, in assoluto contrasto con quanto stabilito dalla Corte Costituzionale». È proprio questa la linea adottata dalla Toscana con il governatore Enrico Rossi: ««Il ministro Lorenzin non può dire fermatevi. La Corte Costituzionale ha stabilito che è vietato vietarla». La delibera toscana ha già recepito la sentenza: strutture pubbliche aperte alle coppie con un ticket di 500 euro. «Se sarà impugnata, ci difenderemo. Se non sarà appellata andremo avanti» garantisce Rossi. E anche i centri che fanno parte dell associazione Cecos Italia da settembre in Toscana inizieranno le fecondazioni eterologhe. Sotto traccia, lo scontro è stato anche con Assuntina Morresi (l esperta di fiducia del ministro Lorenzin)che ammonisce le Regioni «da fughe in avanti che metterebbero a repentaglio la salute dei nati». Ma il Lazio è pronto a seguire le orme della Toscana: Alessio D Amato (responsabile della cabina di regìa della sanità regionale) lo conferma. E ora si tratta di aspettare che la giunta di Nicola Zingaretti deliberi di conseguenza. Una scelta che potrebbe estendersi anche a Liguria, Umbria e Friuli. Più complicata la situazione dell Emilia a causa del "vuoto istituzionale": al Sant Orsola di Bologna aspettano indicazioni. Andrea Borini, presidente della Società italiana di fertilità e medicina della riproduzione, fa chiarezza: «Se una cosa non è vietata, la si può fare. Se non si può fare, occorre che il ministero o la Regione lo dica per iscritto. A settembre, procediamo: abbiamo circa 200 donne in attesa di fare l ovodonazione. Avevamo fatto l eterologa per 20 anni, prima del ». In Italia, sono 348 i centri iscritti al Registro nazionale Pma (procreazione medicalmente assistita). Nella relazione di 156 pagine del 30 giugno, il ministro Lorenzin ha pubblicato i dati ufficiali del 2012 sulle tecniche di fecondazione di secondo e terzo livello: prelievi e trasferimenti di embrioni per gravidanze, parti e nati vivi. Il ministro usa parole razziste per lanciare una campagna contro la contraffazione qualche giorno fa parlando a Caserta si era lasciato andare a frasi più adatte al leader di una formazione di estrema destra che a un ministro: «Non accetteremo che un immigrato prenda il posto di lavoro di un italiano», aveva detto suscitando un vespaio di reazioni. Ieri Angelino Alfano si è ripetuto arrivando per l occasione a utilizzare termini ormai messi in soffitta perfino dalla Lega. «Gli italiani sono stanchi di essere insolentiti da orde di vu cumprà, dobbiamo radere al suolo la contraffazione», ha detto il ministro degli Interni. Una scelta di termini - primi fra tutti «orde» e «vu cumprà» - che gli sono costati l accusa di razzismo da parte del Pd insieme a una valanga di critiche. «Tolleranza zero per le espressioni a sfondo razzista, prima che per le vendite in spiaggia», dice ad esempio al ministro il democratico Dario Ginefra. Ma condanna per le parole di Alfano arrivano anche da sindacati, dalle Acli e dalla comunità di Sant Egidio. «Colpisce l uso di un termine dispregiativo - commenta quest ultima - che certo non favorisce una corretta visione delle cose e tanto meno la soluzione del problema». «Deluso» da Alfano si è detto invece il sottosegretario agli Esteri Mario Giro. Il pretesto per tornare ad attaccare gli immigrati Alfano lo trova nella presentazione della campagna «Spiagge sicure» con cui il governo spera di contrastare (in notevole ritardo, visto che siamo a metà del mese di agosto) due fenomeni come l abusivismo e la contraffazione. Problemi reali e capaci di incidere sull economia legale, visto che dal 1 gennaio 2013 al 30 giugno 2014 la Guardia di finanza ha sequestrato 87,5 milioni di prodotti contraffatti, la maggior parte dei quali riguardanti il settore tessile. Ma che evidentemente il titolare degli Interni conosce poco, visto che invece di colpire le reti criminali che quelle merci false producono, importano e smerciano sul territorio, se la prende con l ultimo anello della catena, quello più debole rappresentato da quanti - per la stragrande maggioranza immigrati - sbarcano il lunario vendendo ai turisti stesi al sole in spiaggia borse, vestiti e giocattoli chiaramente contraffatti. Adesso, secondo al direttiva inviata dal Viminale ai prefetti, spetterà ai Comitati per l ordine pubblico e la sicurezza organizzare i controlli nelle spiagge. «Lo Stato ha messo il turbo», chiosa il ministro. Ma Alfano ha pochi motivi per essere soddisfatto. La gaffe fatta utilizzando espressioni razziste mettono in secondo piano l iniziativa del governo e gli frutta numerose critiche. Tanto più che fino a sera dal Viminale non arriva nessuna rettifica alle parole del ministro,, che evidentemente preferisce far finta di mente nella speranza che le acqua si calmino,. ma così non è. «I problema non sono gli immigrati sulle spiagge: la difesa del made in Italy va fatta con determinazione colpendo le reti di produzione. E poi i problemi che adesso interessano gli italiani sono altri», è il commento della Cisl. mentre al Caritas sottolinea lo stupore «per aver sentito da Alfano termini che pensavamo orma desueti e passati». «Ricorrere a un linguaggio responsabile non è qualità secondaria per un buon governante», dice invece il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani di Palazzo madama. Tanto più che quelle orde di vu cumprà sono state un esempio di positiva integrazione subalterna tra italiani e stranieri. Integrazione perché tra bagnanti e venditori ambulanti c è da decenni un rapporto di tranquilla consuetudine». Infine i Verdi, che per bocca del portavoce Angelo Bonelli accusano Alfano di dedicarsi «a sparate senza senso pur di strappare qualche titolo di giornale».

6 pagina 6 il manifesto MARTEDÌ 12 AGOSTO 2014 CATTOLICI AGESCI Nel testo conclusivo della Route, consegnato al premier e al presidente Cei, le richieste a sorpresa dei 30mila Scout, una scossa a Chiesa e politica soluta libertà ai giovani scout che l hanno scritta e che hanno espresso posizioni chiare, soprattutto sui temi ecclesiali, che evidenziano una distanza significativa dalla Chiesa dei principi non negoziabili di Ratzinger, Ruini e Bagnasco. Del resto il nuovo clima ecclesiale consente una maggiore libertà di parola. Sull amore e la famiglia - tema al centro anche del Sinodo dei vescovi che si aprirà a ottobre -, pur vedendo «la bellezza e la sfida della vita in famiglia», gli scout non si fermano a quanto affermato dai documenti ufficiali del magistero, ma vanno decisamente oltre, considerando famiglia «qualunque nucleo di rapporti basati sull amore e sul rispetto». Ci sono dentro divorziati e conviventi - esplicitamente nominati -, ma evidentemente anche le relazioni omosessuali, dal momento che si chiede alla Chiesa «di mettersi in discussione», «di rivalutare i temi dell omosessualità» e «di accogliere e non solo tollerare qualsiasi scelta di vita guidata dall amore». Anche all Agesci - che da almeno tre anni ha avviato al proprio interno una riflessione sulla compatibilità fra appartenenza all associazione e omosessualità, soprattutto se dichiarata - si chiede di «allargare i propri orizzonti affinché tutte le persone, indipendentemente dall orientamento sessuale, possano vivere l esperienza scout e il ruolo educativo con serenità senza sentirsi emarginati». E allo Stato di portare avanti «politiche di accoglienza nei confronti di persone di qualunque orientamento sessuale». «Chiediamo - scrivono ancora i giovani scout - di non essere giudicati rispetto al tipo di legame affettivo che viviamo, ma di essere aiutati ad accettare noi stessi con tutti i nostri limiti e ad amare in modo autentico». Ancora alla Chiesa: condurre «uno stile di vita sobrio ed essenziale, coerente con La Carta, non ancora pubblica, chiede l abolizione dei Cie, lo Ius soli, tagli drastici alle spese militari, interventi sulle carceri Luca Kocci C hissà cosa avrà pensato il cardinal Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, quando domenica scorsa, dopo aver celebrato la messa alla conclusione della terza Route nazionale dell Agesci (il raduno degli scout cattolici di tutta Italia), ha ascoltato un giovane scout affermare dal palco che va considerato famiglia «qualunque rapporto basato su amore e rispetto», «senza discriminare persone che hanno vissuto o stanno vivendo esperienze quali divorzio o convivenza». E chissà cosa avrà pensato Matteo Renzi, anche lui alla giornata conclusiva della Route da presidente del Consiglio ex scout, quando ha letto che gli scout italiani chiedono al governo di chiudere i Centri di identificazione ed espulsione per gli immigrati (Cie), di concedere la cittadinanza a tutti coloro che nascono in Italia (Ius soli) e di ridurre «drasticamente» le spese militari. Tanto le parole rivolte a Bagnasco quanto quelle indirizzate al premier Renzi sono scritte nella Carta del coraggio, il documento conclusivo della Route dell Agesci (dall 1 al 6 agosto in centinaia di campi mobili attraverso tutta l Italia, dal 6 al 10 agosto nel Parco di San Rossore, a Pisa) redatto collettivamente da un parlamentino di oltre 450 scout dai 16 ai 21 anni, democraticamente eletti fra i 30mila partecipanti alla Route. Una carta di impegni per l Agesci, ma anche di richieste sia alla Chiesa sia alla politica, da parte di un associazione cattolica da sempre attiva nel territorio e nella società, su posizioni conciliari e progressiste, senza quelle derive politiciste di altri movimenti ecclesiali, come per esempio Comunione e liberazione. Sempre che la presenza di Renzi - a cui è stato concesso il discorso finale dal palco della Route - non segni l inizio di un altra storia per l Agesci e la trasformi C on quasi 177mila associati distribuiti in circa 2mila gruppi locali l Agesci (Associazione guide e scout cattolici italiani) è una delle principali espressioni del laicato cattolico in Italia. Nata nel 1974 dalla fusione fra Asci e Agi (i rami maschile e femminile dello scoutismo cattolico nati rispettivamente nel 1916 e nel 1943), l Agesci - scrive lo storico Massimo Faggioli nella sua Breve storia dei movimenti cattolici - è improntata «a una cultura politica progressista, democratica e a chiare lettere antifascista e a un rapporto di lealtà nei confronti della Chiesa cattolica, ma senza le obbedienze gerarchiche dell Azione cattolica»: per esempio rimase piuttosto fredda verso le «chiamate alle armi» in occasione del referendum sul divorzio del 74 ed è sempre stata refrattaria IL RADUNO DEGLI SCOUT A SAN ROSSORE. A SINISTRA, MATTEO RENZI E IL CARDINALE BAGNASCO/FOTO ALEANDRO BIAGIANTI a tutti i richiami episcopali sull unità politica dei cattolici nella Democrazia Cristiana. Fedele alla linea del Concilio Vaticano II, la missione dell associazione è l impegno educativo verso bambini e giovani. «Lo stile democratico dell Agesci ha caratterizzato tutto il percorso che ha portato alla stesura della Carta del coraggio, durato quasi un anno», spiega Sergio Bottiglioni, incaricato nazionale della branca rover e scolte (i ragazzi e le ragazze scout di anni). In una prima fase i gruppi locali di rover e scolte hanno caricato su una piattaforma informatica i loro contributi, sulla base dei quali è stata predisposta una bozza della Carta. Nel mese di luglio e dall 1 al 6 agosto, lungo i 456 percorsi che i gruppi hanno fatto dirigendosi a San Rossore, la bozza è stata discussa ed emendata. Quindi ciascuna delle 456 route (259 al nord Italia, 127 al centro, 70 al sud), a cui partecipavano mediamente scout, ha eletto un delega- in una cinghia di trasmissione del renzismo: ipotesi smentita da tutti, sia ai vertici che alla base, ma il rischio pare comunque presente. Parole nette, forse anche al di là delle previsioni, quelle che gli scout hanno messo nero su bianco nella Carta del coraggio. Per ora non è stata ancora resa pubblica - sul sito dell Agesci c è solo una brevissima sintesi -, «ma dopo aver diffuso il documento fra gli associati e i gruppi lo pubblicheremo integralmente», ci spiegano. Il manifesto può anticiparne i contenuti. È certo però che i capi hanno lasciato as- IL DOCUMENTO Dopo l estate il consiglio generale assumerà una posizione Come è nata la «Carta del coraggio» Un percorso dal basso, lungo quasi un anno, fino a San Rossore to («alfiere»). A San Rossore, in tre giorni di lavoro, il parlamentino di 456 scout 16-21enni - rappresentanti di una platea di circa 30mila - ha redatto la versione definitiva della Carta che domenica è stata consegnata a Bagnasco - presidente della Cei, quindi massimo rappresentante istituzionale della Chiesa italiana - e a Renzi. Si tratta di un documento nato dal basso con un ampia partecipazione, ma che non è ancora un documento ufficiale dell Agesci, anche perché molti temi, soprattutto quelli di natura ecclesiale legati alle questioni etiche, sono piuttosto controversi: dal concetto estensivo di famiglia all omosessualità (negli Usa, per esempio, i Boy scout of America escludono i gay dichiarati; nel Regno Unito i documenti ufficiali degli scout spalancano loro le porte: «Va bene essere gay e scout», «va bene essere gay e capi scout», si legge; in Italia la riflessione è in corso da qualche anno). Il Consiglio generale dell Agesci inizierà a discuterlo dopo l estate e valuterà quali posizioni assumere, su queste e su altre questioni sollevate dal documento. L. K. Sì a politiche di «accoglienza nei confronti di persone di qualunque orientamento sessuale». La Chiesa «rivaluti i temi dell omosessualità» il messaggio del Vangelo»; attribuire «alle donne e ai laici un ruolo sempre più attivo»; e «ai vescovi di avere fiducia nella coscienza delle persone», «specialmente in ambiti in cui essi adottano posizioni che si discostano dal sentire comune, quali la sessualità, il valore della vita e il ruolo delle donne». Insomma dai principi non negoziabili, alla libertà di coscienza. Nella Carta del coraggio c è anche molta politica, nei settori di impegno tradizionale per gli scout, come la pace («chiediamo che vengano drasticamente ridotti i fondi destinati alle spese militari, perché l Italia sia concretamente un Paese che ripudia la guerra») e l ambiente: «Ci stanno a cuore problemi come la superficialità nel rapporto con l ambiente, l inquinamento, lo sfruttamento irresponsabile del territorio, l abusivismo, lo smaltimento errato dei rifiuti» (però il Comitato per la difesa di San Rossore denuncia l alto impatto che proprio la Route ha avuto sul parco: com). Ma anche su nuove frontiere, a cominciare dall immigrazione. Chiediamo alle istituzioni italiane - scrivono - di «abolire i Cie» e di «concedere la cittadinanza a chi nasce in territorio italiano o a chi termina un determinato ciclo di studio/lavoro»; e all Unione europea «lo snellimento delle procedure burocratiche», la revisione del Trattato di Dublino e l «apertura di nuovi canali di immigrazione legali e sicuri». Poi il carcere: «Chiediamo allo Stato di risolvere con estrema urgenza il problema del sovraffollamento attraverso l applicazione di pene alternative» e «mediante provvedimenti più forti per il reinserimento degli ex detenuti». E ancora: «Riqualificare spazi ed edifici pubblici ed ecclesiastici inutilizzati o abbandonati per dare una casa a chi ne ha bisogno». Una copia della Carta del coraggio è stata consegnata sia a Bagnasco sia a Renzi, che hanno applaudito e ringraziato. Si vedranno ora le risposte che Chiesa e governo daranno ai 30mila di San Rossore.

