Fascismo. Alcune interpretazioni

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1 Fascismo Alcune interpretazioni

2 Le periodizzazioni Il fascismo è una storia complessa Esistono molte interpretazioni e periodizzazioni del fascismo. Vediamo una periodizzazione classica: ; ; ; ; ; Vediamo alcune interpretazioni classiche

3 Le periodizzazioni Adotteremo questa partizione: : costruzione : stabilizzazione e consenso : crisi, crollo e fine del fascismo

4 Perché si parla per il fascismo di un Totalitarismo imperfetto Il ruolo della chiesa e dell associazionismo cattolico Il concordato Il ruolo della monarchia Lo statuto albertino e gli inserti dello stato fascista regime reazionario di massa, dittatura moderna? Fascismo parentesi; Fascismo regime di classe; paradigma antifascista resistenziale Sono alcune chiavi di lettura dalle quali deriva il giudizio storico sul regime italiano.

5 LE INTERPRETAZIONI CLASSICHE: tra il 1922 e il 1928 videro la luce alcuni lavori i cui autori si ripromettevano di uscire dall'ambito della cronaca e della polemica politica per delineare i caratteri di fondo della rivoluzione fascista e le ragioni storiche che avevano portato l'italia verso un regime autoritario: P. Gobetti (La rivoluzione liberale, 1924), L. Salvatorelli (Nazionalfascismo, 1923), il nazionalista A. Lanzillo (Le rivoluzioni del dopoguerra, 1922), G. Dorso (La rivoluzione meridionale, 1924), P. Nenni (Diciannovismo, 1927), I. Bonomi (Dal socialismo al fascismo, 1924) L esule cattolico democratico F.L. Ferrari (Le régime fasciste italien, 1928) A. Gramsci (soprattutto le Tesi di Lione e gli scritti pubblicati sull Ordine nuovo, poi raccolti in Socialismo e fascismo, 1966). (A. De Bernardi)

6 Nei lavori di questi intellettuali militanti si ritrovano alcuni dei temi fondamentali delle interpretazioni classiche delle origini del fascismo che poi, dopo la caduta del regime, caratterizzarono la ricerca degli storici di professione: il fascismo come prodotto della crisi morale dell'italia liberale a seguito degli sconvolgimenti prodotti dalla prima guerra mondiale; il fascismo come esito delle anomalie e dei ritardi del processo di unificazione nazionale; il fascismo come risultato dello scontro tra le classi sociali, funzionale al rafforzamento del dominio capitalistico; il fascismo come fenomeno piccolo-borghese, espressione delle convulsioni sociali dei ceti medi travolti dalla crisi postbellica.

7 Fascismo parentesi B. Croce, negli articoli raccolti poi in Per una nuova Italia. Scritti e discorsi ( ), formulava la tesi del fascismo come malattia morale, tesi che divenne punto di riferimento fondamentale per tutte le interpretazioni non marxiste e radicali della dittatura. In questa chiave il fascismo viene visto come una parentesi, l'irruzione improvvisa del male nella storia dell'europa sconvolta dalla guerra e da conflitti irriducibili.

8 Esiste una continuità tra questi primi tentativi di analizzare le ragioni del successo di un movimento reazionario che si era impossessato con la forza del potere e sembrava in grado di mantenerlo, e i successivi studi. Grande fortuna ebbe la tesi salvatorelliana del fascismo come espressione della mobilitazione della piccola borghesia, immiserita contro le due classi allora egemoni, la grande borghesia industriale e finanziaria e il proletariato. Questo connotato sociale giustifica i caratteri del movimento e del regime, reazionario e rivoluzionario a un tempo: reazionario contro la classe lavoratrice e le ideologie egualitarie di cui è portatrice, ma rivoluzionario rispetto all'ordine sociale esistente imperniato sulla tutela degli interessi del grande capitale.

9 Questa interpretazione si ritrova in opere diversissime tra loro: ricorre in classici della storiografia antifascista come Nascita e avvento del fascismo di A. Tasca (pubblicato all'estero nel 1938) e I ceti medi di Pischel, scritta nell'immediato dopoguerra; ricompare nell'elaborazione di un maestro della sociologia come G. Germani (Autoritarismo, fascismo e classi sociali, 1975) e nelle ricerche di uno storico marxista come F. Catalano (Fascismo e piccola borghesia, 1979); Costituisce la chiave interpretativa forte della monumentale biografia di Mussolini (Mussolini, ) con la quale R. De Felice si è assunto il ruolo di massimo esponente del revisionismo storiografico italiano.

10 Centrare come fa De Felice (anche in Le interpretazioni del fascismo, 1969), l'attenzione sul nesso fascismo-ceti medi comporta il rifiuto della tesi marxista tutta incentrata sul rapporto fascismoborghesia capitalista. Infatti, fin da A. Gramsci il fascismo si configura nella riflessione degli intellettuali marxisti come il regime attraverso il quale il grande capitale agrario, industriale e finanziario riesce a sconfiggere la mobilitazione delle classi lavoratrici e a imporre con la forza il proprio controllo sul lavoro e la propria egemonia sull'intera società.

11 Il fascismo è dunque solo un regime reazionario (privo di qualunque componente rivoluzionaria ) ed è espressione degli interessi del grande capitale e delle classi dirigenti borghesi. Questa tesi attraversa la storiografia per oltre mezzo secolo, dalle opere di P. Togliatti (Lezioni sul fascismo, 1935), di P. Grifone (Il capitale finanziario in Italia, 1945), di G. Salvemini (Scritti sul fascismo, 1961), a quelle di storici come E. Santarelli (Storia del movimento e del regime fascista, 1967), G. Carocci (Storia d'italia dall'unità a oggi, 1975), N. Tranfaglia (Dallo stato liberale al regime fascista), G. Quazza (Resistenza e storia d'italia, 1973), E. Ragionieri (La storia politica e sociale, in Storia d'italia, volume IV, 1976).

