DIMENSIONE PSICOTICA DEFINIZIONI

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1 DIMENSIONE PSICOTICA "Dottore non sono io che sono paranoico è lei che mi odia!" "Ma che cosa ci ricaverei ad odiarla?" "Ha io proprio non lo so, so solo che lei mi odia!" "Allora cerchiamo di capire, quali sono i motivi per cui io dovrei odiarla?" "Anche questo non lo so, so solo che lei mi odia!" "Non può supporre neanche per un attimo che sia invece lei ad odiare me?" "A bhè questo sì che ci riesco.. certo che la odio, la odio perchè so che lei mi odia!" Logica inoppugnabile :-) DEFINIZIONI Psicosi è un termine alquanto sfumato, per nulla chiaramente definito, e frequentemente usato a sproposito, specie dalla stampa, per stigmatizzare persone e comportamenti individuali o collettivi in senso assolutamente peggiorativo e isolante dal consesso umano dei c.d. normali. Suo sinonimo è il termine follia utilizzata anch essa quasi sempre in senso negativo e, molto spesso, offensivo. Folle deriva dal latino follem che significa mantice, sacco vuoto, pallone che esteso allo psicotico ha assunto il senso di testa vuota, ossia di persona che agisce senza alcun senso e raziocinio. Altro sinonimo di psicosi, nel linguaggio comune è pazzia usata sempre per indicare chi è insensato anche se la etimologia del termine pazzo che deriva sempre dal latino patiens significa unicamente paziente e non necessariamente in senso medico. Ultimo, ma non meno importante, sinonimo di psicosi, nel linguaggio popolare, è il termine di matto anch esso dal latino mattum che significa ubriaco. Quest ultimo termine, talora ha anche un significato meno grave di folle, indicando con esso anche solo un modo bizzarro di comportarsi e talora simpatico. In ogni caso, nella mentalità comune moderna, il folle è colui che pensa e fa cose prive di qualsiasi senso 1

2 razionale, del tutto incomprensibili e altrettanto imprevedibili. E inutile rimarcare quanto sia considerato come il massimo della vergogna e della ignominia per la maggior parte delle persone non solo essere definiti pazze, ma anche semplicemente strambe o strane. E altrettanto inutile è ricordare come, sebbene non vi sia alcuna prova di ciò, la psicosi venga sempre associata alla idea di una pericolosità sociale del matto che in quanto tale è in grado di commettere ogni sorta di nefandezza e di crimine. Tale è il pregiudizio popolare nei confronti della follia. Un pregiudizio che nel nostro Paese è davvero molto diffuso e duro a morire anche ai giorni nostri e di cui i medici sono tutt altro che sprovvisti. Dal punto di vista di una descrizione clinica, e scientifica, invece la psicosi è una sindrome, ossia è un insieme di sintomi che si può ritrovare in molti disturbi psichiatrici differenti. Ovvero il termine psicosi non rappresenta di per sé un disturbo singolo e specifico. Classicamente questa denominazione è riservata a quelle situazioni cliniche che presentano una grave distorsione della realtà caratterizzata da un insieme di deliro e allucinazioni, frequentemente associate altri sintomi quali l eloquio e il comportamento disorganizzati. Distorsione delle percezioni, distorsioni del pensiero e disturbi motori possono essere associati a qualsiasi tipo di psicosi; sebbene le distorsioni del pensiero (i deliri), prive degli altri sintomi, possano essere caratteristiche delle forme paranoidee. Le distorsioni delle percezioni comprendono l essere tormentati da allucinazioni vocali (sentire le voci); da allucinazioni visive, gustative e olfattive; oppure avere la sensazione che le cose o le persone siano cambiate (derealizzazione). I disturbi motori comprendono delle posture rigide e peculiari; evidenti segni di tensione 2

3 emotive; sogghigni o risate inappropriate; caratteristici gesti ripetitivi; il parlare borbottare o biascicare fra sé e sé (confabulare); o il guardarsi attorno come se si udissero delle voci presenti nella stanza. Le distorsioni del pensiero sono anch esse le più varie e vanno dalla sensazione di perdita della propria identità (depersonalizzazione), alla ideazione prevalente fino al delirio franco di grandezza, di persecuzione, di gelosia, di colpa e così via. Nella psicosi si assiste di frequente ai fenomeni di derealizzazione (la realtà diviene come evanescente, diversa, più fumosa e sfumata) e di depersonalizzazione (perdita del contatto con sé stessi, come non sapere più chi si è, sentirsi distaccati da sé stessi, non sapere più chi comanda i propri movimenti); per cui il paziente può riferire che gli oggetti sembrano sfaldarsi (segno della fine del mondo nelle fasi iniziali della schizofrenia), e che lui stesso si sfaldi si sentendosi inconsistente, etereo, senza un corpo. La tendenza alla depersonalizzazione e alla derealizzazione rappresenterebbero addirittura, secondo la moderna psichiatria, la tanto declamata vulnerabilità alla malattia mentale di cui si parla tanto oggi; la quale associata al trauma psichico determinerebbe l insorgenza della psicosi stessa. In realtà i fenomeni della depersonalizzazione e della derealizzazione si osservano, e si osservano di frequente, anche nei disagi di area nevrotica, come negli attacchi di panico, nel disturbo acuto e post traumatico da stress, nonché durante il trattamento analitico se si toccano aree rimosse molto dolorose del paziente specie se esse sono di origine traumatica, come un abuso sessuale. In altri termini, crisi di ansia, o alti livelli di angoscia che dir si voglia, possono determinare fenomeni di derealizzazione e di depersonalizzazione 3