7 MARTEDÌ 12 AGOSTO 2014 il manifesto pagina 7 ITALIA Tutto è iniziato con una rappresaglia: l Acea taglia la luce e mette in pericolo il teatro. Poi l incontro con Marino Sinibaldi BENI COMUNI È finita l occupazione, il 2 settembre incontro con il Teatro di Roma sulla convenzione La metamorfosi del Valle Roberto Ciccarelli O re nove. Al teatro Valle auto-sgomberato domenica notte l Acea interrompe l erogazione di corrente. Il più antico teatro della capitale resta al buio. Non funzionano più gli allarmi anticendio. Per la prima volta si tocca con mano l angoscia di una scintilla devastante. Come alla Fenice di Venezia. O quella appiccata al Petruzzelli di Bari. Al Valle le fiamme potrebbero divorare Sant Ivo alla Sapienza del Borromini e arrivare fino alle spalle del Senato. Lo Stato si è ripreso il suo «bene» dopo tre anni. E lo ha fatto con una rappresaglia postuma contro un occupazione che ha tenuto in vita un teatro, senza mai sottoporlo a rischi simili. Sono passate appena dieci ore dall annuncio dell auto-sgombero per dare «vita a una nuova fase costituente» di un esperienza che dovrebbe portare la fondazione «teatro Valle bene comune» (5600 soci per un capitale sociale complessivo di 250 mila euro) a siglare una «convenzione» con il teatro di Roma. La condizione posta dall assessore alla cultura di Roma Capitale Giovanna Marinelli è quella di lasciare - per il momento - il teatro affinché il Campidoglio riprenda possesso della nobile struttura ed esegua mediante la Soprintendenza di Stato i lavori di messa a norma, provvedendo ad eventuali restauri. A iniziare dal tetto dove ci sono infiltrazioni. La rappresaglia ha rischiato di fare saltare il tavolo tra gli attivisti e il Campidoglio a pochi minuti dall inizio della conferenza stampa dove gli ex occupanti hanno chiesto l uso del foyer come osservatorio sui lavori previsti (oggi i primi sopralluoghi tecnici) e luogo dove discutere e stipulare pubblicamente la convenzione. Per loro è questo il segno del passaggio dallo stato di occupazione ad uno che definiscono di «custodia» del teatro e dei lavori necessari per rimetterlo a nuovo. Mentre nella mezzaluna affondata nel velluto rosso delle poltrone e della moquette calavano le tenebre, e nel tondo che ospita l affresco del pulcinella sotto la volta si accendevano le luci di emergenza, è iniziato il sopralluogo della direttrice del dipartimento cultura di Roma Capitale Gabriella Acerbi, accompagnata da un tecnico dell assessorato. Si è creato un serpentone di telecamere e flash a giorno che hanno seguito la perlustrazione al buio tra i piani e gli ordini dei palchi del teatro, i camerini come il palco. Gli ex occupanti, che hanno girato negli ultimi giorni una video-documentazione che attesta lo stato del teatro, hanno riprodotto l ultima delle tante visite guidate condotte che ha permesso alla cittadinanza di conoscere per la prima volta il Valle e la sua storia. Nel frattempo c è stata una tempesta di telefonate tra la sala al buio e l assessorato in piazza Campitelli. Bisognava rimediare ai danni causati dalla rappresaglia che gli attivisti hanno inteso come un intervento diretto della Prefettura e dei «poteri forti» che governano la città. La corrente è stata ripristinata dopo tre ore. È arrivata una squadra di tecnici dell Acea che ha rimesso in moto il teatro. Dentro, la sala ha ricominciato a respirare, come un organismo. La sua sacralità mondana e borghese è stata rispettata. È successo che nella conferenza stampa condotta nel foyer stracolmo di centinaia di persone gli attivisti della fondazione del Valle abbiano chiesto esplicitamente un intervento del Comune: «Superando lo stato di occupazione vi abbiamo dimostrato di avere fiducia in voi - hanno detto - Adesso tocca a voi dimostrare se ve la meritate». Applausi. Poco dopo la luce è tornata. Ma la strada, all una, era ancora in salita. Gli ex occupanti hanno chiarito le altre richieste: «Vogliamo diventare custodi di questo luogo». Costituirano un cantiere scuola sui lavori di messa a norma con la collaborazione di storici dell arte e restauratori con la partecipazione di studenti universitari. «La fondazione desidera trasformare anche la fase di ristrutturazione in un momento di formazione» sostiene l attrice Ilenia Caleo. Alla «custodia» si sono offerti di partecipare Paolo Berdini, l ex ministro della cultura Massimo Bray, Paolo Maddalena, Ugo Mattei, Tomaso Montanari, Salvatore Settis. «Trasmetteremo in streaming le fasi dei lavori. È stato fatto per la Cappella Sistina, lo faremo anche qui». Ieri gli attivisti hanno iniziato a costruire un installazione artistica davanti all entrata del foyer in via del teatro Valle. L impalcatura è stata definita un «osservatorio stellare»: «Metterà in relazione gli spazi interni del teatro con la città, attraverso questa struttura sospesa». Nel pomeriggio, alla presenza del presidente del teatro di Roma, uno stanchissimo Marino Sinibaldi, è stato inoltre inaugurato un nuovo palco dove si esibiranno artisti e si terranno assemblee in strada, passaggio del micro-autobus 116 permettendo. Dopo gli ultimatum (uscite il 31 luglio, poi il 10 agosto, oppure vi sgomberiamo), dopo la rappresaglia sulla luce (non si sa ancora se e quanto prevista dal Campidoglio), il tortuoso percorso è andato avanti tra rabbia e scossoni. In una nota congiunta Sinibaldi e Marinelli hanno fissato la data del 2 settembre. Sarà questo il primo appuntamento con il direttore del Teatro di Roma, Antonio Calbi per scrivere la convenzione. «Tutto questo - hanno scritto Marinelli e Sinibaldi - può avvenire solo a condizione che il Teatro Valle nella sua interezza venga consegnato a Roma capitale per l'immediato conferimento al Teatro di Roma». E poi l apertura richiesta dagli attivisti sul foyer, che era stata negata in precedenza: «L'impegno che ci assumiamo oggi è quello di far sì (dopo il sopralluogo della Soprintendenza statale e un progetto per la messa a norma) che i lavori permettano al più presto la riapertura del Foyer che verrà destinato ad un punto informativo del Teatro di Roma e potrà essere utilizzato dalla Fondazione». Un altra conquista, in questa labirintica e ambivalente battaglia che procede millimetro dopo millimetro, dopo l esclusione del bando da parte dell assessore Marinelli. All inizio dell estate il sindaco Ignazio Marino aveva persino evocato la «soluzione finale» per l occupazione del Valle. Dunque il Campidoglio ha fatto marcia indietro. I tempi per la riconsegna del foyer «saranno brevi» ha assicurato Sinibaldi. E ha aggiunto che la futuribile «convenzione» che darà alla fondazione la gestione del progetto sul «teatro partecipato» Adriana Pollice NAPOLI L a Cisl corre in soccorso del maxiemendamento alla finanziaria del Valle ha recepito alcuni elementi dell autogoverno: il teatro -agorà, la formazione permanente, la drammaturgia contemporanea. «Ma siamo solo all inizio» assicurano gli attivisti. Numerose le insidie: c è il rischio che i beni comuni si trasformino in sussidiarietà orizzontale o che la fondazione lavori come ente subaffittuario del teatro di Roma. La tensione accumulata durante l autosgombero di domenica, evento forse unico nella storia dei Campania/LO SCONTRO SUL MAXIEMENDAMENTO LA CONFERENZA STAMPA DI IERI AL TEATRO VALLE OCCUPATO/FOTO SIMONA GRANATI movimenti sociali, si è sciolta nell assemblea pomeridiana. Dalla malinconica immagine dei materassi caricati in macchina si è passati a un sollievo generale: «Mantenere l'occupazione fine a se stessa ci è sembrata poco interessante afferma Ilenia Caleo Non trattiamo sulla gestione, ma su un modello inedito di cogestione del Valle tra un'istituzione formale e una informale creata dal basso. Sarà un istituzione ibrida di nuovo genere». Acqua privata, la Cisl si schiera con la regione e attacca de Magistris Sindaco e comitati ipotizzano di impugnare gli atti. Il sindacato: «Hanno letto male il testo oppure sono faziosi e in malafede» della regione Campania, che mette un nuovo mattone nella privatizzazione del sistema idrico integrato. Di fronte al rischio di un possibile ricorso contro la norma, il sindacato si schiera a favore degli articoli approvati il 31 luglio dal consiglio regionale: le norme prevedono entro 30 giorni, attraverso decreti, di affidare alle società che già operano sul territorio (quindi anche a società di capitale) non solo la gestione del servizio di distribuzione, ma anche la captazione e l adduzione alla fonte, il collettamento e la depurazione. L art 89 specifica che dovranno presentare «un piano di efficientamento di 36 mesi, alla scadenza dei quali la gestione è definitivamente affidata ai gestori del servizio idrico integrato territorialmente competenti». I comitati campani per l acqua pubblica hanno minacciato di impugnare gli atti, seguiti poi dal sindaco partenopeo Luigi de Magistris. Netta la replica della Cisl: «Non sappiamo se chi rilascia belle dichiarazioni, a partire dal sindaco di Napoli, abbia letto il testo del maxiemendamento. Vogliamo sperare che questa confusione sia dovuta a una lettura insufficiente o forzata del maxiemendamento. Se così non fosse, saremmo costretti a parlare di faziosità o malafede. A de Magistris, come sindaco o magistrato, chiediamo che ne pensa di lavoratori che per venti o trent anni sono stati alla mercé di un appalto da rinnovare o di stipendi che arrivano dopo mesi e mesi?». Di che si tratta? In base alla legge Galli, gli impianti di depurazione e di sollevamento delle acque (di proprietà regionale) dovevano essere affidati al gestore individuato dall Ato (Ambito territoriale ottimale) senza alcun esborso. Un passaggio rimasto in Campania lettera morta. Così 800 dipendenti hanno continuato a lavorare attraverso il meccanismo della somma urgenza. Un documento del 2007 attesta l accordo tra l allora assessore regionale Nocera e le organizzazioni sindacali: «I lavoratori, nel momento del trasferimento ai nuovi soggetti pubblici o privati, vengono tutti contestualmente trasferiti». A novembre 2013 la clausola di salvaguarda dei livelli occupazionali scompare dalla delibera 172 che regola il passaggio delle strutture. I cda della Gori spa (controllata da Acea a cui è affidato il servizio nell Ato3 sarnese-vesuviano dal 2002) hanno continuato ad autorizzare assunzioni duplicando il personale. A marzo i lavoratori degli impianti di sollevamento a rischio licenziamento hanno occupato le strutture, alla fine la spa ha dovuto cedere, assorbendoli. A luglio è arrivata in soccorso la regione con una nuova infornata di norme a tutto vantaggio della Gori. Infatti, il maxiemendamento prevede anche l istituzione di una Struttura di Missione, costituita presso la giunta regionale, che di fatto esautora gli Ambiti territoriali. Tra i suoi molti compiti anche la revisione delle tariffe, delle concessioni e dei contenziosi. Tutti argomenti che stanno molto a cuore alla Gori. Il suo presidente, Amedeo Laboccetta, si è subito dichiarato a favore della tariffa unica regionale. Quella della sua azienda è la più alta in Campania eppure non basta a coprirne la gestione. ROMA Quel focolare che deve restare acceso Sandro Medici N on finirà certo l 11 agosto del 2014, l esperienza del Valle bene comune. Ma quell autosgombero che s è consumato tra occhi velati e sorrisi contratti non può certo considerarsi un risultato entusiasmante. Anche al saldo dell inevitabile malinconia dei più, dei molti che ieri mattina si sono accalcati dentro e fuori il teatro. E andata come l assemblea degli occupanti ha deciso che andasse. Con un compromesso non proprio generoso verso chi per tre anni ha coltivato e nutrito una delle più esaltanti esperienze artistico-politiche. Elogiata e apprezzata in mezzo mondo, tranne che nel nostro opaco e ammuffito ridotto culturale: talmente gretto da interrompere la fornitura elettrica, nel timore il teatro non gli venisse consegnato; talmente meschino da non concedere l ultimo angoletto rimasto, quel foyer che non a caso può tradursi anche in focolare. Per quanti sforzi la fiducia sia in grado di offrire, non c è altro che un futuro impegno a proseguire un negoziato, che finora non ha depositato che qualche ipotesi di collaborazione, un po qua e un po là, un po sopra e un po sotto il palcoscenico. Un negoziato che non è mai davvero cominciato e che è servito solo a dissimulare quel che non è mai stato in discussione: la fine dell occupazione. Un esito imposto dal Comune e dai suoi mandanti governativi, ma forse in una qualche misura introiettato dalla gran parte degli stessi occupanti. Si potrà discutere ancora e ancora a lungo se, in queste condizioni (con questi rapporti di forza), si sarebbe potuto far qualcosa di diverso. E non mancano rimpianti, amarezze e anche qualche acidità: quando ci si divide, è difficile evitare strascichi politici. C è tuttavia un impegno dichiarato e ribadito di integrare nell attività istituzionale del Teatro di Roma un progetto sperimentale di teatro partecipato, da affidare alla Fondazione Valle bene comune. E un riconoscimento dei tre anni vissuti pericolosamente in occupazione e un possibile prolungamento dell attività fin qui svolta. E solo un impegno, ma certo permetterebbe di ripartire con rinnovato slancio, senza stucchevoli ipoteche legalitarie, con tempi e spazi finalmente rilassati e anche con qualche risorsa in più. E tutto ciò, addirittura, a partire da quella sede vanamente richiesta, quel simbolico foyer che potrebbe somigliare a un ritorno al focolare. Verrebbe solo da chiedersi come mai tali impegni non abbiano depositato atti formali, quelle scansioni procedurali che sanciscono nel concreto le decisioni politiche. Normalmente, i sindaci emanano ordinanze, le giunte, i consigli approvano delibere, i dirigenti amministrativi predispongono determinazioni; e perfino i consigli d amministrazione, come per esempio quello del Teatro di Roma, deliberano le loro scelte. Un impegno troppo impegnativo? Meglio ridiscutere tutto a settembre, ottobre, Natale, con il teatro vuoto e nelle mani dei restauratori e chissà per quanto tempo? Vedremo. Pronti a superare le nostre diffidenze, così come a confermare i nostri sospetti. Resta in ogni caso irrisolto, anzi negato quel diritto che anche in Costituzione viene invano prescritto. E cioè la possibilità di favorire quelle iniziative sociali che svolgono funzioni di sussidiarietà. Lo stato dovrebbe farlo ma non lo fa. Manda però la polizia a sgomberare e smantellare. Preferisce consegnare tali funzioni al mercato, che di sussidiario ha ben poco, anzi sostanzialmente nulla: cerca solo vantaggi e profitti. Se il Teatro Valle non fosse stato occupato, oggi non sarebbe più un teatro pubblico ma uno spazio privato, probabilmente un centro commerciale: il tutto, ovviamente, nella piena legalità. E ministri, sindaci e assessori non sarebbero stati costretti a discutere, affannarsi, trattare. In un tg qualsiasi un cronista ha detto che «finalmente il Teatro Valle sarà riconsegnato alla città». Sta succedendo esattamente il contrario.