12 Questa storiografia (che molto deve alle intuizioni di Togliatti) ha stentato a cogliere molte delle implicazioni contenute nella famosa definizione del fascismo come regime reazionario di massa, insistendo più sul concetto di regime reazionario che su quello di regime di massa. Nel carattere di massa Togliatti intravede la natura moderna della dittatura, del tutto diversa dai regimi autoritari ottocenteschi; il fascismo si configura dunque come un nuovo sistema politico autoritario/totalitario chiamato a fare i conti con la società dominata da questa nuova entità sociale composita rappresentata dalla massa omogeneizzata dalla tecnica, dalla produzione standardizzata e dalla grande industria taylorista.

13 RICERCA SOCIOLOGICA E NUOVE PROSPETTIVE: questi sono gli ambiti più che quelli storiografici, a confrontarsi con la modernità dei regimi autoritari e totalitari europei tra le due guerre: da H. Arendt (che nel saggio del 1951 Le origini del totalitarismo mette in evidenza l'originalità dei nuovi totalitarismi fondati sulla pervasività del controllo sociale delle masse atomizzate e sull'utilizzazione spregiudicata dei nuovi mass media nella creazione del consenso), a R. Bendix (Stato nazionale e integrazione di classe, 1967), a G.L. Mosse (La nazionalizzazione delle masse, 1975), a Barrington Moore Jr. (con l'ormai classico Le origini sociali della dittatura e della democrazia, 1971). Ciò che accomuna questi studiosi è l'elaborazione della categoria della modernizzazione, intesa come sintesi della natura e della direzione del mutamento sociale all'interno di società toccate dai processi di industrializzazione.

14 Il fascismo rappresenta, secondo questi studiosi, un esempio emblematico di modernizzazione autoritaria, nella quale si realizza una "mobilitazione dall'alto" delle masse e una crescita che non lede la stabilità dei rapporti di potere, coerente con tutta la storia dell'italia postunitaria, nella quale l'industrializzazione, per i suoi limiti intrinseci, non era stata in grado di promuovere un profondo rinnovamento delle classi dirigenti e un'integrazione democratica dei contadini e del proletariato urbano nella compagine dello stato. Assumere il fascismo come regime in grado di promuovere un autonomo processo di modernizzazione comporta spezzare uno degli assiomi paradigmatici delle interpretazioni storiografiche correnti, vale a dire l'incompatibilità tra sviluppo e dittatura, tra la modernità, intesa come sviluppo delle forze produttive e come crescita sociale, e l'affermazione di un regime totalitario come quello imposto da Mussolini.

15 L'apporto delle scienze sociali non si è fermato a queste considerazioni. Due grandi psicologi come E. Fromm e W. Reich, in due opere fondamentali quali Fuga dalla libertà (1941) e Psicologia di massa e fascismo (1934), riallacciandosi al tema della difficile ricollocazione delle classi medie nella società di massa e delle nuove forme di psicologia collettiva indotte dalla modernità, hanno messo in evidenza come nelle società industrializzate si possano creare ampie disponibilità da parte di interi gruppi sociali, privi di identità ben strutturate, ad accettare sistemi politici autoritari e a sottostare al potere assoluto di un capo carismatico.

16 Il fascismo affonda quindi le sue radici in questi atteggiamenti sostanzialmente distruttivi propri soprattutto della piccola borghesia: nella paura della libertà, nelle insicurezze di masse di individui sessualmente repressi, schiacciati da una morale pubblica e da dinamiche familiari autoritarie, nella crescita costante dello spirito gregario come alternativa alla distruzione del senso di appartenenza che cementava le società tradizionali. È in questo intreccio drammatico di pulsioni collettive e di conflitti irrisolti, alimentato dall'irrompere della modernità che, in una società ancora arretrata come l'italia, trova spiegazione il consenso che indubbiamente il regime di Mussolini acquisì negli anni Trenta, piuttosto che nelle realizzazioni sociali ed economiche.

17 I tradizionali paradigmi interpretativi di scuola liberale o marxista sono dunque stati messi in discussione da questo incontro con le scienze sociali, che hanno aperto nuove prospettive di ricerca per quel che riguarda: l'organizzazione dello stato fascista, tema sul quale primeggiano il lavoro di A. Aquarone, (L'organizzazione dello stato totalitario, 1965), di S. Cassese (La formazione dello stato amministrativo, 1974), di A. Lyttelton (La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929, 1974) e di P. Pombeni (Partito nazionale fascista. Demagogia e tirannide, 1984); A. De Bernardi

18 la politica economica, sulla quale vanno segnalati gli studi di E. Fano Damascelli (La "restaurazione antifascista liberista". Ristagno e sviluppo economici durante il fascismo, 1971), di V. Castronovo (La storia economica, in Storia d'italia), di G. Toniolo (L'economia dell'italia fascista, 1980), di G. Sapelli (Organizzazione, lavoro e innovazione industriale, 1978), di G. Barone (Mezzogiorno e modernizzazione, 1988); la politica culturale, con i lavori di L. Mangoni (L'interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo, 1974), di E. Papi (Fascismo e cultura, 1974), di M. Isnenghi (Intellettuali militanti e intellettuali funzionari: appunti sulla cultura fascista, 1979), di G. Turi (Il fascismo e il consenso degli intellettuali, 1980), di P. Zunino (L'ideologia del fascismo, 1985). A. De Bernardi

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