4 senza che si instauri una psicosi franca permanente. Appare quindi molto più motivata ancora oggi la visione di Sullivan (1962) dove è la incapacità di gestire l ansia la predisposizione della psicosi e non la forma che i sintomi psicotici assumono. Voglio dire che una tendenza alla depersonalizzazione non può considerarsi un substrato valido per la insorgenza generale del fenomeno psicosi, perché si confonde l effetto con la causa. Infatti la depersonalizzazione è già una forma sintomatica di psicosi e non una predisposizione ad essa. Semmai è la incapacità di significare sé stessi e il mondo come conseguenza della azione dell angoscia che può essere la causa predisponente la psicosi. In ogni caso nella psicosi la situazione generale dell individuo che si può osservare può essere molto grave e il soggetto può presentarsi disorientato in senso spazio temporale, con le funzioni principali della persona perdute e le funzioni principali dell Io disgregate. In questi casi molto gravi le risorse interne possono essere molto difficili da trovare: ma vanno comunque ricercate. Oltre a ciò nella psicosi sono evidenti sempre problemi relazionali. Frequentemente si presentano storie di persone che non riescono più a portare avanti i propri impegni lavorativi e relazionali e vivono in un ritiro sociale. Anche nelle forme espansive di delirio megalomanico i rapporti sociali sono estremamente compromessi: dietro una facciata di leader, o di profeta si nasconde sempre una vera e propria miseria nelle relazioni umane interpersonali. Lo psicotico può persino arrivare a non riconoscere la identità propria e degli altri: manca infatti la continuità del Sé. Pertanto, in base a questi dati generali, la psicosi può essere correttamente definita, a mio avviso, dal punto di vista clinico descrittivo come: un 4

5 insieme di sintomi in cui le capacità mentali di un soggetto, la sua risposta affettiva e la sua capacità di riconoscere la realtà, di comunicare e di relazionarsi con gli altri sono compromessi (Sthal, 2002). In questi casi, poiché la funzione dell Io come ponte e giudice verso la realtà esterna viene a mancare, la persona non è consapevole dei propri disturbi : non ha coscienza di malattia. Chiaramente l individuo appare come non in grado di asserire la inaccettabilità dei propri disturbi. Non si è cioè più in presenza di un conflitto (più o meno consapevole ma comunque vissuto come inaccettabile), come nella nevrosi, ma solo di una forte angoscia che ha rotto gli argini. Caratteristicamente il paziente, cerca di nascondere l angoscia, ossia cerca di negarsela e/o di coprirla in vari modi, ma generalmente non ci riesce. In ogni caso voglio che soffermiate l attenzione su questo punto, ossia sul fatto che è molto più importante per fare diagnosi di psicosi questa mancanza di coscienza di malattia che la presenza di sintomi eclatanti: un paranoico grave, può essere un individuo efficientissimo in tutte le sue aree di funzionamento globale psichico e presentare una sintomatologia delirante perfettamente strutturata e logica (come semplicemente che la moglie lo tradisce ), ma ciò non di meno è assolutamente e francamente paranoico. PSICODINAMICA DELLA PSICOSI Da un punto di vista psicodinamico classico, Freud incomincia ad occuparsi di paranoia (termine in cui allora si includeva anche la schizofrenia), fino dal 1984, ma lo fa in modo alquanto sporadico. Freud si 5

6 occuperà invece in modo approfondito in due sue lavori degli anni 1911 e 1914: Il caso del Presidente Schreber e Il narcisismo. In questi due lavori egli mette le basi della sua teoria della schizofrenia che resterà invariata nelle successive elaborazioni del pensiero freudiano. La teoria di Freud si basa sulla sua teoria della libido, in base alla quale le psicosi avrebbero dei meccanismi psicopatologici caratteristici quali la rimozione non riuscita di idee intollerabili che trasformano in proiezione delle stesse, il ritiro dell investimento libidico dalla realtà esterna e la regressione a fasi arcaiche dello sviluppo psichico con successiva fissazione ad esse. In tal modo nella situazione psicopatologica della psicosi si verifica un ripiegamento all interno dell individuo il c.d. ritiro della libido dagli oggetti del mondo esterno con conseguente caduta della relazione con la realtà esterna e creazione di una realtà propria interiore. Freud fa una distinzione fra la paranoia e la schizofrenia. Nel caso della paranoia si verifica un ritiro della libido dagli oggetti esterni sull Io, che in tal modo viene investito narcisisticamente con conseguente megalomania e delirio di grandezza. Tale distacco della libido dagli oggetti esterni (la libido oggettuale ), per Freud, è una difesa ed una fuga dinanzi all emersione di un omosessualità latente inconscia che l individuo si nega e nei confronti della quale prova un vero terrore 1. Da ciò il fiorire dei deliri tipo fine del mondo (che è il terrore della omosessualità latente) e di quelli megalomanici e mistici (come compenso di essa). La libido distaccatasi dagli oggetti ritornerebbe sull Io ritornando alla sua fase narcisistica. E cioè dal fallimento della rimozione intorno ad 1 C è da chiedersi se ciò non sia alla base anche della omofobia che molte persone provano nei confronti degli omosessuali, alte cariche della Chiesa Cattolica comprese. 6

7 alcune idee a forte tonalità emotiva in quanto non compatibili con l Io che nasce la proiezione paranoica 2. Il rifluire della libido oggettuale sull Io ne determina un rigonfiamento responsabile della angoscia persecutoria e dei deliri paranoici. Il meccanismo consisterebbe in una trasformazione dell amore omosessuale in odio, odio che sarebbe espulso attraverso la proiezione su di un persecutore esterno. Secondo Freud il processo inconscio che si verificherebbe sarebbe il seguente: Io (uomo) amo quest uomo, il tentativo di negare il proprio desiderio omosessuale avviene mediante la inversione della proposizione Io non lo amo lo odio. Quest ultima proposizione verrebbe poi espulsa per mezzo della proiezione e trasferita sul mondo trasformandosi in Egli mi odia ; da ciò la sensazione delirante persecutoria (Freud, 1911). Anche i deliri di gelosia delle donne vengono spiegati da Freud nello stesso modo, ossia come difesa della omosessualità inconscia: Non sono io (donna) che amo le donne, ma lui (il mio uomo) che le ama. E ugualmente per alcuni deliri erotomanici: Io (uomo) non amo lui, io amo lei che attraverso la proiezione si trasforma in essa o le donne mi amano. Invece, nel caso della schizofrenia (che Freud chiama parafrenia ), la regressione della libido non si ferma solo allo stadio narcisistico, ma arriva fino all abbandono totale dell amore oggettuale e al ritorno all autoerotismo infantile. Si giunge quindi a un punto di fissazione assolutamente molto più arcaico di quello della paranoia e che riguarda le primissime fasi dello sviluppo psichico. Si verifica quindi, nella 2 Va rilevata qui l enorme differenza con la concezione junghiana del Meier secondo la quale tutto ciò che è rimosso viene proiettato (Meier, 1975): il che è esattamente l opposto. 7