8 pagina 8 il manifesto MARTEDÌ 12 AGOSTO 2014 IL DIPLÒ D AGOSTO Gaza l indomita, culla del nazionalismo Con quest analisi di Alain Gresh, che racconta la tradizione di resistenza della popolazione palestinese, iniziamo a pubblicare alcuni articoli di «Le Monde Diplomatique» di agosto, che questo mese non trovate in edicola come sempre in allegato Alain Gresh P rivato della sua forza dalla perfida Dalila che gli aveva tagliato i capelli, Sansone cadde nelle mani dei filistei popolo dal quale nasce il nome «Palestina», che lo accecarono. Un giorno, lo fecero venire fra loro per deriderlo: «Sansone cercò a tastoni i due pilastri centrali che reggevano l'edificio. Si puntò contro di essi, con la destra e con la sinistra, urlando: 'Muoia Sansone con tutti i filistei!' e poi spinse con tutta la sua forza. L'edificio crollò, travolgendo i capi dei filistei e tutti gli altri. Così, Sansone uccise più persone con la sua morte che in tutta la sua vita». Questo famoso episodio riferito dalla Bibbia si svolge a Gaza, capitale dei filistei, popolo nemico degli ebrei. Gaza è stata sempre un crocevia nelle rotte commerciali fra Europa e Asia, fra Medioriente e Africa. La città e il territorio si sono dunque trovati, fin dall antichità, al centro delle rivalità fra le potenze dell epoca, dall Egitto dei faraoni all Impero bizantino passando per Roma. Là, nel 634 della nostra era, avvenne la prima vittoria accertata sull Impero bizantino da parte degli adepti di una religione ancora sconosciuta, l islam; il profeta Maometto era morto due anni prima. Gaza rimase sotto il controllo musulmano fino alla prima guerra mondiale, con alcuni interludi più o meno lunghi: regni crociati; invasione mongola; spedizione di Bonaparte. «Facile da prendere, facile da perdere», spiega Jean-Pierre Filiu nel suo libro Histoire de Gaza (Fayard, Parigi, 2012), il più approfondito dedicato a questo territorio. Il generale britannico Edmund Allenby strappò Gaza, porta della Palestina, all Impero ottomano il 9 novembre 1917, aprendosi così la strada verso Gerusalemme, dove entrò l 11 dicembre. Per Londra, non si trattava solo di battere il sultano, alleato della Germania e dell Impero austro-ungarico, ma di assicurarsi il controllo di un territorio strategico e garantire la protezione del fianco est del canale di Suez, vena giugulare dell impero, via di comunicazione vitale fra il viceregno delle Indie e la metropoli. I britannici dunque sconfiggono le ambizioni francesi in Terra santa. Nel 1922, ottengono il mandato della Società delle Nazioni (Sdn) per amministrare il territorio che da allora viene chiamato «Palestina», e al quale Gaza appartiene. Hanno anche il compito di applicare la «dichiarazione di Balfour», cioè aiutare a creare una patria nazionale ebraica e incoraggiare l immigrazione sionista; lo fanno con zelo fino al Gaza e la sua regione prendono parte a tutti i combattimenti dei palestinesi, musulmani e cristiani, contro la colonizzazione sionista e contro la presenza britannica. Contribuiscono alla grande rivolta palestinese del , schiacciata infine dai britannici. Una sconfitta che priva a lungo i palestinesi di una qualsivoglia direzione politica, lasciando ai governi arabi il compito se così si può dire di difendere la loro causa. Il 15 maggio 1948, all indomani della proclamazione dello Stato di Israele, gli eserciti arabi entrano in Palestina. Prima guerra, prima disfatta araba. Il territorio previsto per lo Stato di Palestina dal piano di spartizione votato all Assemblea generale delle Nazioni unite, il 29 novembre 1947, va in frantumi. Israele annette una parte, la Galilea. La Giordania assorbe la riva occidentale del Giordano, conosciuta come Cisgiordania. La striscia di Gaza un territorio di 360 chilometri quadrati che comprende le città di Gaza, Khan Younis e Rafah passa sotto l amministrazione militare egiziana; resta l unico territorio palestinese sul quale non viene esercitata alcuna sovranità straniera. Agli ottantamila abitanti autoctoni si sono aggiunti oltre duecentomila rifugiati espulsi dall esercito israeliano, i quali vivono miseramente e sognano solo il ritorno a casa. Questa massiccia presenza di rifugiati e lo status particolare del territorio faranno di Gaza uno dei centri del rinascimento politico palestinese. Malgrado il controllo da parte del Cairo esercitato prima dal re, poi da Gamal Abdel Nasser e dagli «ufficiali liberi» che nel 1952 hanno rovesciato la monarchia, i palestinesi si organizzano in modo autonomo, effettuano azioni di guerriglia contro Israele, manifestano contro ogni tentativo di insediare definitivamente a Gaza i rifugiati. Già allora, Israele compie pesanti rappresaglie, nelle quali si distingue per la sua brutalità un giovane ufficiale ancora sconosciuto: Ariel Sharon. Il 28 febbraio 1955, Sharon comanda un raid contro Gaza che fa trentacinque morti fra i soldati egiziani (oltre a uccidere due civili) e otto fra gli israeliani. Il primo marzo, su tutto il territorio si tengono grandi manifestazioni di protesta contro la passività egiziana. Questo produce una svolta nella politica estera dell uomo forte dell Egitto, Nasser. Fino ad allora considerato da molti suoi concittadini piuttosto vicino agli Stati uniti, egli decide, in piena guerra fredda, di avvicinarsi a Mosca. Mentre si reca alla conferenza di Bandung che, nel marzo 1955, segna la nascita del Movimento dei non allineati, Nasser incontra il ministro degli esteri cinese Ciu en Lai, anch egli in procinto di recarsi alla conferenza; gli chiede se i sovietici accetterebbero di dare armi al suo paese. La risposta si fa attendere, ma infine il 30 settembre 1955 è annunciato l accordo per la consegna di armamenti cecoslovacchi. Così, l Urss spezza il monopolio occidentale della vendita di armi al Medioriente, ed entra in modo eclatante sulla scena regionale. Inoltre Nasser lascia ai palestinesi di Gaza maggiore libertà di organizzarsi in gruppi combattenti. Il 26 luglio 1956, il rais nazionalizza la compagnia del canale di Suez. Ne segue l aggressione tripartita contro l Egitto da parte di Israele, Francia e Gran bretagna, che si conclude con la conquista del Sinai e della striscia di Gaza. Questa rimane sotto il controllo israeliano fino al marzo La resistenza clandestina si organizza. Il bilancio umano dell occupazione è particolarmente pesante, con molti massacri di civili compiuti dall «esercito più etico del mondo». Ad esempio, a Khan Younis, decine di persone vengono allineate contro un muro e uccise a mitragliate; altre sono abbattute a colpi di pistola. Il bilancio è fra duecentosettantacinque e cinquecento persone uccise. Quando Israele, soprattutto su pressione statunitense, libera il Sinai e Gaza, Nasser e il nazionalismo arabo rivoluzionario sono all apice della popolarità. Nei campi di rifugiati, la nuova generazione palestinese in esilio vi vede la risposta alla sconfitta del Milita in organizzazioni come il Movimento dei nazionalisti arabi, creato da George Abbash, nel partito Baath o nei vari movimenti nasseristi. Per questi giovani, l unità araba è la strada per la liberazione della Palestina. Dalla loro esperienza a Gaza, un gruppo di uomini trarrà invece la lezione opposta. Essi hanno affrontato direttamente Israele e misurato come il sostegno arabo, anche da parte di Nasser, sia condizionato del resto, alcuni di loro conosceranno anche le prigioni egiziane. Per questi militanti, la liberazione della Palestina può avvenire solo a opera degli stessi palestinesi. Nel 1959 si radunano intorno a Yasser Arafat, egli stesso rifugiato a Gaza nel 1948, per fondare Fatah, che è l acronimo arabo, al contrario, di «Movimento nazionale palestinese». Fra i militanti gazawi della prima ora, destinati a giocare un ruolo centrale negli anni , vi sono Salah Khalaf (Abu Iyad), Khalil el Wasir (Abu Jihad), poi diventato il numero due di Fatah e assassinato dagli israeliani a Tunisi nel 1988, e Kamal Adwan, assassinato da un commando israeliano a Beirut nel Il loro giornale Falistinouna («La nostra Palestina»), pubblicato a Beirut negli anni fra il 1959 e il 1964, proclama: «Tutto quello che vi chiediamo, è che voi [i regimi arabi] circondiate la Palestina con una cintura difensiva così da circoscrivere la guerra fra noi e i sionisti». E anche: «Tutto quello che vogliamo, è che voi [i regimi arabi] togliate le mani dalla Palestina». In quell epoca, all apice dell influenza di Nasser, ci vuole un certo coraggio per dichiarare simili eresie. Eppure, già alla metà degli anni 1960, con il fallimento del tentativo di unione fra Egitto e Siria ( ), che rivela l impotenza dei paesi arabi di fronte al corso degli eventi, il vento comincia a girare. La lotta di liberazione algerina, che si conclude con la vittoria nel 1962, funge da modello. Nel gennaio 1965, Fatah lancia le prime azioni militari contro Israele e vede affluire militanti da altre organizzazioni, stanche di aspettare un unità araba sempre più improbabile. La sconfitta del giugno 1967, con la guerra dei sei giorni, consente a Fatah di diventare una forza significativa e di assumere, con l avallo di Nasser, il controllo dell Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp). Nel febbraio 1969, Arafat diventa presidente del comitato esecutivo dell Olp.

9 MARTEDÌ 12 AGOSTO 2014 il manifesto pagina 9 IL DIPLÒ D AGOSTO GAZA, RITORNO FRA LE MACERIE DOPO LA TREGUA. A DX. EGITTO, I NEGOZIATI DEL CAIRO: PER LA PALESTINA, SAEB EREKAT, PER LA LEGA ARABA NABIL EL ARABY. SOTTO, PROFUGHI IN FUGA DALLA STRISCIA /REUTERS ISRAELE Alla banca del seme in cerca di dna «combattente» A Tel Aviv va a ruba lo sperma militare I palestinesi sono tornati a essere un grande attore nella politica regionale, e Gaza ha contribuito notevolmente a questo rinnovamento. Che cosa succede al territorio in questo periodo? Occupato da Israele, vede organizzarsi una resistenza militare che raggruppa una quantità di organizzazioni, salvo i Fratelli musulmani che si rifugiano nell azione sociale. Il primo attacco contro l esercito di occupazione si verifica l 11 giugno 1967, ovvero all indomani del cessate il fuoco firmato dall Egitto e dai paesi arabi con Israele. Con alti e bassi, gli attacchi continuano fino al Per venirne a capo, occorrerà la brutalità dei carri armati di Sharon e di innumerevoli esecuzioni extragiudiziali. Ma, se la resistenza militare viene schiacciata, le iniziative politiche si moltiplicano, e soprattutto i contatti con la Cisgiordania, molto limitati prima del Le élites si uniscono all Olp, che riconoscono come «unico rappresentante del popolo palestinese». Gli unici a rifiutare sono i Fratelli musulmani. Essi si radicano profondamente grazie alle loro reti sociali e alla tolleranza delle autorità di occupazione, che vedono in loro un contrappeso rispetto al nemico principale, l Olp. Fondata nel 1973 dallo sceicco Ahmed Yassin, la mujama islamiya («centro islamico») viene legalizzata dall occupante. Ma questo attendismo l ora della resistenza non sarebbe ancora arrivata suscita proteste fra i Fratelli; agli inizi degli anni 1980 una scissione porta alla nascita della Jihad islamica. Nel dicembre 1987, è a Gaza che scoppia la prima Intifada, la «rivolta delle pietre». Con due conseguenze importanti. Da una parte, i Fratelli imprimono una svolta significativa alla propria strategia creando il Movimento della resistenza islamica (Hamas), che partecipa all Intifada ma rifiuta di formare un fronte unico con le altre organizzazioni. D altra parte, l Olp utilizza la rivolta per rafforzare la propria credibilità e negoziare gli accordi di Oslo, guidati da Arafat e dal primo ministro israeliano Itzhak Rabin il 13 settembre 1993 a Washington. Il 1 luglio 1994, Arafat apre a Gaza la sede dell Autorità nazionale palestinese. Il seguito è noto: fallimento degli accordi; sviluppo della colonizzazione; seconda Intifada (a partire dal settembre 2000); vittoria di Hamas alle prime elezioni democratiche tenutesi in Palestina nel 2006; rifiuto dei paesi occidentali di riconoscere il nuovo governo, e alleanza fra una fazione di Fatah e Stati uniti per porvi fine; arrivo al potere di Hamas a Gaza nel 2007; blocco israeliano imposto da allora a un milione e mezzo di abitanti. La striscia di Gaza, malgrado l evacuazione dell esercito israeliano nel 2005 senza alcun coordinamento con l Autorità nazionale palestinese, continua a essere occupata. Tutti i suoi accessi dal mare, dalla terra e dal cielo continuano a dipendere da Israele, che vieta ai palestinesi importanti porzioni del territorio (il 30% delle terre agricole) e il mare al di là delle sei miglia nautiche (ridotte a tre a partire dall inizio dell operazione militare in luglio). Gli israeliani continuano a gestire lo stato civile. Il blocco che mantengono dal 2007 soffoca la popolazione, malgrado le condanne unanimi unicamente verbali, è vero da parte della «comunità internazionale», compresi gli Stati uniti. Dopo il suo ritiro, Israele ha condotto tre operazioni di grande portata contro i territori: nel dicembre 2008-gennaio 2009; nel novembre 2012; infine nel luglio Finché il blocco non sarà tolto, finché i palestinesi non avranno uno Stato indipendente, ogni nuovo cessate il fuoco sarà solo una tregua. Il generale de Gaulle lo aveva predetto, in una celebre conferenza stampa tenuta il 27 novembre 1967 dopo la guerra arabo-israeliana: «Non ci può essere occupazione senza oppressione, repressione, espulsioni»; le quali provocano «la resistenza [CHE ISRAELE]chiama terrorismo». (Traduzione di Marinella Correggia) Le Monde diplomatique/ilmanifesto IL SITO WIKILEAKS Ban Ki-moon ha coperto Israele durante gli attacchi di Piombo fuso Secondo il sito Wikileaks, il segretario generale delle Nazioni unite, Ban Ki-moon, ha agevolato il governo israeliano per «contenere gli effetti» dell indagine su nove attacchi a strutture dell Onu a Gaza, perpetrati tra dicembre 2008 e gennaio L inchiesta ha concluso che sette dei nove incidenti valutati e le conseguenti violazioni all intangibilità delle strutture Onu furono causati dalle azioni militari delle Forze di difesa di Israele: l esercito israeliano - ha sostenuto l indagine - non ha preso le precauzioni necessarie a proteggere gli edifici delle Nazioni unite, il personale e i civili che si erano rifugiati all interno. Quindi è da ritenersi responsabile della morte, il ferimento e i danni fisici derivati dagli attacchi, quantificati in oltre 11 milioni di dollari. Secondo Wikileaks, che ha diffuso milioni di comunicazioni diplomatiche (il Cablogate), una lettera di Ban ha chiesto agli investigatori Onu di non procedere per via giuridica, poiché il governo di Tel Aviv «continua a lavorare» con l organismo delle Nazioni unite. Il sito fondato da Julian Assange rileva anche le pressioni degli Usa su Ban affinché non venisse inclusa nella relazione la richiesta di ulteriori indagini sulle azioni di Israele che la commissione d inchiesta avrebbe voluto includere nelle 11 raccomandazioni emesse, da presentare al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Ban Ki-moon ha risposto che «il suo personale stava lavorando alla redazione del testo insieme a una delegazione israeliana». Michele Giorgio GERUSALEMME T iene la nuova tregua di 72 ore scattata a mezzanotte tra domenica e lunedì e al Cairo ieri sono giunti anche i delegati del governo Netanyahu. È perciò ripartito il negoziato indiretto, con la mediazione degli egiziani, per un accordo di cessate il fuoco permanente. Senza grandi possibilità di successo in verità. In Israele tanti invocano l escalation dell offensiva militare che pure ha già ucciso circa 2000 palestinesi, per 2/3 civili, e una sessantina di soldati. E proprio intorno ai soldati entrati in mese scorso a Gaza cresce il mito di Margine Protettivo. A tal punto che va a ruba persino lo sperma dei militari delle unità di combattimento. L Ospedale Rambam di Haifa ha comunicato che da quando è cominciata la nuova guerra contro Gaza, un numero crescente di donne che si rivolgono alla banca del seme fa richiesta di donatori con un background di combattenti. Sperma guerriero per avere figli più forti. D altronde lo stesso ospedale permette alle donne che desiderano un bambino di poter scegliere un donatore con un passato nelle unità scelte dell Esercito. «Il servizio militare racconta qualcosa della persona», ha spiegato al sito Ynet Dina Aminpour, responsabile della banca del seme del Rambam Hospital, «un uomo che ha servito in un ruolo di combattimento ha una forte costituzione fisica che conferma le aspirazioni genetiche delle donne (che vogliono un figlio, ndr)». Aminpour ha aggiunto che una sessantina di israeliane si rivolge ogni mese alla banca del seme dell ospedale. Negli ultimi giorni addirittura la metà ha chiesto donatori con un passato di combattente nell Esercito, un requisito divenuto importante come l altezza e il livello di istruzione. Al Cairo invece si decide della qualità della vita futura dei neonati di Gaza e del diritto di bambini e adulti di vivere una esistenza in dignità e libertà e non più in una prigione a cielo aperto. È una richiesta di tutta la popolazione che le varie forze politiche, quindi non solo Hamas, che compongono la delegazione palestinese hanno posto sul tavolo dei mediatori egiziani. Israele da parte sua insiste per la smilitarizzazione della Striscia. Punti su cui entrambe le parti non intendono cedere. Domenica sera da Doha il leader dell ufficio politico di Hamas, Khaled Meshaal, ha detto che una tregua duratura deve portare alla revoca del Tiene la tregua di 72 ore e riparte il negoziato indiretto con la mediazione egiziana blocco alla Striscia di Gaza. Il cessate il fuoco di 72 ore raggiunto con Israele - ha spiegato Meshaal all agenzia Afp - «è uno dei mezzi o delle tattiche destinate alla riuscita dei negoziati o alla distribuzione degli aiuti umanitari. Il nostro obiettivo è che le richieste palestinesi siano soddisfatte e che la Striscia viva senza blocco». Un intervista alla quale il governo Netanyahu ha risposto con le dichiarazioni del ministro per la sicurezza interna Yitzhak Aharonovich. «C è poca speranza di raggiungere un accordo. Ci vorrebbe un mago ha commentato il ministro - A mio giudizio alla fine delle 72 ore si tornerà ai combattimenti e Israele deve pensare al passaggio successivo». L incubo della ripresa della guerra di attrito vista negli ultimi giorni (almeno 15 morti tra i palestinesi, gran parte dei quali civili) o di una nuova pesante escalation militare, grava sulla Striscia di Gaza mentre le organizzazioni umanitarie continuano la distribuzione agli sfollati. Tante famiglie, approfittando della tregua, ieri sono tornate a casa. Ma chi la casa l ha perduta nei devastanti bombardamenti del mese scorso circa 80mila persone, secondo fonti locali non può fare altro che vivere nelle scuole dell Unrwa. Fioriscono nel frattempo le iniziative internazionali a sostegno dei palestinesi di Gaza e dei loro diritti. L Ong turca Ihh ha comunicato ieri di volere organizzare un nuovo convoglio navale per rompere il blocco di Gaza attuato da Israele. La Ihh aveva organizzato assieme alla Freedom Flotilla la spedizione del maggio 2010, bloccata in acque internazionali l arrembaggio dai commando israeliani saliti a bordo della nave Mavi Marmara (9 attivisti uccisi). Un assalto che aveva provocato il gelo nelle relazioni fra Tel Aviv e Ankara che dura ancora oggi nonostante un tentativo di riconciliazione mediato l anno scorso da Washington, che aveva portato alle scuse di Israele e all avvio di una trattativa sull indennizzo delle famiglie delle vittime. L Associazione della stampa estera in Israele e nei Territori palestinesi occupati (Fpa), intanto protesta per i metodi che descrive come «poco ortodossi» usati dalle autorità di Hamas e dai loro rappresentanti nei confronti dei giornalisti internazionali lo scorso mese a Gaza. «In molti casi dice la Fpa - giornalisti stranieri sono stati molestati, minacciati o interrogati su storie o informazioni riportate nei loro media o sui social media». La Fpa afferma di aver appreso che Hamas starebbe cercando di mettere in piedi una procedura di "valutazione" per schedare alcuni giornalisti.