8 schizofrenia, una riattivazione della vita mentale della primissima infanzia. Pertanto nella schizofrenia sono in atto imponenti fenomeni regressivi che riportano la psiche dell individuo ad una fissazione alla fase orale. In tal modo l Io ritorna a funzionare, in parte, come l Io dei primi sei mesi di vita dell individuo. In tale fase (normale per il periodo di vita in cui si volge, patologico nell adulto), l Io è arcaico, elementare, indifferenziato, confuso ancora con il mondo circostante, diviso fra onnipotenza e annichilimento, e caratterizzato dal pensiero magico. Quindi i deliri e le allucinazioni dello schizofrenico adulto altro non sono, per Freud, che la riproduzione in età adulta dei meccanismi arcaici di funzionamento dell Io che nei primi sei mesi di vita erano normalissimi. Inoltre, per Freud, sia nei deliri della paranoia come di quelli della schizofrenia non c è solo la perdita di contatto con la realtà, ma anche un tentativo di ritorno al reale per mezzo della allucinazione e del delirio stessi: il delirio è cioè un tentativo di guarigione, ossia, un mezzo, peraltro inefficace, di ristabilire, anche se in modo distorto, una relazione con il mondo. La differenza fra paranoia e schizofrenia sta nel fatto che la prima si serve della proiezione per cercare di ripristinare un contatto con il mondo reale, mentre la seconda utilizza le allucinazioni a questo scopo: Possiamo considerare la fase delle allucinazioni violente come un momento della lotta che si svolge tra la rimozione e un tentativo di guarigione che cerca di ricondurre la libido ai suoi oggetti questo tentativo di guarigione, che gli osservatori scambiano per malattia, non si serve come accade nella paranoia, d un meccanismo di proiezione, bensì di un meccanismo allucinatorio (isterico) (Freud, 1910). 8

9 Tuttavia in questa concezione di Freud vi è un errore di fondo, implicito nel suo concetto di Narcisismo (1914) rilevato dal suo allievo Federn. Infatti, la libido oggettuale, ritirata dal mondo esterno, non ricadrebbe sull Io, ma nell inconscio, ossia nell Es che è il vero serbatoio iniziale delle potenzialità libidiche dirette verso il mondo esterno. Infatti la libido dell Es dalle fasi iniziali di sviluppo, passa solo in un secondo momento all Io dandogli una sensazione sana e vitale che consente la nascita di una libido oggettuale normale. Per cui i deliri di grandezza non costituiscono la conseguenza del defluire della libido sull Io, ma, all opposto, la conseguenza di una carenza di libido oggettuale da parte dell Io che attraverso compensazioni patologiche, il paziente cerca di surrogare. Il paziente che si crede Cristo in realtà nel suo fondo si sente come l ultimo degli ultimi uomini che camminano sulla terra. Federn dimostrò che la schizofrenia era, in altri termini, la conseguenza ultima di un processo di depotenziamento della libido dell Io. Da questo depotenziamento, e non dal suo eccesso, derivava il restringimento dei suoi limiti e la impossibilità di riconoscere ciò che è interiore da ciò che è esteriore, per cui l inconscio, non più recepito come una realtà interiore, emerge dall esterno nel vissuto del paziente. Da questa prospettiva di Federn (peraltro intuita da Freud nel 1924) conclude che nella nevrosi, l Io in virtù della sua ubbidienza al principio di realtà sopprime una parte dell Es, invece nelle psicosi, l Io è al servizio dell Es e si ritira dalla realtà accettando una parte dell Es stesso come realtà, o comunque la ristruttura secondo le direttive dell Es. Un altro importantissimo contributo alla psicodinamica della schizofrenia è stato indiscutibilmente dato da Harry Stack Sullivan. Egli postula 9

10 l importante concetto secondo cui non esiste individuo se non nel contesto delle sue relazioni interpersonali: Non c è alcun periodo dello sviluppo nel quale l essere umano viva al di fuori del regno dei rapporti interpersonali. Secondo questa teoria l eziologia del disturbo schizofrenico è da rintracciarsi in precoci difficoltà interpersonali soprattutto nel rapporto bambino genitore 3. Secondo Sullivan la funzione dell Io è quella di mantenere la stima 4 del Sé nel corso dei suoi processi integrativi di sviluppo nell ambito di queste relazioni. Ogni diminuzione della stima di Sé mobilizza l ansia. Inadeguate cure materne, secondo Sullivan (1962), determinano nel neonato un Sé carico di angoscia e impediscono al bambino di ricevere soddisfazione per i suoi bisogni. Questo aspetto della esperienza di sé viene poi dissociato nello sviluppo successivo, ma il danno alla stima di sé rimane profondo anche nell individuo adulto. L esordio della schizofrenia è per Sullivan una sorta di rinascita di questo Sé dissociato che determina uno stato di panico e quindi alla disorganizzazione psicotica. Ciò che accade è che l individuo schizofrenico è una persona che nel primo anno di vita è stato vittima di un ansia gravissima comunicatagli dalla madre per via empatica. Il futuro schizofrenico in un primo tempo metterà in atto tutta una serie di meccanismi difensivi per tenere sotto controllo quest ansia, come la rimozione di tutta una serie di sue esigenze sia biologiche che culturali che il bambino crede che siano state la causa dell ansia della madre. Egli, inoltre, cercherà di fuggire dalla angoscia attraverso un processo di distacco emotivo dalla realtà esterna che lo 3 Egli concettualizza il trattamento della schizofrenia, soprattutto, in senso psicoterapeutico, come un processo interpersonale a lungo termine che tentava di individuare quelle problematiche precoci e cercava di risolverle. 4 Stima: Avere una buona opinione, favorevole dei delle qualità, delle capacità, dei meriti e dell operato altrui. Diretta verso il proprio Sé è una buona considerazione delle proprie capacità e qualità nelle varie situazioni della vita. 10

11 porterà a rinchiudersi in un suo mondo dereistico, come avviene per le personalità schizoidi. Purtroppo però questi individui, proprio a causa di questi meccanismi che pongono in essere per difendersi dalla angoscia, avranno poca energia psichica disponibile per affrontare le sfide quotidiane della vita. Questo fatto li renderà più suscettibili, rispetto agli altri, agli insuccessi e ai fallimenti i quali, a loro volta, li renderanno sempre più insicuri e saranno ulteriori motivi per generare ansia con conseguente ed ulteriore indebolimento dell Io. La schizofrenia, quindi, per Sullivan, è una specifica reazione a questa ansia gravissima (panico), prodottasi nella primissima infanzia e che, nel momento presente, non più controllata dall Io (in quanto estremamente indebolito), riemerge trascinando con sé tutte quelle esperienze arcaiche infantili che invadono l Io provocandone il suo definitivo crollo e con ciò uno stato di panico acuto. I processi attraverso i quali ciò avviene prendono il nome di processi paratassici e sono causati da un meccanismo di difesa che Sullivan definisce distorsione paratassica. Con tale termine si intende il meccanismo attraverso il quale l individuo può attribuire ad altri caratteristiche appartenenti a figure significative del proprio passato, in modo specifico dei propri genitori 5. Questa è per Sullivan l essenza della schizofrenia, che, per questo Autore, può durare anche solo poche ore (per cui l attacco di panico può essere visto come un mini episodio psicotico acuto), mentre i deliri sono un tentativo di risveglio dell Io che, proprio per mezzo delle distorsioni della realtà, cerca di giustificare e con ciò di attenuare lo stato di disistima 5 La individuazione, interpretazione e rimozione di queste distorsioni sono uno degli aspetti principali del metodo psicoterapeutico utilizzato da Sullivan. 11

12 profonda del proprio Sé. Per esempio un paziente, nel sentirsi minacciato in quanto omosessuale o comunque diverso è come se nel suo profondo dicesse a sé stesso: E per questa ingiusta convinzione della gente che mi si allontana, e non perché io sia tale da essere rifiutato (Tedeschi, 1975). Il altri termini il delirio è un tentativo di dare una forma, un nome, un oggetto alla paura senza oggetto che è prodotta dall ansia. Quest ultimo concetto richiede una digressione poiché è fondamentale da precisare la differenza di significato psicopatologico fra i termini ansia/angoscia e paura/fobia che sono tutto fuorché sinonimi, anche se poi in realtà, purtroppo, anche in un linguaggio specialistico, i due termini vengono spesso usati come tali. *L ansia e l angoscia sono entrambe sensazioni spiacevoli di pericolo imminente imprecisato di fronte al quale ci sentiamo impotenti. La differenza fra le due sarebbe data unicamente dalla intensità, l ansia sarebbe un malessere generalizzato meno intenso, mentre l angoscia avrebbe una intensità molto più elevata. Entrambe danno manifestazioni psicologiche e somatiche fra cui il senso di costrizione al torace e di mancanza di respiro: l angor, stringere, da cui sia il termine ansia che angoscia. * La paura (fobia) si differenzia dalle prime due, invece, in quanto l oggetto è noto e identificabile. Difatti essa è un intenso turbamento emotivo misto a preoccupazione o inquietudine per qualcosa di identificabile di reale o di immaginario che è o sembra atto a produrre gravi danni o a costituire un pericolo attuale o futuro. Per cui non è per nulla dire ho l ansia di.. questo o di quello, come ho l ansia dell esame, etc. ; se questa paura (perché di paura e non di 12

13 ansia si tratta) è patologica, ovvero ha una intensità sproporzionata rispetto allo stimolo che la provoca, sarebbe più corretto dire ho la fobia dell esame e così via. Poiché viviamo in una società narcisistica è insopportabile dire di avere paura di qualcosa o qualcuno, o definirsi paurosi. La paura, pur essendo una delle emozioni tipicamente umane e frutto della evoluzione, è un sentimento squalificante per molte persone, per la società e anche per molti professionisti della psiche, per cui si preferisce usare il termine ansia di fronte a paure specifiche al fine di nobilitare ciò che si prova e/o si descrive. Tuttavia, in tali casi l uso del termine ansia è improprio! A tutto ciò andrebbe aggiunto anche il concetto di spavento che è quella situazione in cui si viene a trovare un individuo di fronte ad un pericolo improvviso a cui non era per nulla preparato, in esso il fattore sorpresa gioca un ruolo fondamentale. Questa distinzione non è solo una questione semantica fine a sé stessa, ma ha una sua non piccola importanza clinica. Difatti una angoscia senza oggetto (come la si definisce correttamente in psicopatologia descrittiva) oltre ad essere patognomonica di alcune patologie precise (come, ad esempio, l ansia/angoscia mattutina con risveglio precoce di molte forme di depressione; o il senso di una imprecisata catastrofe imminente di certi stati paranoidei o di alcune schizofrenie all esordio), è chiaramente sempre più grave di una paura/fobia specifica: perché indica una minore strutturazione/comprensione dell Io del paziente rispetto ai propri sintomi. Ci torneremo sopra. Per ora mi interessa precisare (sarà facile domanda d esame) questo concetto e mostrare quali sono le due teorie della 13

14 angoscia come fenomeno patologico che Freud ideò nel corso dei suoi lavori. A mio avviso queste due teorie non sono in contrasto fra loro. Prima teoria dell angoscia: In questa prima teoria (1895) Freud considera l angoscia come il risultato di un processo interamente biologico nel quale una interferenza di qualsiasi tipo impedisce la scarica della tensione libidico/sessuale con conseguente accumulo della tensione/psichica che trova sfogo sotto forma di angoscia. L angoscia cioè è il prodotto di un ingorgo di energia psichica. Freud parlerà del cojptus interruptus ( coito interrotto ) come una delle fonti di angoscia di questo tipo 6. Ovviamente con la scoperta di pulsioni aggressivo/distruttive anch esse, e non solo quelle sessuali (dalle quali per lo meno il primo Freud era leggermente ossessionato ), saranno egualmente in causa nel determinare l angoscia. Ossia anche la non scarica della energia psichica legata alle pulsioni aggressivo/distruttive ( di morte ) saranno responsabili della insorgenza di angoscia, attraverso lo stesso meccanismo di accumulo di tensione psichica, esattamente come la non scarica della energia legata a quelle erotiche. A mio avviso, una situazione del tutto simile può verificarsi nelle nevrosi anche per la non scarica della energia psichica legata alla pulsione di auto conservazione, difatti condizioni/situazioni di vita che realmente, o simbolicamente minaccino il nostro concetto di sopravvivenza possono innescare un meccanismo simile. Seconda teoria dell angoscia: Come detto inizialmente, Freud, per più di trent anni ed in modo assolutamente convinto, lega la comparsa del 6 Anche Jung, con tutte le dovute riserve e variazioni sue proprie, formulerà l idea che i sintomi psichici della nevrosi sono la conseguenza di un ingorgo di energia. 14