10 pagina 10 il manifesto MARTEDÌ 12 AGOSTO 2014 CULTURE La settima puntata ci porta nel Kent dove Derek Jarman ha dato vita al Prospect Cottage. Un impresa folle: far crescere fiori e piante tra i ciottoli della spiaggia, rubando terra al mare Rinaldo Censi I l primo di gennaio del 1989 è una domenica. Ed è forse il giorno giusto per iniziare un diario. Derek Jarman si trova nella zona costiera del Kent, a Dungeness. Lì, nel 1986, ha acquistato una casa in legno, notata durante i sopralluoghi per The Last Of England. Prospect Cottage. Amore a prima vista. Gli basta poco più di una pagina, quella che apre Modern Nature. Diario (Ubulibri, 1992), per circoscrivere il luogo, fargli prendere vita su carta, descrivere i ciottoli appiattiti, levigati dal sole e dal vento del mare, il faro, le travi nere della costruzione, gli basta poco per ricordare le tempeste marine che, in passato, hanno rischiato di portarsi via la casa. Lo sguardo di Jarman ruota sugli assi cardinali. Ad est alcune capanne di pescatori, qualche barca, costruzioni in rovina. Luoghi antichi, come le usanze di chi vi abitava («Lì, molti anni fa, le reti dei pescatori venivano bollite nell ambra, per conservarle»). Sul retro della casa, la finestra della cucina getta sulla centrale nucleare. Il suo reattore somiglia ad una scultura postmoderna. Questo blocco verticale grigio acciaio viene addolcito dal verde della ginestra che lo incornicia, insieme a un gruppo di salici e frassini provati dalle tempeste. Howard Sooley * D ungeness presenta un panorama dinamico e selvaggio. È uno sputo di ciottoli in movimento, che sporge sul canale d Inghilterra, litigato su due lati dalle onde e invaso dall erba sull altro versante, mentre in fondo si trova una centrale nucleare. Prospect Cottage si trova pressappoco nel mezzo, seccato dal sole rovente e i venti asciutti dell estate, sprovvisto di qualcosa che somigli a un ombra per miglia, in qualsiasi direzione. In inverno, infuriano tempeste marine, mentre i venti siberiani mordono, spostano i ciottoli su fino ai pavimenti in legno delle case dei pescatori, in fila lungo la strada che porta al faro. A Dungeness non puoi dare per IL PROSPECT COTTAGE DI DEREK JARMAN NEL KENT, A DUNGENESS. SOTTO, IL REGISTA NELLA SUA ATTIVITÀ DI GIARDINIERE Un poeta in lotta contro il vento LUOGHI Il racconto del fotografo e amico Howard Sooley A Dungeness la vita non è mai scontata scontata la vita: ogni fiore che sboccia attraverso i ciottoli è un miracolo della natura. Derek lo sapeva più di ogni altro. Visto dalla facciata, Prospect Cottage somiglia a una casetta piuttosto tradizionale, con un giardino composto da aiuole circolari, quadrate e rettangolari, caratterizzate da selci erette, costruite da Derek nel 1986, appena giunto qui. Vi si trova lavanda, santolina, papaveri e cavolo marino, e fornisce una vista accogliente a chi si sta avvicinando dalla strada, con le luci del porto in lontananza. Il retro del giardino appare assai meno formale: i ciottoli permettono di piantare facendo a meno di aiuole, senza limiti. Non v è neppure un recinto (cosa rara in Inghilterra) e proprio per questo il giardino si allunga a perdita d occhio. La gente può passeggiarvi in mezzo, e, quando Derek era ancora in vita, la presenza di visitatori occasionali del weekend, o dei giorni soleggiati, nel complesso davano gioia. Quei giorni passati in giardino, a Prospect Cottage, con il tempo sospeso o assente, altrove, a seccare qualcun altro, erano intensi come solo i giorni sanno esserlo. Scavare tra i ciottoli, seminare, accorciare la santolina, aspirare il profumo forte del cavolo riccio marino. Non riesco a pensare ad un miglior scopo per i miei sensi e la mia anima. *dail rifugio di Derek Jarman (The Observer, 17 febbraio 2008) Il piccolo botanico Bastano insomma pochi tratti per gettare le fondamenta, disegnare lo spazio, quello spazio che si è deciso di abitare: il rumore del mare, i gabbiani, il vento, il ciottolato desertico, la luce violenta del sole, i resti delle mareggiate. E un giardino da inventare, curare, accostando specie, piante e fiori, i loro colori. E il fish and chips del Pilot Inn, il migliore di tutta l Inghilterra. Sarà l effetto della centrale nucleare? Durante la vernice in una galleria, un amica lo sfotte dicendogli che ha finalmente scoperto la natura. Eppure, le cose non stanno proprio così. Per Jarman la natura è un ricordo d infanzia. Nel 1946 vola con la famiglia in Italia, sul Lago Maggiore. La famiglia alloggia a Villa Zuassa. Il padre di Derek è comandante del campo di aviazione di Roma e testimone nei processi di guerra a Venezia. Giardini rigogliosi costeggiano la sponda del lago. Il piccolo Derek, che ha da poco compiuto quattro anni, sfoglia Beautiful Flowers and how to Grow Them, un trattato di botanica che i genitori gli regalano. Cammina lungo i sentieri del giardino: «Il giardino di Zuassa correva per un miglio intorno alle sponde del Lago Maggiore. Sconfinava sui pendii pietrosi una cornucopia di cascate di fiori». E a proposito del libro: «Chi può guardare un illustrazione di un magnifico giardino senza provare l impulso di coltivare fiori, e quali risultati se ne possono trarre!». È dunque un «ricordo d infanzia» a spingere Jarman verso Prospect Cottage? Forse. Non solo. Il giardino che Derek Jarman cura amorevolmente non è solo il sintomo di un ricordo d infanzia che preme e riaffiora, ma è insieme una mossa, una sorta di posizionamento. È il giardino di un poeta, e sembra rimandare a un dettato orientale, a quei giardini cinesi del «poeta-scolaro» che funzionavano come luogo di ritiro dalle pressioni del mondo ufficiale e insieme come appropriazione creativa dell universo. Per quanto l esperienza dei giardini orientali sia unica e irripetibile, uno studioso come Stephen Bann (si veda The Poet s Garden: Notes on British Tradition, Rivista di Estetica, XXI, n. 8, Rosenberg & Sellier, 1981, pp ) sospetta che si trovi proprio lì la fonte d ispirazione, il germe di quella serie di «poet s garden» rintracciabili in Inghilterra a partire dal diciassettesimo diciottesimo secolo. Nessun parallelismo. Il giardino inglese si configura piuttosto come la loro contro-immagine frammentaria, di cui trattiene almeno un elemento legato a quella tradizione: un luogo isolato, appartato e insieme un appropriazione poetica. Il giardino e la villa di Alexander Pope, Twickenham,o di Ian Hamilton Finlay, Stonypath, ne sono due esempi. Seppur isolati dal mondo, questi luoghi non devono essere considerati come il buen retiro degli sconfitti. Sono piuttosto una mossa ardita, inattesa. Derek Jarman potrebbe fare sua questa frase di Ian Hamilton Finlay: «Alcuni giardini vengono descritti come luoghi di ritiro quando invece sono vere aggressioni». Sono gesti politici. (Bussy-Rabutin, congiunto di Mme de Sévigné ricorda Stephen Bann forzato all esilio nel suo castello di Burgundy dal Re Sole, lavorò per diversi anni a un notevole schema di decorazione di interni che ritraevano la sua brutta situazione attraverso gli emblemi una reminiscenza del culto delle imprese, dichiarando, nello stesso tempo, la sua personale rivalità rispetto al monarca assoluto che l aveva espulso.) I giardini di Pope, Hamilton Finlay o di Jarman sono di dimensioni più raccolte, in opposizione a quelli dei magnati Whig. Sono gesti di contrapposizione. E rispecchiano totalmente la loro opera poetica. Compresa l eccentricità come marchio distintivo. Compreso, a volte, il cattivo gusto. Contrasti cromatici, metallo recuperato dal mare, detriti, pietre: il giardino di Jarman è un luogo in perenne metamorfosi, e rispecchia colui che ha realizzato film per tutta una vita, in maniera libera: «Deborah al Working Title mi ha domandato perché appaio sempre così felice. Perché sono il cineasta più fortunato della mia generazione, ho fatto sempre solo quello che ho voluto. Ora che filmo semplicemente la mia vita sono un megalomane felice, ho aggiunto. Realizzare film a modo nostro fa apparire prefabbricati tutti gli altri; la maggior parte dei registi non è nemmeno capace di prendere in mano una macchina da presa, una volta posata la penna. E la pretenziosità!» Opposizione rispetto al mondo ufficiale del cinema, aggiungiamo. The Garden è il film che Jarman gira lì, a Prospect Cottage, Dungeness, circondato dalle persone a lui care. Magia delle erbe mediche Tutto, nel Diario, mette in luce questa ambivalenza: il mondo, la città, gli affari, le riunioni, le vernici, la socialità insomma, e dall altra il Cottage, il giardino, la lotta contro gli agenti atmosferici, gli innesti di piante e fiori, come fossero rime a verso libero, o semplice materia cromatica naturale per un dipinto senza tela e cavalletto. Eppure ogni cosa viene alterata, erosa dal vento, dalle nuvole rigonfie di pioggia, e il sole battente: impossibile armonia, perenne stato di metamorfosi. Quella di Jarman è in fondo un impresa folle, in pura perdita: far crescere un giardino tra i ciottoli della spiaggia. C è tutto Jarman in questa immagine. «A Dungeness non puoi dare per scontata la vita: ogni fiore che sboccia attraverso i ciottoli è un miracolo della natura. Derek lo sapeva più di ogni altro», ricorda Howard Sooley, che ha conosciuto Jarman sul set di Edoardo II. A volte i fiori emanano un odore forte, colto nelle sue diverse gradazioni, compreso quello della decomposizione. Ci sono erbe mediche, dal potere quasi magico. Howard Sooley ha fotografato il giardino di Prospect Cottage. Ne ha fatto un libro, intitolato Derek Jarman s Garden (Thames & Hudson). Derek Jarman è morto per complicazioni dovute all Aids, nel Il giardino e il cottage sono ancora lì. In perenne lotta contro gli agenti atmosferici.

11 MARTEDÌ 12 AGOSTO 2014 il manifesto pagina 11 CULTURE oltre tutto NOVECENTO SCRITTORI CONTRO LE STRATEGIE DI AMAZON Sono 900 gli scrittori (tra cui Auster, King, Lethem, Tartt, Egan) che hanno firmato una lettera pubblicata dal «New York Times» contro Amazon. Il colosso dell e-commerce sta boicottando da mesi la casa editrice Hachette, avviando operazioni che la danneggiano (rifiuto di accettare preordini, niente sconti, ritardi di distribuzione) al fine di abbassare i prezzi. Hachette sostiene che la vendita a 9,99 dollari dei libri non copre le spese di pubblicazione. «In quanto scrittori scrivono i firmatari, molti non pubblicati da Hachette crediamo che nessun rivenditore dovrebbe bloccare la vendita di libri, né scoraggiare i consumatori dall ordinare o ricevere quelli che desiderano». Lo scrittore di thriller, Douglas Preston, fra i primi a testimoniare contro Amazon, ha già «pagato» con un calo del 60% delle vendite dei suoi best-seller. SAGGI «Non c è alternativa. Falso» di Salvatore Veca, pubblicato da Laterza La cittadinanza incerta di una comunità illusoria Paolo Favilli L a collana «Idòla» di Laterza è uno dei rarissimi strumenti editoriali pensato appositamente come spazio critico dell ideologia dominante. Tale spazio sembra quasi essere dedicato all «esercizio della critica illuministica e del sospetto», per usare un espressione di Salvatore Veca tratta proprio dal libro di cui si occuperà questa nota (Non c è alternativa. Falso, Laterza). Naturalmente la critica delle ideologie risulta tanto più fondata quanto più gli strumenti analitici utilizzati sono il frutto di una cultura alta, in grado uscire dal chiacchiericcio imperante in ambiti pubblicistico-culturali che si considerano «attuali» solo perché immersi in una temporalità quotidiana che coincide troppo pienamente con l epoca. La contemporaneità, invece, «è quella relazione col tempo che aderisce ad esso attraverso una sfasatura e un anacronismo» (Agamben). I vari tipi di desideri L analisi filosofica di Veca è profondamente compenetrata della comprensione storica, della molteplicità dei tempi della storia di cui è intessuto l «adesso», quel Jetzeit che Walter Benjamin ha scomposto e ricostruito come insieme poliedrico. Appartenere al proprio tempo non significa aderire a tutte le sue pieghe, non significa alcuna identificazione con il suo spirito dominante. Significa sicuramente essere anche consapevoli che a questo tempo non è possibile sfuggire. Se la contemporaneità è però una relazione tra il proprio tempo e il tempo (o i tempi) che sono in grado di farne emergere la «rivelazione», ecco che è contemporaneo, attuale, colui che «aderisce a esso e, insieme, ne prende le distanze» (ancora Agamben). Una lucida analisi sulle nuove forme in cui si può declinare la questione sociale e quella di genere La distinzione netta operata da Veca tra desideri «condizionati», quelli legati alla contingenza, e desideri «categorici», quelli scaturenti dalla immedesimazione nella dimensione dei tempi molteplici, toglie alla prospettiva delle alternative necessarie e possibili ogni aura di volontarismo assoluto ed impotente. Ritorniamo sull esercizio della «critica illuministica e del sospetto». Uno dei pregi dello scritto è l estrema consonanza che possiamo registrare tra parole e cose, tra concetti e strumento espressivo. Non c è da meravigliarsene tenuto conto del rigore analitico che contraddistingue, non da oggi, la scrittura dell autore. Proprio per questo dobbiamo prendere molto sul serio, come fa Veca del resto, i termini «illuminismo» e «sospetto» ai quali collegare la «critica». L analisi delle forme nuove «della vecchia questione sociale» sono il luogo privilegiato della sua indagine critica. Il luogo dove Marx ha esercitato, sono parole di Veca «una diagnosi insuperata». Insuperata perché ha messo a fuoco «la tensione e la contraddizione UN INCISIONE DI RENÉ MAGRITTE Paolo Lago L attuale crisi economica è stata ed è continuamente oggetto delle più svariate attenzioni: politici ed economisti si affaccendano intorno alla questione per cercare di interpretarla e alleviarne, ove possibile, gli aspetti più disastrosi. Fra i molti cannocchiali critici puntati sull argomento uno dei più interessanti è sicuramente quello del Gruppo Krisis, nato in Germania su iniziativa di Robert Kurz (successivamente separatosi dal Gruppo), Norbert Trenkle, Ernst Lohoff, Peter Klein ed altri, a cui si devono molti saggi apparsi nell omonima rivista nonché il Manifesto contro il lavoro, uscito nel 1999 e tradotto in italiano per DeriveApprodi nel È appena uscito un piccolo ma denso volumetto, a firma di due degli attuali esponenti del Gruppo, Norbert Trenkle e Ernst Lohoff, Terremoto nel mercato mondiale. Sulle cause profonde dell attuale crisi finanziaria, a cura di Massimo Maggini, Mimesis, pp. 86, euro 5,90. Dopo una puntuale introduzione di Maggini che presenta gli autori e il loro pensiero al pubblico italiano, il libro ci offre un saggio di Trenkle e un intervista in tre parti ai due autori (molti altri testi di Krisis sono rintracciabili anche online in traduzione italiana, sia nell omonimo sito, sia in quello austriaco della rivista Streifzüge che nel ricco e ben curato blog «Ozio produttivo»). Il pensiero del Gruppo Krisis risulta alquanto indigesto e inusuale per il panorama della sinistra italiana che, come scrive Maggini, «è tutto rivolto ad interpretare il crack capitalistico come una sorta di passaggio attraverso il quale il capitale affina/aggiorna le sue pratiche di sfruttamento e pone le basi per un ulteriore e ancora più efficace fase di accumulazione». Secondo i pensatori tedeschi (che rileggono Marx privilegiando soprattutto la sua riflessione sulla crisi capitalistica) non ci troviamo di fronte ad una crisi temporanea né ciclica, bensì ad una definitiva, generata dal meccanismo di accumulazione e dalla competizione fra capitalisti, i quali hanno come meta finale esclusivamente il profitto. La cosiddetta «economia reale», a causa di una iperproduttività tecnologica deterninata da quella che Krisis chiama la «rivoluzione microelettroni- Le caratteristiche che conducono alla lotta di classe sono tornate: l uso di persone come arnesi e il dispotismo ca» (la terza rivoluzione industriale), non è più in grado di valorizzare e rendere redditizi i propri prodotti, espellendo forza-lavoro in gran quantità. La causa della crisi non va quindi imputata a «cattivi» banchieri o a speculatori finanziari ma al malfunzionamento di tutto un sistema, quello capitalistico, che sta per raggiungere i suoi limiti vitali. Come leggiamo sia nel saggio di Trenkle che nell intervista, dopo la rivoluzione microelettronica, il «capitale fittizio» è diventata la principale fonte di ricchezza capitalistica. «Fittizio», secondo Marx, è quel capitale creditizio e speculativo che si materializza sotto la forma di «titolo», di valore futuro: secondo i pensatori di Krisis, il sistema attuale si basa principalmente sull aumento di capitale mediante la capitalizzazione anticipata di valore futuro. L utilizzo del capitale fittizio non fa altro che creare continui rinvii della crisi strutturale della riproduzione capitalistica. La politica, poi, non può certo fermare questo meccanismo di crisi, poiché non può toccare la logica funzionale del capitalismo; anzi, essa semmai contribuisce a portare le fra l eguaglianza nel cielo del citoyen e l ineguaglianza sulla terra del bourgeois. L ineguaglianza economica e sociale può trasformare la comunità democratica di cittadinanza in una comunità illusoria». Illusione, appunto, e lo smascheramento delle illusioni non è il compito primario dell «esercizio della critica illuministica e del sospetto»? E Marx non è insieme maestro del sospetto ed erede critico dei lumi? Proprio l analisi della suddetta tensione nelle nuove forme della questione sociale è l elemento in cui confluiscono i molteplici itinerari del tessuto argomentativo