15 sintomo angoscia ad un meccanismo unicamente biologico, secondo il quale la libido insoddisfatta troverebbe una via di scarica trasformandosi direttamente in angoscia. Infatti in una nota aggiunta ancora nel 1920 al suo noto lavoro del 1905 I tre saggi sulla teoria sessuale, scrive: che l angoscia nevrotica derivi dalla libido e dunque abbia con essa all incirca un rapporto dell aceto con il vino, è uno dei più importanti risultati della indagine psicoanalitica. Cioè, in questa prima teoria sostenuta fino al 1925/26 la libido insoddisfatta si trasforma in angoscia come il vino si trasforma in aceto. E cioè una teoria psico/fisiologica come quella delle percezioni di Fechner, ed è il sogno del primo Freud di fare una psicoanalisi che sia una psico/neurologia. Sogno che si infrange per ammissione del suo stesso Autore, e nel 1926 con Inibizione, sintomo e angoscia egli formulerà la sua seconda teoria della angoscia che nega la precedente e la considera come superata. In questo testo molto complesso e di ardua lettura, Freud formula una concezione della angoscia (non solo nevrotica, ma anche psicotica) che si avvicina moltissimo ad una visione psicopatologica fenomenologico/strutturale del significato del sintomo. Mi preme di fare un piccolo inciso su Theodor Fechner. Come è noto egli era sia medico che fisico ed occupava la cattedra di Fisica alla università di Lipsia. Egli viene continuamente citato nei sacri testi di psicologia come un esempio storico della inizio della psicologia come scienza sperimentale grazie alla sua pubblicazione nel 1860 del suo Elementi di Psicofisica dove si occupava delle senso percezioni giungendo a conclusioni neurofisiologiche sulle percezioni che sono del tutto valide ancora oggi. Bene, non tutti sanno però che questo libro è frutto di una grave malattia 15

16 nervosa e che Fechner si occupò grandemente e assiduamente di metafisica (Meier, 1975). A 39, e prima della pubblicazione del suo trattato, infatti, Fechner ebbe una grave crisi nervosa di carattere psicotico (probabilmente un episodio psicotico acuto o sub acuto), caratterizzato, in una prima fase da grave depressione e da disturbi della vista. Si sentiva come in carcere; senza luce e senza cibo. Alla fine di questo periodo ebbe, invece, un episodio di euforia maniacale durante il quale scrisse le sue cose più importanti fra cui il trattato di psicofisica. Ma scrisse anche trattati sulle piante, sulla morte e trattati sostanzialmente metafisici assolutamente astrusi che si possono tranquillamente definire come mistico/magici e che nulla hanno a che vedere con la fisica. Importante è sapere che il Fechner, definito da Freud il mio adorato Fechner, durante la sua crisi maniacale si convinse di aver scoperto una nuova forza, un nuovo principio che regola tutto l universo, che egli definì principio del piacere : stessa definizione adottata poi successivamente da Freud per indicare il principio che regola il funzionamento di tutta la vita psichica (questo almeno fino al 1922, quando con Al di là del principio del piacere mise in discussione tutta le sua teoria originaria). Tutto questo per dirvi come le fonti utilizzate da Freud sono state tutt altro che unicamente scientifiche, ma hanno attinto eccome da quella filosofia metafisica occulta che lui asseriva ufficialmente di aborrire! In, ogni caso, in questa seconda teoria della angoscia, la libido biologica non si trasforma più in angoscia, ma l angoscia nasce nell Io ed è esperita dall Io. L angoscia diviene qui un affetto provato dall Io di 16

17 fronte ad un pericolo, che in ultima analisi ha sempre il significato di paura della separazione e perdita dell oggetto. Tale sensazione di angoscia si può provare per situazioni differenti che corrispondono a diversi tipi di angoscia, che sono: a) Angoscia del reale sorge in relazione al mondo esterno di fronte ad un pericolo reale; b) Angoscia automatica sorge scatenata da una situazione traumatica che travolge l Io impotente; c) Angoscia come segnale, scatenata da una situazione di pericolo in cui l Io dell individuo è in grado di prevedere l imminenza del pericolo; d) Angoscia nevrotica in relazione al fatto che l Io avverte come pericolosi gli impulsi libidici e/o aggressivi che provengono dall Es; e) Angoscia morale ove il pericolo proviene dal Super Io. In questo lavoro Freud esamina la questione delle così dette difese psichiche anch esse sotto una nuova luce rispetto alle teorizzazioni precedenti. Cioè se prima pensava che fosse la rimozione a produrre l angoscia, ora Freud ritiene che sia l angoscia a produrre la rimozione, formulando la teoria secondo la quale se l Io forma dei sintomi ed erige delle difese, è innanzi tutto per evitare di percepire l angoscia. La quale angoscia significa regolarmente per l Io un pericolo legato alla paura della separazione e della perita dell oggetto. Quando faremo il trauma fenomenologico quest ultima concezione dell angoscia diverrà di capitale importanza. 17

18 In realtà le due teorie della angoscia non sono fra loro incompatibili se le consideriamo da un punto di vista fenomenologico. Come abbiamo visto nell uomo non vi è nulla nel biòs che non possa essere elevato a lògos per cui, seguendo la visione che ad ogni evento fisico/biologico, interiore l uomo può darvi un significato, la seconda teoria della angoscia di freud diviene unicamente la spiegazione fenomenologica della prima. Dopo aver chiarito, anche se solo per sommi capi, cosa si intenda per ansia, tornando alla schizofrenia e alla teoria di Sullivan da quanto abbiamo esposto è più che chiaro che, secondo questo Autore, la schizofrenia è conseguenza di una massiccia invasione della coscienza da parte dell inconscio e questa è esattamente anche la concezione di Jung sulla schizofrenia. Concezione che precede di gran lunga, però, quella di Sullivan. TEORIA DELLA SCHIZOFRENIA SECONDO JUNG Per comprendere quale sia la teorizzazione che Jung ha fatto di questa malattia è necessario, prima di parlare delle concezioni di Jung, descrivere anche se per sommi capi cosa sia la schizofrenia secondo la concezione medico/psichiatrica. Anzitutto, è importante tenere ben presente che quello della schizofrenia è il capitolo più complesso e controverso di tutta la psicopatologia e della psichiatria e che, attualmente, non si parla più di schizofrenia, ma di disturbi dello spettro schizofrenico i quali sono dati da un insieme di entità nosografiche fra loro tenute distinte. Tale spettro comprende: 1) La schizofrenia (propriamente detta); 2) Il disturbo delirante (paranoia); 18

19 3) Il disturbo schizofreniforme; 4) Il disturbo psicotico acuto (detta anche psicosi reattiva breve) 5) Il disturbo schizoaffettivo; 6) Il disturbo psicotico indotto. Bisogna rilevare come una certa tradizione storica, che apparirebbe confermata anche dagli studi genetici moderni, tende a considerare tutti questi disturbi come espressioni più o meno intense di un unico processo morboso, quello della schizofrenia in quanto tale. E questo giustifica la concezione della presenza, appunto, di uno spettro schizofrenico nel quale vanno inclusi anche i disturbi di personalità schizoide, schizotipico e paranoide. In ogni caso ci concentreremo sulla schizofrenia e sulla paranoia per, appunto, poter comprendere le concezioni della psicologia analitica al riguardo. SCHIZOFRENIA Non esiste nessuna definizione sintetica che possa rappresentare correttamente questa malattia mentale. Per poterla diagnosticare è necessario basarsi su dati clinici, ma la clinica di essa è quanto mai complessa e varia. Infatti in questa affezione possono essere presenti tutti i sintomi psicopatologici che abbiamo visto in precedenza, ma nessuno di essi, da solo, può consentirci di fare una diagnosi di schizofrenia. Non solo ma la stessa diagnosi può essere fatta per condizioni molto diverse fra loro per quanto riguarda la gravità ed in più, il quadro sintomatologico, nella stessa persona, può mutare radicalmente nel tempo. E importante quindi capire come in realtà la diagnosi di schizofrenia si basi essenzialmente su concetti convenzionali che nel tempo della storia della 19

20 psichiatria sono alquanto mutati, molto di più che per qualsiasi altra malattia mentale. E questo è il motivo per cui abbiamo iniziato parlando di dimensione psichica della psicosi, perché, appunto, tutti i disturbi di questo spettro schizofrenico, rientrano in questa dimensione e conoscere gli aspetti e i limiti di essa è molto più utile, a mio avviso, ai fini psicodinamici che fare una diagnosi precisa di una entità nosografica a sé stante seguendo dei criteri che alla fin fine sono essenzialmente convenzionali. Per il medesimo motivo ci concentreremo, ora, sugli aspetti storici del concetto di schizofrenia, senza i quali diviene molto difficile comprendere le teorie di Jung che per ovvi motivi non possono che essere storicizzate. STORIA DEL CONCETTO: Il nome schizofrenia è stato per primo attribuito a quel gruppo di psicosi dallo psichiatra Eugen Bleuler nel Kraepelin aveva invece descritto questa patologia con il termine di dementia praecox che veniva così denominata perché in esso venivano incluse quelle forme che portavano ad un esito mentale deficitario. Kraepelin considerava la dementia praecox una affezione cerebrale che danneggiava soprattutto la volontà dell individuo e quindi riteneva che la catatonia fosse il criterio diagnostico di maggiormente patognomonico. Invece Bleuler coniò il termine schizofrenia (schizein scindere e frenos mente) perché riteneva che il ruolo centrale della malattia fosse dato dalla scissione della vita psichica che perde la propria unità, frammentandosi in varie componenti. Abbiamo già visto come su questo concetto si basino le famose quattro A della psicosi (associazioni idriche disturbate, anafettività, ambivalenza, autismo) che rappresentano i sintomi primari 20

21 che sono espressione diretta del disturbo psicotico, mentre i sintomi secondari, o accessori (allucinazioni, i deliri, i disturbi della volontà, mnestici e della personalità e i sintomi catatonici), sarebbero il risultato del modo in cui il processo psicotico viene vissuto dal soggetto. Quest ultimo aspetto è molto importante perché è evidente che Bleuler, Jung e Freud si sono influenzati a vicenda nella loro visione della schizofrenia: ponendo tutti e tre il vissuto psicologico del paziente, ovvero, il cercare di interpretare i sintomi, come centrale nei loro studi sulla schizofrenia. Il vissuto del paziente, al di là della mera descrizione dei sintomi, resta centrale negli studi fenomenologici e psicodinamici della schizofrenia. Seguendo questo approccio Jaspers (1913) giunge alla conclusione che la esperienza del soggetto schizofrenico sia oltre le possibilità di immedesimazione di tale vissuto da parte dell individuo normale, e perciò la ritiene come non comprensibile. Questo accade perché tale vissuto non rappresenta lo sviluppo di una personalità, ma può essere spiegato unicamente come un processo totalmente nuovo che può essere visto come analogo ad una neoplasia maligna: la schizofrenia è vista cioè come una sorta di cancro psichico. Di tutt altro avviso la posizione di Binswanger che vede invece nel delirio un meccanismo genetico processuale dotato di una sua tematica specifica di cui può, e deve, essere ricercata la origine. Come vedremo, Jung, si pone in buona sostanza a cavallo fra queste due visioni della psicosi. Altra teorizzazione che a mio avviso è utile tenere presente per comprendere le idee di Jung sulla schizofrenia, sono il lavori di Kurt Schneider (1925) che propose come criterio diagnostico di schizofrenia tre tipi particolari di allucinazioni uditive, sette tipi di deliri di influenzamento 21

22 e la percezione delirante (che abbiamo già visto bene). Questo gruppo di sintomi fu denominato sintomi di primo rango, mentre gli altri disturbi presenti nella schizofrenia, vennero definiti sintomi di secondo rango come ad esempio l impoverimento affettivo, o altri tipi di allucinazioni, che non sono sufficienti da soli per porre diagnosi di schizofrenia. SINTOMI DI PRIMO RANGO Allucinazioni uditive: Disturbi della permeabilità Io Ambiente: Eco, sonorizzazione del Esperienze di influenzamento pensiero somatico Voci dialoganti (sotto forma di discorsi e repliche) rivolte al soggetto in prima persona Voci che commentano le azioni del soggetto Furto del pensiero Inserzione del pensiero (ossia pensieri altrui che si inseriscono tra i propri) Diffusione del pensiero (ossia che i propri pensieri siano percepibili dagli altri) Esperienze di Gematch: ossia di essere agito passivamente per cui le esperienze sono vissute come imposte dall esterno o da un altro. Imposizione del dominio dei sentimenti. Imposizione degli impulsi e degli atti percepiti come non volontari. Percezione delirante Alterazione patologica del significato dell oggetto che assume significato ed ostile che assedia l Io e lo pone al centro di ogni avvenimento e di ogni significato: Delirio di riferimento A partire dagli anni Trenta la consapevolezza della diffusione della schizofrenia portò ad una sua identificazione come patologia psicosociale che portò ad un allargamento, assolutamente eccessivo, della diagnosi di schizofrenia fino ad includervi anche generiche reazioni allo stress sociale. 22