del libro. Il modo in cui viene affrontata la questione di genere, ad esempio, può considerarsi paradigmatico di questa logica di indagine. Il problema dell esclusione femminile deve essere formulato in maniera molto «radicale». «Dovremmo adottare la condizione della donna come il punto di vista archimedeo grazie a quale impegnarci nella critica sociale». Tale punto di vista garantisce alla questione il suo «genuino carattere universalistico». Si faccia attenzione alla pregnanza del lessico usato che continua a muoversi tra la radicalità della «critica sociale» (sospetto) e l universalismo problematico (lumi). «Sono convinto sottolinea ancora Veca che questioni di genere e di cittadinanza, nelle circostanze in cui la parola chiave è quella dell uguaglianza, le circostanze dell esclusione, si possono mettere a fuoco nell ottica e nella prospettiva di soluzioni a un conflitto distributivo. Sono convinto esse facciano parte, a pieno titolo, dell agenda della giustizia sociale». Nelle nuove forme, insomma, della vecchia questione sociale. Il ritorno della casta Nel designare la mappa dei perdenti e dei vincenti dell attuale fase della «lotta di classe» (l espressione è mia), se ne indicano alcune caratteristiche dirimenti. Il ritorno dello spettro di una «società castale e censuale», lo «sfruttamento, uso delle persone come arnesi, da parte di altre persone e in virtù dell esercizio dispotico di poteri sociali», gli sconfitti «sacrificati sull altare della lex mercatoria». Veca afferma con decisione che «tutto ciò è nel cuore della questione sociale ( ). È questione sociale, punto e basta». Cadrebbe in errore chi vedesse in questo procedimento analitico indizi di riduzionismo. Anzi proprio il riduzionismo è uno dei bersagli del dipanarsi di quel «sapere interpretativo» tramite il quale è costruito un libro tanto breve quanto ricco di argomentazioni. Un libro in cui si riconosce il valore dell incertezza, della incompiutezza, della controversia che caratterizzano il terreno dove è necessario nascano le alternative. Però, proprio «l incertezza della controversia, come sempre, chiede teoria». E la teoria non può sottrarsi al compito di cercare risposte alle domande «radicali». SCAFFALE Terremoto nel mercato mondiale» di Norbert Trenkle e Ernst Lohoff, per Mimesis Come uscire dall economia fittizia contraddizioni del processo di crisi a livelli più alti: «mentre la massa di capitale fittizio cresce in modo esponenziale scrive Trenkle aumenta, con ogni fase di rinvio della crisi, la pressione sulla società e sulla gran massa della popolazione, che si trova costretta a vendersi in condizioni sempre più precarie». Come nota anche Anselm Jappe (un pensatore assai vicino alle idee di Krisis) in un saggio raccolto in un altro volumetto edito recentemente sempre da Mimesis col titolo Contro il denaro, di fronte alla crisi la politica non ridurrà le spese per le armi ma quelle per la salute, la cultura e l educazione, poiché meno utili a poter servire come «motore per la crescita». E l austerità ad ogni costo? Secondo Krisis è una follia: non è vero che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, la produttività è rimasta sempre a livelli elevati; è necessario fare buon uso delle forze produttive e collegare le lotte svincolandosi dalle esigenze di valorizzazione del capitale (come avvenga questo passaggio nota il curatore resta il «non detto» di questo pensiero). Del resto, già nel 1883, nel suo pamphlet Il Diritto alla Pigrizia, Paul Lafargue scriveva che «quando l uomo restringe il suo stomaco e la macchina allarga la sua produttività, proprio allora gli economisti ci vengono a predicare la teoria malthusiana, la religione dell astinenza e il dogma del lavoro. Bisognerebbe strappargli la lingua e gettarla ai cani». MOSTRE Non solo tagli. Lucio Fontana arriva a Parigi Ivo Bonacorsi L a mostra che il Museo d Arte Moderna di Parigi consacra a Lucio Fontana (visibile fino al 24 agosto) può considerarsi una delle più belle retrospettive dedicate al maestro italo-argentino degli ultimi trent anni. Lo è per la qualità delle opere che i due curatori - Choghakate Kazarian e Sébastien Gokalp - hanno riunito con squisita sensibilità medioorientale: ne esce fuori un percorso in grado di rileggere e ricontestualizzare materiali e creazioni. All interno dell itinerario proposto, compare tutto ciò che è stato cruciale per la ricerca dell artista e per la nascita del mito fontaniano, con deliziosi scarti dal vangelo anedottico ricorrente. La ceramica esposta è, per esempio, quasi inedita e, una volta spogliata dai caratteri decorativi, diventa la motrice del processo creativo: è materia in grado di registrare il gesto eccessivo e barocco ed è anche parte integrante di quel salto che ridefinisce l intera produzione di un artista che ha segnato l entrata in scena di materiali eterogenei nella dimensione del contemporaneo. La mostra testimonia il dandismo minimale di Fontana, nutrito di collaborazioni, laceranti soluzioni e idee folgoranti. Siamo in presenza di una sorta di romanzo della riconquista del mezzo artistico in una versione luminosa. È un racconto che va dalla pienezza della sua stagione primitiva fino all Informale, in relazione ai suoi inizi accademici: dall algida redazione del Manifesto Blanco, agli esiti mondani delle Pillole o dei Teatrini. Il Fontana parigino si rivela per le sue qualità pittoriche ed è quasi disgiunto dal trionfo internazionale del «poverismo» e dell arte di ricerca, cui spesso si fa riferimento. È un artista che, finalmente, si smarca dall iconicità dei suoi tagli e buchi. In rassegna, sono esposti solo i migliori: lo rappresentano come un elegante scienziato in cerca di una nuova dimensione. In questa retrospettiva risulta evidente l assunzione di un atteggiamento progettuale di Fontana e l abbandono del ciarpame avanguardistico, che fanno emergere piuttosto l idea di un classicismo di inossidabile qualità. Per la pittura, semplicemente oltre la dimensione della tela, con la soluzione dello squarcio; per la scultura nella luce e dunque più Brancusi che Boccioni; per la materia, direttamente nello spazio, fuori dal volume. Non a caso, in una memorabile intervista con Tommaso Trini, Lucio Fontana descrisse il suo antagonista americano Jackson Pollock come un artista imprigionato nello spazio della tela, nella trance della sua danza apollinea con il colore. Per questo cavaliere della Pampa argentina, il neon e la ricerca sulla luce (fino al negativo di quella di Wood) sono e saranno la folgorante novità degli ambienti spazialisti. Esiti che lo librano nella dimesione post- modern dell installazione e del puro concetto.

12 pagina 12 il manifesto MARTEDÌ 12 AGOSTO 2014 Locarno 67 VISIONI Tra omaggi e una superba retrospettiva Titanus, l anno secondo della direzione Chatrian prova - con risultati incerti - a confrontarsi con le nuove tendenze Cristina Piccino LOCARNO I l suo caschetto irriverente si affaccia qua e là nei luoghi del festival: Agnès Varda è il Pardo d oro di Locarno La cineasta francese, unica donna regista della Nouvelle Vague, che nella sua ricerca precorre (peraltro come molti altri filmmaker della sua generazione) quella contaminazione tra cinema e arti visive a partire dalle stesse immagini, pratica ora così attuale nelle nuove generazioni dei registi (pensiamo a una Biennale Arte di Venezia con l installazione dal film Les glaneurs et la glaneuse), è un po la punta di un omaggio alla Nuova onda francese che ha attraversato una parte del festival. La preinaugurazione è stata coi 400 colpi di Truffaut, c è poi l omaggio a a Jean Pierre Leaud, e infine Sils Maria, magnifico nuovo film di Olivier Assayas, in gara a Cannes e qui nella Piazza Grande, seppure legato a un premio alla sua protagonista, Juliette Binoche, opera di un regista in cui l affinità (a distanza) nouvellevaguistica è dichiarata dai primi film. Eppure di Nouvelle Vague finora nelle diverse sezioni del festival, la cui altra anima è attraversata dalla superba retrospettiva Titanus, curata con acutezza critica da Sergio Germani e da Roberto Turigliatto, e accompagnata da un ottimo volume stampato come raramente ormai capita, ne abbiamo trovata finora poca. E neppure della spregiudicatezza che affiora nella filigrana della pellicola, forse per l ultima volta, nei bianco e nero di luce di un Zurlini, L estate violenta, presa di consapevolezza della storia, nel melodramma di un amore estivo. Lui In concorso «Perfidia» di Bonifacio Angius, lo scontro padri e figli declinato tra melò e luoghi comuni Trintignant, lei Eeleonora Rossi Drago, la donna vedova di guerra e il ragazzo, si sfiorano in una lunga danza notturna, escono in giardino e prima del bacio la carica erotica è esplosa sullo schermo. Sensualità nei tagli della censura, morbidezza aguzza di una tensione estrema, resa messinscena, inquadratura, passione. Che festival è allora Locarno 2014, secondo anno di direzione di Carlo Chatrian che a detta di tutti sarà riconfermato per il futuro? Cominciamo alla Piazza Grande, laddove si gioca la scommessa col pubblico, quest anno funestata dalla meteo poco favorevole alle proiezioni coi cieli scuri e gli acquazzoni. Anni fa, tanti, diciamo i Novanta della direzione Marco Müller, in Piazza capitava di vedere Straub&Huillet (Lohtrungen!)o Pulp Fiction appena arrivato dal festival di Cannes. Era però diverso per tutti i festival, quelli europei almeno dove sappiamo - lo mostrano la fatica che fanno Cannes e Venezia quest ultimo con l obbligo anche della prima mondiale i distributori ormai dettano legge, e soprattutto col cinema americano è diventato molto difficile, quando non impossibile, portare i film - P.T.Anderson con l attesissimo Inherent Vice va al New York Film festival, ma in Europa esce a fine anno, e alla major, la Warner, evidentemente non serve una costosa anteprima sul Lido o sulla Croisette o ovunque sia. C è poi la questione dei mercati nazionali. Il nostro, per fare un esempio, è molto ostico, ci arriva pochissimo di La danza confusa dell immaginario quanto circola nei festival internazionali, anche quelli grandi, e questo ne condiziona, ovviamente, le possibilità. Il Festival di Locarno non è un festival da red carpet, però i numeri contano, e nella punta, la Piazza Grande, purtroppo non si è immuni da quel passo indietro enorme che segna questo tempo di confusione tra popolare e arte. Dove il primo viene malinteso, come se «pubblico» equivalesse a un abbassamento di qualità o a cercare disperatamente di compiacere non si capisce bene cosa. La selezione della Piazza è modesta, per me non popolare lo sono i film di ELEONORA ROSSI DRAGO E JEAN LUIS TRINTIGNANT IN «L ESTATE VIOLENTA», A SINISTRA «SILS MARIA» DI ASSAYAS, SOTTO DARIO ARGENTO «L UCCELLO DALLE PIUME DI CRISTALLO» IN BASSO VALERIO ZURLINI E ALAIN DELON Matarazzo di una retrospettiva che è il polo di attrazione del festival ma nemmeno di gusto, non può esserlo Luc Besson con Lucy (stroncato in patria e fuori) e nemmeno il tedesco televisivo Hin und Weg La scommessa «artistica» del Festival, se la Piazza è lo spazio della distribuzione evidente anche dalle date di uscita dei film programmati si gioca quindi altrove. Concorso, Cineasti del presente, la nuova sezione potenziata quest anno Signs of life, misticismo per dire delle linee contemporanee degli immaginari. Diciamo che qui, seppure con un indirizzo piuttosto diverso da quello della precedente direzione di Olivier Pere, la scommessa della selezione sembra quella di presentare le nuove tendenze, con detour «inattuali» che di queste sono un po i riferimenti, penso a Pedro Costa o Lav Diaz, a Straub fino all eccentricità di un Vecchiali. Il resto è invece l attuale, l aria dei tempi, ciò che unisce il gusto e le aspettative della «famiglia» allargata di curatori o programmer dei festival. Ma: basta essere attuali per declinare una ricerca? Io credo di no. E i dubbi crescono vedendo le scelte del concorso. Cominciamo, non per nazionalismo, dal film italiano, sul quale si deve aprire una ulteriore parentesi. Il cinema italiano al festival di Locarno, come a quello di Rotterdam, non ama venire. C è la vicinanza con la Mostra di Venezia, a cui tutti ambiscono, e ora anche col festival di Roma in ogni caso «piazza» più utile. Eppure qui in Ticino, dove si parla italiano, il made in Italy ha un attenzione speciale. Per i selezionatori perciò avere un film italiano è quasi obbligato, ancora di più poi se il direttore è italiano. Però quest anno c era la retrospettiva, è venuto Dario Argento, mito mondiale che non può fare due passi senza essere fermato dai suoi fan, c è stato in Piazza il viscontiano Gattopardo restaurato, ma forse non bastava lo stesso. In gara è stato messo Perfidia di Bonifacio Angius, opera seconda del regista trentenne girata nelle periferie di Sassari, che di perfido o perfidamente melodrammatico nonostante il titolo non ha nulla. Piuttosto c è un concentrato di luoghi comuni del cinema italiano che sembrano emergere dal passato: l uso delle musiche tutto sbagliato, gli interni che se la storia è triste devono essere per forza squallidi, e se uno è piccolo borghese deve avere il centrino in mezzo al tavolo. Gli amici al bar, giovinastri nulla facenti del paese che invidiano la macchina nuova di quello tra loro più fortunato ma non fanno nulla da mattina a sera. L andata con la mignotta di formazione per svezzare l amico «scemo» tutti in gruppo. L amore impossibile, i fantasmi dei genitori, e soprattutto una narrazione che non diviene mai stile visivo. L assunto è semplice: un figlio deve uccidere il padre, non è certo nuovo, anzi, ma non è questo che conta visto che, lo sappiamo, le storie sono sempre le stesse quello che cambia è come le raccontiamo. Il figlio ha trentacinque anni, nessun interesse, nessun sussulto. Non lavora, e alle domande del padre non sa dare risposta. Cosa ti piace nella vita chiede con insistenza l uomo al giovane: silenzio. Il vecchio è volgare, meschino, la moglie l ha appena seppellita e le rimprovera di essersi chiusa nell apatia, di essere diventata vecchia troppo presto per quel suo modo di stare al mondo fatto solo di rinuncia e di chiesa. Lui la radio del predicatore l ascolta perché lo rilassa. Il figlio invece ci crede a suo modo a Gesù e spera che a essere buoni si viene ricompensati. Però non funziona così scopre pian piano e allora è meglio essere cattivi che Gesù si accorge di te... Padre e figlio. Il primo che dovresti odiare di fronte alla piattezza del figlio finisce che se non ti sta proprio simpatico in fondo ne comprendi gli sbuffi. Angius presenta il figlio come una sorta di Fernand Melgar in «L abri» completa il trittico dedicato al tema dell immigrazione in Svizzera icona generazionale, di una generazione presente soffocata da crisi e perdite di tutto (?) che non si accende a nulla, che non ha nulla, ecc. Il personaggio di Angeli però sembra più uno problematico psicologicamente, la cui implosione rispetto al mondo non ne fa un Forrest Gump e tantomeno un segno metafisico. La metafora del padre/figlio - riflessa nei dialoghi della radio religiosa viene spostata sul piano della concretezza, sul passaggio dal bene al male. Ma l attaccarsi alla scrittura non compie mai il salto verso il cinema, verso una spiritualità che rimane invece, come molto altro, programmatica. Il gesto di ribellione manca perché non risponde a scelte visuali, a un gesto del filmare che sappia restituirne la portata. Potremmo definirlo un altro obbligato ma sappiamo che non è così perché Fernand Melgar è uno dei registi che Carlo Chatrian ha sempre sostenuto. Eccolo perciò di nuovo in concorso, due anni dopo quel Vol special che tanto fece indignare l allora presidente della giuria il produttore portoghese Paulo Branco. L abri di Vol special completa la trilogia dedicata dal regista svizzero di origini marocchine (è nato a Tangeri nel 61) all immigrazione nel paese che ha votato da poco il tetto numerico per gli immigrati (in Ticino anche contro i frontalieri italiani). L abri racconta di migranti senza permesso di soggiorno, Rom o africani, che dormono per strada e ogni sera cercano di entrare nel rifugio del titolo, per avere un letto e un pasto, dormire fuori infatti viene multato e con l incedere dell inverno a Losanna, di neve e ghiaccio è sempre più duro. Il rifugio però contiene solo un certo numero di persone, 50 al massimo, e ogni sera fatti passare prima bimbi, donne, anziani e malati, i responsabili scelgono coloro che entreranno. Caso, simpatia, non c è un parametro, e così er evitare questa specie di atroce lotteria decidono di adottare una carta/abbonamento che da diritto a 15 ingressi. Come lo statement letto prima della proiezione da Melgar, anche il suo film provoca quel fastidioso senso di retorica che si avverte quando, parlando dei temi considerati seri e questo lo è si deve tenere per forza tutto insieme. Il difetto di Melgar, e quello di non posizionarsi, di non scegliere dove mettersi, nel suo caso dietro alla soglia, rimanendo a filmare l istituzione. Invece lui sta dentro e fuori, ma dei migranti, oltre a circondarli dell aura di vittina, scelta che elide ogni conflitto e qualsiasi domanda a noi stessi, non sa mai dare altra misura. Vittime. Che fastidio. La piattezza cinematografica che ne accompagna la posizione consegue. Penso ai migranti che narra Sylvain George la cui presenza diviene necessità di interrogare il cinema, di mettersi in discussione come filmmaker, una scelta politica e poetica. Melgar riposa sul soggetto, che emoziona, indigna e dopo essersene tornati a casa, fa sì che ci si senta sempre un po migliori.