23 L ultima tappa storica di rilievo sulla schizofrenia è data da Crow (1980) che propose una distinzione fra due forme di schizofrenia la Tipo 1 e la Tipo 2. La prima è caratterizzata dal prevalere degli aspetti produttivi della sintomatologia (come i deliri floridi), decorso più acuto e buona risposta ai neurolettici; la seconda, invece, è caratterizzata da impoverimento ideativi e affettivo, scarsa risposta ai farmaci e allargamento dei ventricoli cerebrali. Quest ultima visione ha portato a concentrarsi più sugli aspetti organici cerebrali della schizofrenia che su quelli psicologici. Lungo questo filone poi seguono i lavori della Andreasen (1982) che distingue tra sintomi positivi della schizofrenia e sintomi negativi poiché su questi ultimi vi è una diversa prognosi e terapia e costituiscono una causa notevole di invalidità e un alto costo sociale ed individuale. Si ha quindi una schizofrenia positiva quando sono presenti almeno due dei seguenti sintomi come parte preponderante della malattia: a) allucinazioni di grado grave che dominano il quadro clinico; b) deliri di grado grave; c) disturbo formale positivo del pensiero di grado marcato; d) esempi chiari di comportamento ritenuto bizzarro e disorganizzato E non vi è nessuno dei seguenti sintomi presenti in grado marcato: a) alogia; b) appiattimento affettivo; c) assenza di volontà, apatia; d) anedonia, asocialità; e) compromissione dell attenzione. Per la diagnosi di schizofrenia negativa, invece, è esattamente l opposto. 23

24 I sintomi positivi sarebbero l effetto di un eccesso funzionale per mancata inibizione, i secondi, invece, sarebbero dovuti a una riduzione di alcune capacità e delle relative funzioni. Come si vede quindi, in ogni caso, a prescindere dalla teoria che vuole spiegare la schizofrenia, restano sempre presenti due gruppi di sintomi la cui catalogazione nosografica descrittiva dipende più dai criteri di risposta alle cura che dalle reali differenze o conoscenze della schizofrenia che si avevano a partire dai tempi di Bleuler del E anche l attuale DSM IV fa distinzione nell ambito dei sintomi caratteristici della schizofrenia fra sintomi come delirio e allucinazioni e sintomi negativi come l appiattimento affettivo. JUNG E veniamo finalmente a Jung e alle sue teorie sulla schizofrenia. L interesse di Jung per la per la psicosi non si estende solo al periodo psichiatrico (che va dal 1900 al 1907) e a quello psicoanalitico ( ) ma continua per tutta la sua vita intrecciandosi con l altro grande tema che lo aveva affascinato fin dall infanzia > ai tempi della sua tesi di laurea < : lo spiritismo > e tutti gli altri fenomeni isoliti e spirituali nel senso più ampio del termine che si verificano a livello delle esperienze psicologiche della mente umana <. Tutta la ricerca psicologica di Jung, da quella psichiatrica a quella psicoanalitica a quella dedicata alla fondazione e al consolidamento della sua psicologia analitica, acquista un senso se è vista come un tentativo di fare chiarezza e conferire dignità psicologica a questi due ordini di fenomeni: l opera di Jung nel suo complesso appare come un tentativo grandioso di gettare un ponte, di comprensibilità 24

25 psichica tra la coscienza e le esperienze strane o sconvolgenti dell anima (Bertoletti, 1992). Jung fu subito affascinato dal contatto con il mondo psicotico e si dedicò interamente alle indagine dei contenuti delle esperienze schizofreniche ( a cui si dedicò per mezzo dell esperimento associativo di Galton), fin dai primi tempi della sua attività professionale quando era assistente di Bleuler al Burghozli. Jung era interessato al problema delle psicosi ed in special modo ai deliri e alle allucinazioni degli schizofrenici da cui egli trasse lo spunto per concepire l idea della esistenza di una nuova dimensione della psiche che egli chiamò inconscio collettivo. Il Meier (1968, edizione italiana nel 1992), ricorda come egli spiegò questo processo in modo conciso alla inaugurazione dell Istituto Jung a Zurigo, il 24 aprile 1948: Non potremmo capire i complessi e le funzioni tipologiche, senza l ausilio dell inconscio. Esso ha ispirato, fin dall inizio, le nostre ricerche e, dal 1912, epoca in cui ho scritto Simboli e trasformazioni della libido, noi possiamo pure parlare di un inconscio collettivo. Quindi, di conseguenza, l oggetto della nostra ricerca, è ora ancora più vasto, e travalica ampiamente gli angusti confini della psichiatria, per toccare, senza remore, degli altri ambiti, più complessi, come l etnologia, per esempio, l antropologia, il folklore, la mitologia, la storia delle religioni, eccetera (Jung, 1948). L interesse di Jung nei confronti della schizofrenia è sempre stato altissimo e si è concretizzato in uno sforzo immane durato cinquant anni. Il suo interesse fu volto da una parte alla comprensione del significato psicologico dei contenuti dei sintomi, dall altro allo studio dei meccanismi etiopatogenetici della schizofrenia. 25