13 MARTEDÌ 12 AGOSTO 2014 il manifesto pagina 13 VISIONI CENSURATI I FRATELLI CHAPMAN AL MAXXI, «PEDOPORNOGRAFICI» Non è la prima volta che accade: l arte dei fratelli inglesi Jake e Dinos Champman suscita sempre polemiche e viene spesso accusata di pornografia o, peggio, sospettata di pedofilia. Adesso a finire nel mirino è stata la scultura «Piggyback» esposta al Maxxi di Roma, dopo la donazione di parte della collezione di Claudia Gian Ferrari. Si tratta di due adolescenti nude, una sulle spalle dell'altra. Dalla bocca di quella sottostante fuoriesce un pene. Niente di nuovo per i Chapman: loro da anni, con grande crudezza, descrivono la perdita di moralità e le derive della nostra civiltà, dalle guerre sanguinose a violenti atti sessuali fino alle mutazioni del corpo. L'opera, però, ha provocato le proteste dell'osservatorio sui diritti dei minori, perché ritenuta pedopornografica. La direttrice del museo, Anna Mattirolo, pur avvertendo che anticiperà la sostituzione della scultura, l ha difesa, ricordando a tutti che nella hall del museo c è un avvertimento scritto per i minori e che l opera «è una pura denuncia». UNA SCENA TRATTA DA «RUNAWAY TRAIN, SOTTO MENAHEM GOLAN. A DESTRA LIAM HOWLETT DEI PRODIGY CINEMA È morto a 85 anni il produttore israeliano Menahem Golan L alto e il basso, gli anni d oro del sistema Cannon Giulia D Agnolo Vallan NEW YORK P rima del Sundance, prima che i fratelli Weinstein conquistassero gli Oscar, prima che le Con Yoram Globus costruì un impero che abbassava il costo del lavoro e sfruttava il divismo, anche d autore Majors si mettessero a far finta di fare film off Hollywood e prima che quasi tutto ciò che è targato indie diventasse un cliché, il cinema indipendente americano ha attraversato una delle sue parabole più anomale e fiammeggianti. A tracciarla, due cugini israeliani, produttori in patria di un West Side Story nostrano (Kazablan, del 74) e del micidiale, ipnotico, Operation Thunderbolt ( 76), messa in scena del raid di Entebbe praticamente coprodotta dallo stato di Israele. Sbarcati in Usa nel 1979, armati di passione onnivora, senso dell avventura e uno speciale talento per il marketing Menahem Golan e Yoran Globus, e la loro Cannon Films, per tutto il decennio a seguire, avrebbero accumulato una filmografia fittissima (43 titoli solo nel 1986) e avventurosa ai limiti del lisergico. I film Ninja e Raul Ruiz, Chuck Norris e Jean-Luc Godard, Coppola e Jean-Claude Van Damme, Stallone e Godard, Cassavetes a Tobe Hooper, la breakdance e l Otello di Verdi diretto da Zeffirelli. Il maggior dei due cugini, Menahem Golan, è morto a Jaffa domenica, all età di 85 anni. Oltre ai circa 200 film che ha firmato da produttore, Golan (nato il 31 maggio del 1929 a Tiberias, ha combattuto nella guerra d indipendenza d Israele, studiato cinema Londra e fatto l assistente di Roger Corman) ne ha diretti e sceneggiati una quarantina, spesso dietro allo pseudonimo Joseph Goldman. Tra i più recenti una produzione di Delitto e Castigo con John Hurt e Venessa Redgrave e The Versace Murder, un instant film sulla morte dello stilista italiano. Il testo che segue è il frutto di una conversazione tra Golan e Globus avvenuta in occasione di un omaggio dedicato loro nel 2010 dal Lincoln Center di New York. L avevamo pubblicata su Alias del 27 dicembre di quell anno. A metà degli anni 80 avete fatto una politica d autore molto ambiziosa, producendo, tra gli altri, Cassavetes, Godard, Ruiz Yoram Globus: Con Cassavetes abbiamo fatto Love Streams, un film bellissimo. A un certo punto John ci ha fatto vedere una versione di due ore e dieci minuti. Gli abbiamo detto che se tagliava venti minuti poteva diventare un film molto commerciale. OK, ha risposto. Otto giorni dopo ci ha detto che era pronto. Siamo tornati a New York e ci siamo trovati di fonte a un film di due ore e quaranta. Perché gli avevamo detto di tagliare! Menahem Golan. Vi assicuro che così sembra più corto! garantiva John. YG Negli anni 80 le Major producevano meno film. Così si era aperto un certo spazio per i produttori e i distributori indipendenti...menahem ed io abbiamo sostanzialmente inventato il concetto di prevendita. MG. Con dei bei manifesti e delle trame raccontate bene facevamo miracoli in prevendite. A Hollywood abbiamo portato qualcosa di diverso, di rivoluzionario. Per esempio siamo riusciti a trattare con i sindacati dei termini più favorevoli di quelli delle Major. Così è nato quello che ancora oggi si chiama il contratto Cannon. Negli anni ottanta, alla Cannon venivano i registi importanti, che non trovavano posto alle Major. A Cassavetes avevano chiuso la porta in faccia tutti quando è arrivato da noi. L abbiamo prodotto proprio perché era un filmmaker così strano e speciale. E Godard? MG Mi ha chiamato dal bar dell hotel Carlton, a Cannes. Sono quasi svenuto dall emozione. Sono sceso per incontrarlo. Aveva tre idee da proporci, tra cui King Lear. Abbiamo firmato il contratto sul tovagliolo dell albergo. È diventato un oggetto leggendario. Il Museum of Moving Image, qui a New York, ci ha offerto (invano) una cifra considerevole per comprarlo. Ricordo che alla fine di ogni settimana di riprese, Jean Luc prendeva un aereo apposito e veniva a Los Angeles per farsi pagare. Era ossessionato dai soldi. Gli ho dato Norman Mailer per il ruolo di King Lear e sua figlia per quello della figlia del re. Norman mi ha telefonato una settimana dopo dicendo che lo detestava e che mollava tutto Così abbiamo dovuto cambiare cast e rigirare. Godard è un meshuga - un pazzo. Ma un genio. L avete visto il film? C è a chi piace. A me no. YG Credo che tutt oggi siamo i soli produttori ad avere avuto cinque film in concorso a Cannes lo stesso anno. Ci muovevamo contemporaneamente sul versante del cinema commerciale e su quello d autore. Con i soldi di American Ninja potevamo permetterci di Cassavetes. MG Cercavamo idee fresche, cose nuove. Un giorno mia figlia mi ha portato sulla spiaggia di Venice a vedere dei ragazzini neri che ballavano un ballo mai visto. Si chiamava breakdance. Breakin è stato uno dei nostri maggiori successi, costato anche lui un milione e due. Quando l abbiamo fatto vedere alla MGM, con cui avevamo un accordo distributivo, hanno reagito dicendoci: è un film schvartze, (peggiorativo per «da neri»; ndr). Avevano paura. Come lavoravate insieme? YG. Siamo cugini primi. Per capirci, non avevamo nemmeno bisogno di parlare. Nessuno racconta una storia meglio di Menahem. Quando dovevamo prevendere un film ai giapponesi, chiamavo lui ed era tutto risolto. In Yiddish! MG. Quando Yoram era ragazzo non voleva studiare. Passava tutto il tempo nella cabina di proiezione del cinema di suo padre, vicino a Haifa. Suo padre era preoccupato e mi ha chiesto consiglio. YG. Ero sempre in cabina perché facevo il proiezionista! MG Quando, alla fine, siamo entrati in società è stato subito chiaro che Yoram era il miglior venditore del mondo. La nostra era una grande alchimia. Tra le «vostre» star ci sono Charles Bronson, Chuck Norris, Jean Claude Van Damme e Sylvester Stallone MG. Avevamo deciso di copiare quello che la Major facevano ai tempi d oro. Con Chuck Norris, per esempio, abbiamo firmato un accordo di sette anni. YG.La carriera di Bronson l abbiamo rilanciata noi. Era un attore molto professionale, ma detestava qualsiasi promozione, autografi, interviste Era un uomo distante, un ghiacciolo MG. Un volto perfetto per lo schermo. Nella realtà un cubetto di ghiaccio. Van Damme l abbiamo scoperto noi. Ero a un ristorante francese di Los Angeles con mia moglie. Ad un certo punto si presenta al tavolo un giovane cameriere belga, con in mano due piatti di minestra: Monsieur Golan? E alza una gamba all altezza dell orecchio - senza versare una sola goccia di minestra. Gli ho detto di presentarsi al mio ufficio il giorno seguente. Stallone, invece, era la star più pagata del momento quando lo abbiamo convinto a fare Cobra. Prendeva sei milioni a film dalle Major. Gliene abbiamo offerti dieci. Girava con sedici guardie del corpo e sette cani. Ma la persona che lo terrorizzava più di tutti era sua moglie, Brigitte Nielsen. YG. Se vuoi lavorare con quel calibro di attori e sei un indipendente devi strapagarli. Ma non importa. Perché abbiamo guadagnato moltissimo lo stesso. Gianluca Diana P rosegue fino al 19 agosto il Musicastrada Festival, rassegna itinerante nella provincia di Pisa giunta alla quindicesima edizione. Ventidue concerti in diciotto Comuni, a cui si aggiungono una serie di attività collaterali che includono mostre e workshop musicali. Un progetto portato avanti nonostante la crisi e i tagli e che riesce ancora a mantenere l accesso gratuito a tutti gli eventi: «La nostra struttura organizzativa qui in provincia riesce a funzionare bene...», sottolinea il curatore artistico Davide Mancini: «in quanto sin dall inizio, l idea è stata di avere supporto dagli enti pubblici locali limitato alla fornitura degli spazi come centri storici e simili, ed eventualmente un piccolo contributo economico. A tutto il resto abbiamo sempre adempiuto noi, grazie al supporto di soggetti privati. Questo ci ha permesso di far rivivere e valorizzare parti importanti dei nostri territori». Sempre nel solco della world music, tra i vari sud del mondo presenti corposa è la presenza del blues declinato in diverse forme: oltre i suoni british di Innes Sibun ed il progetto per chitarra solista di Adriano Viterbini, apice della rassegna è stato finora il concerto dello statunitense Luke Winslow- King. Il giovane musicista originario di Detroit, Michigan, ma oramai adottivo della Crescent City non ha deluso le aspettative. SZIGET FESTIVAL Sul Danubio blu il ritmo batte forte Valerio Corzani C i sono centinaia di migliaia di giovani che attendono ogni estate l insediamento della Libera Repubblica dello Sziget Festival nella piccola isola di Obuda. Una landa di terra, 1 km x 3, che ogni dodici mesi accoglie il ricco programma di uno dei più importanti festival musicali europei. L isola si appoggia sul letto del Danubio alla periferia di Budapest. Dire che cosa sia non è poi così semplice, perché sono tante le arti e le musiche che vi trovano casa per una decina di giorni (è partito ieri e si andrà avanti fino al 18 agosto). Il rock è una porzione importante della programmazione, ma non c è solo quello. World Music, elettronica, blues, folk, pop, reggae, jazz, perfino musica classica hanno trovato negli anni scorsi e trovano anche nella nuova edizione uno spazio nella grande utopia festivaliera chiamata Sziget. Una trentina di palchi e molti altri stage che accolgono street theatre, cinema, video, installazioni e mostre d arte, corsi, workshop, decine di installazioni da luna park e naturalmente tanta musica. Gli headliner chiamati dagli organizzatori rispondono ai nomi di Queens of the Stone Age, Prodigy, Placebo, Blink-182, Korn, Lily Allen, Bastille, Imagine Dragons, Madness, Jake Bugg, Die Fantastischen Vier, Ska-P, Bombay, Kelis i sold out da questo punto di vista sono assicurati e alcuni sono stati già celebrati Ma la parte più divertente di questa curiosa Woodstock Trenta palchi e decine di ospiti: Prodigy, Placebo, Korn, Kelis e Caparezza EVENTI Fino al 19 agosto una rassegna itinerante toscana nel segno della world music I sud del mondo si incontrano a Musicastrada sul Danubio è di caracollare tra i cosiddetti palchi minori (che poi minori non sono: si parla comunque di stage che possono accogliere migliaia di astanti ), un reticolo di tende, arene, auditorum naturali e dove si esibiranno - e sare sarebbe bene non farseli sfuggire - gente come Bicycle Club, Tom Odell, Klaxons, Michael Kiwanuka, Mount Kimbie, Triggerfinger, Anti-Flag, Fink, The Big Pink, Leningrad, The Bloody Beetroots, Jagwar Ma, Girls in Hawaii, Starlight Girls, Band of Skulls. Pregevole, al solito, anche la porzione di palinsesto dedicata alla world music: Rupa & The April Fishes, Bassekou Kouyate & Ngoni Ba, Yasmine Hamdan, Canzoniere Grecanico Salentino, Besh O Drom, Terakaft, Fanfarai, Winston Mcanuff & Fixi, Söndö rgo, Kobo Town. Dopo una serie di passaggi sempre più consistenti negli scorsi anni (Verdena, Teatro degli Orrori, Roy Paci, Subsonica, Jovanotti, Linea 77, Ministri tra gli altri) anche la pattuglia italiana, grazie allo sforzo di Puglia Sounds ma non solo, ha infine conquistato una sua collocazione degna e valorizzante. Perché è chiaro che un festival come questo, il primo per numero di spettatori e uno dei più grandi per estensione e allestimenti, costituisce inevitabilmente anche un ideale trampolino di lancio per altre eventuali avventure in ambito europeo. Proprio nell Europe Stage sono stati convocati Salmo, Caparezza, Diodato, Aucan e Rumatera. Uno spazio nel quale si confrontano con una trentina di altre band continentali e che dovrebbe finalmente scongiurare il triste spettacolo per cui gli italiani all estero li ascoltano solo gli italiani. Assieme alla compagna d arte e di vita Esther Rose alla voce ed al washboard ed al chitarrista livornese Roberto Luti, ha dato vita a un live set in equilibrio tra suoni vintage e modernità, come spiega lo stesso LWK: «Suoniamo musica originale, mescolando delta blues, jazz tradizionale e americana folk music. È il blues della nostra città, New Orleans». Due dischi alle spalle ed una prossima uscita in settembre: «...Si chiamerà Everlasting Arms ed è in buona parte il risultato dell incontro di due culture a cui sono legato: quella di Nowlins e quella italiana. Qui da voi ho passato molto tempo, sono rimasto influenzato dalla capacità di costruire melodie ed in più Roberto Luti è il mio maestro alla slide guitar». Musicastrada prosegue il 18 agosto e fa tappa a Chianni, con le narrazioni mediterranee folkpolitik di Stefano Saletti e la Piccola Banda Ikona (foto) e si completa l indomani con i suoni world dell area piemontese proposti dal Duo Bottasso presso la località Santa Luce.