26 Il pensiero di Jung può essere suddiviso in due fondamentali periodi: il primo che va dal 1907 al 28 e il secondo che va dal 1939 al Nel 61 Jung muore, per cui Jung ha scritto e parlato di schizofrenia praticamente per tutto l arco della sua vita professionale. Dico questo perché, talora frequentando il mondo junghiano si ha la sensazione che Jung si sia occupato unicamente di simboli mitologici, alchemici, o mistici e non di malattia mentale, mentre invece Jung si è occupato di simboli proprio in relazione alla malattia mentale; e fare una dicotomia fra le due cose è assolutamente fuori luogo e molto lontana da quelli che erano i reali intendimenti di Jung. In ogni caso nel primo periodo che inizia nel 1907 (La psicologia della d. p.) egli considera la schizofrenia come dovuta al prevalere dello strapotere di alcuni complessi di cui la coscienza non riesce a liberarsi, che però a differenza dell isteria conduce ad una grave alterazione della personalità che egli denominò con un linguaggio neurologico decerebralizzazione, ma che in seguito definirà, seguendo le concezioni di Bleuler, con il termine dissociazione. Una dissociazione grave e massiva di tutti i processi psichici che si trovano a non essere più integrati fra loro con scomparsa di tutti i blocchi associativi e integrativi delle funzioni psichiche. Da ciò ne deriva una distruzione della unità ed integrità della personalità del paziente che si frammenta nelle sue singole componenti agenti ognuna per conto proprio in modo grottesco e disordinato. Nel 1907 egli dubita che il fattore psicologico possa essere responsabile di una situazione così grave, anzi pensa che le apparenti motivazioni psicologiche appaiono tali solo a causa di una sostanza tossica che blocca e 26

27 ipertrofizza certi complessi imponendoli alla coscienza e pensa che tale sostanza tossica sia di natura organica. Nello svolgersi del suo pensiero, (1908) Jung, invece darà sempre più importanza all elemento psicologico emotivo. Esaminando molti casi egli dimostrerà in modo sempre più evidente il collegamento fra i sintomi ed alcune problematiche psicologiche. Il paziente è travolto da coscienze di realtà interiori quanto mai soggettive che si sostituiscono alla funzione del reale (il riferimento è alla psicologia di Janet) dell Io creando un senso di incomprensibilità. Si tratta di tentativi illusori di risolvere i fondamentali problemi della vita, weltanshauungen quanto mai soggettive con cui soggetti introversi cercano di integrare fenomeni psichici sconosciuti inconsci, iperconpensazioni dell atteggiamento unilaterale della coscienza e così via. Egli riteneva che le idee deliranti dei malati di mente andassero analizzate come fossero sogni. Erano, in pratica per Jung come dei sogni ad occhi aperti dovuti alla perdita della funzione di realtà associata all abbassamento del livello di coscienza (Janet). Per la prima volta nella storia della psichiatria qualcuno osava dire che questi deliri non solo che non erano idee assurde, ma fenomeni degni di essere interpretati. Per interpretarli Jung ricorse al suo test di associazionismo verbale basato principalmente sulla idea delle libere associazioni di Freud. Tale metodica era in grado di fornire un significato a parole e neologismi grotteschi, nonché di renderli collegabili alla personalità del paziente stesso, oppure alla sua storia clinica. In questa maniera si rivalutò e si comprese un linguaggio, che ben potremmo chiamare dimenticato, il linguaggio appunto degli psicotici. 27

28 Nel suo famoso saggio del 1908 (il contenuto delle psicosi) egli formula alcuni concetti nuovi che saranno integrati nel 14 da alcune considerazioni generali sugli schizofrenici basate sulle sue esperienze cliniche condotte su pazienti di questo tipo. In tale contesto egli muove le sue critiche a Freud. Egli dichiara che Freud ha ridotto il sistema delirante del Presidente Schreber ad primam causam, cioè ad un semplice motivo o complesso inconscio: il desiderio omosessuale. Ma dove tenda il delirio stesso, non lo avrebbe, invece, assolutamente specificato. Ridurre il materiale psicologico ad un desiderio infantile o ad una volontà di potenza (Adler), cioè a un complesso e basta, viene considerato un difetto e non un pregio, per Jung, della psicoanalisi e della psicologia individuale. Ad esse, Jung, contrappone, il fine della malattia mentale ossia il suo tèlos (Meier, 1968). Ed questa alla fin fine la vera contrapposizione dei tre pionieri della psicologia del profondo, una contrapposizione che viene estremamente ed eccessivamente accentuata e strumentalizzata dai vari nemici della psicologia del profondo. Jung, del resto, non aveva altro interesse che trovare la cura implicita nella malattia stessa, e ciò avveniva attraverso il chiarimento di quelle idee deliranti di cui il paziente era affetto, attraverso una metodica che Jung stesso chiamerà amplificazione circolare. Essa portava gradualmente, alla modificazione della weltanschauung del paziente e alla assimilazione da parte dello stesso di contenuti fino ad allora ritenuti dannosi, se non,addirittura distruttivi. E cioè la incapacità da parte della coscienza di confrontarsi dialetticamente e sinteticamente con i contenuti inconsci (che di per sé non sono patologici) la causa principale della malattia mentale. 28

29 Tale metodica è ben illustrata del resto nel famoso caso di Miss Miller contenuto in Trasformazioni e simboli della libido. Nel 1914 (l importanza dell inconscio in psicopatologia) egli, in una conferenza davanti ai membri della Società Britannica delle Scienze Mediche egli ribadisce la validità del delirio. In questo lavoro Jung si chiede come mai i primitivi non vengano disturbati dalle voci e dalle visioni che caratterizzano la loro vita. Egli giunge alla conclusione che esse sono indispensabili per la loro sopravvivenza. Ogni individuo, dice Jung, ha bisogno del suo equilibrio. Ogni unilateralità della coscienza ha bisogno di una compensazione che venga dall inconscio. Ora, colui che è squilibrato, cioè psicotico, lotterà contro questa spinta compensatoria, per cui l unilateralità, il fanatismo si rafforzeranno, a scapito della vita inconscia che verrà rimossa, assolutamente repressa, fino a quando l inconscio, non rincomincerà a premere, a spingere, a filtrare, per riemergere alla coscienza. Ecco allora che i suoi contenuti appariranno strani, le voci, le visioni, spaventose. Il linguaggio che è un linguaggio recondito ancora più originale ed astruso. Già Poseidonio, del resto, aveva notato questo strano rapporto fra l Io e i suoi contenuti inconsci. La reazione ad essi, per lo più spaventata, poteva dipendere secondo lui, o dalla intensità dello stimolo stesso, o dalla particolare fragilità dell Io. Tale concezione antica veniva ripresa da Jung che la applicandola agli schizofrenici, ma anche talvolta, ai soggetti normali. Queste nuove constatazioni non faranno altro che accentuare l importanza del fattore psicologico emotivo nella genesi della schizofrenia per cui nel 1919 egli parlerà per la prima volta di psicogenesi della schizofrenia (il 29

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