14 pagina 14 il manifesto MARTEDÌ 12 AGOSTO 2014 IN UNA PAROLA Amore (e guerra) Alberto Leiss M a è possibile in questi giorni una vera vacanza? Un tempo vuoto dai dilemmi quotidiani e globali che ci inseguono e ci assillano? Una serata a Pesaro, a godersi la musica sublime di Gioacchino Rossini, potrebbe esserlo nel senso più pieno (di questo desiderabile, irraggiungibile vuoto). Ma fino a un certo punto. Perché la storia di Armida, ahimè, ci ricorda che dopo mezzo millennio siamo ancora lì a fronteggiare sultani e califfi, sicuramente più efferati - a quanto si legge - di Aladino e Argante, i grandi capi della Gerusalemme da liberare e comunque alla fine passati a fil di spada dagli eroi cristiani di Torquato Tasso. Forse ci ricordiamo dai tempi del liceo che il poeta era nevrotico e ideologicamente tormentato, nel paese della Controriforma, e che alla fine produsse una versione politicamente ultracorretta del suo grande poema - la Gerusalemme conquistata - mondata da ogni ambiguità profana, che quasi nessuno, però, ha più letto. Armida è un po la quintessenza di queste introverse ambasce barocche. Una affascinante maga asiatica mandata dallo zio Idraote a gettare scompiglio amoroso nel campo dei crociati. Una nutrita schiera di artisti maschi - da Monteverdi a Haydn, passando per Haendel, Lully, Gluck, per restare ai soli musicisti più famosi - si è lasciata ipnotizzare dalla dialettica tra l amore incarnato da Armida e l onore virile e guerresco del prode Rinaldo, messo a dura prova dall avvenenza della maga. E il genio di Rossini non fa eccezione. Nella nuova edizione pesarese la regia di Luca Ronconi sottolinea la dipendenza dei guerrieri travestendoli da pupi siciliani. Molti sono effettivamente pupazzi appesi nella bella scenografia di Margherita Palli. Ma anche il coro e i protagonisti che cantano e agiscono, stretti nelle armature di latta sgargiante, appaiono costantemente manovrati dai fili opposti del dovere bellico e religioso, e dell abbandono amoroso consigliato dalle arti infernali di Armida. Sulla Repubblica di ieri Natalia Aspesi ha maliziosamente rilevato che anche la figura umana di Rinaldo, impersonata dal tenore Antonino Siragusa, con voce forte e chiara, ma non molto alto e con lucida pelata, non aveva il physique du role adatto a reggere l impeto della soprano spagnola Carmen Romeu, un Armida potente nel suo costume di uccello azzurro e tenebroso. E Rossini non ha dubbi su da che parte stare. Forse anche perché scriveva lo spartito di fronte alla bravissima Isabella Colbran, prima interprete dell opera a Napoli nel 1817, di cui si stava innamorando e che avrebbe di lì a poco sposata. La storia è nota. Rinaldo soccombe all amore. Che al di là delle magie si rivela un sentimento reale e reciproco. Diventa nel giardino della maga una specie di barocco figlio dei fiori. Ma quando arrivano i compagni d arme e si vede riflesso negli scudi di latta con indosso collane di foglie dorate al posto dell elmo e della spada, ha una specie di collasso, e si lascia trascinare via per tornare a combattere gli infedeli. È qui che la musica di Rossini e il canto di Armida toccano le vette del capolavoro. La maga abbandonata, respinta nonostante avesse proposto al cavaliere di seguirlo ovunque quasi schiava, è incerta tra rifugiarsi nei ricordi d amore o votarsi invece alla vendetta. Dopo breve e intensa esitazione seglie le Furie: «ad inseguir traetemi un empio, un traditor». E sorretta da una corte di demoni dispiega tra gli acuti finali le sue ali scarlatte. Kill Bill! Uccidi quel ridicolo e crudele Rinaldo! Si può solo sperare, trattandosi di arti femminili, che si tratterà di una esecuzione definitiva, ma simbolica. ABRUZZO Giovedì 14 agosto, ore 21 MARCO BALIANI Il secondo appuntamento con il teatro, protagonista Marco Baliani. Il programma, realizzato in collaborazione con il Centro studi «La permanenza del classico» dell Università di Bologna, ripropone in esclusiva «Il canto dei profughi Italia fugiens», presentato quest anno da Baliani nel ciclo di letture dei classici del maggio bolognese. Baliani rileggerà passi da l Eneide di Virgilio, con un suo commento che guarda al presente con stringente consequenzialità. Spazio polivalente del Palazzetto Sebastiani,Ocre, Rocca di Mezzo, Tione degli Abruzzi LAZIO Giovedì 14 Agosto, ore IPERCUSSONICI Si accendono le luci e si mischiano i colori sotto il cielo di Gay Village, dove a ritmo di tamburi lontani, scacciapensieri e sonorità Drum'n'dubstep, arrivano Ipercussonici in concerto con il loro Carapace Live Tour. Carapace non è solo un album, ma anche un live catartico che mette in movimento la musica, con il supporto di una texture alchemica. È un progetto complesso, costruito con una mentalità d'artigiano e che include tanto il disco, quanto la realizzazione di un video, per sorprendere quel pubblico che apprezza ancora la danza, il sudore e l'energia del palco e non solo... fermandosi anche a riflettere sui profondi temi di ordine sociale ed ambientale. Roma Eur - Parco del Ninfeo - Via delle Tre Fontane angolo Via dell Agricoltura LOMBARDIA Martedì 12 agosto LATINOAMERICANDO Latinoamericando Expo stasera si colora di rosa per «Ladies Night», la speciale iniziativa che vede le donne protagoniste della serata all insegna di musica, balli, cultura enogastronomica e incontri dedicati all universo femminile. In occasione del 50esimo anniversario della nascita di Mafalda e del 60 anno di carriera di Joaquin Lavado, in arte Quino, suo «papà di matita», a Latinoamericando Expo si potranno ripercorrere le principali tappe della storia di un personaggio amato anche in Italia da almeno 3 diverse generazioni e sempre attuale, attraverso i temi universali a lei cari: la famiglia, l amicizia, la scuola, la politica, la guerra, la pace. Presente all interno della mostra anche un area multimediale con video dedicati a Mafalda: i cartoni animati, le pubblicità che l hanno vista protagonista, curiosità ed aneddoti legati all'autore. La mostra proseguirà fino al 19 agosto. Al Padiglione delle Nazioni prosegue la Settimana dedicata all Ecuador, con proiezioni di documentari e video culturali, presentazione di prodotti tipici. Info: tel Forum di Assago, Milano TOSCANA Martedì 12 agosto, ore FESTAMBIENTE Festambiente al giro di boa promette una quinta giornata all insegna del movimento, dei colori e della fratellanza multietnica! Il consueto incontro delle Ore 19,30 verte su «Lampedusa, Europa: quale accoglienza per i migranti». Coordina Fabio Sanfilippo capo redattore cronaca GR1. Partecipano: Rossella Muroni Dir. generale Legambiente, Giusi Nicolini Sindaco di Lampedusa, Paolo Beni Camera dei Deputati, Giuseppe Cannarile Comandante Capit. di porto di Lampedusa, Tareke Brhane Presidente Comitato 3 ottobre, Vittorio Alessandro Comitato 3 ottobre, Emilio Bonifazi Sindaco di Grosseto, Marco Omizzolo Legambiente. Info: Rispescia, Parco della Maremma (Gr) Tutti gli appuntamenti: eventiweb@ilmanifesto.it COMMUNITY le lettere Lettera al premier Sono un Vigile del fuoco cinquantenne, e vorrei rappresentare alla Vs. attenzione una semplice domanda. Come si può pensare di mandare a casa un lavoratore sessantenne con il 65% dello stipendio, a causa del nuovo e iniquo sistema pensionistico? Magari con a carico moglie e 2 figli maggiorenni e pure disoccupati, e un pigione della casa da pagare? E legittimo tutto questo? Perché costringere il lavoratore ad accedere ad un prepensionamento obbligato e una pensione che non gli garantisce nemmeno la sopravvivenza? Non si fa prima ad abolire la legge Fornero? Non è più semplice ritornare alla regola di chi ha compiuto 40 anni di contributi può accedere alla pensione, indipendentemente dall età anagrafica? Chi mai raggiungerà, da ora in avanti, 40 anni di contributi versati? Facendo così si crea solo scontento e conflitto sociale. Prima abbiamo criticato il ministro Padovan che ha accennato alla critica sulla Germania che ha ridotto l età anagrafica per accedere alla pensione, ansi, egli auspicava per un ulteriore aumento della stessa, non è un contro senso? Viviamo un momento di grandissima difficoltà socio-economica e gli annunci di riduzione di stipendio obbligate per dipendenti over 50 disturba la quiete pubblica. Mi auguro, con immensa speranza, che da questa mia lettera possa ricevere quel razionale impulso tanto reclamato da chi ha posto nelle sue mani il migliore cambiamento possibile. Salvatore Spavone Napoli Il bilancio del governo Renzi A distanza di più di cinque mesi, a livello economico-sociale, è stato un fallimento. I risultati, infatti, dimostrano che non basta promettere, annunciare. Tutti gli indicatori dell Istat dicono che siamo in piena fase recessiva: si profilano nuove tasse o tagli indiscriminati. Aumentano la povertà, la disoccupazione, il disagio sociale. Nessuno può fermare il cambiamento grida il leader dell attuale maggioranza, come se le pseudoriforme, (uno scippo agli spazi di rappresentanza e di democrazia) fossero le riforme strutturali, di cui il Paese ha bisogno per rispondere alla crisi sempre più acuta ed invasiva. Il cambiamento delle condizioni materiali per gran parte dei cittadini alle prese spesso con problemi di sopravvivenza non è mai cominciato e le prospettive non sono affatto incoraggianti, se il lavoro non diventa priorità assoluta. Quando le risorse migliori - i milioni e milioni di giovani - non vengono utilizzate, non esistono i presupposti per la ripresa. Il tasso di disoccupazione da noi è troppo alto, rispetto al resto dell eurozona. Sulla questione centrale del lavoro il governo non ha dato minimi segnali di discontinuità. Qui non bastano gli ostentati ottimismi mediatici: occorrono radicali ed immediate scelte politiche, perchè si tratta dell avvenire dei giovani, defraudati da lungo tempo di un diritto, sancito a chiare lettere nella nostra Costituzione. Mattia Testa Itri Che tempo che fa? Oggi come ieri, la dittatura globale del profitto, ha come scopo principale l indefinito accrescimento di se stesso ed il mercato (economico e finanziario) ne è l articolazione concreta e diffusa che permette ai capitalisti di «oliare i cuscinetti di scorrimento». Oggi tutti si dicono «riformisti» (Pd, Forza Italia, partiti di centro e di destra). Ma tutti sono omologati sia sul piano politico che su quello culturale agli interessi delle classi dominanti che negli ultimi 20 anni hanno continuato ad arricchirsi a danno dei ceti medi e proletari, fino a detenere circa il 50% di tutta la ricchezza esistente nel nostro Paese. Gli interessi finanziari/capitalistici, sono oggi ben rappresentati dal Pd e la sua sostanziale omologazione al modello di sviluppo economico, sociale, culturale, dominante, viene sostenuta con forza dalla Troika Europea e dai «poteri forti». Il pregiudicato caimano che ha governato l Italia per 20 anni, anche se aveva sempre sostenuto con forza gli interessi finanziari e padronali, nonché i suoi, aveva però perso credibilità dei «poteri forti» a causa delle sue faccende «personali». Esso ha però continuato a dare il proprio supporto al «suo» delfino Matteo Renzi, il quale si rivela sia in linea di principi che nei fatti, come un tappeto rosa steso sotto il pensiero dominante. Quindi in questa fase, l accesso ed il sostegno al suo governo, viene favorito dalla grande finanza e capitale e da quasi tutti i mas/media, consapevoli che il suo «addomesticamento» non creerà problemi ed anzi risulterà utile in termini di imbonimento di massa. La sinistra di alternativa non ha scorciatoie, può rinascere solo se supererà il pensiero culturale, sociale ed organizzativo dei cosi detti «rifornisti» ricreando un movimento di lotta con al centro gli interessi delle classi subalterne, una economia solidale, la salvezza dell ambiente. Umberto Franchi Jean Jaures dimenticato Possibile che il nome, la storia, l impegno politico, l assassinio di Jean Jaurès non dicano più nulla alla sinistra italiana? Il 31 luglio scorso ricorreva del fondatore del socialismo francese e del prestigioso quotidiano l Humanité il centenario della morte (venne ucciso da un giovane nazionalista alsaziano, Paul Villan, accanito sostenitore della partecipazione della Francia alla guerra). E mentre Oltralpe da mesi sono in corso tutte una serie di iniziative e dibattiti da noi su Jean Jaurès è caduto un silenzio quasi tombale. Nemmeno la sua militanza di pacifista, le sue battaglie contro la pena d morte, sull inutilità del servizio militare e sulla brutalità delle guerra non riescono a squarciare il muro dell indifferenza o alimentare un briciolo di discussione. Eppure la grandezza Jaurès si misura anche nel fatto che in Francia hanno cercato di tirarlo dalla giacchetta da tutte le postazioni politiche (anche i Le Pen si sono arrogati tale facoltà), ma il suo pensiero, le sue battaglie rimangono patrimonio incontrastato tanto della sinistra riformista quanto di una sinistra più radicale. L uomo Jaurès appartiene sicuramente al mondo di ieri, ma tanto ancora può dirci oggi il militante politico, il capopopolo a fianco degli operai, il teorico che riteneva che la fraternità tra i popoli si può raggiungere solo nel rispetto delle nazioni e che le riforme sono imprescindibili da uno «spirito di rivoluzione». Considerato il grande tribuno nella storia parlamentare della Francia, celebrato persino in un testo del cantautore Jacques Brel, Jaurès rimane il grande umanista al servizio del popolo. Anzi dei popoli. Mimmo Mastrangelo INVIATE I VOSTRI COMMENTI SU: lettere@ilmanifesto.it L ARTE DELLA GUERRA I «salvatori» dell Iraq Manlio Dinucci I primi cacciabombardieri Usa, che in Iraq hanno attaccato l 8 agosto obiettivi nella zona controllata dall Isis, sono decollati dalla portaerei battezzata «George H. W. Bush», in onore del presidente repubblicano autore nel 1991 della prima guerra contro l Iraq. Continuata da suo figlio, George W. Bush, che nel 2003 attaccò e occupò il paese, accusando Saddam Hussein (in base a «prove» rivelatesi poi false) di possedere armi di distruzione di massa e sostenere Al Qaeda. Dopo aver impiegato nella guerra interna in Iraq oltre un milione di soldati, più centinaia di migliaia di alleati e contractor, gli Stati uniti ne sono usciti sostanzialmente sconfitti, non riuscendo a realizzare l obiettivo del pieno controllo di questo paese, di primaria importanza per la sua posizione geostrategica in Medio Oriente e le sue riserve petrolifere. Entra a questo punto in scena il presidente democratico (nonché Premio Nobel per la pace) Barack Obama, che nell agosto 2010 annuncia l inizio del ritiro delle truppe Usa e alleate e il sorgere in Iraq di una «nuova alba». In realtà un alba rosso sangue, che segna il passaggio dalla guerra aperta a quella coperta, che gli Usa estendono alla Siria, confinante con l Iraq. In tale quadro si forma l Isis (Stato islamico dell Iraq e della Siria) che, pur dichiarandosi nemico giurato degli Stati uniti, è di fatto funzionale alla loro strategia. Non a caso l Isis ha costruito il grosso della sua forza proprio in Siria, dove molti suoi capi e militanti sono arrivati dopo aver fatto parte delle formazioni islamiche libiche che, prima classificate come terroriste, sono state armate, addestrate e finanziate dai servizi segreti Usa per rovesciare Gheddafi. Unitisi a militanti in maggioranza non-siriani provenienti da Afghanistan, Bosnia, Cecenia e altri paesi sono stati riforniti di armi con una rete organizzata dalla Cia, e infiltrati in Siria soprattutto attraverso la Turchia per rovesciare il presidente Assad. Da qui l Isis ha iniziato la sua avanzata in Iraq, attaccando in particolare le popolazioni cristiane. Ha così fornito a Washington, rimasto finora ufficialmente a guardare esprimendo al massimo «forti preoccupazioni», la possibilità di iniziare la terza guerra dell Iraq (anche se Obama, ovviamente, non la definisce tale). Come ha dichiarato lo scorso maggio, gli Stati uniti usano la forza militare in due scenari: quando loro cittadini o interessi vengono minacciati; quando si verifica una «crisi umanitaria» di proporzioni tali che è impossibile stare inerti a guardare. Dopo aver provocato in oltre vent anni, con la guerra e l embargo, la morte di milioni di civili iracheni, gli Stati uniti si presentano ora agli occhi del mondo come i salvatori del popolo iracheno. Si tratta ha precisato Obama di «un progetto a lungo termine». Per la nuova offensiva aerea in Iraq, il Comando centrale Usa (nella cui «area di responsabilità» rientra il Medio Oriente) dispone già di 100 aerei e 8 navi da guerra, ma può usare molte altre forze, compresi 10mila soldati Usa in Kuwait e 2mila marines imbarcati. Gli Stati uniti rilanciano così la loro strategia per il controllo dell Iraq, anche per impedire alla Cina, che ha stretto forti legami con Baghdad tramite il premier iracheno Nouri al-maliki, di accrescere la sua presenza economica nel paese. In tale quadro è interesse di Washington la spartizione di fatto del paese in tre regioni curda, sunnita e sciita più facilmente controllabili. Su questa scia, significativamente, la ministra degli esteri Mogherini promette «sostegno anche militare al governo curdo», ma non a quello centrale di Baghdad.

15 MARTEDÌ 12 AGOSTO 2014 il manifesto pagina 15 COMMUNITY La grande riforma della piccola sovranità Neoliberismo e democrazia, una tensione irriducibile che cambia i rapporti sociali. La maggioranza dei cittadini la subisce acriticamente, come un destino ineluttabile È diffusa la consapevolezza del fatto che la «Costituzione neoliberista» comporta un duplice processo di migrazione della sovranità: dalla politica all economia; dagli Stati nazionali a organismi transnazionali rappresentanti dei poteri che articolano la dinamica economica. Questa sommaria sintesi è sufficiente a dar conto del problema più serio generato dal radicarsi del neoliberismo nell arco degli ultimi anni. Il riassetto della sovranità ha coinciso con uno scadimento della sua qualità, in quanto i poteri economici premiati sono costitutivamente sottratti al controllo democratico. Indipendentemente dalla loro configurazione (non si tratta soltanto di grandi imprese industriali e finanziarie o dei grandi investitori, ma anche di istituzioni abilitate a interagire con gli Stati e a produrre norme per essi vincolanti), sono poteri privati, naturalmente vocati a contendere quote di sovranità al pubblico. Cosicché possiamo aggiungere un terzo fenomeno ai due indicati in apertura. La Costituzione neoliberista è venuta realizzando anche un passaggio della sovranità dal pubblico al privato: un processo di privatizzazione della sovranità che contamina la stessa sfera politico-istituzionale, esponendola a una sempre più invasiva penetrazione da parte di poteri e interessi particolari. Se questo è vero, possiamo senz altro affermare che tra neoliberismo e democrazia sussiste una tensione irriducibile, che concerne anche il versante della capacità critica e di resistenza dei corpi sociali. Abbiamo detto che la consapevolezza degli effetti perversi della metamorfosi della sovranità è comune. Comune, non diffusa. Essa è oggi patrimonio di quelle che in passato avremmo definito «avanguardie di classe» e in anni più vicini «popolo dei movimenti», mentre sarebbe irrealistico attribuirla all insieme della cittadinanza. La grande maggioranza dei cittadini è investita dal processo, del quale subisce i molteplici effetti, ma non ne è criticamente avvertita. Ciò per varie ragioni, non ultima per quanto concerne in particolare un paese come il nostro, tradizionalmente provinciale l abitudine a considerare l ambito nazionale come il solo politicamente rilevante. Da questo punto di vista le ultime dichiarazioni del presidente della Bce potrebbero segnare un tornante e sortire, paradossalmente, effetti progressivi. Giovedì scorso, in occasione della conferenza-stampa mensile, Mario Draghi ha, come si suol dire, messo i piedi nel piatto. Non si è limitato a spendere parole di incoraggiamento o di elogio nei confronti delle immancabili «riforme strutturali» immancabili da decenni nell agenda dei paesi membri dell Unione e nella retorica di supporto alla grande trasformazione neoliberista. Non si è nemmeno accontentato di minacciare il commissariamento degli Stati da parte delle istituzioni comunitarie un commissariamento in larga misura già in atto, per legittimare il quale le Costituzioni nazionali vengono «riformate» in modo da estromettere le assemblee elettive e conferire Alberto Burgio Il proclama di Mario Draghi è un manifesto radicale che chiede agli Stati più deboli dell Europa di cedere alle tecnocrazie sovranazionali i residui poteri. E ai governi di diventare strutture amministrative subordinate DISEGNO DI PEDRO SCASSA centralità agli esecutivi, interlocutori privilegiati della tecnocrazia. Draghi ha finalmente deciso di chiamare le cose per nome, invocando un processo riformatore definito in sede europea e imposto senza ulteriori mediazioni agli Stati più «arretrati» o recalcitranti. L idea è quella di una «rivoluzione dall alto», scaricata sulla cittadinanza senza che essa vi svolga alcuna parte attiva. In che senso il proclama del gran governatore potrebbe avere imprevisti effetti progressivi? Nel senso che si tratta di un manifesto talmente radicale da favorire, almeno potenzialmente, una presa di coscienza generalizzata del processo in corso. Se un elemento ha sin qui agevolato la regressione oligarchica delle democrazie occidentali, questo è stato il carattere informale o esoterico di trasformazioni realizzatesi per aggiustamenti surrettizi delle normative e della prassi oppure, nei passaggi topici, tramite la riscrittura dei Trattati. Ora la sortita di Draghi potrebbe segnare un inversione di tendenza nel senso della pubblicizzazione del processo. La portata delle conseguenze di quanto da lui auspicato della Bce è tale (gli Stati dovrebbero in sostanza sbaraccare, trasformarsi in strutture amministrative subordinate e magari rinunciare ad appuntamenti elettorali sempre più simili a vuoti rituali) che, in linea di principio, non si dovrebbe potere non discuterne in sede pubblica. Ma qui evidentemente casca l asino, e diciamo subito che siamo più che sicuri del fatto che, nonostante la loro enormità, le parole del presidente della Bce non susciteranno alcun serio dibattito pubblico. Non perché resteranno inascoltate, tutt altro. Esse rafforzeranno e accelereranno dinamiche di accentramento della sovranità in capo alle tecnocrazie europee (e di spoliazione dei corpi sociali). Ma ciò avverrà senza provocare alcun contraccolpo sul piano della consapevolezza, del giudizio critico e della prassi collettiva. Niente su questo piano avverrà per il semplice fatto che l opinione pubblica si è progressivamente rarefatta sino a perdere consistenza e a coincidere di fatto con gli stessi poteri privati che ne rappresentano il simulacro sul terreno mediatico. Anche l opinione pubblica è stata privatizzata nell arco degli ultimi decenni, di pari passo con il controllo sempre più efficiente degli «apparati ideologici» da parte dei potentati finanziari (e con la riorganizzazione dell elettorato dei grandi partiti in settori d opinione eterodiretti). In quest arco di tempo si è verificato un processo di spoliticizzazione della massa (è questa la verità dell apparente rifiuto della politica da parte dei corpi sociali) funzionale alla sua de-emancipazione. Un processo che restituisce attualità alla classica rappresentazione della cittadinanza come una «moltitudine bambina» bisognosa di tutori. Da questo punto di vista anche le vicende politiche italiane di queste settimane rivelano un profilo diverso da quello solitamente rilevato. Abbiamo più volte insistito sul ritorno del segreto quale cifra caratteristica dell azione di governo, sul non casuale infittirsi dell opacità intorno alle decisioni-chiave dei gruppi dominanti. Il pactum sceleris siglato da Renzi e Berlusconi intorno a due cardini dell assetto democratico del paese (la Costituzione e la legge elettorale) è il simbolo più eloquente di tale fenomeno. Ma è appunto solo un simbolo. All insegna del segreto si dispiega ormai tutta l azione dei governi post-democratici, a cominciare dalla gestione reazionaria della crisi economica a suon di misure funzionali alla redistribuzione verso l alto della ricchezza sociale e alla sistematica distruzione dei sistemi di tutela conquistati dal movimento operaio in oltre 150 anni di lotte sanguinose. Detto questo, non sta scritto da nessuna parte che siamo obbligati a subire passivamente e tacitamente tale stato di cose. Possiamo, al contrario, e dobbiamo insorgere per contrastarlo, cominciando col ritessere tenacemente la tela del pensiero critico allo scopo di generalizzare la consapevolezza dei processi in atto: di fare della coscienza di classe il primo e fondamentale bene comune. Ma perché ciò si verifichi appare indispensabile che, al di L opinione pubblica si è progressivamente rarefatta fino a perdere consistenza e a coincidere con gli stessi poteri privati che ne rappresentano il simulacro mediatico là degli sforzi individuali di ciascuno di noi, venga ricostituendosi finalmente una forza critica in grado di farsi valere nella battaglia delle idee e di raggiungere il più vasto uditorio nel confronto politico-ideologico. Il dominio oligarchico della società per mezzo del segreto è possibile perché non vi è più in Italia da almeno vent anni a questa parte dialettica politica tra gli interessi sociali fondamentali, perché l interesse dei subalterni è privo di voce, escluso dal conflitto politico. La lotta per la democrazia passa quindi necessariamente per la ricostruzione di una soggettività capace di far sì che la lettura critica della realtà ridivenga patrimonio comune del corpo sociale, e di ridare efficacia politica al punto di vista della classe lavoratrice. il manifesto DIR. RESPONSABILE Norma Rangeri CONDIRETTORE Tommaso Di Francesco DESK Matteo Bartocci, Marco Boccitto, Micaela Bongi, Massimo Giannetti, Giulia Sbarigia CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE Benedetto Vecchi (presidente), Matteo Bartocci, Norma Rangeri, Silvana Silvestri il nuovo manifesto società coop editrice REDAZIONE, AMMINISTRAZIONE, Roma via A. Bargoni 8 FAX , TEL REDAZIONE redazione@ilmanifesto.it AMMINISTRAZIONE amministrazione@ilmanifesto.it SITO WEB: iscritto al n del registro stampa del tribunale di Roma autorizzazione a giornale murale registro tribunale di Roma n ilmanifesto fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge n.250 IBAN: IT 30 P COPIE ARRETRATE 06/ arretrati@redscoop.it STAMPA litosud Srl via Carlo Pesenti 130, Roma - litosud Srl via Aldo Moro 4, Pessano con Bornago (MI) CONCESSIONARIA ESCLUSIVA PUBBLICITÀ poster pubblicità srl poster@poster-pr.it SEDE LEGALE, DIR. GEN. via A. Bargoni 8, Roma tel , fax TARIFFE DELLE INSERZIONI pubblicità commerciale: 368 a modulo (mm44x20) pubblicità finanziaria/legale: 450 a modulo finestra di prima pagina: formato mm 65 x 88, colore 4.550, b/n posizione di rigore più 15% pagina intera: mm 320 x 455 doppia pagina: mm 660 x 455 DIFFUSIONE, CONTABILITÀ. 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16 pagina 16 il manifesto MARTEDÌ 12 AGOSTO 2014 L ULTIMA storie All interno dell Archivio storico capitolino è stata inaugurata una sala dedicata a Renato Nicolini per raccogliere documenti d epoca, foto e i quindicimila libri appartenenti all inventore dell estate romana e oggi donati al Comune. Un lavoro in progress a disposizione delle nuove generazioni per scoprire il talento visionario di un uomo colto e geniale Alessandra Vanzi ROMA È stato come un flash back ritrovarmi davanti alla Sala Borromini in piazza della Chiesa Nuova a Roma per l inaugurazione della Sala Renato Nicolini all interno dell Archivio Storico Capitolino, in realtà per accedere all archivio bisogna entrare nel portone a fianco all illustre sala, perché per me quel luogo è legato all epoca gloriosa degli anni settanta, quando il nuovo assessore Nicolini la rese disponibile a spettacoli e concerti riaprendola al pubblico romano con India America, kermesse organizzata da Fabio Sargentini che invitò a Roma alcuni dei migliori vocalist indiani e pakistani, uno tra tutti Salamat Ali ALCUNE IMMAGINI DALL ARCHIVIO CAPITOLINO. IN ALTO RENATO NICOLINI Khan e l indimenticabile ballerina Swarnamuki, che danzava bellissima e snodata riproducendo alcune figure «vietate» dell antica iconografia Hindù, e li «mescolò» ai grandi compositori dell avanguardia americana, tra cui Avanguardie poi ci sarebbe voluto un cantastorie per illustrarla. Questa è la storia del capitale tu lavori e lo fai ingrassare, tu resti derelitto ed affamato e il capitale hai ingrassato». E due giovani allievi del Dams di Roma Giuditta Pascucci e Francesco D Asero hanno letto alcuni brani di Nicolini sulla città, che fanno parte del progetto in progress,(a ottobre e novembre ci saranno altri eventi) Meraviglioso Urbano,(la città e il teatro, la città e il cinema, la città e l architettura, la città e la memoria e le biblioteche, la città e le politiche economiche culturali), pensato e diretto da Marilù Prati con la collaborazione dell Università di Reggio Calabria, di Raimondo Guarini di Roma tre, con il patrocinio dell Assessorato alla Cultura di Roma. Cito dalla prefazione di Nicolini del 2011 alla ristampa di Estate romana «Se il denaro pubblico andasse alla cultura davvero pubblica, quella che è indispensabile alla crescita generale dell immaginazione, sono convinto che intorno a questo investimento non ci sarebbe il deserto Anzi (ri)nascerebbe, spinta dalla concorrenza, un industria culturale privata, che il possente Charlemagne Palestine che picchiava con ferocia i tasti dello Steinway a coda in quel luogo, maestoso e barocco, in armonioso contrasto con gli eventi ospitati. E poi l anno seguente Opening Concerts, organizzato dal Beat72, sempre con le avanguardie musicali italiane e straniere, in cui noi giovani attori della scuderia del Beat eravamo chiamati a partecipare con brevi azioni, improvvisate o non, alla messa in scena dei concerti. Essere eclettici, mescolare l alto e il basso, non dare nulla per scontato, mantenere ben salda l ispirazione surrealista, futurista, dadaista, Debordiana, pop, insomma tener conto di un pensiero aperto alle commistioni culturali nel gestire, soprattutto far conoscere e fruire ai suoi stessi abitanti, la città più antica del mondo, questo, credo, sia stato uno dei pensieri guida di Renato Nicolini. Improvvisamente questo stranissimo giovane assessore, bello e spettinato, entrava nelle cantine e nei cineclub s interessava al nostro lavoro, recitava anche lui, fu bravissimo nel Cavalier Trombetta del celebre Totò con Leo De Berardinis e Perla Peragallo; e soprattutto ci apriva la città, quella antica: Massenzio, i Mer- D ESTATE cati Traianei, il Circo Massimo, il tunnel di via Nazionale dove si svolse il più eccentrico, rumoroso e gioioso dei capodanni romani, e quella più moderna, il tanto vituperato Eur, proprio da Nicolini rivalutato nella sua avveniristica e monumentale architettura; per poi ricongiungerla al suo mare a Castelporziano dei poeti col grande palco di fronte all orizzonte. Ricordo anche lunghe perlustrazioni, pericolosi scavalcamenti e intrufolamenti illegali negli edifici di Villa Borghese prima di farci aprire le porte dell Uccelliera e della Meridiana, prima della costruzione del Padiglione di Villa Borghese che tanti bellissimi spettacoli ospitò, tra cui anche il celebre censimento di tutte le realtà teatrali. Lo avevamo inaugurato noi della Gaia Scienza il Padiglione con Gli insetti preferiscono le ortiche, prima che fosse montato il palco in modo da poter usare nella scena iniziale delle grandi torce infuocate con cui duellavamo in modo che le braci si spargessero sul prato e componessero un planetario che veniva, poi, velocemente riassorbito dal terreno. Anche la parete di fondo l avevamo lasciata mobile in modo che nell ultima scena potesse crollare ed aprire alla vista del pubblico il parco immerso nella notte; una volta accadde che il crollo della parete svelò una coppietta in amoroso consesso che si trovò protagonista del nostro finale! È stato un momento di assoluta libertà creativa e personale, anche se di soldi ce n erano pochissimi ci sentivamo felici nella città liberata. La fine del periodo Nicoliniano fu segnata, non a caso, dallo smontaggio del Padiglione, un 15 agosto, quando non c era nessuno di noi a presidiarlo, ma anche se ci fossimo stati non c era più il «nostro» Assessore a difenderlo. Esco dal lungo flash back ed entro all inaugurazione della Sala Nicolini. Rivedo tante facce note, tutti siamo un po attempati, molti di noi segnati dall inattività forzata dalla crisi economica, molte le amiche che entrarono a lavorare nelle biblioteche e negli uffici comunali grazie alla legge 285, anche detta dell impiego giovanile, proprio negli anni settanta; mi chiedo perché non facciano qualcosa di simile adesso invece di lamentarsi per il mal funzionamento dei musei. Le casse che contengono i quindicimila libri di Nicolini non sono state ancora del tutto svuotate e le belle scaffalature anni trenta, recuperate per l occasione, sono mezze vuote, bisognerà catalogare tutto prima di mettere questo strabordante materiale a disposizione dei giovani. Perché questo è l obiettivo, che le nuove generazioni possano usufruirne, possano capire attraverso questa eterogenea massa di testi chi è stato Renato Nicolini, qual era il suo patrimonio genetico, culturalmente parlando. La targa viene scoperta da Ottavia Nicolini, figlia maggiore, e da Marilù Prati, ultima compagna di Renato, poi cominciano gli interventi introdotti da Ottavia, felice per la riuscita del progetto: l Assessore alla Cultura Giovanna Marinelli, alla sua prima uscita pubblica, racconta del suo primo incontro con Renato quando lo invitò a Perugia e si aspettava un funzionario di partito ma si trovò piacevolmente spiazzata da quest uomo colto e geniale che affrontava ogni tema spostando il centro del discorso verso derive laterali che poi rivelavano sempre un punto di vista nuovo ed essenziale. Sono poi intervenuti Vincenzo Prostace e Maria Rosaria Senofonte dell Archivio Storico Capitolino, è stato proiettato il secondo tempo di Ciao Renato bellissimo omaggio di Cristina Torelli e Paolo Luciani da cui trascrivo: «Ci vorrebbe un grande quadro Majakovskiano, anzi due, avevo chiesto a Ennio Calabria, che era con me nella sede del Pci, di fare due grandi quadri: la storia del capitalismo semplice e quella del capitalismo allargato, non avendo più il profitto garantito dallo Stato saprebbe conquistare normative fiscali meno ingiuste e penalizzanti e saprebbe generare sinergie virtuose (e non piccoli monopoli ) tra teatro, cinema, televisione, dvd Penso a cosa potrebbe essere un sistema di residenze teatrali collegate agli Enti Locali ed alle Università, ma anche a cosa potrebbe significare per l Italia una vera industria culturale, con la pressoché infinita rete di connessioni di cui potrebbe disporre Se la cultura è libera, è autonoma, è intesa come bene comune, crescerà anche l industria culturale, la cultura con cui si mangia». E ancora «La crisi della politica, quando non si ha la forza di proporre alternative, trasforma tutto in lotta d immagine, di slogan che si alimentano di luoghi comuni: la casta, lo spreco, i tagli Magari bastasse questo - Mi vengono in mente le monetine scagliate contro Craxi, Mani Pulite Sembra di essere tornati indietro di vent anni cerchiamo di guardare avanti, di immaginare il futuro A me sembra sempre possibile un Italia che riprenda a crescere partendo dalle ricchezze che le sono rimaste la tradizione culturale, i monumenti, le città, il paesaggio e da quelle che può riacquistare, l Università, la Ricerca, il Design, l Architettura, il Teatro, il Cinema, il made in Italy, lo sport Senza progetto non c è responsabilità, non basta bruciare il passato». Caro Renato, ci manchi, manca una testa come la tua a questo paese bello e bastardo, speriamo che questa tua biblioteca eclettica viva e dia vita e alimento a tanti nuovi cervelli che ci servono più del pane.

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